Riportiamo dal blog L'irregolare una parte dell'intervista al buon Yupa, traduttore di fumetti dal giapponese (tra i suoi lavori ricordiamo The Five Star Stories, King of Thorn e la nuova edizione di Magic Knight Rayearth).
Negli Ottanta l’Italia è stata letteralmente invasa da anime provenienti dal Giappone, che nel Belpaese hanno anche avuto un enorme di successo. Questo afflusso è adesso rallentato. Cosa è successo? E’ terminata la produzione di qualità? C’è una diversificazione di produzione? O semplicemente è l’Italia che ne accoglie sempre di meno?
Intanto una precisazione: l’invasione degli anime in Italia era cominciata prima, negli anni Settanta, e un calo si ha già nella seconda metà degli anni Ottanta. Da metà anni Novanta l’afflusso riprende e tra alterne vicende arriva fino a oggi, tuttavia senza mai raggiungere le dimensioni precedenti.
Il motivo della prima stretta, quella della seconda metà degli anni Ottanta, è molto semplice: gran parte degli anime erano stati vittime di uno spietato fuoco di fila di polemiche, in cui li si accusava soprattutto di essere “troppo violenti”. Di conseguenza R.A.I. e Mediaset (che allora si chiamava Fininvest) si sono limitate a trasmettere i titoli meno passibili di tali accuse, il che significava quindi niente robottoni e niente storie di combattimenti, e più titoli infantili o considerati adatti a un pubblico femminile. Meno guerra e più cuoricini, se vogliamo riassumere. Titoli come Ken il Guerriero, L’uomo tigre, I cavalieri dello Zodiaco o addirittura lo stesso Dragonball (che pure sarà in seguito recuperato da Mediaset) vengono trasmessi da televisioni con una copertura nazionale minore, o dai circuiti televisivi regionali.
Con gli anni Novanta la R.A.I. smette addirittura completamente di trasmettere animazione giapponese, per ricominciare a farlo solo diversi anni più tardi, ma timidamente, con pochi titoli e molto selezionati. Nel frattempo Mediaset da metà anni Novanta ricomincia a importare animazione giapponese in una certa quantità, ma sottoponendola a pesanti adattamenti, stravolgendo i dialoghi e rimontando o cancellando interi episodii pur di evitare accuse di “diseducatività”, che tuttavia ogni tanto ritornano, anche se non con la stessa intensità che negli anni Settanta.
In tutti questi anni in Giappone la produzione di animazione è costantemente andata aumentando in termini sia di quantità che di qualità, e a tutt’oggi vengono prodotte decine di serie nuove all’anno, per limitarci solo all’ambito televisivo. C’è stata una diversificazione, con titoli indirizzati praticamente a ogni fascia di pubblico: bambini, adolescenti, famiglie, giovani adulti, appassionati d’animazione, e così via.
Molti dei titoli indirizzati a un pubblico non infantile sono arrivati anche in Italia, nella seconda metà degli anni Novanta, sia per lo home video che, in seguito, su circuiti televisivi come MTV o, più di recente, RAI4. Tuttavia, in termini numerici, raggiungono un pubblico di gran lunga più ristretto rispetto a quello Mediaset e R.A.I.
La grossa differenza tra la prima ondata dell’animazione giapponese in Italia e la situazione attuale, è che la concorrenza internazionale s’è fatta più consistente e agguerrita. Negli anni Settanta e Ottanta la produzione di animazione televisiva giapponese era enormemente più avanti, in termini di qualità e quantità, rispetto a quella statunitense, mentre quella europea era pressoché inesistente. I giapponesi non avevano concorrenza, e la loro animazione, in Europa e in Italia, riempì un vuoto, anche in termini di esigenze narrative di un pubblico giovane che aveva fame di storie che, fino a quel momento, l’animazione nostrana non era riuscita a raccontare.
Con gli anni Novanta negli Stati Uniti l’animazione televisiva conosce una rinascita che arriva fino ai giorni nostri, e l’Europa segue, anche se più stentatamente e soprattutto grazie a forti incentivi pubblici. Quindi i prodotti giapponesi non hanno più uno spazio libero da poter occupare interamente.
L’idea che si ha in Giappone dei cartoni animati è molto diversa da quella italiana. Qui si pensa che quel tipo di programma debba essere guardato solo dai bambini. Invece in Giappone l’anime ha un pubblico anche adulto. Esistono cartoni pensati e creati esclusivamente per “non-minori”. Come mai c’è questa differenza culturale?
Si tratta di una domanda posta spesso, parlando di animazione e Giappone, ma di solito è stata affrontata invocando motivazioni puramente culturali, che però secondo me son troppo vaghe e spiegano poco.
Io credo le differenze siano primariamente di ordine storico. In Giappone l’animazione televisiva s’è sviluppata soprattutto come versione su schermo dell’enorme produzione fumettistica locale. E allora dovremmo chiederci come mai il fumetto ha avuto così successo in Giappone. Ha avuto successo perché, dopo la II Guerra Mondiale, era l’unica industria culturale che un paese stremato dallo sforzo bellico e dalla sconfitta potesse permettersi. L’animazione venne di seguito, perché anch’essa era un prodotto cinematografico a basso costo, l’unico con cui il Giappone potesse competere, domesticamente, coi titoli televisivi e cinematografici importati dagli Stati Uniti, da Hollywood. Coi decenni quei bambini, che negli anni Cinquanta e Sessanta consumavano fumetti e animazione in gran quantità, crebbero, e manga e anime crebbero con loro, adattandosi ai gusti di un pubblico prima adolescente e poi adulto.
La crescita degli anime da un prodotto infantile a un prodotto (anche) per adulti avvenne quindi gradualmente, e per questo fu percepita come naturale e ovvia.
Poi va comunque fatta una precisazione, e cioè che anche in Giappone i titoli più di successo restano quelli indirizzati a un pubblico infantile, massimo adolescenziale, e poi per famiglie. I titoli per adulti spesso sono destinati a un pubblico molto di nicchia, un pubblico assai specializzato, anche molto fanatico, un pubblico di nerd che, a torto o a ragione, non è necessariamente compreso o ben visto dalla gran massa della popolazione.
Molte persone della mia generazione (e di quella prima) hanno “venerato” personaggi come Rocky Joe o Ken il Guerriero, e si divertivano a combattere il male nelle panni di robot dalle movenze improbabili (Mazinga, Geeg robot, Goldrake, Daitarn). Tanto che adesso stentano a riconoscersi e a farsi piacere gli anime più moderni. E’ una questione solamente di crescita o c’è stato effettivamente uno scadimento qualitativo? C’è dibattito in Giappone sul tema?
Ritengo sia una questione esclusivamente generazionale. E non è nemmeno una novità. Molti genitori italiani, che negli anni Settanta e Ottanta sparavano ad alzo zero contro l’animazione giapponese, negli anni Cinquanta erano cresciuti con fumetti italiani che a loro volta erano stati accusati di essere “diseducativi”.
Penso sia dall’alba dei tempi che ogni generazione tende a non comprendere, a fraintendere o, purtroppo, spesso anche a disprezzare, se non a cercare di eliminare, le mode, i gusti e gli oggetti delle passioni del pubblico più giovane.
Da un punto di vista oggettivo credo si debba dire, piuttosto, che nel complesso l’animazione giapponese in quanto a qualità è cresciuta, ovviamente in termini relativi agli anni di riferimento, e vanta a tutt’oggi livelli con cui l’animazione del resto del Mondo, che pure è anch’essa cresciuta parecchio, fatica a competere. Ovviamente sto parlando della pura qualità tecnica: il disegno, le animazioni, la regia, eccetera. Ricordo solo che le animazioni di molti titoli prodotti negli Stati Uniti sono subappaltate in Giappone…
Per quanto riguarda i contenuti una pecca dell’animazione giapponese, almeno di quella indirizzata al pubblico più giovane, è di essersi diversificata troppo poco, di aver continuato, pur tra varie innovazioni, a seguire gli stessi consolidati binari, laddove invece l’animazione televisiva di altri paesi ha saputo sperimentare di più.
Se invece guardiamo l’animazione giapponese nel suo complesso, con tutti i pubblici che comprende, è assolutamente innegabile, pur in mezzo a una pletora di prodotti scadenti e omologati, che del resto ci son sempre stati, la crescita qualitativa, la ricerca di nuovi percorsi e la capacità di sfruttare come si deve le conoscenze e le tecniche acquisite.
Poi, per rispondere all’ultima domanda, anche in Giappone ogni tanto salta fuori chi si lamenta che “non ci sono più i begli anime di una volta!”, ma sono voci isolate, sia perché inserite in una situazione, quella giapponese, in cui di animazione se ne continua a produrre di nuova e in gran quantità, sia perché in Giappone le vecchie glorie vengono fatte rivivere con numerosi remake e seguiti di vario tipo, sia in animazione, che live, con risultati più o meno apprezzabili, ma che comunque vanno a colmare anche le esigenze dei più nostalgici.
Per leggere l'intervista completa, vi rimandiamo alla pagina originale de L'irregolare.
Fonti consultate:
L'irregolare
Negli Ottanta l’Italia è stata letteralmente invasa da anime provenienti dal Giappone, che nel Belpaese hanno anche avuto un enorme di successo. Questo afflusso è adesso rallentato. Cosa è successo? E’ terminata la produzione di qualità? C’è una diversificazione di produzione? O semplicemente è l’Italia che ne accoglie sempre di meno?
Intanto una precisazione: l’invasione degli anime in Italia era cominciata prima, negli anni Settanta, e un calo si ha già nella seconda metà degli anni Ottanta. Da metà anni Novanta l’afflusso riprende e tra alterne vicende arriva fino a oggi, tuttavia senza mai raggiungere le dimensioni precedenti.
Il motivo della prima stretta, quella della seconda metà degli anni Ottanta, è molto semplice: gran parte degli anime erano stati vittime di uno spietato fuoco di fila di polemiche, in cui li si accusava soprattutto di essere “troppo violenti”. Di conseguenza R.A.I. e Mediaset (che allora si chiamava Fininvest) si sono limitate a trasmettere i titoli meno passibili di tali accuse, il che significava quindi niente robottoni e niente storie di combattimenti, e più titoli infantili o considerati adatti a un pubblico femminile. Meno guerra e più cuoricini, se vogliamo riassumere. Titoli come Ken il Guerriero, L’uomo tigre, I cavalieri dello Zodiaco o addirittura lo stesso Dragonball (che pure sarà in seguito recuperato da Mediaset) vengono trasmessi da televisioni con una copertura nazionale minore, o dai circuiti televisivi regionali.
Con gli anni Novanta la R.A.I. smette addirittura completamente di trasmettere animazione giapponese, per ricominciare a farlo solo diversi anni più tardi, ma timidamente, con pochi titoli e molto selezionati. Nel frattempo Mediaset da metà anni Novanta ricomincia a importare animazione giapponese in una certa quantità, ma sottoponendola a pesanti adattamenti, stravolgendo i dialoghi e rimontando o cancellando interi episodii pur di evitare accuse di “diseducatività”, che tuttavia ogni tanto ritornano, anche se non con la stessa intensità che negli anni Settanta.
In tutti questi anni in Giappone la produzione di animazione è costantemente andata aumentando in termini sia di quantità che di qualità, e a tutt’oggi vengono prodotte decine di serie nuove all’anno, per limitarci solo all’ambito televisivo. C’è stata una diversificazione, con titoli indirizzati praticamente a ogni fascia di pubblico: bambini, adolescenti, famiglie, giovani adulti, appassionati d’animazione, e così via.
Molti dei titoli indirizzati a un pubblico non infantile sono arrivati anche in Italia, nella seconda metà degli anni Novanta, sia per lo home video che, in seguito, su circuiti televisivi come MTV o, più di recente, RAI4. Tuttavia, in termini numerici, raggiungono un pubblico di gran lunga più ristretto rispetto a quello Mediaset e R.A.I.
La grossa differenza tra la prima ondata dell’animazione giapponese in Italia e la situazione attuale, è che la concorrenza internazionale s’è fatta più consistente e agguerrita. Negli anni Settanta e Ottanta la produzione di animazione televisiva giapponese era enormemente più avanti, in termini di qualità e quantità, rispetto a quella statunitense, mentre quella europea era pressoché inesistente. I giapponesi non avevano concorrenza, e la loro animazione, in Europa e in Italia, riempì un vuoto, anche in termini di esigenze narrative di un pubblico giovane che aveva fame di storie che, fino a quel momento, l’animazione nostrana non era riuscita a raccontare.
Con gli anni Novanta negli Stati Uniti l’animazione televisiva conosce una rinascita che arriva fino ai giorni nostri, e l’Europa segue, anche se più stentatamente e soprattutto grazie a forti incentivi pubblici. Quindi i prodotti giapponesi non hanno più uno spazio libero da poter occupare interamente.
L’idea che si ha in Giappone dei cartoni animati è molto diversa da quella italiana. Qui si pensa che quel tipo di programma debba essere guardato solo dai bambini. Invece in Giappone l’anime ha un pubblico anche adulto. Esistono cartoni pensati e creati esclusivamente per “non-minori”. Come mai c’è questa differenza culturale?
Si tratta di una domanda posta spesso, parlando di animazione e Giappone, ma di solito è stata affrontata invocando motivazioni puramente culturali, che però secondo me son troppo vaghe e spiegano poco.
Io credo le differenze siano primariamente di ordine storico. In Giappone l’animazione televisiva s’è sviluppata soprattutto come versione su schermo dell’enorme produzione fumettistica locale. E allora dovremmo chiederci come mai il fumetto ha avuto così successo in Giappone. Ha avuto successo perché, dopo la II Guerra Mondiale, era l’unica industria culturale che un paese stremato dallo sforzo bellico e dalla sconfitta potesse permettersi. L’animazione venne di seguito, perché anch’essa era un prodotto cinematografico a basso costo, l’unico con cui il Giappone potesse competere, domesticamente, coi titoli televisivi e cinematografici importati dagli Stati Uniti, da Hollywood. Coi decenni quei bambini, che negli anni Cinquanta e Sessanta consumavano fumetti e animazione in gran quantità, crebbero, e manga e anime crebbero con loro, adattandosi ai gusti di un pubblico prima adolescente e poi adulto.
La crescita degli anime da un prodotto infantile a un prodotto (anche) per adulti avvenne quindi gradualmente, e per questo fu percepita come naturale e ovvia.
Poi va comunque fatta una precisazione, e cioè che anche in Giappone i titoli più di successo restano quelli indirizzati a un pubblico infantile, massimo adolescenziale, e poi per famiglie. I titoli per adulti spesso sono destinati a un pubblico molto di nicchia, un pubblico assai specializzato, anche molto fanatico, un pubblico di nerd che, a torto o a ragione, non è necessariamente compreso o ben visto dalla gran massa della popolazione.
Molte persone della mia generazione (e di quella prima) hanno “venerato” personaggi come Rocky Joe o Ken il Guerriero, e si divertivano a combattere il male nelle panni di robot dalle movenze improbabili (Mazinga, Geeg robot, Goldrake, Daitarn). Tanto che adesso stentano a riconoscersi e a farsi piacere gli anime più moderni. E’ una questione solamente di crescita o c’è stato effettivamente uno scadimento qualitativo? C’è dibattito in Giappone sul tema?
Ritengo sia una questione esclusivamente generazionale. E non è nemmeno una novità. Molti genitori italiani, che negli anni Settanta e Ottanta sparavano ad alzo zero contro l’animazione giapponese, negli anni Cinquanta erano cresciuti con fumetti italiani che a loro volta erano stati accusati di essere “diseducativi”.
Penso sia dall’alba dei tempi che ogni generazione tende a non comprendere, a fraintendere o, purtroppo, spesso anche a disprezzare, se non a cercare di eliminare, le mode, i gusti e gli oggetti delle passioni del pubblico più giovane.
Da un punto di vista oggettivo credo si debba dire, piuttosto, che nel complesso l’animazione giapponese in quanto a qualità è cresciuta, ovviamente in termini relativi agli anni di riferimento, e vanta a tutt’oggi livelli con cui l’animazione del resto del Mondo, che pure è anch’essa cresciuta parecchio, fatica a competere. Ovviamente sto parlando della pura qualità tecnica: il disegno, le animazioni, la regia, eccetera. Ricordo solo che le animazioni di molti titoli prodotti negli Stati Uniti sono subappaltate in Giappone…
Per quanto riguarda i contenuti una pecca dell’animazione giapponese, almeno di quella indirizzata al pubblico più giovane, è di essersi diversificata troppo poco, di aver continuato, pur tra varie innovazioni, a seguire gli stessi consolidati binari, laddove invece l’animazione televisiva di altri paesi ha saputo sperimentare di più.
Se invece guardiamo l’animazione giapponese nel suo complesso, con tutti i pubblici che comprende, è assolutamente innegabile, pur in mezzo a una pletora di prodotti scadenti e omologati, che del resto ci son sempre stati, la crescita qualitativa, la ricerca di nuovi percorsi e la capacità di sfruttare come si deve le conoscenze e le tecniche acquisite.
Poi, per rispondere all’ultima domanda, anche in Giappone ogni tanto salta fuori chi si lamenta che “non ci sono più i begli anime di una volta!”, ma sono voci isolate, sia perché inserite in una situazione, quella giapponese, in cui di animazione se ne continua a produrre di nuova e in gran quantità, sia perché in Giappone le vecchie glorie vengono fatte rivivere con numerosi remake e seguiti di vario tipo, sia in animazione, che live, con risultati più o meno apprezzabili, ma che comunque vanno a colmare anche le esigenze dei più nostalgici.
Per leggere l'intervista completa, vi rimandiamo alla pagina originale de L'irregolare.
Fonti consultate:
L'irregolare
<i>Con gli anni Novanta negli Stati Uniti l’animazione televisiva conosce una rinascita che arriva fino ai giorni nostri, e l’Europa segue, anche se più stentatamente e soprattutto grazie a forti incentivi pubblici. Quindi i prodotti giapponesi non hanno più uno spazio libero da poter occupare interamente.
</i>
Che vuol dire? Che i Simpson rubano spazio agli anime? Non mi pare affatto. Di animazione americana ce n'e' sempre stata fin dai tempi di Disney e Hanna & Barbera e non ha rubato spazio agli anime, perche' dovrebbe farlo adesso?
Semmai ci sono dei motivi commerciali/politici. Negli anni Settanta/Ottanta sono arrivati centinaia di anime perche' c'erano le TV private che trasmettevano senza neppure pagare i diritti ai giapponesi, adesso la situazione e' molto diversa. Per non parlare del fatto che il canale preferenziale per gli anime oggigiorno non e' la TV, ma Internet.
P.S. su tutto il resto Yupa ha ampiamente ragione.
Ora in tv si vede di tutto: Simpsons, i Griffin, South Park, eroi della Marvel, sui canali del digitale terrestre anche animazione europea, Winx, tutte queste cose non esistevano o non si vedevano da noi prima degli anni Novanta. In termini di quantità il numero di serie giapponesi trasmesse in tv in Italia è notevolmente calato, se a questo si aggiunge che la Rai ha fatto sparire i programmi pomeridiani per ragazzi e Mediaset ha notevolmente limitato i suoi non si può non essere d'accordo che il numero di persone che guarda anime è di gran lunga inferiore (e molto più preparato ed esigente, direi).
Condivido in particolare la risposta sul tema delle vecchie glorie, forse perchè il tormentone <i>"si stava meglio quando si stava peggio"</i> non mi ha mai convinto.
La società adulta è sempre alla ricerca del "capro espiatorio" di turno su cui far cadere tutti i mali della società e, nel caso dei manga, che erano una cosa "nuova" ed estranea alla realtà in cui questi "adulti" sono cresciuti e che avevano pochissimi difensori dalla loro parte, sono stati il bersaglio perfetto e li hanno criticati e accusati di "traviare" le menti dei giovani.
I motivi dell'accusa si può assumere così: "Figlio mio, questa cosa nuova e strana ti piace troppo, io non la capsico, e quindi non ti fa bene".
Ma, secondo me, queste critiche nascono dal timore profondo della "vecchia generazione" di perdere la "cultura" con cui sono cresciuti e sostituita con una "nuova", completamente diversa, in cui i vecchi "valori morali" perdono significato, e da qui le conseguenti accuse sono il tentativo di distruggerla per preservare il più possibile quei "valori".
Piccola osservazione: spesso abbiamo riproverato i nostri genitori di non aver compreso e demonizzato la nostra passione accusandoli di "non aver capito", e ripromettendoci "non diventeremo mai come loro, accetterò le passioni di mio figlio" ma in realtà senza accorgecene stiamo già facendo la stessa cosa: ho notato che molti della "mia generazione" criticano i vari Moccia, Twilight, i Relaty Show, i cinepanettoni e Justin Bieber con lo stesso fervore che animava i nostri genitori quando criticavano i manga, internet e videogiochi di "impovorire" la mente dei giovani con l'affermazione: "Ai miei tempi si stava meglio". E' un ciclo che si ripete.
Ho finto, ho scritto un pò tanto e sono andato fuori tema, e anche se molti di voi non la leggeranno neanche, almeno ho voluto esprimere la mia opinione che mi tenevo dentro.
e vabbe', pero' e' anche difficile non criticarli
Comunque hai ragione.
ok , ma sinceramente preferisco guardare anime che rimbambirmi con Grande Fratello
chiamatemi preistorico!!!!!!!!!!
L'animazione americana e d europea è sempre stata maggiore rispetto a quella jap, ma forse il Yupa non la guardava.
Chi si ricorda i Thundercats, i masters, i popples, i minipony, i puffi, gli snorky, Isidoro, Mask, centurion, poleposition Gosthbusters, Jaice, e le millemila serie di Hanna e Barbera?
E Clemantine, Ispettore Gadget, Lady Lovely, ti voglio bene Denver?
E ho citato solo ALCUNE serie degli anni 80.
Siamo seri le serie ocidentali sono sempre state di più di quelle giappo, almeno dall' 86 in poi.
Per il resto Yupa dice solo molte ovvietà già dette in anni passati da altri "esperti" di anime.
Mah.
curioso, stavo per dire piu' o meno lo stesso per gli anni prima dell'86. Sulla private sono passate l'ispettore Inch, gli Impossibili e Frankestein Junior, Josie e le pussycats, i Banana Split, i globetrotters, Scooby Doo, Top Cat, il Fantasma dello Spazio e gli Erculodi, Blackstar, i superamici, e ne potrei elencare centro altri. Cio' detto, sono d'accordo che c'e' stato un calo delle serie giapponesi, ma ripeto il motivo e' politico non che ci siano in proporzione piu' serie occidentali di un tempo. Lo dico a sensazione, ma teoricamente dovrebbe essere possibile fare una statistica e tirar fuori il numero di serie occidentali prodotte in un anno rispetto a quelle giapponesi, anno per anno
Però devi considerare non solo l'anno di produzione delle serie occidentali, ma anche il loro arrivo in Italia: molti cartoni americani sono arrivati dopo o durante l'invasione degli anime giapponesi e la conseguente nascita delle emittenti locali: quando esisteva solo la Rai, di serie TV non è che se ne vedessero molte ( sia jap che non).
In particolare convengo sul fatto che le critiche e i malcontenti ci saranno sempre, perchè i gusti sono e resteranno (fortunatamente) vari.
Sul versante censure, è inutile parlare, diciamo sempre le stesse cose.
I miei omaggi e ringraziamenti per FSS un'ottimo lavoro ( sbircio spesso il blog ed i miei amici che seguono quest'opera con maggior attenzione sono davvero impressionati)!
Rileggero con cura questa intervista...
Mi trova d'accordo con tutto anche se io rimango con le mie solite convinzioni: un prodotto innovativo e assolutamente inaspettato (come potevano essere gli anime nei bei anni andati) , di cui il pubblico non sa assolutamente nulla, tende a catturare più l'attenzione rispetto ad un periodo in cui i prodotti si moltiplicano e si "normalizzano".
Dobbiamo tutti concordare sul fatto che l'immagine degli anime ,che la Rai e la Mediaset hanno trasmesso all'Italia nell'ultimo decennio, ha costruito i pregiudizi e l'ignoranza che permangono ancora oggi...
Sulla questione geneazionale poi...
pur essendo un grandissimo estimatore di Hokuto no Ken non disprezzo affatto gli anime più recenti! Sui robottoni invece (che una volta mi piacevano) ormai provo una "sana" antipatia, li sento lontani da me, pur (talvolta) trattando tematiche "serie" li vedo come qualcosa d'infantile...
Preferisco che qualcuno ricordi delle ovvietà ai più giovani che dare per scontato molte cose sbagliate...
è proprio vero che in passato c'era la tendenza ad essere sospettosi delle novità, come ad esempio il rock 'n roll in musica, la paura per il diverso e l'ignoto
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