Ha dell'incredibile l'efficacia delle quattro parole che compongono la prima frase della storica sigla italiana dell'Uomo Tigre nel descrivere l'iconico personaggio di Naoto Date: "Solitario nella notte va".
Parole che trasmettono, appunto, una sensazione di solitudine, d'oscurità, che ci permettono quasi di visualizzarla, questa figura solitaria aggirarsi nel buio per chissà quale motivo.
Ed è proprio questo il succo del personaggio centrale, unico protagonista di quest'opera, perfetta rappresentante dei tempi e degli stili che furono: Naoto è solo, solo contro un mondo difficile e duro come quello del wrestling e soprattutto solo contro il suo passato, tormento inevitabile di ogni eroe drammatico che si rispetti.
Se si volesse dipingere l'opera con poche pennellate verbali, la si potrebbe definire come un inno alla forza d'animo, a quel ruggito (di tigre) interiore che si alza nel momento in cui anche il nostro capo chino si solleva, riportando il nostro sguardo ad altezza del mondo e rimettendoci in moto contro qualsiasi avversità ci si pari davanti.
La famosa "Burning Inner Strength" che sarà poi ripresa dal più divertito Kinnikuman e dallo stesso Antonio Inoki, frequente comparsa nelle vicende di Naoto Date, per definire la sua energia combattiva.
Insegnamento, quello sul saper trovare in sé stessi la forza d'animo necessaria a superare ogni tipo d'ostacolo che ci sbarri la strada, che è andato un po' perso coi decenni a venire, forse inevitabilmente per via dei cambi di tempi e costumi, ma che trova nelle avventure di Tiger Mask uno dei suoi picchi massimi.
Naoto Date è un orfano, rapito da piccolo dalla misteriosa organizzazione Tana delle Tigri per farlo diventare il wrestler perfetto, allenato insieme a tanti altri orfani attraverso discipline infernali.
Cresciuto, Naoto s'appresta a debuttare nel panorama del wrestling professionistico ufficiale come Heel (con questo termine, nel wrestling, si definiscono i "cattivi", spesso scorretti e sleali e sempre poco propensi ai rapporti col pubblico).
Ma a Naoto essere una marionetta non va a genio, e così si ribella ai suoi padroni e prende il largo come uomo libero, ma a chi tradisce Tana delle Tigri spetta un solo destino, un destino da preda braccata fino alla morte.
Essendo il wrestling professionistico una grande storia, ci sono più possibilità diverse di ambientarvi una storia a sua volta, e l'autore Ikki Kajiwara decide di rendere il tutto più "simile alla realtà" possibile, realtà che, però, è molto lontana da quella del Pro Wrestling attuale (d'altronde nel 1968 la situazione nel business della lotta era profondamente diversa).
Ecco quindi che i wrestler sono più o meno liberi di decidere se comportarsi da "cattivi" o da "buoni", indipendentemente dal loro carattere che può essere molto diverso dentro o fuori dal ring, esempio su tutti quello appunto di Naoto, "cattivo" più per necessità che per personalità, che in realtà è quella di un angelo.
Tutto questo ad un fan del wrestling non può che far estremo piacere, perché la disciplina viene rappresentata in maniera tanto "reale" quanto "televisiva", con faide, minacce ed incontri veri e propri, mantenimenti di "personaggi" e "personalità" effettive o di scena, stessa cura che viene poi riposta nei numerosissimi match presenti nell'opera.
Sia nella regia che nella rappresentazione delle movenze, delle mosse, delle tempistiche sceniche e del "clamore teatrale" del wrestling (quello che fu, più che altro), l'opera eccelle nel ricreare su carta le reali esibizioni dal vivo, tanto che ad un occhio esperto questi incontri parranno più realistici che mai (per quanto di quando in quando ci si lasci andare a piccole "esagerazioni", in alcuni casi necessarie per voler creare un'atmosfera di maggior clamore), a maggior ragione quando faranno la loro comparsa le numerosissime guest star dal mondo reale, dalle leggende giapponesi Inoki e Giant Baba ai più noti eroi occidentali, da Bruno Sammartino a Freddie Blassie, tutti ben tratteggiati dalla mano di Naoki Tsuji, seppur il suo stile sia talvolta un po' poco espressivo soprattutto nei volti, ma questa è più una problematica legata al periodo storico d'uscita della serie stessa che a veri limiti del disegnatore.
L'unico momento in cui i combattimenti veri e propri si allontanano dalle leggi della fisica è quando entrano in scena le mosse finali di Tigre, un tantino esagerate, ma questo è inevitabile per poter dare maggiore clamore e un maggior senso di forza al protagonista.
Gli incontri però, pur occupando la stragrande maggioranza di ogni volume sono solo una rappresentazione grafica della lotta interiore di Naoto, del tentativo di lasciarsi alle spalle un passato che lo perseguita e che, più spesso di quanto si possa immaginare, attenta anche alla sua vita.
Il lato interiore e spirituale della serie è quello palesemente più marcato, con un continuo cercare un motivo per riprendere a lottare, un continuo farsi forza o cadere nella disperazione, fino al momento in cui il cuore di un uomo riesce a compiere un miracolo.
Tutta questa epicità, però, talvolta finisce per cozzare con alcune piccole grandi ingenuità contestuali, figlie del loro tempo e quindi difetti solo relativi, ma comunque impossibili da non notare.
Altro dettaglio profondamente figlio del suo tempo è l'accesa, accesissima sensazione di rivalità tra Giappone e America, qui in un sottotesto abbastanza individuabile e malcelato: la stragrande maggioranza dei lottatori "buoni" è sempre d'origine nipponica, mentre, casualmente, dall'occidente arrivano sempre malvagi, scorretti e piantagrane, con leggende metropolitane (peraltro prese di peso dalla vita reale, più o meno) annesse.
Per un Giappone uscito malconcio dalla Seconda Guerra Mondiale questo è inevitabile, comprensibile e ben legato anche al contesto (il wrestling ha come patria proprio l'America, e la scuola giapponese, oggi grande territorio per ogni atleta che vuole affinare le sue abilità, ovviamente provava un istinto d'agonismo con gli ex-nemici bellici, nel tentativo di superarli grazie ad una maggiore abilità tecnica), ma in alcuni casi si raggiungono punte di rivalità che strappano più d'un sorriso (un esempio su tutti l'uscita "L'elenco telefonico dell'area metropolitana di Tokyo, il più grande del mondo") ma sono comunque sfumature molto importanti per l'affresco storico in cui questa serie s'incastra.
Maggior rappresentante del suo periodo è però, come sempre, Naoto, protagonista vecchio stile e giapponese vecchio stile, erede della volontà Yamato, eroe tragico pronto a caricarsi il peso della responsabilità del mondo sulle spalle, forte d'animo e di muscoli, tutto sushi, yukata e Monte Fuji, drammatico e solitario, pronto a qualsiasi sacrificio per quasi qualsiasi motivo.
Più che un personaggio sulla scena, una volta chiuso l'ultimo volume Naoto sarà riconosciuto per quello che è, un'icona, un simbolo di un periodo, di uno sport, di un concetto: di eroe, di uomo, d'atleta, un concetto spirituale in un contesto più fisico che mai.
L'edizione italiana più recente, targata Planet Manga, si presenta in un formato piuttosto massiccio in 14 numeri, carta abbastanza chiara e volumi piuttosto solidi.
L'adattamento italiano è invece viziato da scelte purtroppo discutibili, per più motivi. In primis, le terminologie legate alla disciplina del Professional Wrestling: tutte le mosse hanno subìto una traduzione in italiano, cosa abbastanza criticabile visto che in originale viene utilizzata la lingua inglese, e si tratta di mosse reali eseguite da persone reali da quasi un secolo, in alcuni casi, non di magie inventate dall'autore basandosi su termini giapponesi di chissà quale significato, cosa aggravata dal fatto che la traduzione è anche molto molto molto libertina, e non si tratta di una conversione in italiano fedele dei nomi originali delle mosse ma di pure invenzioni (suppongo ereditate dall'anime, che però gode di un adattamento di decenni fa), talvolta anche ben lontane dal significato orginale: che ad esempio si sia passati da Kitchen Sink (Lavabo) a "Colpo strappa-stomaco"[1] probabilmente solo per il fatto che si tratti di una ginocchiata al ventre, non è certo una motivazione valida.
Stesso discorso vale per i soprannomi dei wrestler reali, adattati alla bell'e meglio in italiano quando si tratta di nomee ufficiali di persone vere utilizzate da sempre in tutto il mondo. Come Killer Kowalski che diventa "Kowalski l'assassino", perdendo l'allitterazione e la musicalità originale, ed anche qui, se si considera che si tratta di un soprannome reale, scelto dallo stesso Kowalski o da chi per lui, che l'ha accompagnato fino alla scomparsa qualche anno fa e ne accompagna la memoria tutt'oggi, si tratta di una mancanza ben più grave della semplice rilettura nella nostra lingua di un termine scelto dall'autore[2].
E questo non solo per Kowalski, ma per qualunque altro wrestler reale che fa la sua apparizione nel corso dell'opera, e sono moltissimi.
A queste "lamentele da wrestling-addicted" ne vanno aggiunte altre, ben più gravi oggettivamente, di tipo grammaticale, perché le frasi stesse sono tradotte in maniera legnosa e poco naturale, con scelte di termini poco condivisibili e persino errori/orrori da scuola media, cosa che infastidisce perché va a macchiare l'esperienza di lettura dell'opera, che non è certo l'ultima arrivata ma un caposaldo importantissimo del fumetto giapponese e mondiale, e di conseguenza avrebbe necessitato di un trattamento con i guanti di velluto.
[1] Come viene detto, ad esempio, nel match tra Tigre ed il misterioso "?" più o meno a metà del volume 5, purtroppo mi è impossibile dire il numero di pagina perché esse non sono numerate.
[2] Come si vede nell'ultimo volume, in cui appare anche una mossa molto nota ai giorni nostri, il Giant Swing (attualmente in uso da Antonio Cesaro/Claudio Castagnoli col nome di Cesaro Swing) che viene ribattezzato Mulinello Umano nonostante fosse Giant Swing anche in originale.
Tanto stretto quanto conflittuale e ambivalente il rapporto che per circa un secolo ha legato il Giappone e gli Stati Uniti, dallo sbarco delle Navi Nere del Commodoro Perry nella baia di Tokyo alla fine dell'occupazione americana.
Un rapporto che si è manifestato nei fatti storici, ma anche in svariati campi della vita sociale, come, ad esempio, lo sport.
Famoso ed emblematico l'esempio del baseball: sport americano introdotto in Giappone alla fine dell'Ottocento, ha goduto negli anni di una popolarità enorme nel Sol Levante, tanto da diventarne il secondo sport nazionale e da riempirne gli stadi di tifosi che con intensa passione seguono perfino un campionato studentesco.
Meno noto, probabilmente perché meno esplorato nell'universo dei fumetti e dei cartoni animati, è il caso del pro-wrestling.
Sin dalla fine dell'Ottocento, questo genere di lotta molto popolare negli Stati Uniti ha catturato l'attenzione dei lottatori nipponici, fossero essi dediti al sumo o al judo, che hanno intrapreso all'estero i loro allenamenti in questa disciplina.
I primi, svariati, tentativi di portare il pro-wrestling in Giappone si sono rivelati, tuttavia, infruttuosi. Troppo chiuso nelle sue tradizioni, il Giappone, per aprirsi ad uno stile di lotta proveniente dall'Occidente.
Eppure, anche in questo caso, l'ambivalenza che da sempre caratterizza il Giappone, desideroso di essere alla pari dell'Occidente e di rivaleggiare con lui nei suoi stessi campi senza dimenticare la propria identità culturale, ha fatto sì che, in seguito all'occupazione americana, fra gli anni '50 e '60, il pro-wrestling trovasse finalmente la sua personale strada anche nel Sol Levante.
Padre spirituale del pro-wrestling nipponico è Mitsuhiro "Rikidozan" Momota (1924 - 1963), un ex lottatore di sumo coreano naturalizzato giapponese che si diede al pro-wrestling a partire dai primi anni '50. Fu lui, con i suoi incontri in cui combatté e vinse avversari di tutto il mondo e la costituzione, nel 1953, della Japan Pro Wrestling Alliance, la prima federazione nipponica, a dare al pro-wrestling giapponese la spinta di cui aveva bisogno. Un vero e proprio eroe nazionale, che diede un nuovo risvolto al rapporto fra Giappone e Stati Uniti con la sua vittoria sul mitico lottatore statunitense Lou Thesz, legato a lui da una profonda rivalità e stima reciproca.
Alla sua morte, nel 1963, Rikidozan lasciò un pro-wrestling ormai riconosciuto e amato anche in Giappone, pronto a crescere e a migliorare ancor di più grazie anche all'opera di tre promettenti allievi destinati a diventare leggenda: Kintaro Ohki, Kanji "Antonio" Inoki, Shohei "Giant" Baba.
L'Uomo Tigre (Tiger Mask), firmato da Ikki Kajiwara (uno degli pseudonimi di Asao "Rocky Joe" Takamori) e Naoki Tsuji, fa la sua comparsa sulle riviste a fumetti nel 1968, cinque anni dopo la morte del maestro Rikidozan, la cui eredità pesa ancora sul mondo del pro-wrestling nipponico.
E' un wrestling diverso, crudo, spartano, ancora lontano dallo spettacolo pacchiano, colorato ed appariscente della "Gimmick Era" del wrestling a stelle e strisce di qualche anno più tardi, che sarà, invece, alla base del più scanzonato Kinnikuman, manga realizzato dal duo Yudetamago a partire dal 1979.
Un wrestling che, ancora, non riesce a trovar bene la sua identità e che, come spesso accade nei manga di genere sportivo, rappresenta il sogno e la speranza di riprendersi dalle difficili condizioni economiche degli anni Sessanta e di dar gloria al proprio paese che ancora sente su di sé il peso della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Ma il wrestling, abbiam detto, è una disciplina americana, e quindi il rapporto dei giapponesi con esso è ambiguo e ambivalente: da un lato c'è la voglia di primeggiare sugli stranieri; dall'altro, sono quegli stessi stranieri ad averli instradati a quello sport...
E' in questo scenario che si consuma l'epopea di Naoto Date alias Uomo Tigre (Tiger Mask), orfano cresciuto sin da bambino allo scopo di diventare un wrestler esperto e crudele, che decide di tagliare definitivamente i ponti con l'organizzazione criminale che lo allevò e combattere per dar voce ai sogni di tutti i piccoli orfani che, come lui da bambino, desideravano una vita migliore.
Perfettamente inquadrato nel suo tempo, Naoto è un eroe tragico e solitario, che sceglie di ribellarsi al suo destino, anche se questo lo condurrà ad una vita irta di ostacoli e sofferenze. Nessuno conosce il volto dietro a quella minacciosa maschera di tigre, nessuno conosce i tormenti che affliggono Naoto e che egli tiene per sé, trasformandoli nella forza che gli permette di andare avanti.
La maschera di tigre è il volto di una leggenda, nata sulla carta e passata all'animazione, facendo il giro dei canali televisivi e delle librerie di tutto il mondo, per poi arrivare perfino al pro-wrestling vero e proprio, grazie a numerosi lottatori, giapponesi e non, che l'hanno indossata portando sul ring il personaggio di Tiger Mask in diverse incarnazioni.
Più che un personaggio, l'Uomo Tigre è un eroe, un simbolo, un'icona, proprio come i wrestler reali, noti dappertutto per il personaggio che interpretano sul ring e/o col nome fittizio a lui associato (in quanti, fra voi che leggete queste righe, sapete il nome di battesimo di Hulk Hogan, Superstar Billy Graham, Big Show o Triple H?).
Leggere L'Uomo Tigre è come guardare un incontro di wrestling: salvo il protagonista Naoto e rarissimi altri casi, gli autori presentano i molti lottatori che calcheranno il loro ring di carta unicamente col volto dei personaggi che interpretano, quasi sempre quello del wrestler scorretto, del cattivone senza scrupoli assetato di sangue, del demone talmente violento da sembrar uscito dall'Inferno. Anche questi lottatori hanno un nome proprio, una storia, una famiglia e sono atleti preparati e competenti che hanno sogni non meno forti di quello di Naoto, ma questo aspetto non verrà mai esplorato. Escludendo il tragico e complesso protagonista, sicuramente annoverato fra i migliori eroi della narrativa giapponese per ragazzi, i personaggi saranno caratterizzati in maniera semplice e stereotipata, senza risparmiarsi qualche punta di nazionalismo perfettamente figlia del suo tempo.
I wrestlers giapponesi, infatti, sono sempre dipinti come degli atleti disciplinati e corretti, che seguono i principi del loro maestro Rikidozan e lottano con abnegazione e lealtà, mentre i lottatori stranieri sono sempre dei buzzurri violentissimi, dei selvaggi, dei demoni sanguinari, degli avanzi di galera. Se sui wrestler di fantasia questo difetto si sente meno, si fa decisamente più disturbante quando entrano in gioco lottatori realmente esistiti, qui dipinti in maniera esagerata e fuorviante. Dubito, infatti, che Dory Funk Sr. picchiasse i figlioli perché giocavano ai cowboy e non alla lotta o che Freddie Blassie fosse un vampiro assetato di sangue uscito direttamente da un romanzo dell'orrore.
Poche le eccezioni, guardacaso principalmente coincidenti con wrestler stranieri che hanno più avuto a che fare col Giappone e i suoi lottatori, come Bruno Sammartino o Lou Thesz, elogiati come mitici esempi di forza e correttezza.
Va bene così, però. In fondo, L'Uomo Tigre è un fumetto per i bambini di diversi decenni fa ed è un fumetto che dal wrestling prende non solo l'ambientazione, ma anche i meccanismi. Poco importa dei volti dietro alle maschere, dei nomi e cognomi dietro ai personaggi. Quel che conta è l'emozione provata durante gli spettacolari incontri di questi lottatori, che vanno visti con gli occhi sognanti di un bambino più che con quelli cinici e disillusi di un adulto.
Eroi, simboli, icone, si diceva.
Certo, L'Uomo Tigre è un manga che ha diversi anni sulle spalle e che, dunque, porta con sé uno stile ormai obsoleto nel disegno e nella narrazione. Un protagonista odierno non lotterebbe mai da solo fra mille sofferenze, come fa Naoto, ma le condividerebbe con i suoi amici e compagni, ricevendo il loro aiuto nella lotta, come accade a Kinnikuman, l'altro grande wrestler dell'universo manga, e come accade allo stesso Naoto in una delle parti finali dell'opera, inaspettatamente moderna per il suo tempo di pubblicazione e molto diversa dallo stile con cui è narrato il resto del fumetto.
Lo stile di disegno di Naoki Tsuji è molto semplice, altalenante, sgraziato: i suoi wrestler hanno tutti un fisico tozzo e mai particolarmente esagerato nelle muscolature, i volti sono bambineschi e poco espressivi. Una semplicità che, tuttavia, rende perfettamente chiari e comprensibili i combattimenti, privi di guizzi particolari o di inquadrature complesse.
Quanto allo stile narrativo, non mancano diverse ingenuità figlie del loro tempo e del fatto che si cerca sempre di esagerare in pathos e drammaticità. Il risultato è duplice: si creano scene di gran pathos, ricche di emozioni, ma si cade anche, a volte, nel trash e nel ridicolo involontario (si veda quando Ruriko paragona l'Uomo Tigre, che lotta a rischio della vita per il bene dei bambini, a Gesù Cristo, crocifisso per espiare i peccati degli uomini, e parte una ventina di pagine di racconto a fumetti del Nuovo Testamento).
La nuova edizione italiana a cura di Panini Comics ha il pregio di essere più economica rispetto a quella precedente targata Salda Press e di mantenere senso di lettura e numero di volumi originali.
Spiace invece constatare come lo spessore tenda a variare di volume in volume, mentre lascia dubbiosi la grafica di copertina dai colori un po' kitsch, che presenta immagini tagliate e "raddoppiate" rispetto a quelle originali giapponesi.
All'interno si rileva la presenza di pecette, onomatopee non adattate e un font dei testi dall'aspetto un po' retrò ed eccessivamente "cartoonesco" in alcuni punti.
I dialoghi spesso sono legnosi, con qualche errore (ad esempio, l'uso recidivo dell'errato termine "wrestling professionale" invece che "professionistico") e diverse scelte di termini discutibili che appesantiscono la lettura: si veda il terribile "Orfanolandia", nome del luna park che Naoto sogna di costruire coi soldi degli incontri, o l'uso del termine "malvagio" per rendere "Heel" (terminologia del wrestling che indica un lottatore cattivo e scorretto), che genera espressioni poco felici come "lotterò per il mio onore di malvagio", "diventerò il più malvagio di tutti", "il campionato mondiale dei malvagi".
Si è lavorato con un certo pressappochismo nel rendere i termini del wrestling, i nomi delle mosse e i soprannomi dei tanti lottatori reali che costellano la storia: ora lasciando i termini in inglese e ora traducendoli in italiano molto liberamente, con qualche tecnica scambiata per un'altra di quando in quando.
Dispiace, infine, la mancanza pressoché totale (salvo un paio di asterischi con note volanti negli ultimi numeri) di note e articoli di approfondimento che potessero inquadrare il contesto e presentare al lettore i molti wrestler reali che compaiono nella vicenda.
L'Uomo Tigre è un manga inequivocabilmente "vintage". Quello che, al tempo della pubblicazione, era un fumetto per ragazzi anche un po' commerciale che voleva farli divertire mettendo in scena incontri fra lottatori che al tempo erano conosciuti e sulla cresta dell'onda, oggi rimane più il documento storico di un'epoca che una storia ancora apprezzabile da tutti.
E' un fumetto per i bambini di un tempo che oggi sono cresciuti e, soprattutto, per gli appassionati di wrestling, che saranno felicissimi di ritrovare in questo manga diversi volti molto noti a chi segue questo sport in maniera seria e competente o magari molti idoli della loro infanzia.
Parole che trasmettono, appunto, una sensazione di solitudine, d'oscurità, che ci permettono quasi di visualizzarla, questa figura solitaria aggirarsi nel buio per chissà quale motivo.
Ed è proprio questo il succo del personaggio centrale, unico protagonista di quest'opera, perfetta rappresentante dei tempi e degli stili che furono: Naoto è solo, solo contro un mondo difficile e duro come quello del wrestling e soprattutto solo contro il suo passato, tormento inevitabile di ogni eroe drammatico che si rispetti.
Se si volesse dipingere l'opera con poche pennellate verbali, la si potrebbe definire come un inno alla forza d'animo, a quel ruggito (di tigre) interiore che si alza nel momento in cui anche il nostro capo chino si solleva, riportando il nostro sguardo ad altezza del mondo e rimettendoci in moto contro qualsiasi avversità ci si pari davanti.
La famosa "Burning Inner Strength" che sarà poi ripresa dal più divertito Kinnikuman e dallo stesso Antonio Inoki, frequente comparsa nelle vicende di Naoto Date, per definire la sua energia combattiva.
Insegnamento, quello sul saper trovare in sé stessi la forza d'animo necessaria a superare ogni tipo d'ostacolo che ci sbarri la strada, che è andato un po' perso coi decenni a venire, forse inevitabilmente per via dei cambi di tempi e costumi, ma che trova nelle avventure di Tiger Mask uno dei suoi picchi massimi.
Naoto Date è un orfano, rapito da piccolo dalla misteriosa organizzazione Tana delle Tigri per farlo diventare il wrestler perfetto, allenato insieme a tanti altri orfani attraverso discipline infernali.
Cresciuto, Naoto s'appresta a debuttare nel panorama del wrestling professionistico ufficiale come Heel (con questo termine, nel wrestling, si definiscono i "cattivi", spesso scorretti e sleali e sempre poco propensi ai rapporti col pubblico).
Ma a Naoto essere una marionetta non va a genio, e così si ribella ai suoi padroni e prende il largo come uomo libero, ma a chi tradisce Tana delle Tigri spetta un solo destino, un destino da preda braccata fino alla morte.
Essendo il wrestling professionistico una grande storia, ci sono più possibilità diverse di ambientarvi una storia a sua volta, e l'autore Ikki Kajiwara decide di rendere il tutto più "simile alla realtà" possibile, realtà che, però, è molto lontana da quella del Pro Wrestling attuale (d'altronde nel 1968 la situazione nel business della lotta era profondamente diversa).
Ecco quindi che i wrestler sono più o meno liberi di decidere se comportarsi da "cattivi" o da "buoni", indipendentemente dal loro carattere che può essere molto diverso dentro o fuori dal ring, esempio su tutti quello appunto di Naoto, "cattivo" più per necessità che per personalità, che in realtà è quella di un angelo.
Tutto questo ad un fan del wrestling non può che far estremo piacere, perché la disciplina viene rappresentata in maniera tanto "reale" quanto "televisiva", con faide, minacce ed incontri veri e propri, mantenimenti di "personaggi" e "personalità" effettive o di scena, stessa cura che viene poi riposta nei numerosissimi match presenti nell'opera.
Sia nella regia che nella rappresentazione delle movenze, delle mosse, delle tempistiche sceniche e del "clamore teatrale" del wrestling (quello che fu, più che altro), l'opera eccelle nel ricreare su carta le reali esibizioni dal vivo, tanto che ad un occhio esperto questi incontri parranno più realistici che mai (per quanto di quando in quando ci si lasci andare a piccole "esagerazioni", in alcuni casi necessarie per voler creare un'atmosfera di maggior clamore), a maggior ragione quando faranno la loro comparsa le numerosissime guest star dal mondo reale, dalle leggende giapponesi Inoki e Giant Baba ai più noti eroi occidentali, da Bruno Sammartino a Freddie Blassie, tutti ben tratteggiati dalla mano di Naoki Tsuji, seppur il suo stile sia talvolta un po' poco espressivo soprattutto nei volti, ma questa è più una problematica legata al periodo storico d'uscita della serie stessa che a veri limiti del disegnatore.
L'unico momento in cui i combattimenti veri e propri si allontanano dalle leggi della fisica è quando entrano in scena le mosse finali di Tigre, un tantino esagerate, ma questo è inevitabile per poter dare maggiore clamore e un maggior senso di forza al protagonista.
Gli incontri però, pur occupando la stragrande maggioranza di ogni volume sono solo una rappresentazione grafica della lotta interiore di Naoto, del tentativo di lasciarsi alle spalle un passato che lo perseguita e che, più spesso di quanto si possa immaginare, attenta anche alla sua vita.
Il lato interiore e spirituale della serie è quello palesemente più marcato, con un continuo cercare un motivo per riprendere a lottare, un continuo farsi forza o cadere nella disperazione, fino al momento in cui il cuore di un uomo riesce a compiere un miracolo.
Tutta questa epicità, però, talvolta finisce per cozzare con alcune piccole grandi ingenuità contestuali, figlie del loro tempo e quindi difetti solo relativi, ma comunque impossibili da non notare.
Altro dettaglio profondamente figlio del suo tempo è l'accesa, accesissima sensazione di rivalità tra Giappone e America, qui in un sottotesto abbastanza individuabile e malcelato: la stragrande maggioranza dei lottatori "buoni" è sempre d'origine nipponica, mentre, casualmente, dall'occidente arrivano sempre malvagi, scorretti e piantagrane, con leggende metropolitane (peraltro prese di peso dalla vita reale, più o meno) annesse.
Per un Giappone uscito malconcio dalla Seconda Guerra Mondiale questo è inevitabile, comprensibile e ben legato anche al contesto (il wrestling ha come patria proprio l'America, e la scuola giapponese, oggi grande territorio per ogni atleta che vuole affinare le sue abilità, ovviamente provava un istinto d'agonismo con gli ex-nemici bellici, nel tentativo di superarli grazie ad una maggiore abilità tecnica), ma in alcuni casi si raggiungono punte di rivalità che strappano più d'un sorriso (un esempio su tutti l'uscita "L'elenco telefonico dell'area metropolitana di Tokyo, il più grande del mondo") ma sono comunque sfumature molto importanti per l'affresco storico in cui questa serie s'incastra.
Maggior rappresentante del suo periodo è però, come sempre, Naoto, protagonista vecchio stile e giapponese vecchio stile, erede della volontà Yamato, eroe tragico pronto a caricarsi il peso della responsabilità del mondo sulle spalle, forte d'animo e di muscoli, tutto sushi, yukata e Monte Fuji, drammatico e solitario, pronto a qualsiasi sacrificio per quasi qualsiasi motivo.
Più che un personaggio sulla scena, una volta chiuso l'ultimo volume Naoto sarà riconosciuto per quello che è, un'icona, un simbolo di un periodo, di uno sport, di un concetto: di eroe, di uomo, d'atleta, un concetto spirituale in un contesto più fisico che mai.
L'edizione italiana più recente, targata Planet Manga, si presenta in un formato piuttosto massiccio in 14 numeri, carta abbastanza chiara e volumi piuttosto solidi.
L'adattamento italiano è invece viziato da scelte purtroppo discutibili, per più motivi. In primis, le terminologie legate alla disciplina del Professional Wrestling: tutte le mosse hanno subìto una traduzione in italiano, cosa abbastanza criticabile visto che in originale viene utilizzata la lingua inglese, e si tratta di mosse reali eseguite da persone reali da quasi un secolo, in alcuni casi, non di magie inventate dall'autore basandosi su termini giapponesi di chissà quale significato, cosa aggravata dal fatto che la traduzione è anche molto molto molto libertina, e non si tratta di una conversione in italiano fedele dei nomi originali delle mosse ma di pure invenzioni (suppongo ereditate dall'anime, che però gode di un adattamento di decenni fa), talvolta anche ben lontane dal significato orginale: che ad esempio si sia passati da Kitchen Sink (Lavabo) a "Colpo strappa-stomaco"[1] probabilmente solo per il fatto che si tratti di una ginocchiata al ventre, non è certo una motivazione valida.
Stesso discorso vale per i soprannomi dei wrestler reali, adattati alla bell'e meglio in italiano quando si tratta di nomee ufficiali di persone vere utilizzate da sempre in tutto il mondo. Come Killer Kowalski che diventa "Kowalski l'assassino", perdendo l'allitterazione e la musicalità originale, ed anche qui, se si considera che si tratta di un soprannome reale, scelto dallo stesso Kowalski o da chi per lui, che l'ha accompagnato fino alla scomparsa qualche anno fa e ne accompagna la memoria tutt'oggi, si tratta di una mancanza ben più grave della semplice rilettura nella nostra lingua di un termine scelto dall'autore[2].
E questo non solo per Kowalski, ma per qualunque altro wrestler reale che fa la sua apparizione nel corso dell'opera, e sono moltissimi.
A queste "lamentele da wrestling-addicted" ne vanno aggiunte altre, ben più gravi oggettivamente, di tipo grammaticale, perché le frasi stesse sono tradotte in maniera legnosa e poco naturale, con scelte di termini poco condivisibili e persino errori/orrori da scuola media, cosa che infastidisce perché va a macchiare l'esperienza di lettura dell'opera, che non è certo l'ultima arrivata ma un caposaldo importantissimo del fumetto giapponese e mondiale, e di conseguenza avrebbe necessitato di un trattamento con i guanti di velluto.
Al di là di questi dolori di stomaco da adattamento, come definire in chiusura l'esperienza fumettistica donataci dall'Uomo Tigre?
Un viaggio nel tempo, nel Giappone che fu, nel fumetto che fu, nel wrestling che fu, ed un viaggio spirituale, alla ricerca di una forza interiore riassunta in quegli occhi di tigre che poi accompagneranno due altri grandi eroi noti per la loro scarsa propensione alla resa, sotto forma di musica e parole.
Naoto Date è un simbolo, l'Uomo Tigre come una favola senza tempo, drammatica, dura, epica, emozionante e che ci cambia dentro, come una cicatrice: fa male, e non ce ne potremo dimenticare, ma ci avrà insegnato tanto e, se siamo veri guerrieri, non avremo paura a mostrarla come un trofeo.
Un viaggio nel tempo, nel Giappone che fu, nel fumetto che fu, nel wrestling che fu, ed un viaggio spirituale, alla ricerca di una forza interiore riassunta in quegli occhi di tigre che poi accompagneranno due altri grandi eroi noti per la loro scarsa propensione alla resa, sotto forma di musica e parole.
Naoto Date è un simbolo, l'Uomo Tigre come una favola senza tempo, drammatica, dura, epica, emozionante e che ci cambia dentro, come una cicatrice: fa male, e non ce ne potremo dimenticare, ma ci avrà insegnato tanto e, se siamo veri guerrieri, non avremo paura a mostrarla come un trofeo.
[1] Come viene detto, ad esempio, nel match tra Tigre ed il misterioso "?" più o meno a metà del volume 5, purtroppo mi è impossibile dire il numero di pagina perché esse non sono numerate.
[2] Come si vede nell'ultimo volume, in cui appare anche una mossa molto nota ai giorni nostri, il Giant Swing (attualmente in uso da Antonio Cesaro/Claudio Castagnoli col nome di Cesaro Swing) che viene ribattezzato Mulinello Umano nonostante fosse Giant Swing anche in originale.
Autore: The Narutimate Hero
Tanto stretto quanto conflittuale e ambivalente il rapporto che per circa un secolo ha legato il Giappone e gli Stati Uniti, dallo sbarco delle Navi Nere del Commodoro Perry nella baia di Tokyo alla fine dell'occupazione americana.
Un rapporto che si è manifestato nei fatti storici, ma anche in svariati campi della vita sociale, come, ad esempio, lo sport.
Famoso ed emblematico l'esempio del baseball: sport americano introdotto in Giappone alla fine dell'Ottocento, ha goduto negli anni di una popolarità enorme nel Sol Levante, tanto da diventarne il secondo sport nazionale e da riempirne gli stadi di tifosi che con intensa passione seguono perfino un campionato studentesco.
Meno noto, probabilmente perché meno esplorato nell'universo dei fumetti e dei cartoni animati, è il caso del pro-wrestling.
Sin dalla fine dell'Ottocento, questo genere di lotta molto popolare negli Stati Uniti ha catturato l'attenzione dei lottatori nipponici, fossero essi dediti al sumo o al judo, che hanno intrapreso all'estero i loro allenamenti in questa disciplina.
I primi, svariati, tentativi di portare il pro-wrestling in Giappone si sono rivelati, tuttavia, infruttuosi. Troppo chiuso nelle sue tradizioni, il Giappone, per aprirsi ad uno stile di lotta proveniente dall'Occidente.
Eppure, anche in questo caso, l'ambivalenza che da sempre caratterizza il Giappone, desideroso di essere alla pari dell'Occidente e di rivaleggiare con lui nei suoi stessi campi senza dimenticare la propria identità culturale, ha fatto sì che, in seguito all'occupazione americana, fra gli anni '50 e '60, il pro-wrestling trovasse finalmente la sua personale strada anche nel Sol Levante.
Padre spirituale del pro-wrestling nipponico è Mitsuhiro "Rikidozan" Momota (1924 - 1963), un ex lottatore di sumo coreano naturalizzato giapponese che si diede al pro-wrestling a partire dai primi anni '50. Fu lui, con i suoi incontri in cui combatté e vinse avversari di tutto il mondo e la costituzione, nel 1953, della Japan Pro Wrestling Alliance, la prima federazione nipponica, a dare al pro-wrestling giapponese la spinta di cui aveva bisogno. Un vero e proprio eroe nazionale, che diede un nuovo risvolto al rapporto fra Giappone e Stati Uniti con la sua vittoria sul mitico lottatore statunitense Lou Thesz, legato a lui da una profonda rivalità e stima reciproca.
Alla sua morte, nel 1963, Rikidozan lasciò un pro-wrestling ormai riconosciuto e amato anche in Giappone, pronto a crescere e a migliorare ancor di più grazie anche all'opera di tre promettenti allievi destinati a diventare leggenda: Kintaro Ohki, Kanji "Antonio" Inoki, Shohei "Giant" Baba.
L'Uomo Tigre (Tiger Mask), firmato da Ikki Kajiwara (uno degli pseudonimi di Asao "Rocky Joe" Takamori) e Naoki Tsuji, fa la sua comparsa sulle riviste a fumetti nel 1968, cinque anni dopo la morte del maestro Rikidozan, la cui eredità pesa ancora sul mondo del pro-wrestling nipponico.
E' un wrestling diverso, crudo, spartano, ancora lontano dallo spettacolo pacchiano, colorato ed appariscente della "Gimmick Era" del wrestling a stelle e strisce di qualche anno più tardi, che sarà, invece, alla base del più scanzonato Kinnikuman, manga realizzato dal duo Yudetamago a partire dal 1979.
Un wrestling che, ancora, non riesce a trovar bene la sua identità e che, come spesso accade nei manga di genere sportivo, rappresenta il sogno e la speranza di riprendersi dalle difficili condizioni economiche degli anni Sessanta e di dar gloria al proprio paese che ancora sente su di sé il peso della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Ma il wrestling, abbiam detto, è una disciplina americana, e quindi il rapporto dei giapponesi con esso è ambiguo e ambivalente: da un lato c'è la voglia di primeggiare sugli stranieri; dall'altro, sono quegli stessi stranieri ad averli instradati a quello sport...
E' in questo scenario che si consuma l'epopea di Naoto Date alias Uomo Tigre (Tiger Mask), orfano cresciuto sin da bambino allo scopo di diventare un wrestler esperto e crudele, che decide di tagliare definitivamente i ponti con l'organizzazione criminale che lo allevò e combattere per dar voce ai sogni di tutti i piccoli orfani che, come lui da bambino, desideravano una vita migliore.
Perfettamente inquadrato nel suo tempo, Naoto è un eroe tragico e solitario, che sceglie di ribellarsi al suo destino, anche se questo lo condurrà ad una vita irta di ostacoli e sofferenze. Nessuno conosce il volto dietro a quella minacciosa maschera di tigre, nessuno conosce i tormenti che affliggono Naoto e che egli tiene per sé, trasformandoli nella forza che gli permette di andare avanti.
La maschera di tigre è il volto di una leggenda, nata sulla carta e passata all'animazione, facendo il giro dei canali televisivi e delle librerie di tutto il mondo, per poi arrivare perfino al pro-wrestling vero e proprio, grazie a numerosi lottatori, giapponesi e non, che l'hanno indossata portando sul ring il personaggio di Tiger Mask in diverse incarnazioni.
Più che un personaggio, l'Uomo Tigre è un eroe, un simbolo, un'icona, proprio come i wrestler reali, noti dappertutto per il personaggio che interpretano sul ring e/o col nome fittizio a lui associato (in quanti, fra voi che leggete queste righe, sapete il nome di battesimo di Hulk Hogan, Superstar Billy Graham, Big Show o Triple H?).
Leggere L'Uomo Tigre è come guardare un incontro di wrestling: salvo il protagonista Naoto e rarissimi altri casi, gli autori presentano i molti lottatori che calcheranno il loro ring di carta unicamente col volto dei personaggi che interpretano, quasi sempre quello del wrestler scorretto, del cattivone senza scrupoli assetato di sangue, del demone talmente violento da sembrar uscito dall'Inferno. Anche questi lottatori hanno un nome proprio, una storia, una famiglia e sono atleti preparati e competenti che hanno sogni non meno forti di quello di Naoto, ma questo aspetto non verrà mai esplorato. Escludendo il tragico e complesso protagonista, sicuramente annoverato fra i migliori eroi della narrativa giapponese per ragazzi, i personaggi saranno caratterizzati in maniera semplice e stereotipata, senza risparmiarsi qualche punta di nazionalismo perfettamente figlia del suo tempo.
I wrestlers giapponesi, infatti, sono sempre dipinti come degli atleti disciplinati e corretti, che seguono i principi del loro maestro Rikidozan e lottano con abnegazione e lealtà, mentre i lottatori stranieri sono sempre dei buzzurri violentissimi, dei selvaggi, dei demoni sanguinari, degli avanzi di galera. Se sui wrestler di fantasia questo difetto si sente meno, si fa decisamente più disturbante quando entrano in gioco lottatori realmente esistiti, qui dipinti in maniera esagerata e fuorviante. Dubito, infatti, che Dory Funk Sr. picchiasse i figlioli perché giocavano ai cowboy e non alla lotta o che Freddie Blassie fosse un vampiro assetato di sangue uscito direttamente da un romanzo dell'orrore.
Poche le eccezioni, guardacaso principalmente coincidenti con wrestler stranieri che hanno più avuto a che fare col Giappone e i suoi lottatori, come Bruno Sammartino o Lou Thesz, elogiati come mitici esempi di forza e correttezza.
Va bene così, però. In fondo, L'Uomo Tigre è un fumetto per i bambini di diversi decenni fa ed è un fumetto che dal wrestling prende non solo l'ambientazione, ma anche i meccanismi. Poco importa dei volti dietro alle maschere, dei nomi e cognomi dietro ai personaggi. Quel che conta è l'emozione provata durante gli spettacolari incontri di questi lottatori, che vanno visti con gli occhi sognanti di un bambino più che con quelli cinici e disillusi di un adulto.
Eroi, simboli, icone, si diceva.
Certo, L'Uomo Tigre è un manga che ha diversi anni sulle spalle e che, dunque, porta con sé uno stile ormai obsoleto nel disegno e nella narrazione. Un protagonista odierno non lotterebbe mai da solo fra mille sofferenze, come fa Naoto, ma le condividerebbe con i suoi amici e compagni, ricevendo il loro aiuto nella lotta, come accade a Kinnikuman, l'altro grande wrestler dell'universo manga, e come accade allo stesso Naoto in una delle parti finali dell'opera, inaspettatamente moderna per il suo tempo di pubblicazione e molto diversa dallo stile con cui è narrato il resto del fumetto.
Lo stile di disegno di Naoki Tsuji è molto semplice, altalenante, sgraziato: i suoi wrestler hanno tutti un fisico tozzo e mai particolarmente esagerato nelle muscolature, i volti sono bambineschi e poco espressivi. Una semplicità che, tuttavia, rende perfettamente chiari e comprensibili i combattimenti, privi di guizzi particolari o di inquadrature complesse.
Quanto allo stile narrativo, non mancano diverse ingenuità figlie del loro tempo e del fatto che si cerca sempre di esagerare in pathos e drammaticità. Il risultato è duplice: si creano scene di gran pathos, ricche di emozioni, ma si cade anche, a volte, nel trash e nel ridicolo involontario (si veda quando Ruriko paragona l'Uomo Tigre, che lotta a rischio della vita per il bene dei bambini, a Gesù Cristo, crocifisso per espiare i peccati degli uomini, e parte una ventina di pagine di racconto a fumetti del Nuovo Testamento).
La nuova edizione italiana a cura di Panini Comics ha il pregio di essere più economica rispetto a quella precedente targata Salda Press e di mantenere senso di lettura e numero di volumi originali.
Spiace invece constatare come lo spessore tenda a variare di volume in volume, mentre lascia dubbiosi la grafica di copertina dai colori un po' kitsch, che presenta immagini tagliate e "raddoppiate" rispetto a quelle originali giapponesi.
All'interno si rileva la presenza di pecette, onomatopee non adattate e un font dei testi dall'aspetto un po' retrò ed eccessivamente "cartoonesco" in alcuni punti.
I dialoghi spesso sono legnosi, con qualche errore (ad esempio, l'uso recidivo dell'errato termine "wrestling professionale" invece che "professionistico") e diverse scelte di termini discutibili che appesantiscono la lettura: si veda il terribile "Orfanolandia", nome del luna park che Naoto sogna di costruire coi soldi degli incontri, o l'uso del termine "malvagio" per rendere "Heel" (terminologia del wrestling che indica un lottatore cattivo e scorretto), che genera espressioni poco felici come "lotterò per il mio onore di malvagio", "diventerò il più malvagio di tutti", "il campionato mondiale dei malvagi".
Si è lavorato con un certo pressappochismo nel rendere i termini del wrestling, i nomi delle mosse e i soprannomi dei tanti lottatori reali che costellano la storia: ora lasciando i termini in inglese e ora traducendoli in italiano molto liberamente, con qualche tecnica scambiata per un'altra di quando in quando.
Dispiace, infine, la mancanza pressoché totale (salvo un paio di asterischi con note volanti negli ultimi numeri) di note e articoli di approfondimento che potessero inquadrare il contesto e presentare al lettore i molti wrestler reali che compaiono nella vicenda.
L'Uomo Tigre è un manga inequivocabilmente "vintage". Quello che, al tempo della pubblicazione, era un fumetto per ragazzi anche un po' commerciale che voleva farli divertire mettendo in scena incontri fra lottatori che al tempo erano conosciuti e sulla cresta dell'onda, oggi rimane più il documento storico di un'epoca che una storia ancora apprezzabile da tutti.
E' un fumetto per i bambini di un tempo che oggi sono cresciuti e, soprattutto, per gli appassionati di wrestling, che saranno felicissimi di ritrovare in questo manga diversi volti molto noti a chi segue questo sport in maniera seria e competente o magari molti idoli della loro infanzia.
Non gli mancano le ingenuità e i difetti e, perciò, difficilmente potrà ancora piacere a tutti come faceva un tempo, ma L'Uomo Tigre riesce a mantenere ancora oggi un grandissimo fascino ed è riuscito a toccarci un po' nel profondo, nonostante i decenni che ci separano dai suoi anni Sessanta degli orfanotrofi poverissimi e dei grandi eroi tragici dei fumetti, di Umanosuke Ueda e di Abdullah The Butcher.
I motivi sono tanti, differenti e anche un po' inspiegabili.
Forse per l'epoca dura e lontana in cui è ambientato; forse per il suo protagonista solitario e incrollabile, tormentato e dal carisma straordinario, che ci insegna, rischiando la sua stessa vita su un ring insanguinato, a non mollare mai di fronte alle avversità.
Forse perché il fumetto e il wrestling da sempre regalano sogni e l'unione delle due cose genera un sogno ancora più grande.
O, chissà, forse perché, leggendo, ci sembra di essere lì a bordo ring anche noi, piccoli Kenta col cuore che batte e gli occhi che brillano alla vista di quell'eroica maschera di tigre che rappresenta il simbolo di ciò che vorremmo essere nella vita.
I motivi sono tanti, differenti e anche un po' inspiegabili.
Forse per l'epoca dura e lontana in cui è ambientato; forse per il suo protagonista solitario e incrollabile, tormentato e dal carisma straordinario, che ci insegna, rischiando la sua stessa vita su un ring insanguinato, a non mollare mai di fronte alle avversità.
Forse perché il fumetto e il wrestling da sempre regalano sogni e l'unione delle due cose genera un sogno ancora più grande.
O, chissà, forse perché, leggendo, ci sembra di essere lì a bordo ring anche noi, piccoli Kenta col cuore che batte e gli occhi che brillano alla vista di quell'eroica maschera di tigre che rappresenta il simbolo di ciò che vorremmo essere nella vita.
Autore: Kotaro
Bravo Kotaro
Complimenti a entrambi per l'ottima recensione.
Il manga lo trovo ottimo fino a Miracle 3, dopo cala parecchio di intensità e il finale mi ha delusso abbastanza, peferendo di gran lunga quello dell'anime, decisamente più emozionante.
Per il resto le rappresentazioni delle battaglie tra wrestler sono realizzate molto bene, probabilmente il punto migliore del manga, ma l'ho trovata una vicenda troppo sciapa e poco interessante per concluderne la lettura. Un vero peccato, visto che ne avevo iniziata la lettura proprio per il nome dell'autore, quell'Ikki Kajiwara autore di quel capolavoro che è Rocky Joe, lontano anni luce da Tiger Mask.
Un applauso agli autori delle recensioni, entrambi molto bravi!
Solo che, siccome sono rompiscatole e precisino, mi metterò a fare le pulci alle loro peraltro ottime recensioni
Naoto Date è un orfano, rapito da piccolo dalla misteriosa organizzazione Tana delle Tigri
Veramente no. Naoto scappa da solo dall'orfanotrofio, nella scena dello zoo, e poi incontra l'emissario di Tana delle Tigri, ma non è rapito da questi.
a Naoto essere una marionetta non va a genio, e così si ribella ai suoi padroni
Non è così. Naoto non si ribella perché non gli piace essere una marionetta. Si ribella perché deve dare i soldi delle sue vittorie all'orfanotrofio e quindi non può pagare Tana delle Tigri. Se non fosse per l'amore che ha per gli orfani non gli verrebbe mai in mente di sfidare Tana delle Tigri, anzi pagherebbe più che volentieri. Questa è una delle parti migliori del manga, Naoto è terrorizzato da Tana delle Tigri, non vorrebbe affatto sfidarla, ma è costretto a farlo perché il suo amore per gli orfani supera la sua paura.
Per quanto riguarda l'edizione italiana non sarò certo io a difenderla. L'unico punto a favore è che costa poco, ma l'assenza di numeri di pagina (questa insensata, cosa gli costava metterli?) e soprattutto l'assenza di note e articoli di approfondimento sul wrestling d'epoca sono carenze per me gravissime. Grave è anche la traduzione in italiano di ciò che in originale era in inglese. Invece sulla traduzione di "heel" in malvagio sono assolutamente d'accordo: espressioni come "lotterò per il mio onore di malvagio", "diventerò il più malvagio di tutti", "il campionato mondiale dei malvagi" sono perfette, e danno al manga quell'impressione vintage che deve avere. Anche Orfanolandia mi piace, contribuisce all'atmosfera retrò della serie. Del resto è il concetto che è ingenuo (ingenuo in senso positivo, sia ben chiaro), non cambierebbe se fosse stato scritto in inglese o con un altro termine.
Adesso chiudo con i commenti rompiscatole, e dico solo che questo manga è bello, bello, bello. Ho fatto un affare a prenderlo!
TWINKLE è Verissimo che il finale dell'anime è decisamente più spettacolare per via dello scontro all'ultimo sangue, ma quello del manga a mio parere sarà inferiore da quel punto di vista mi gli è superiore come potenza psicologica, Naoto qui non ha nessuna rivalsa.....
Micheles Io posseggo la vecchia edizione Saldapress e questa contiene tutti gli approfondimenti sul mondo del wrestling, quindi se volevi una edizione da collezione dovevi recuperare questa, hai voluto quella economica accontentati ahhaah
Dan Come ho detto Saldapress però ha la lettura all'occidentale penso che panini lo abbia pubblicato come in originale!
SPOILER
Mi riferisco a Naoto che muore per salvare un/a bambino/a.
Come specificato nella recensione, oggi non è certo un manga per tutti. Lo si può comprensibilmente trovare infantile, ingenuo, ripetitivo (ma è un manga su tornei di wrestling, la trama quella è), disegnato male e quant'altro, ma non gli si può non riconoscere il suo grandissimo fascino. L'Uomo Tigre è certamente uno dei più grandi eroi del Giappone, in ogni sua incarnazione, e probabilmente guardare alla storia del suo manga con il cuore un po' bambino di chi si esaltava con l'Hulk Hogan o l'Eddie Guerrero di turno aiuta discretamente. Perlomeno questo è il sentimento con cui mi ci sono approcciato, e di lacrimucce d'entusiasmo ne ho versate un bel po', così come mi han brillato gli occhietti nel vedere Mad Dog Vachon, Ivan Koloff, André The Giant e tante altre facce note del wrestling, disciplina che ho sempre amato e seguito in maniera più o meno costante e appassionata (parla il ventisettenne che va a seguirsi gli incontri della federazione romana e che grida per incitare i lottatori più dei bambini, a momenti ).
Se è un grande manga non so, credo che non nasconda il suo essere un fumetto per bambini (del tempo) molto commerciale, ma sta di fatto che il suo protagonista è certamente un grande eroe e un validissimo esempio per i lettori. Magari non in maniera così esagerata, ma un po' del suo grande altruismo e della sua straordinaria forza d'animo ci farebbero senza dubbio comodo
Spiace solo che l'edizione italiana non sia ottimale e mi abbia infastidito per parecchie cose. Di solito non sono uno che bada alle edizioni, ma questa aveva diverse cose davvero poco felici sia dentro che fuori. By the way, questo non mi ha impedito di esaltarmi come un bambino ad ogni match, quindi tutto sommato perdono l'editore per il suo lavoro un po' trascurato, perché non ha inficiato la mia lettura più di tanto, ma un po' di critica ogni tanto ci vuole, quando ci vuole
Ringrazio il mio "collega" dell'impegno profuso per questo lavoro a quattro mani, visto che ci abbiamo lavorato parecchio, ma spero ne sia valsa la pena. Grazie per i complimenti
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