Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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"Chi tace soggiace alla volontà del loquace" (Caparezza - Il silenzio dei colpevoli)

Il gioco di parole dell'eccentrico ma ficcante e arguto artista pugliese (in una canzone che ha ben altri contesti e significati di denuncia) mi dà l'ispirazione a scrivere dei pensieri che "Liz e l'uccellino azzurro" mi ha suscitato durante e dopo la sua visione.
Della regista Naoko Yamada e della sceneggiatrice Reiko Yoshida avevo avuto modo di vedere e apprezzare "Koe no Katachi" ("A Silent Voice" o "La forma della voce" - 2016) e questo film successivo mi è sembrato rappresentare l'evoluzione dell'ottima opera precedente, di cui tuttavia non riesce, per poco, a raggiungere le vette di contenuto e drammaticità.

La premiata ditta Yamada/Yoshida riesce tuttavia a confezionare da una storia molto eterea, quasi impalpabile ed effimera, un capolavoro "visivo" capace di trasmettere e far capire sul "non detto" molto di più di tanti monologhi interiori esplicativi degli stati d'animo dei personaggi, rendendo l'animazione molto, se non del tutto simile alla cinematografia d'autore, basata sulla comunicazione non verbale, sui silenzi prolungati e pregni di dolorosa sofferenza, imbarazzo, disagio e incapacità di esprimersi, sull'inseguirsi continuamente senza riuscire a raggiungersi, senza quella ingenuità tipica e anche un po' stupida e stucchevole di tanti anime in cui gli adolescenti vengono rappresentati come vittime del dramma dell'incomunicabilità, dell'incapacità ad esprimere ciò che realmente si pensa e si vuole fare e dell'equivoco, costringendosi ad accettare insulsi compromessi su ogni aspetto dell'esistenza.

Eh già, "Liz e l'uccellino azzurro" riprende il tema di "Koe no Katachi" e per certi versi lo esaspera al punto da rendere la trama quasi noiosa, lenta, banale e poco attraente, perché, in fondo, narrare di una coppia di amiche di cui una è in apparenza brillante, "popolare" (come amano dire negli anime delle persone al centro dell'attenzione), estroversa, sempre con la battuta pronta e decisa in ogni cosa che vuole fare, e dell'altra che è timida e introversa al punto di isolarsi da tutto e da tutti e di considerare solo l'amica brillante la persona da seguire, imitare (ove possibile) e in un certo senso seguire ovunque lei vada, sostenendola e cercando di comprenderla, non può essere accattivante in assoluto.

Un rapporto che chi vede la situazione rappresentata dall'esterno potrebbe definire "malato", di "dipendenza affettiva patologica", in cui la introversa Mizore Yoroizuka assume un comportamento che la rende dipendente da Nozomi Kasaki, fino a instaurare un attaccamento morboso verso di lei, anche quando la loro amicizia mette a repentaglio il suo benessere emotivo e anche le sue capacità e abilità di suonare.
Da buona "dipendente", in Mizore si vede l'evidente alterazione del suo comportamento, volto all’estenuante tentativo di tenere sotto controllo le sue emozioni come l'ansia di essere rifiutati o allontanati da Nozomi e la profonda carenza di autostima che la porta a sembrare meno brava nel suonare l'oboe rispetto all'amica, per non rendere evidente il suo minor talento, e quindi creare una situazione di "tensione" con l'unica persona che reputa degna di attenzione e della sua amicizia.

Il parallelismo con la fiaba che dà il nome al film è palese fin dagli inizi. Infatti, "Liz e l’uccellino azzurro" narra la storia di Liz, una ragazza isolata e sola, che salva un uccellino azzurro che può magicamente assumere la forma umana di una ragazza che diventa sua amica. Ma l'essere magico ha bisogno della sua libertà, e spesso si ritrasforma in uccellino, per volare e vivere come meglio crede. Liz alla fine diventa consapevole della forte diatriba interna dell'uccellino dovuta all'attaccamento nei suoi confronti, e sia pur con la morte nel cuore accetta e, anzi, favorisce la liberazione dalle catene della dipendenza affettiva e fa volare libero e felice l'uccellino.
La metafora tra la storia della fiaba e quella di Nozomi e Mizore è pertanto chiara sin dalle prime note del duetto musicale che le due amiche dovranno performare nel concerto della scuola, e con la mancata armonizzazione dei loro suoni saranno costrette a iniziare a esplorare il loro ego allo scopo di risolvere i problemi che affliggono il loro rapporto e le loro interazioni, scoprendo che il parallelismo tra loro e i personaggi della fiaba non è poi così "scontato", nell'iniziale apparente coincidenza tra Liz e Mizore e l'uccellino azzurro e Nozomi.

Yoshida e Yamada prendono spunto da un classico spaccato di vita adolescenziale nipponico (e non solo...) che, per chi ama il genere slice of life e commedie ad ambientazione scolastica, potrà facilmente ritrovare anche nel loro film. Una vera e propria istantanea sul percorso del "coming of age", del cercare, volenti o nolenti, di "diventare grandi", una sorta di bildungsroman, di romanzo di formazione, in cui si percepisce nel finale con il nuovo "(re)joint" tra le due amiche una possibile soluzione ai piccoli e grandi problemi e ostacoli dell'adolescenza.

Ho apprezzato in positivo per una volta anche l'intervento (pro)positivo degli insegnanti, che cercheranno di favorire la miglior "calibrazione" delle interazioni tra Mizore e Nozomi: un intervento che mi è apparso così "lontano" da come vengono dipinti negli anime i soliti professori e adulti in genere, che sembrano esclusivamente ispirati alla weltanschaaung "tutto sudore e sangue", dove l'individualità abdica in favore del bene del gruppo e della società, nella classica visione culturale della società nipponica. Un intervento molto mirato, con la consapevolezza di ascoltare e stuzzicare l'individualità delle ragazze, piuttosto che porsi in modo rigido e autoritario... E, per questa volta, non si vedono ragazzi/e abbandonati a sé stessi nei tentativi di cercare di risolvere i loro problemi.

La trama così delicata e intimistica nella sua palese semplicità (nulla di nuovo o scioccante sotto gli occhi dello spettatore) è supportata, anzi ne esce enormemente corroborata e rafforzata, dal comparto tecnico, visivo e musicale. E qui il duo Yamada/Yoshida è riuscito a dare alla pellicola un tocco di delicatezza e sensibilità che raggiunge, se non supera, quello di "Koe no Katachi".
L'incapacità di comunicare tra Nozomi e Mizore è fondata sul "non detto" e i silenzi impacciati, gli sguardi tremolanti e fissi nel vuoto, mentre si cerca di esprimere qualcosa che non riesce ad uscire dalla bocca, i mancati abbracci, le continue inquadrature sui piedi e gambe delle protagoniste, testimoni dei continui inseguimenti tra due persone che non riescono a camminare "fianco a fianco", l'apparente insensibilità di Nozomi nei confronti di Mizore, la maschera brillante di Nozomi che non accetta la bravura di Mizore, ecc. sono tutte pennellate d'acquarello sui sentimenti e sensazioni delle due ragazze che trasmettono allo spettatore una emotività non spiegata da inutili e barbosi monologhi, lasciandolo solo nello sforzarsi di capire e trovare, come nella realtà, il significato di determinati atteggiamenti e comportamenti.

"Liz e l'uccellino azzurro" rappresenta una sorta di spin off della fortunata saga anime "Sound! Euphonium", tratta dall'omonimo manga del 2013 di Ayano Takeda, guarda caso ambientata in un club di musica della scuola superiore Kitauji, prendendo spunto dai due personaggi secondari, Nozomi e Mizore, che compaiono della seconda serie anime. Tutte le serie e i film sono di produzione della Kyoto Animation, rimasta coinvolta nell'estate del 2019 da un gravissimo incendio doloso, con trentasei persone dello studio decedute, che ha decretato la fine della produzione di uno degli studi più interessanti degli anni 2000 in termini di qualità delle produzioni.

"Liz e l'uccellino azzurro" rappresenta una carezza gentile, una lieve brezza che sfiora la pelle e il conseguente intimo e delicato brivido che percorre il corpo. È il suo grande pregio ma anche il suo profondo limite. A coloro che non piacciono le storie lente, 100% slice of life, la visione risulta oltremodo faticosa se non noiosa, essendo basata quasi esclusivamente sulla percezione quasi maniacale e rarefatta dei dettagli e dei particolari, al limite di sembrare pretenziosa e pretestuosa.

Resta a mio avviso un "must watch", un punto di intersezione tra qualità visiva e musicale, in cui i dialoghi per una volta lasciano la strada libera alla percezione delle sensazioni e dei sentimenti.

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Raramente ricordo il primo contatto con un anime, soprattutto quando si tratta di quelli stagionali. Il modus operandi è sempre lo stesso: sfoglio la lista delle serie in uscita in quella determinata stagione e, in base alla trama e alla varietà degli anime già in lista, scelgo cosa vedere. Con “Blue Orchestra”, è stato leggermente diverso. Erano i primi giorni di primavera e, mentre studiavo minuziosamente la lista sul mio cellulare, rimasi folgorato da questo titolo. Primavera, musica e amore riportano tutt’oggi in vita i ricordi legati a “Your Lie in April” e, mesi fa, fu lo stesso. Pensai che la stagione primaverile, migliore di quella estiva appena conclusasi, avesse in serbo per noi amanti delle romcom una grande sorpresa. Non mi aspettavo, di certo, di rivedere qualcosa della stessa caratura emotiva, mi bastava anche una serie che semplicemente le si avvicinasse, ma purtroppo così non è stato. Tra alti e bassi, “Blue Orchestra” si è tenuto saldamente al di sotto delle mie aspettative, riuscendo comunque a farmi appassionare alla sua storia e rimanendomi ugualmente nel cuore, avendomi accompagnato per ben sette mesi della mia vita.

La storia segue le vicende di Hajime Aono, un ex violinista prodigio, che ha smesso di suonare il violino per motivi personali. All’inizio della storia, Aono frequenta il terzo anno delle medie e fatica a decidere quale percorso accademico intraprendere. Un giorno, incontra a scuola Ritsuko Akine, una violinista alle prime armi dalla testa calda, che vuole iscriversi a una scuola superiore che abbia un'orchestra di rilievo. Hajime, a poco a poco, si avvicina a Ritsuko e, contagiato dal suo entusiasmo, viene riportato nel mondo della musica e del violino, realizzando finalmente che il tempo ha ripreso a scorrere anche per lui.

Le prime tre puntate mi fecero genuinamente pensare, o forse semplicemente sperare, di trovarmi dinanzi alla rivelazione della stagione primaverile. Basandomi soprattutto sulle esperienze pregresse, la storia sapeva di già visto, ma con la giusta evoluzione dei personaggi ero convinto che “Blue Orchestra” avrebbe potuto regalare grandi emozioni. Di affinità con “Your Lie in April” ce ne sono parecchie, soprattutto agli esordi. Aono è un ragazzo che ha abbandonato la musica, ma ad un certo punto della sua vita, complice l’incontro con la bella e allegra Ristuko, decide di ritornare sui suoi passi e riprendere in mano il violino. Come nel caso di “Your Lie in April”, uno degli elementi di maggior rilievo è, quindi, la musica classica, anche se non si parla di pianoforte. Come è giusto che sia, però, ad un certo punto, la serie intraprende una strada tutta sua. Si impara, poco per volta, a conoscere meglio i personaggi e le loro situazioni, alcune anche molto difficili, e si assiste alla loro crescita attraverso la musica. Ben presto, si comprende che tutte le puntate saranno in funzione del grande concerto di fine anno del Club dell’Orchestra Umimaku, di cui fa parte il nostro Aono. Il focus è, quindi, solo ed esclusivamente sulla musica, cosa che, per un anime di ventiquattro puntate, rappresenta un grosso limite. Fin troppi episodi vengono dedicati alle esercitazioni in vista del concerto, rendendo impossibile qualsivoglia sviluppo di tipo romantico. E, badate bene, non sono soltanto io ad essere un fanatico delle romcom, ma è il manga stesso, da cui l’anime è tratto, a proporsi come sentimentale. Ebbene, di sentimentale “Blue Orchestra” non ha veramente nulla. L’unico tipo di amore presente è quello per la musica, che, alla lunga, porta alla noia. E, in situazioni di questo tipo, soltanto una cosa può aiutare a rimettere le cose sui binari giusti: il dramma. Poco prima dello sprint finale, la serie prende quella svolta drammatica che non ti aspetti, ma che, arrivati a quel punto, brami come l’acqua in mezzo al deserto. La serie riesce così a risollevarsi e ad incamminarsi verso una dignitosissima e nostalgica conclusione.

Il risultato finale è quello di una serie che definirei incompleta, a cui manca fortemente qualcosa che non sia solo e soltanto la musica. Poteva andar bene la svolta sentimentale, come qualsiasi altra cosa, perché il dramma sa fin troppo di forzatura. Sono tante le speranze disattese, come quella di assistere ad una tresca tra Aono ed Haru; nonostante ciò, “Blue Orchestra” rimane comunque un buon lavoro. I personaggi vanno incontro ad un’importantissima crescita personale e, forse proprio questo, riescono ad entrare nel cuore dello spettatore, a cui tengono compagnia per diverso tempo. Alcuni momenti, come la scena finale del secondo episodio, sono certamente da ricordare e la lezione che la serie impartisce, di non farsi schiacciare dal peso di un passato tutt’altro che rose e fiori, l’ho trovata di grande ispirazione. Inoltre, per quanto possa essere fin troppo dominante, non si può certo dire che il tema musicale non sia stato trattato con i guanti. Forse si poteva evitare il corso approfondito su Dvořák, ma la musica classica è pur sempre musica classica e, quindi, di un livello superiore. Per rimanere in tema, l’unica nota veramente stonata è la CGI, onnipresente ed altamente invadente nelle scene di esibizione dell’orchestra, tanto da creare il famoso effetto “pugno in un occhio”. Infine, nota al merito per l'opening, "Cantabile" dei Novelbright, dal forte impatto musicale e intelligentemente mai sostituita, neanche a metà serie, come si richiede solitamente ad anime da più di venti puntate.

“Blue Orchestra” non è certamente una serie la cui visione vi cambierà la vita, ma a tempo perso, soprattutto se siete amanti della musica classica, potreste anche darle un’occasione.

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Questa serie è un gioiellino.

* Trama e storia *
Hitori è una disadattata, frequenta il primo anno di scuola superiore dove non ha amici, non frequenta nessuno ed è pressoché invisibile. Non esce mai di casa e la sua vita è a un passo dall'essere quella di una hikikomori. Alle scuole medie, in un patetico tentativo di affrancarsi da questo carattere drammaticamente introverso ed essere notata, ha iniziato a suonare la chitarra, diventando abbastanza brava da avere un canale su YouTube con un certo seguito. Il suo sogno infatti è mettere in piedi una rockband, per il nobilissimo scopo di diventare famosa ed essere finalmente apprezzata e al centro dell'attenzione (e magari non dover più andare a scuola o a lavorare). Ma il suo carattere, al di fuori del web, non è cambiato. E neppure la sua condizione di emarginata sociale.
La storia prende il via dalle premesse qui sopra, nel momento in cui Hitori viene “abbordata” da una ragazza che cerca una chitarrista per la sua band (Hitori da qui verrà soprannominata Bocchi, soprannome affibbiatole non troppo gentilmente a partire dalla parola giapponese hitoribocchi che significa solitario).
La trama mi aveva fatto vagamente sorridere leggendola, ma tempo fa avevo scartato la serie con una certa sufficienza, catalogandola come una sciocchezza scarsamente interessante. Recentemente poi, vedendo i buoni feedback riscossi da questo che sembra decisamente uno dei titoli del momento, ho deciso di fare un passo indietro e dare a Bocchi una possibilità.

Le vicende si snodano attorno alla protagonista, a tutto tondo, inquadrandola dal punto di vista scolastico, seguendola nei rapporti familiari e, soprattutto, indagando i rapporti con la band di cui entra a fare parte.
I toni sono quelli di una commedia, ma la serie è sostanzialmente spaccata in due parti, in un certo senso.
Nella prima metà la narrazione ha un piglio esagerato e fortemente demenziale, con una serie di trovate geniali e un gran numero di gag davvero divertenti, anche con una narrazione e un'esposizione visiva piuttosto intriganti e innovative. Era davvero da un po' che non mi trovavo a ridere di gusto e in modo tanto genuino (leggi, senza fan service e/o ecchi) guardando un anime.
La seconda metà, dal sesto episodio circa, inizia invece ad assumere una connotazione un po' più slice-of-life. Intendiamoci, non sto parlando di un brusco cambio di paradigma, ma di una blanda riduzione del ritmo incalzante delle prime puntate. Le scene demenziali ci sono ancora, solo che sono in numero minore e viene data un po' più di attenzione al progresso della storia e alla crescita della protagonista.
La trama in sé è comunque abbastanza piatta, senza colpi di scena eclatanti, e segue le vicende della band con lo sviluppo dell’amicizia tra le quattro ragazze che la compongono, e le prime esperienze musicali. La divisione dei ruoli, alcune uscite assieme, il primo concerto, la conoscenza di alcune figure che ruotano attorno al panorama musicale indie della zona di Shimokitazawa (Tokyo, poco distante da Shibuya). C’è anche dell’altro ovviamente, ma non vorrei finire per fare spoiler, quindi mi fermo qui. In generale comunque diciamo che il tipo di eventi narrati non è niente di stratosferico, non è che ci siano grandi avvenimenti o che succedano cose incredibili. Questo comunque non significa che non sia presente un'evoluzione che, al contrario, non è trascurabile e quei due o tre episodi che fanno da punti cardine (e da climax) sono stati preparati con cura, messi sotto i riflettori adeguatamente, hanno un buon risalto, un’ottima resa e anche un impatto piuttosto forte sullo spettatore.

Un'ultima cosa. La serie ha una mostruosa quantità di riferimenti e citazioni. Se alcune sono smaccatamente evidenti (Rocky Joe, Ken il Guerriero, Nausicaa) altre sono un po' più ricercate. Se la cosa vi intriga, DOPO aver guardato la serie cercate su YouTube “Bocchi the Rock anime references”; ci sono vari video che vale la pena vedere che affrontano questo argomento nel dettaglio.

* Sviluppo dei personaggi *
La protagonista nel corso dei dodici episodi ha una crescita interessante che la porta a smussare il proprio carattere sociopatico, davvero estremo nei primi episodi. Bocchi resta comunque uguale a se stessa, non viene snaturata, ma è piacevole vedere come lentamente riesca a superare alcuni dei propri limiti più evidenti. Forse alcuni scalini di crescita sono un po' improvvisi, ma non al punto da risultare troppo stonati, e comunque spesso c'è anche un po' di rinculo che segue questi “slanci euforici del momento” che fa tornare Hitori leggermente indietro.
Per quanto riguarda i personaggi secondari, cioè sostanzialmente il resto della band e un altro paio di figure, il lavoro di caratterizzazione fatto è abbastanza standard. Qualche comprimario è più estremo e qualcuno più normale, forse Nijika e Kita un po' si sovrappongono in alcuni frangenti, e in un certo senso tendono a ricoprire un ruolo simile, ma non al punto da definirle cloni l'una dell'altra.
Trovo interessante vedere come i quattro membri del gruppo abbiano, sotto sotto, ciascuno la propria visione della band. Se Kita la considera “una seconda famiglia”, per esempio, Bocchi non si fa troppi problemi a mentire per mascherare i propri obiettivi “poco limpidi”, e Ryo ha già piantato una band in precedenza. Ma in tal senso il numero di puntate è forse un po' esiguo per iniziare a vedere effettivamente delle dinamiche da band “vera” all'interno del gruppo.

* Animazioni e disegni *
Le animazioni le ho trovate davvero buone e non ho notato cali di qualità evidenti in nessuno degli episodi. In alcune sequenze è stato fatto uso di cg in modo abbastanza smaccato da renderlo evidente, ma sono davvero delle sequenze minuscole e la cosa non mi ha dato fastidio. Però va detto che io non sono tra quelli che identificano le tecniche di animazione digitale come “il male”. Anche l'inserimento di alcuni spezzoni filmati anziché animati è una chicca che ha dato ottimi risultati in termini di resa di alcune scene. Forse, volendo trovare un difetto, alcuni disegni di base di certe scene sono stati fatti in modo un po' frettoloso, e quindi in un paio di casi i personaggi risultano leggermente sproporzionati o con lineamenti un po' strani, e sono un po' meno graziosi. Nel complesso comunque niente di grave.

* Comparto sonoro *
Ok, è un anime basato su una rockband e ci sono tante canzoni... tutte canzoncine carine, leggerine e aggiungete pure qualche altra parola in “ine” a piacere. Insomma, musica poco impegnativa, teen rock abbastanza commerciale, di quella che si può ascoltare staccando il cervello, il cui scopo è unicamente quello di farsi ascoltare e non essere fastidiosa. Ho ascoltato la sondtrack e non la trovo sgradevole, anche se non mi ha neppure fatto impazzire, nonostante tutte le tracce siano abbastanza accattivanti e piacione. Devo però annettere che, dopo un certo numero di ascolti, alcuni giri tendono ad entrarti in testa come dei tormentoni. Ma ovviamente tutto il discorso riguardante l’aspetto musicale lascia il tempo che trova e dipende anche dai gusti personali, quindi lascio a ciascuno la valutazione personale dei pezzi.
Quindi, in sostanza, non troverete né i testi di Bob Dylan, né le linee melodiche leggere e orecchiabili dei Beatles, né la sperimentazione dei Radiohead, né la visione psichedelica del suono dei Pink Floyd... ma se uno vuole queste cose, onestamente, non credo che “Bocchi the Rock!” sia il posto migliore in cui cercarle...
Per il resto le voci e il doppiaggio mi sembrano nella media e così pure gli effetti sonori.

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* In definitiva *
In definitiva la storia è un po' piatta ma tiene botta e i climax sono validi, i personaggi sono nella media con Bocchi che spicca alla grandissima nel ruolo di protagonista, il comparto tecnico è ottimo... e il mio voto è piuttosto alto perché credo che Bocchi the Rock! abbia centrato l'obiettivo in pieno: farmi ridere e trascorrere 5 ore circa incollato al monitor divertendomi tanto. Al punto che ho già fatto un primo rewatch della serie.