NIPPON ANIMATION MEISAKU

Correva l’anno 1969 ed in Giappone stava fiorendo un’arte nuova, diversa da ogni genere di animazione mai vista prima in occidente, che avrebbe presto radunato, divertito, commosso e fatto sognare centinaia di fan in tutto il mondo. Nascevano quelli che noi, molti anni dopo, avremmo chiamato anime. I padri di quest’arte sono parecchi: Tezuka, Takahata, Miyazaki, per citare i più famosi. Ma cos’ha di speciale il 1969 rispetto agli altri anni? Cosa successe in quell’anno di tanto importante da citarlo così puntigliosamente?
Nasceva, nel 1969, il filone di anime romanzati che avrebbe poi dato vita al World Mastherpiece Theater (Sekai Meisaku Gekijou) o come in molti lo chiameranno poi, semplicemente, Meisaku. Una produzione che dà il nome a un intero genere di anime, ossia quelli basati su romanzi occidentali, e che viene ideata dallo Studio Mushi proprio in quell’anno. Prima di parlare più approfonditamente della storia del Meisaku è giusto esporre quello che questo genere rappresenta, quello che vuole comunicare e come cerca di farlo.

MEISAKU STYLE

Meisaku - Peline StoryIl Meisaku, non solo quello targato Nippon Animation, ha dei fattori comuni che lo differenziano dagli altri anime. Primo fra tutti, la sceneggiatura è sempre ispirata a un romanzo occidentale, spesso però reinterpretata in chiave nipponica, soprattutto in quelle che sono le psicologie e le interazioni dei personaggi. Questi arrangiamenti alla trama non vanno visti come un chiaro intento a stravolgerne il corso ma semplicemente come aggiunte, variazioni che spesso arricchiscono la narrazione. Infatti raramente qualcosa viene sottratto al filo conduttore degli eventi, le modifiche più classiche riguardano dettagli esclusivamente dedicati al pubblico giapponese. Queste modifiche hanno ovviamente uno scopo: un altro fattore comune a tutti i Meisaku, il fine pedagogico. Spiegherò meglio in seguito come questa esigenza nasca ma è da tener presente che tutte le serie appartenenti a questo genere sono state concepite con il chiaro intento di formare, istruire ed educare i bambini. Il target di riferimento infatti è proprio quello dei più piccini, che attraverso questi anime, avrebbero dovuto elaborare, immedesimandosi nei vari personaggi, valori importanti della civiltà e della convivenza.
Appare così chiaro il motivo degli adattamenti scenografici, dettati più da un imperativo moralistico che da frivolezze creative. Dunque un prodotto destinato ad educare i bambini, coinvolgendoli in storie appassionanti. Non solo. L’alto profilo su cui la psicologia del personaggio tipico di un Meisaku si sviluppa sembra smentirci. A differenza di molte serie prodotte in quegl’anni, i primi Meisaku sottolineano e danno spessore anche a personaggi marginali, caratterizzandoli con cura maniacale. Perché tutto ciò? Qua entra in gioco il terzo fattore: la veridicità della sceneggiatura. Nella preparazione di questi prodotti niente è lasciato al caso. Gli scenari, i gesti, ogni singolo dettaglio è curato per renderlo più vero possibile. Questa genuinità della storia, aiutata certo da ottimi romanzi, ma sapientemente reinterpretata dagli sceneggiatori nipponici, ha fatto si che anche molti adulti si appassionassero alle serie destinate ai più piccoli, differenziando quindi questo genere, definitivamente, dal classico Kodomo. Se infatti la dote pedagogica è comune ad entrambi, quello che evita al Meisaku di essere semplicemente un “Kodomo con trama occidentale” è proprio questo approfondimento emotivo che riesce a coinvolgere il pubblico adulto, rendendo quindi questi prodotti serie destinate al grande pubblico e non solo ai bambini.
Meisaku - Lovely SaraAltra grande considerazione va data all’aspetto grafico. I primi Meisaku curano uno stile di disegno molto più fine rispetto alle altre produzioni dell’epoca, dando grande spazio agli sfondi e ai paesaggi, per mostrare al pubblico nipponico le ambientazioni dei “posti esotici” nei quali la trama si svolge. Se nel disegno delle serie ambientate in Giappone si dava per scontato che gli oggetti di uso comune e i luoghi fossero ben riconoscibili dallo spettatore, il Meisaku, ispirandosi alla cultura occidentale non può avvalorare tale tesi. Il pubblico giapponese si sarebbe di certo trovato spaesato nel vedere oggetti che per noi, oggi, sono facilmente identificabili ma che, per l’allora pubblico del Sol Levante (si parla dei primi anni '70), erano davvero inusuali. Si pensi ad oggetti quali telai, forni, alimenti ma anche a modi di fare, come il comportamento da tenere a tavola in occidente, spersi in quel marasma di posate che per un giapponese poteva apparire davvero buffo. Era quindi importante caratterizzare e dettagliare questi aspetti che altrimenti non sarebbero stati chiari al pubblico, soprattutto quando si parla di bambini. La scelta dei produttori è quindi audace, invece che trasformarli in oggetti di più semplice comprensione si opta per un’informazione minuziosa. Non è raro vedere un piccolo protagonista di Meisaku chiedere ad un adulto il significato e il funzionamento di molte cose, soprattutto quelle più “occidentali”. Quest’opera coscienziosa di confronto culturale che i giapponesi attuano nei Meisaku verrà invece interpretata in chiave contraria dagli importatori nostrani, che faranno il possibile per “occidentalizzare” le produzioni nipponiche. Ma di questo parleremo ampiamente in seguito.
Il budget ristretto dettato da un’ampia produzione annuale impone scelte grafiche che discosteranno per anni l’animazione nipponica da quella occidentale. Questo aspetto non è tipico solo del Meisaku ma coinvolge buona parte degli anime creati negli anni '70. Il movimento è infatti rappresentato in modo differente. Meisaku - Tom StoryLa tecnica del “muovere il disegno” ossia spostare un fotogramma su una camera fissa, creando così una specie di “effetto steady” che permette di riprendere paesaggi e ampie inquadrature, prevarica sulla scelta di animare ogni singola scena. Più che una scelta una necessità. Si parla di anni in cui la veste grafica veniva confezionata interamente a mano ed era improponibile pensare di riprodurre centinaia di tavole per descrivere un lago di montagna. Questa diversità grafica ha radicato in occidente la convinzione che la qualità del disegno disneyano fosse superiore a quello nipponico. Questa constatazione è reale, in effetti le produzioni animate occidentali hanno avuto una qualità grafica superiore a quelle nipponiche degli anni '70, tuttavia va ricordato che mentre la Disney impiegava un anno e un budget colossale per 90-120 minuti di pellicola, in Giappone nello stesso tempo e con una quantità di fondi irrisori venivano prodotte in media 25-27 ore di animazione: una bella differenza!

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