Ed eccoci alla terza parte dell'intervista/dialogo tra la redazione di AnimeClick.it e Gualtiero "Shito" Cannarsi, realizzata in occasione della ormai non lontana uscita nelle sale cinematografiche italiane dell'ultima fatica di Hayao Miyazaki, Kaze Tachinu.
Il dialogo si fa più che mai ampio, toccando da vicino l'immaginario di Miyazaki e la sua incarnazione in personaggi archetipici.
Le parti precedenti dell'interdialogo sono disponibili ai seguenti link:
Parte I
Parte II
Vi riproponiamo di seguito un sottotitolaggio amatoriale del trailer originale giapponese di Kaze Tachinu, eseguito da mirkosp su testi (sempre amatorialmente) prodotti da Gualtiero Cannarsi. Vi rammentiamo inoltre che il trailer non è legato in alcun modo a Lucky Red, legittima detentrice per l'Italia dei diritti relativi alla pellicola, né alla pubblicazione italiana del film; è una cosa fatta da FAN per FAN e si riferisce alla distribuzione nelle sale giapponesi.
Il trailer originale è stato diffuso sulla televisione nazionale giapponese ed era stato già reso disponibile su YouTube, da cui è stato tratto per la creazione del presente sottotitolaggio puramente amatoriale.
Il dialogo si fa più che mai ampio, toccando da vicino l'immaginario di Miyazaki e la sua incarnazione in personaggi archetipici.
Le parti precedenti dell'interdialogo sono disponibili ai seguenti link:
Parte I
Parte II
Vi riproponiamo di seguito un sottotitolaggio amatoriale del trailer originale giapponese di Kaze Tachinu, eseguito da mirkosp su testi (sempre amatorialmente) prodotti da Gualtiero Cannarsi. Vi rammentiamo inoltre che il trailer non è legato in alcun modo a Lucky Red, legittima detentrice per l'Italia dei diritti relativi alla pellicola, né alla pubblicazione italiana del film; è una cosa fatta da FAN per FAN e si riferisce alla distribuzione nelle sale giapponesi.
Il trailer originale è stato diffuso sulla televisione nazionale giapponese ed era stato già reso disponibile su YouTube, da cui è stato tratto per la creazione del presente sottotitolaggio puramente amatoriale.
Ghibli: dal vento, all'aeroplano, allo Studio...
Da Kaze Tachinu, dialoghi sparsi intorno a passioni e creazioni di Miyazaki Hayao
~Parte Terza~
~Parte Terza~
L'AUTORE E I PERSONAGGI, TRA IDEALI E REALTA'
A.C.
Molti dei protagonisti maschili miyazakiani sembrano oscillare tra escapismo e amore. Quindi, ti andrebbe di ripercorrere un po’ questa parabola, soffermandoci su alcune figure? Viene subito in mente Porco Rosso, che è l'anime più 'da otaku' di Miyazaki, con un protagonista escapista che fugge nel cielo così come Miyazaki fuggiva nel suo studio d'animazione, e una Fio Piccolo che è al contempo loli (redime i pirati buoni e cattivi, che non la toccano per non sporcare la sua purezza, e addirittura cura la maledizione di Marco baciandolo) e otaku degli aerei, quasi la rori definitiva per Miyazaki. Pagot viene però ancora descritto come un eroe romantico, in modo molto solidale. C'è poi Howl, che si isola del tutto dal mondo esterno nel suo castello magico, che fugge dalla guerra e dai rapporti con le altre persone. Howl è descritto in modo più duro, si trova ad essere criticato aspramente dalla sua maestra, ma alla fine viene anche lui salvato da Sophie (che stavolta però è tutto fuorché una loli). Per finire con Fujimoto, che altri non è che un Howl senza l’incontro con Sophie, un uomo che ha abbandonato proprio la sua condizione umana, andando a vivere nel mare. Fujimoto è descritto in modo molto più negativo dei precedenti, quasi come Miyazaki abbia inconsciamente iniziato a criticare tale condizione.
G.C.
Credo proprio che qui tu stia affondando le mani nel cuore di tutta la faccenda, ma mi pare ci sia anche un po' di confusione. Ovvero, tutti gli esempi che citi sono veri e validi, ma non sono sicuro che i termini della faccenda siano escapismo e amore — se l'escapismo è un moto che nasce da un idealismo infantile, del resto esiste parimenti una visione idealizzata dell'amore, anch'essa infantile, che certo Miyazaki conosce, lambisce e spesso mette in scena. Dunque varrà forse la pena mettere il tutto in ordine, in prospettiva, anche se temo che sarà un discorso lungo…
A.C.
Di fretta non ne abbiamo, lo spazio non ci manca…
G.C.
Ripartiamo allora dal discorso che facevo su 'idealità, ingenuità e infantilità' nella narrativa di Miyazaki Hayao. Io più che altro vedo la contrapposizione tra il realismo, il compromesso della vita reale e dell'adultità da un lato, e le dolci e ingenue idealità 'da fanciullino' dall'altro. La narrativa di Miyazaki Hayao ha sempre avuto questo aspetto idealizzante, vagheggiante, trasognato e quindi realmente infantile, direi. E l'autore stesso è sempre stato ben conscio di ciò. Per esempio, lui sapeva benissimo che il mondo di Tonari no Totoro non era certo il ritratto del Giappone degli anni in cui stava ambientando la sua storia. L'ha dichiarato schiettamente. In effetti, in quel film la presenza di Totoro e di altri fantasmi è un elemento più appariscente ma assai meno fantastico dell'idealizzazione della società rurale giapponese degli anni '50 che vi si rintraccia. Ovviamente per degli italiani come noi è difficile percepire una cosa simile, ma quella che Miyazaki racconta in Totoro non è la realtà giapponese: è un'ideale bucolico che non è mai esistito, né in ambiente né in personaggi. Siamo piuttosto noi appassionati italiani ad aver ricreato nelle nostre menti un’idea quasi mitizzata del Giappone, andando dietro alle idealizzazioni dei cartoni animati della nostra infanzia, tra cui quelli di Miyazaki e Takahata stessi (prima ancora dell'esperienza Studio Ghibli). In effetti i prodotti animati per bambini sono stati il principale referente su cui la nostra generazione (di italiani) ha costruito la propria 'idea del Giappone'…! È una cosa sciocchina, ma per esempio quando vedo in Ponpoko (di Takahata) dei ragazzi che buttano volgarmente (e realisticamente!) delle lattine vuote in una discarica abusiva con tanto di cartello di divieto di gettare rifiuti, mi viene d'istinto da pensare: "Ehi, è impossibile! Ma è il Giappone, quello! Non può essere!" (ride). Anche io sono un italiano che ha conosciuto il Giappone prima di tutto tramite tutta una produzione animata che idealizzava un sacco di situazioni. Credo che in questo modo si sia quasi creata, tra gli appassionati, quasi una 'mitologia del Giappone', che è divenuto nel subconscio di una generazione una specie di terra promessa dalle mille perfezioni ideali… a una distanza intercontinentale. Ma Miyazaki Hayao è un giapponese, chiaramente, ed era ben consapevole del fatto che probabilmente anche in Giappone non sono mai esistite bambine ideali come Satsuki, vicinati ideali come quelli dei Kusakabe, eccetera. Solo che lui non era interessato a ritrarre fedelmente la verità umana, come era invece Takahata. Persino i cattivi di Miyazaki, con poche eccezioni (tre in tutto, per l'esattezza), non sono persone totalmente corrotte, meschine, malvagie. C'è in Miyazaki questa deliberata volontà di raccontare un mondo migliore di quello reale, ovvero «un mondo come vorrei che fosse» (sto citando testualmente). È un'idealità che trascende la realtà, quindi, e la trascende verso una visione migliorativa delle cose e delle persone. Io credo che questa sia tipicamente un'istanza infantile, direi a rigore fiabesca, più che favolistica.
A.C.
Insomma è come dire che la famosa 'poesia dei mondi fantastici' di Miyazaki altro non è che la visione idealizzata del suo 'fanciullino' interiore…
G.C.
Sì, e la cosa vale anche per le psicologie dei personaggi che li popolano. A questo proposito vorrei citare un caso forse meno noto al pubblico, ma che considero in effetti esemplare. All'incirca nel periodo in cui stava realizzando Laputa, Miyazaki progettò un film che raccontava di un gigantesco panzer pilotato da un soldato di foggia suina (al solito), il cattivo della storia, a cui capitava di rapire una ragazza. Il soldato la imprigiona, ma la corteggia in modo molto platonico, regalandole un fiore fatto con un fazzoletto di carta. Originariamente il progetto prevedeva che la ragazza fosse poi salvata dal suo fidanzato e che insieme a lui distruggesse il carro armato del 'cattivo'. Ma la storia andò evolvendosi finché, nel finale, la fanciulla si sarebbe innamorata del soldato-maiale, ricambiandolo. A pensarci, questa trama mi pare in essenza il contrario di quella del film muto che Porco Rosso e Ferrarin guardano al cinema, quello che è un omaggio ai fratelli Fleischer, non ti pare? Quello del «un maiale che anche volando rimane un maiale» (come dice Ferrarin sul finale, contraddicendo una telefonata di Porco a Gina). Comunque, pure nella storia del panzer il cattivo era una specie di idealista disertore, celibe, che però viveva dentro questo carro armato gigantesco con trenta suoi nipoti. E in questo non trovi che tutto ricordi molto la 'società' dei pirati del cielo di Laputa prima, di Porco Rosso dopo? In ogni caso, ai tempi di questo progetto la regia fu assegnata a un collega più giovane di Miyazaki, che però gli diceva: «È impossibile, chiaramente quello che accadrebbe è che il pilota possiederebbe subito la fanciulla». Miyazaki rispose: «No, perché in questo modo la storia non sarebbe interessante». Erano in disaccordo su questa possibilità: ritrarre la realtà per quella che è, oppure accettare la possibilità di un'eccezione totalmente contraria? Miyazaki parlò dell'ipotetico caso di "un maiale su un miliardo" e spiegò che lui voleva raccontare quello, per quanto irrealistico, voleva credere a quello e tralasciare la realtà fattuale, che pure non ignorava.
Insomma, Miyazaki Hayao ha sempre ragionato così, in questo modo idealistico, fanciullesco, e ha sempre saputo di essere così. Del resto, come già accennavo, nel tempo è stato anche criticato proprio per questo suo modo di essere: soprattutto in tempi passati, in Giappone, lo si additava come un autore che non riusciva a rendere le sue storie in alcun modo verosimili, o i suoi personaggi sufficientemente profondi e credibili. Insomma, potremmo dire che lo si tacciasse di semplicismo, di fare sempre delle bambinate (ride). Dal canto suo, lui ha sempre ammesso il tutto come qualcosa che onestamente non poteva evitare di fare, come l'unico modo in cui riusciva a raccontare e animare delle storie, giustificando poi questa sua vera e propria necessità di fantastico-ideale nell'ottica di creare narrazioni che fossero fonte di speranza per le nuove generazioni, nonché un'occasione di evasione, di catarsi dalle difficoltà quotidiane. Volendo, siamo tornati alla sua vocazione più fiabesca che favolistica… ma in effetti, ragionando da adulti, non si può non rintracciarvi anche una componente escapista: quella di rintanarsi in un mondo migliore, un mondo che non è nella realtà, ma che ci piacerebbe vi fosse. Credo che questa sia stata una componente imprescindibile di Miyazaki Hayao, che ha continuato a rappresentare anche i 'cattivi' spesso come dei bambinoni scemotti, bonaccioni, anche realmente innocui. E i suoi rari protagonisti maschili adulti come degli antieroi escapisti.
A.C.
E siamo quindi arrivati all'escapismo dei personaggi di Miyazaki di cui ti chiedevo…
G.C.
Esattamente. In primo luogo, direi che è così il suo Lupin, quello de Il Castello di Cagliostro. Se ci pensi, lui regala a Clarisse proprio un 'fiore di carta', ma in effetti sarebbe un 'signor ladro', no? Un ladro su un miliardo, si direbbe. In quel film infatti Lupin non è per nulla il vero Lupin, quello di Monkey Punch, quanto piuttosto una creatura giocosamente etica che salva la fanciulla pura dalle mani del mostro lurido, ma alla fine la abbandona, perché sa di essere un ladro, di vivere in un mondo corrotto. Lo stesso Monkey Punch lo dichiarò, quando disse: «Questo non è il mio Lupin. Io non avrei potuto disegnarlo, è pieno di gentilezza. Il mio Lupin si potrebbe definire maligno, perché è un personaggio che per raggiungere l’obiettivo non bada ai mezzi, è cupido, ha in sé la bruttura degli esseri umani. Non avrei potuto disegnarlo così gentile». Spicca dunque, nella differenza tra le visioni dei due autori, la sensibilità idealisticamente fanciullesca di Miyazaki. Ma lo stesso canovaccio de Il Castello di Cagliostro lo si ritrova tale e quale in Porco Rosso, dove l'abbandono finale di Fio da parte di Porco è proprio lo stesso di Lupin con Clarisse. E Clarisse aveva già salvato Lupin da bambina, in una scena che è una riproposizione quasi perfetta dell'apparizione della Nausicaä omerica, con un bicchiere d'acqua che trasforma il Lupin originale — ritratto poco prima in un flashback in cui finisce praticamente ucciso a frecciate sulla schiena — in quello tutto diverso del film di Miyazaki. E quindi abbiamo Lupin di Cagliostro, Porco Rosso, Fujimoto… ma alla fine, tutti questi 'autorinnegati' umani sono anche loro degli otaku. Sono dei bambinoni viziati che si permettono il lusso di dire "non ci sto", di 'chiamarsi fuori da tutto e tutti' e di vivere nel loro mondo, ai margini di quello reale, che rinnegano perché troppo sporco per loro, per i loro personali ideali. C'è quel tipo di negazione, di rifiuto della realtà che è in Seita de La tomba delle lucciole di Takahata, dove però si carica di un valore del tutto diverso — quello di una colpa. Invece, sia Fujimoto che Porco Rosso sono in qualche modo eroici nel loro 'non compromettersi', sono persino misofobi, ci hai fatto caso? Porco Rosso si rifiuta di stringere la mano a Curtis, perché si definisce "un amante del pulito". E per Fujimoto, beh, lì è proprio una cosa dichiarata. La misofobia, la compulsiva paura di sporcarsi, ha un valore trasfigurato anche etico, morale: è un rifiuto di crescere, di accettare gli inevitabili compromessi della vita adulta. Mi viene di nuovo in mente il discorso al cinema del camerata Ferrarin, che sembra proprio voler salvare il suo vecchio amico dal suo pervicace attaccamento agli ideali dell'infanzia: «L'epoca degli aviatori di ventura è finita! Ormai non resta che volare sobbarcati da sponsor triviali come lo stato o la nazione!». Alla fine sarà proprio Ferrarin a salvare Porco, inviando un messaggio da controspionaggio a Gina. E perché proprio a Gina? Perché nella sua idealità, Miyazaki ha sempre diviso il genere femminile tra le idol, le fanciulle pure e intonse, e le donne vere, che hanno vissuto e sopportato la vita, hanno sofferto, e sono sopravvissute.
A.C.
Questa separazione tra l'aspetto giovanile e quello maturo della femminilità sarebbe quindi parte della visione infantilmente idealizzata dell'amore di cui dicevi?
G.C.
Sì, questa sentimentalità amorosa infantile, che parte proprio dal distinguere 'le brave fanciulline' dalle 'donne vissute', non è infatti contrapposta all'escapismo, anzi, ne è un risultato e uno strumento allo stesso tempo. Ora immagino che qualcuno griderà allo scandalo, magari sventolando il classico luogo comune dei 'giapponesi tutti pervertiti', ma un realtà vorrei far notare che questa è una dicotomia che esiste molto schiettamente in tutta la storia dell'arte e della narrativa umana. Mi si perdoni la digressione. Potremmo partire dalla citata Odissea, che comincia in medias res, quando Ulisse incontra Nausicaä, quella originale, ovvero dei Feaci, non della Valle del Vento. Nella grande narrazione omerica, Nausicaä è la vera, ultima tentazione di Ulisse. Nausicaä è la Kore, e cioè Persephone, o Psyke, è la vergine ideale. In Giappone potrebbero dire che è la rori perfetta, la 'fanciulla assoluta' (zettai shoujo), ma la sostanza è identica. Quindi dopo aver superato la tentazione della vita eterna, dell'eterna lussuria (da Circe e da Calypso, dove si intrattenuto un bel po', e non senza perdite), Ulisse subisce una tentazione ancora maggiore: più che protrarre in eterno il suo 'giro di giostra', la sua avventurosa giovinezza vissuta in negazione del letto muliebre, ricominciare proprio daccapo un altro giro tutto nuovo, perché ora potrebbe avere Nausicaä per sé. Credo che l'Odissea sia proprio la storia della maschilità recalcitrante alla crescita, la maschilità che divaga e si perde in una moratoria della crescita stessa, seguendo le proprie passioni e i propri ideali. Ma Ulisse se ne rende conto: per quanto si voglia fermare il tempo, il tempo non si ferma. Così torna a Itaca, affronta la sua ordalia e ritrova la sua Penelope. Penelope che in effetti non poteva opporsi come lui allo scorrere del tempo, perché sapeva si sarebbe dovuta risposare, e in qualche modo preparava le sue nuove nozze, ma intanto disfaceva nottetempo il suo filato. Quindi, Penelope com'è? È virtuosa come Nausicaä? È ormai viziosa come Circe? Ebbene, lei è entrambe e nessuna delle due cose. Non può scegliere comodamente di essere 'buona' o 'cattiva', come sarebbe facile pensare. Questo genere di dicotomie nette credo siano appunto molto infantili, molto comode, e anche molto maschili. Ma le donne vivono nel tempo, e cambiano, e vivono. E così c'è stata probabilmente una Nausicaä in ogni Circe, e potenzialmente ogni Nausicaä potrebbe divenire una Circe. Ci sono anche altri esempi letterari molto brillanti, su tutti mi viene in mentre Traumnovelle di Schnitzler, o l'Ulysses di Joyce, oppure in ambito artistico lo Mnemosyne di Aby Warburg, ma direi che per Miyazaki Hayao è sempre stato così: c'è stata una Lana in ogni Monsli, una Clarisse in ogni Fujiko, una Nausicaä in ogni Kshana, persino una Sheeta in ogni Dola, soprattutto una Fio in ogni Gina, e magari una San in ogni Eboshi, persino una Chihiro in ogni Yubaba. E dunque a Marco Pagot, come a Ulisse, è andata bene. Alla fine lui riesce a venire toccato dalla purezza di Fio, imparando la lezione, e a tornare umano nello spirito e nel corpo, per poi tornare dalla sua "fu-Fio" (hai presente il flashback con la gonna che si alza in volo?), ovvero Gina. Ma per esempio al Principino, quello di Saint-Exupéry, andò di certo molto peggio. Perché il Fennec, che come saprai in francese si dice sempre renard (du desert), e che Miyazaki ha trasformato nello scoiattolo-volpe (stesse orecchie, stessa riluttanza all'addomesticamento — l'indice di Nausicaä sanguina — e stessa assoluta fedeltà), ha semplicemente ragione; ma non c'è via di ritorno dalla Rosa, che il Principino ha abbandonato perché "c'erano tante cose da conoscere, posti da vedere" (proprio un Ulissino, nevvero?), quindi non resta che il suicidio, per pietà di un serpente caritatevole. Espiazione. Finale. E anche a Fujimoto è andata proprio male, direi. Credo che Fujimoto sia il risultato di una riconsiderazione molto amara, da parte di Miyazaki: concettualmente è il frutto degli stessi identici presupposti di Porco Rosso, ma il suo sviluppo è diametralmente opposto: se Porco Rosso era l'antieroe romantico proprio 'figo' (kakkoii), Fujimoto è un uno stralunato eremita che finisce come uno sconfitto totale, tutto solo, abbandonato da tutti, in primis dalla sua amata figlioletta.
Insomma Miyazaki, come spiegava anche Suzuki Toshio proprio ai tempi di Ponyo, vede da sempre il mondo come "un mondo di maschi e femmine". Anche questa è una dicotomia molto idealizzata delle cose, direi piuttosto infantile, viene da pensare alla classe delle elementari 'di maschietti e femminucce'. E in Miyazaki spesso è proprio così: gli uomini sono tutti bambinoni che ingannano il loro tempo, sono tutti degli otaku, e invece le femmine, siccome non possono ingannare il tempo, o sono ancora fanciulle o sono ormai donne — e di mezzo c'è la sofferenza della vita vera, che le femmine non sembrano poter evitare. In effetti, avevo inteso che la sindrome di Wendy, equivalente logico di quella di Peter Pan, piuttosto che essere un restare bimba in eterno fosse il diventar mammina anzitempo… per i Bimbi Sperduti, no? Beh, proprio alla conferenza stampa di presentazione di Kaze Tachinu, Anno Hideaki, che come saprai ha doppiato il protagonista del film e di certo è un altro che di otaku se ne intende, ha detto testualmente: «Penso che con questo film Miya-san sia diventato un pochino adulto. Sì, solo un pochino». Il che mi pare assai eloquente, specie se pensiamo che, anni prima, lo stesso Anno Hideaki aveva affermato: «In Giappone ci sono solo bambini. Questo è un paese di bambini». Ebbene, credo che tipicamente gli otaku non si rendano conto che tra una rori e una donna adulta non c'è una differenza sostanziale, c'è una differenza temporale. La mentalità otaku disgiunge quei due mondi come due generi, adorando il primo come un idolo, senza toccarlo, senza sporcarlo (classica forma di erotofobia infantile), e disprezzando e allontanando il secondo, già contaminato, già lordato dalla vita. Questo è un modo tutto maschile e infantile di idealizzare la donna, no? Metterla su un piedistallo fintanto che appare virtuosa, metterla sotto una campana di vetro, per ammirarla, per compiacersene esteticamente, come di un modellino, come di una figure, un pupazzetto, una bambolina. Qualcosa dunque che non vive… e che quindi non può proprio essere una donna reale. La meschinità degli otaku, e anche di molti artisti che hanno questo tipo di mentalità, credo stia proprio nel non vedere che questa disgiunzione non può esistere. Direi dunque che un certo tipo di adorazione della purezza femminile è anche in Miyazaki Hayao, pensiamo ancora una volta a tutti i suoi pirati del cielo, infatuati di Sheeta e di Fio, o persino a Jigen e Goemon e Zenigata che sono tutti toccati ed estasiati dal candore di Clarisse… sono cose che se pensate in un'ottica lasciva potrebbero anche disturbare un poco, no? Per contro, trovo che cose come il flashback sull'infanzia di Gina dimostrino che Miyazaki sapeva benissimo che in Gina vi era stata una Fio, così come certi suoi momenti empatici ci fanno sapere che in Kshana vi era stata una Nausicaä. Ed è proprio per questo preciso motivo che io mi sento di stimare Miyazaki Hayao. Se così non fosse stato, non riuscirei ad accettare le sue storie come 'cultura'.
A.C.
Passando per la letteratura occidentale, hai fatto un lungo giro per arrivare a descrivere un certo modo di essere dei mondi e dei personaggi di Miyazaki. Quindi diciamo: escapismo come moto di rifiuto infantile alla crescita, da cui il rifugio nella purezza dell'idealità che non accetta compromessi e si chiama fuori dallo sporco mondo degli adulti — persino nell’esperienza amorosa, che esiste nella sua versione anch'essa infantile e idealizzata.
G.C.
Direi che è un ottimo riassunto del succo del tutto, sì. Spero che le argomentazioni e i rimandi usati siano almeno serviti a rendere tutto il discorso profondo e convincente, altrimenti sarebbero bastate le tue cinque righe…! (ride)
A.C.
Beh, visto il lungo excursus si sentiva il bisogno di fare un punto della situazione e… a proposito! Partendo da Lupin, poi tra Marco Pagot e Fujimoto ti sei perso Howl…
G.C.
Hai ragione, scusa. Il fatto è che Howl è un caso un po' peculiare, in primis perché non è un personaggio originale di Miyazaki. Tutto il film, anche in questo caso, è stato chiaramente figlio del momento in cui l'autore l'ha realizzato, in tanti modi. Per esempio l'elemento della guerra vi fu proprio incorporato a seguito dell'impatto emotivo che la situazione internazionale del tempo ebbe su Miyazaki Hayao. Ma soprattutto, in quel periodo Miyazaki aveva iniziato a pensare molto alla vecchiaia, forse a sentirsi anziano nel corpo, mentre chiaramente il suo spirito si sentiva ancora molto giovanile, sempre quello di un bambino, direi. Per questo, è rimasto affascinato dalla storia dell'animo di una ragazzina imprigionato nel corpo di un'anziana, in cui per di più si sente invece del tutto a suo agio, visto che non era mai riuscita a vivere la sua giovinezza. Per contro, Howl è un giovane che è già diventato un uomo, ma è un escapista assoluto e vive come un bambino in fuga dalle responsabilità. È molto bello che i due si curino a vicenda, risincronizzando le loro età interiori con quelle anagrafiche: Sophie diventa la fanciulla che vorrebbe mollare tutto per scappare col suo innamorato, e lui diventa l'uomo che, no, deve andare a combattere perché ora ha una donna da difendere. È una visione estremamente favolistica, ideale e anche tradizionalistica dei ruoli dell'uomo e della donna, non trovi? La cosa buffa è che Miyazaki, ai tempi, dichiarò di sentirsi vicino alla psicologia di Howl, ammettendo quindi di sentirsi nella condizione di un giovane idealista ed escapista, nonostante l'età.
A.C.
Certo che tra Porco Rosso, Howl e Fujimoto, alla fine queste tre figure rappresentano come degli avatar (involontari o meno) dello stesso Miyazaki… anche per Horikoshi Jirou di Kaze Tachinu può forse dirsi lo stesso?
G.C.
Ovviamente io non posso sapere con certezza se Miyazaki abbia deliberatamente inteso sovrapporre le proprie storia, psicologia e personalità a quelle di Horikoshi Jirou, o se abbia 'semplicemente' proiettato il sé su una figura a lui molto cara, con la quale ha evidentemente molto empatizzato, ma col suo ultimo film è davvero riuscito a mostrare la psicologia di un otaku nel modo più efficace e veritiero che io abbia mai visto. Direi che ha in qualche modo bilanciato la giovanile apologia di quella mentalità, per come veniva fatta in Porco Rosso —dove come dicevamo il protagonista escapista è l'antieroe romantico e outsider di una umanità disdegnata perché troppo corrotta — e la sua riconsiderazione anziana e dispregiativa che poi ne aveva fatto col personaggio di Fujimoto, l'allampanato idealista che pure si rintana in una rocca lontana dalla stessa 'umanità sporca', ma che invece di essere 'figo' è al contrario solo una figura grottesca abbandonata da tutti. In effetti quelle due figure sono proprio due opposti ritratti di un'identica psicologia, quella dell'otaku, che rifiuta la società degli uomini perché ne è schifato, e fugge e si rifugia in un mondo di idealismi infantili e del tutto indisponibili al compromesso. Un rifiuto dell'adultità. Credo che Horikoshi Jirou, per come ce lo presenta Miyazaki, sia esattamente la stessa cosa, solo rimirata con un occhio infine onestamente distaccato e bilanciato nel giudizio sulle cose, infine ritratta con onesto realismo, nelle sue eccellenze e nelle sue miserie.
A.C.
Quindi — per citarti — Miyazaki è anche un uomo che «è fuggito nel suo studio d'animazione, nel suo regno di fantasia. E ha continuato a parlare delle sue passioni, a disegnare i suoi mondi ideali popolati dalle sue ragazzette ideali per tutta la vita. Mentre una moglie cresceva a casa un figlio che poi avrebbe detto di non conoscere suo padre come padre». Come si inserisce in questo senso Kaze Tachinu? Qual è il rapporto di Horikoshi Jirou con l’amore?
G.C.
Anche questa è una cosa molto interessante, un punto chiave. Come dicevamo la componente di 'storia d'amore' in Kaze Tachinu è innestata nella biografia di Horikoshi Jirou prendendola di peso dall'omonimo romanzo di Hori Tatsuo. Ma Horikoshi Jirou, dicevamo, è la perfetta rappresentazione di una psicologia dell'otaku, ritratta con grandissimo realismo e onestà intellettuale. Come ama, dunque, questo otaku che si chiama Horikoshi Jirou? Molti commentatori hanno notato il suo 'orrendo egoismo' nei confronti di Nahoko, e guardando il film è facile capire perché. Ma la verità è che Horikoshi Jirou, in questo film, ama realmente nell'unico modo in cui potrebbe: come un bambino cresciuto più nel corpo che nella mentalità. Ama in modo molto puro, anche molto molto ingenuo. Nelle situazioni reali Jirou è sempre impacciato, e tutti i personaggi gli rinfacciano di essere "una persona dal cuore di ghiaccio", o comunque in qualche modo 'fuori dal mondo'. In effetti Jirou vive 'nel suo mondo', proprio come un otaku, e in quel mondo ha ritagliato uno spazio per Nahoko, che però non è tutto il suo mondo.
Si tratta di una cosa molto realistica e quindi forse difficile da accettare. Le persone vanno al cinema per vedere grandi storie d'amore assoluto che poi, nella normale meschinità umana, loro stessi non sarebbero mai in grado di vivere — ma il cinema è finzione, e la finzione è inganno, no? Beh, Horikoshi Jirou è più realistico, quindi può anche dare fastidio. Il rapporto con Nahoko lo vede in realtà assolutamente succube, sottoposto da un punto di vista psicologico. Decide tutto lei, lei fa ciò che vuole lei stessa, quando e come lei stessa decide. Nahoko è un personaggio intellettualmente molto emancipato, davvero molto forte, fin da quando Miyazaki ce la presenta ancora bambina. Al contrario, come ogni otaku, Jirou è straordinariamente debole. Ci sono delle scene che mi commuovono alle lacrime, non perché siano tristi o patetiche, ma perché sono troppo vere. Come quando Jirou torna a casa al mattino dopo l'ennesima notte passata al lavoro; dopo aver infine completato il suo prototipo, crolla di stanchezza affianco alla mogliettina e le dice spossato: «È tutto merito tuo… perché ci sei stata». "Ci sei stata", semplicemente questo: sei esistita per me, sei stata presente nella mia vita e nella mia mente. È la figura femminile materna che dà sicurezza al bambino, che permette al bambino di avere la forza per riuscire a fare quello che vuole fare. La psicologia di Jirou, lo si vede chiaramente all'inizio del film, è del resto figlia di questo stesso tipo di madre. È fantastico quanta verità umana ci sia in questo film! E nel mezzo, il collega e amico di Jirou, che si chiama Honjou ed è un uomo maturo, per nulla otaku, un po' il Ferrarin della situazione, annunciando il suo matrimonio a un sorpreso Jirou aveva detto all'incirca: «Bisogna avere un focolare domestico da trascurare, per poter dare tutto il proprio meglio sul lavoro. Anche questo è un paradosso». Mi sembra una battuta assai eloquente, nella sua pungente, pur autoironica provocazione.
La redazione vi ricorda che l'ultimo appuntamento con l'interdialogo, che getterà uno sguardo sulle prospettive future dello Studio Ghibli, è fra sette giorni. Nella gallery a fondo pagina delle foto d'antan che ritraggono rispettivamente: Miyazaki Hayao col figlio Gorou; lo stesso Miyasan con Ootsuka Yasuo; infine il trio Ootsuka, Takahata, Miyazaki.
La dicotomia tra fanciullezza (innocenza) ed età adulta ("mondo spoco") mi ha riportato in mente il Gokuraku presente in Video Girl Ai di Masakazu Katsura visibile solo ai puri di cuore (infatti Yota Moteuchi adulto in Video Girl Len non riesce a vederlo): tratto ricorrente o semplice coincidenza che mi è venuta in mente solo perché ho adorato quel manga?
Detto questo, il mio desiderio di vedere Kaze tachinu cresce sempre più!
Una nota per Bradipo: non credo che il nesso di cui tu parli sia fuori luogo. Anzi, a pensarci, la cosa è molto molto forte proprio in Video Girl Len, dove la ragazza protagonista, che "si diceva avesse già avuto rapporti", veniva presa di mira - e se ben ricordo poi la stessa Len chiede appositamente all'amico "figo & dongiovanni" del protagonista Hiromu (se ancora ricordo il nome) di fare l'amore con lei solo per far capire a Hiromu che anche 'dopo' lei non sarebbe stata 'sporca'. Nell'articolo parlo di "erotofobia infantile", ed è una cosa ben nota agli osservatori giapponesi del fenomeno sociologico noto come "otaku" - fin da quando il termine giunse ai fasti della cronaca con i primi articoli di Nakamori Akio (1983).
Quello che vorrei quindi sottolineare in maniera del tutto neutrale è che certe tematiche di 'perdita di candore' nel passaggio dall'età fanciullesca a quella adulta sono molto molto sentite nella cultura sociale giapponese. Anche tutto il mercato delle idol di carne ed ossa insiste esattamente su questo (qualcuno penserà, e giustamente, a Perfect Blue, del compianto Kon Satoshi). In tal senso, proprio il dualismo Clarisse/Fujiko è quello più lampante, quando all'opera di Miyazaki. Il candore con cui Clarisse parla di un "signor ladro" (ed è pronta a fargli scudo col suo corpo!) si contrappone alla disinvoltura di Fujiko, che parla di Lupin come "un amico, a volte anche un amante". Alla fine, però, Zenigata dirà che questa volta Lupin ha rubato "una cosa esorbitante": l'animo/cuore di Clarisse. ^^
PS: forse ti farà piacere sapere che Takahata Isao almeno una volta si è schiettamente paragonato a un bradipo.
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.