Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Commedie sentimentali ma questa volta più tendenti al seinen: Peach Girl e Oh! Mia Dea (la prima serie TV) per gli anime e Paradise Kiss di Ai Yazawa per i manga.

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6.0/10
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Terminata la visione dei venticinque episodi che compongono quest'anime, devo ammettere di essermi sentito abbastanza stremato. La prima parola che mi viene in mente con riferimento a Peach girl è "ritmo": la sceneggiatura non concede pause ma, anzi, gli eventi si susseguono in maniera davvero incalzante. Sono del tutto assenti episodi che permettono allo spettatore di riprendere fiato tra un colpo di scena e l'altro: l'indecisione della protagonista non si trasforma mai nel classico immobilismo di tanti anime dello stesso genere ma porta, invece, a un continuo alternarsi di scelte, ripensamenti, inganni, riconciliazioni, eccetera eccetera.
La seconda parola che mi viene in mente è, purtroppo, "soap opera": anche se i diversi protagonisti ogni tanto sembrano volere tentare un approccio un po' più riflessivo, il ricorso alle "vie di fatto" è il comportamento che meglio si addice agli stessi e ciò implicherà uno scarso sviluppo delle rispettive personalità. Insomma, proprio come in una soap opera i sentimenti e gli intrecci vari hanno la priorità rispetto al buonsenso.

La storia può essere riassunta nel classico "triangolo amoroso" alla cui base c'è però stavolta una ragazza dalla pelle sempre abbronzata, tale Adachi (da non confondere col mangaka, ovviamente), indecisa tra i due bellimbusti di turno, oscillando, a seconda del particolare momento della storia, dall'uno all'altro fino alla scelta finale. A complicare la situazione c'è forse il personaggio più interessante di tutta la storia, Sae, una ragazza alla costante ricerca di appropriarsi delle cose (e dei fidanzati) degli altri. E' il più interessante in quanto raffigura un personaggio inedito (o quasi) negli anime di questo tipo: Sae è una cattiva che non conoscerà la classicissima redenzione. Anche quando un minimo di ravvedimento per le sue azioni comincia a manifestarsi ella non tradirà mai la sua natura di ragazza egocentrica, impicciona e gelosa.

In sede di giudizio complessivo, mi sento di consigliare Peach girl a chi segue assiduamente storie mielose senza temere di beccarsi una carie. Non posso, in tutta sincerità, affermare che si tratti di un brutto anime: in fondo si fa seguire senza annoiare quasi mai e contiene diversi spunti interessanti. Però la storia e la personalità dei personaggi viene approfondita davvero poco per i miei gusti: è un continuo susseguirsi di colpi di scena con il quale si cerca quasi di nascondere una certa inconsistenza di contenuti.
Quanto al voto resto tuttora indeciso se assegnargli un cinque o un sette; dato che la verità spesso è nel mezzo, gli assegno così la sufficienza, che è forse il voto più giusto.



10.0/10
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Anche se è pensato come seguito de “I Cortili del Cuore”, questo manga è fruibile perfettamente come opera a se stante. I suoi volumi sono relativamente pochi, eppure è stupefacente la densità delle pagine: sia come dialoghi che come disegni, fra l’altro sempre curatissimi, ricercati e perfetti. Ogni volume dura insomma lo spazio di una lettura veramente ricca e interessante. È un’opera di sentimenti, come ogni opera rivolta a ragazze che si rispetti, anche d’amore, certo, ma non solo. Leggera e impegnata allo stesso tempo, regala sincere risate ma anche riflessioni non scontate. Le storie raccontante non sono mai banali, i personaggi mai trattati con superficialità. Affascina, diverte ed incoraggia la storia di questi ragazzi: a impegnarsi per un obiettivo, ai valori dell’amicizia e allo spirito di gruppo, all’accettazione delle diversità (omosessualità, transessualità, ma anche più semplicemente caratteri e punti di vista diversi) come elemento di ricchezza e non di esclusione. Le vicende rapiscono, ammaliano, ci fanno parteggiare per l’uno e per l’altro, ci rendono più simpatico un personaggio e più antipatico quell’altro, ma poi i ruoli si capovolgono, e scopriamo nuovi aspetti degli uni e degli altri che ci lasciano incantati per chi avevamo giudicato male, o ci indignano per chi avevamo giudicato bene. Troviamo così che in fondo tutti gli esseri umani hanno le loro luci e le loro ombre, ben rappresentate qui nella loro tridimensionalità, nel loro costruire e costituire i protagonisti del fumetto non come personaggi su un foglio stampato, ma come esseri umani a tutto tondo.

L’aspetto estetico è soltanto una parte di questo insieme, quella esteriore, a volte trascurata, a volte considerata un surplus sinonimo di superficialità, ma che invece in questo fumetto diventa parte integrante e protagonista del successo del manga, e anche filo conduttore delle azioni e delle reazioni dei protagonisti. L’elemento moda e i pensieri e le riflessioni su di esso, si fonde in maniera inscindibile con la storia, con la trama, e viene esplicato e si valorizza attraverso i bellissimi disegni dell’autrice, la cura con cui sono studiati fin nei minimi dettagli i vestiti sempre nuovi, gli accessori, i personaggi di questa storia.
La storia, appunto: finale compreso, mai banale, mai scontata, ma che sa coinvolgere, far sospirare, riflettere e commuovere fine alle lacrime pur senza mai cadere nelle soluzioni platealmente drammatiche a cui ricorrono certi shojo per rendere il tutto più movimentato. Semplicità e ricchezza sono i due capisaldi del manga, che si rincorrono e occupano ciascuno il giusto spazio all’interno delle vicende, nel giusto equilibrio, un equilibrio non semplice da trovare, ma qui perfettamente rappresentato. In conclusione, è una storia molto particolare senz’altro, ma anche molto vera, senza forzature, capace di affascinare un pubblico molto ampio di lettori di ogni fascia d’età.



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Versione alternativa di una serie di OAV del 1993, l'anime <i>Oh, mia dea! (TV)</i> viene prodotto nel 2005, e si basa sull'omonimo celebre manga di Kosuke Fujishima, un nome, una garanzia, soprattutto quando c'è da raffigurare graziose fanciulle! Hidenori Matsubara riprende il chara-design dell'autore, "snellendolo" un pochino e pertanto non ripresentandone la morbidezza originaria, ma il risultato è in ogni caso molto buono. A parte le celestiali protagoniste, però, il resto dei personaggi risulta abbastanza anonimo, sia nel design sia nel carattere.

Keichi Morisato è il classico studente universitario un po' fessacchiotto e super impacciato nell'approcciarsi all'altro sesso, che puntualmente e molto, molto fortuitamente, finisce per ritrovarsi in mezzo a tanta bontà (in tutti i sensi). Non si tratta però di un anime "harem" vero e proprio, anzi, forse neanche lontanamente, come si potrebbe invece credere. Infatti è Belldandy, presenza di una gentilezza unica, l'unico personaggio femminile coinvolto in un progressivo svilupparsi dei legami con il ragazzo - il cui “traguardo”, badate comunque, è costantemente rappresentato da un semplice bacio. La cosa tuttavia pare abbastanza scontata, visto l'incipit della trama: Keichi, infatti, vedrà letteralmente piombarsi in casa la ragazza, rivelatasi essere una dea, accorsa in suo aiuto dal Paradiso, su involontaria richiesta del giovane, e per di più, incaricata di esaudire un suo desiderio. Il ragazzo, ancora confuso, e abbastanza scettico di fronte a quello che pare essere un altro degli scherzi organizzati dai suoi amici di dormitorio, sceglierà di rimanere per il resto della vita insieme a Belldandy.
Le ripercussioni sulla vita quotidiana dello studente saranno inevitabili e ovviamente daranno il via a una serie di buffe situazioni.
Le vicende di partenza sono incentrate proprio sull'immediata e inattesa convivenza dei due e, a dirla tutta, racchiudono il meglio che l'opera abbia da offrire.

La simpatia dei protagonisti e la fantasia di tante gag perfettamente orchestrate fanno di <i>Oh, mia dea!</i> una deliziosa commedia, almeno fin quando non si varca la soglia dei dieci episodi. Purtroppo, una volta "stabilizzato" il rapporto fra Keichi e Belldandy, la narrazione tende a virare su strade poco interessanti, tra filler scialbi sparsi nel mezzo e accenni di trama con risvolti drammatici che prendono scontatamente piede soltanto nel finale, che, aggiungerei, non avrei immaginato così impersonale - colpa di un manga ancora non concluso?
Riassumendo, l'opera, tecnicamente più che buona, va senz'altro consigliata agli amanti delle storie spensierate e leggermente romantiche, con punte fantasy, orientate sul "classico" genere di commedia d’animazione nipponica.