Siamo così giunti all'ultima parte dell'intervista/dialogo tra la redazione di AnimeClick.it e Gualtiero "Shito" Cannarsi, pensata e realizzata in occasione della ormai vicina uscita nelle sale cinematografiche italiane dell'ultimo lavoro di Hayao Miyazaki, Kaze Tachinu.
Il dialogo questa volta va a toccare tematiche legate più in generale al futuro dello Studio Ghibli, nonché all'opera di Isao Takahata.

Le parti precedenti dell'interdialogo sono disponibili ai seguenti link:

Parte I
Parte II
Parte III

Vi riproponiamo a seguire un sottotitolaggio amatoriale del trailer originale giapponese di Kaze Tachinu, eseguito da mirkosp su testi (sempre amatorialmente) prodotti da Gualtiero Cannarsi. Vi rammentiamo inoltre che il trailer non è legato in alcun modo a Lucky Red, legittima detentrice per l'Italia dei diritti relativi alla pellicola, né alla pubblicazione italiana del film; è una cosa fatta da FAN per FAN e si riferisce alla distribuzione nelle sale giapponesi.
Il trailer originale è stato diffuso sulla televisione nazionale giapponese ed era stato già reso disponibile su YouTube, da cui è stato tratto per la creazione del presente sottotitolaggio puramente amatoriale.


Ghibli: dal vento, all'aeroplano, allo Studio...

Da Kaze Tachinu, dialoghi sparsi intorno a passioni e creazioni di Miyazaki Hayao

~Parte Finale~

 
 
LO STILE, LE FIRME E IL FUTURO DELLO STUDIO
 
A.C.
Il doppiaggio, la 'viva voce', è da sempre un elemento fondamentale, più che un valore aggiunto, di un'opera di animazione. Per Kaze Tachinu è stato selezionato nel ruolo di Horikoshi un doppiatore non professionista, col piccolo dettaglio che — come anticipavi tu stesso — si tratta di Hideaki Anno. Animatore, regista di animazione e dal vero, spirito innovativo al punto da essere considerato il capostipite della Nuova Animazione Seriale, le sue esperienze di doppiaggio si limitano però a una piccola apparizione nell'anime Abenobashi (ha recitato parti cinematografiche in film tra cui Natsu no Mori, con la moglie mangaka Moyoco). Ad ogni modo Miyazaki — così come Takahata — sembra prediligere voci lontane dallo stile di recitazione tipico del doppiaggio di animazione giapponese, attingendo dalle fila degli attori teatrali e cinematografici. Il rapporto tra Anno e il Ghibli è comunque di vecchia data, e risale all'esperienza di quest'ultimo come animatore in Nausicaä della Valle del Vento, per cui Anno curò la scena del kyoshinhei, il Soldato Titano, prodromo del design degli Eva.
 
G.C.
Se ben ricordo, Anno Hideaki aveva doppiato anche il gatto paffuto (MiyuMiyu) in FLCL, oltre ad aver recitato nei panni del protagonista in Kaettekita Ultraman, un live-action realizzato dall'antica DAICON FILM, progenitrice della GAINAX. Comunque, la ben nota predilezione di Miyazaki per le voci di 'non doppiatori di animazione' mi sembra in qualche modo un'altra contaminazione neorealista venuta da Takahata Isao. In questo ambito, lui (Takahata) è sempre stato un vero sperimentatore. Si potrebbe parlare di 'espressionismo', ma già in Hotaru no Haka i due bambini protagonisti erano interpretati da attori la cui età anagrafica era assai prossima a quelle dei loro personaggi (e la piccola Setsuko ha quattro anni!), una cosa incredibile per l'animazione giapponese dei tempi. Poi, fin da Omohide Poroporo Takahata ha preso a registrare i dialoghi prima della realizzazione delle animazioni e studiava le movenze dei visi degli attori del cast per poi riprodurle nel disegno come rughe d'espressione. In quel caso, le voci vennero fornite da giovani attori di trendy drama. Ancora in seguito, per Ponpoko, Takahata si rivolse ad attori di teatro rakugo. E anche Miyazaki ne è stato contaminato, andando alla ricerca di voci e interpreti che potessero far suonare le battute dei suoi film come 'verosimili' piuttosto che 'belle'. Ci sarebbero infiniti esempi, dal padre di Satsuki e Mei in Totoro, doppiato da Shigesato Itoi (famoso e poliedrico copywriter, che lavorò anche per lo Studio Ghibli), fino al caso di Mononoke Hime, che ebbe un cast davvero stellare, ricco di attori di spicco, e che segnò un punto di svolta imprescindibile. Di seguito, la piccola Chihiro 'doppiata da una bambina vera' fece davvero molto scalpore in Giappone, dove numerosi fan dell'animazione sulle prime non ne apprezzarono la resa recitativa realistica. Ma ormai il sentiero era segnato, sarebbe stato seguito da tutto lo Studio Ghibli, e non si sarebbe mai più tornati indietro.
 

Ovviamente avere KimuTaku degli SMAP (il celebre Kimura Takuya) come voce di Howl, o Okada Jun'ichi dei V6 come voce di Arren prima e Kazama Shun poi fa sempre gioco alla macchina pubblicitaria, non c'è bisogno che ce lo spieghi Suzuki Toshio, ma il punto di espressionismo recitativo resta. Nel caso di Anno Hideaki, Miyazaki voleva una voce particolare, una voce da intellettuale del passato, ma anche la voce di una persona poco assertiva, anzi proprio remissiva, riservata. La voce di un otaku perfetto, no? A suggerire il nome di Anno Hideaki è stato Suzuki Toshio, manco a dirlo. Il tutto è stato persino documentato e reso pubblico in alcuni dei numerosissimi servizi speciali che la televisione giapponese ha dedicato all'uscita di Kaze Tachinu. Quando Anno ha poi fatto il provino, Miyazaki l'ha subito confermato come voce del protagonista. In particolare gli ha detto che "i doppiatori dicono sempre di aver capito il senso di una battuta, ma poi non hanno capito niente, e la pronunciano in un modo che già avevano in testa". Da direttore di doppiaggio, posso ben capire cosa intende Miyazaki: il modo in cui ogni battuta viene pronunciata dovrebbe essere il frutto diretto del senso della battuta stessa, della situazione, del sentimento che il personaggio prova nel pronunciarla. Ma il doppiaggio vive spesso di manierismo, di 'ciò che piace al pubblico', di 'cosa suona bene', di 'la bella voce fascinosa'. Come Miyazaki, credo che queste siano tutte istanze prive di valore reale. E a conferma di ciò, a dispetto dei miei dubbi iniziali, ho davvero adorato l'interpretazione di Anno Hideaki come una delle cose più belle di tutto il film. Del resto, se un attore, una persona che ha scelto di fare l'attore, è un uomo che in qualche modo vuole esporsi, la psicologia dell'otaku è il contrario: un uomo che si sente a disagio nella società, che vorrebbe nascondersi nella sua introversione. Credo che Miyazaki e Anno, vecchi amici e vecchi colleghi, senpai e kohai, si siano davvero intesi a meraviglia nel dipingere le aspirazioni e le emozioni di un personaggio che in fondo gli assomiglia così tanto. Abbiamo già citato che Anno ha poi dichiarato di aver compreso che «creare un aeroplano e creare un film d'animazione sono un po' come la stessa cosa, nei termini del dare forma a un sogno». E come dicevo, poi ha anche dichiarato che con questo film «Miya-san è diventato un pochino adulto. Solo un pochino». E credo che si siano anche divertiti molto, sicuramente così appare nei molti dietro le quinte che i media giapponesi hanno già diffuso sulla faccenda.

 
A.C.
Il 23 novembre 2013 è uscito nelle sale nipponiche Kaguya-Hime no Monogatari (La storia della principessa Kaguya), il primo film di Isao Takahata dopo Houhokekyo Tonari no Yamada-kun di quattordici anni fa. L'opera era inizialmente prevista per l'estate scorsa, unitamente al nuovo film di Hayao Miyazaki, in una riproposizione della doppietta Tonari no Totoro Hotaru no Haka del 1988. La storia riprende la favola classica Taketori Monogatari, che racconta della Principessa Splendente (Kaguya-Hime), la bambina grande quanto un pollice trovata da un tagliatore di bambù nell'incavo di una canna risplendente. Le scene che si sono potute vedere del lungometraggio sembrano far pensare a un'opera di valore artistico indiscusso, per palati fini, anche se forse non a un blockbuster. Che idea ti sei fatto? Takahata, all'interno della Ghibli, rappresenta davvero l'autore della nostalgia verso un passato perduto? Questa volta si è rifugiato nell'immaginario di una fiaba del decimo secolo ampiamente conosciuta da tutti i giapponesi, rifacendosi inoltre allo stile classico giapponese della celebre serie di rotoli di pergamena illustrata intitolata Chōjū-Jinbutsu-Giga. Un duplice richiamo alla tradizione…
 
G.C.
Partiamo dal contenuto del film in questione, che non ho ancora visto, ma su cui ho cercato di documentarmi quanto più possibile. Si tratta di una rilettura del classico dei classici della narrativa popolare giapponese, in cui un autore intellettuale come Takahata Isao ha cambiato il punto di vista da esterno a interno alla protagonista femminile: la storia non è più quella del tagliatore di bambù che trova e alleva la principessa, ma della principessa che viene trovata e allevata dal tagliatore di bambù. Il regista ha dichiarato che «se Heidi fosse stato ambientato in Giappone, con una protagonista giapponese, probabilmente sarebbe stato così». Dunque credo che, come ai tempi di Hotaru no Haka, Takahata Isao abbia usato l'impianto di una storia precedente, in questo caso sinanco archetipica, per trasfigurarne una riflessione sulla psiche e la sociologia delle persone, in questo caso di una fanciulla. Lo slogan ufficiale del film recita: "Il perpetrato delitto e la pena di una principessa" — in chiara citazione della terminologia del grande classico di Dostoevskij, Il delitto e la pena (erroneamente reso in italiano come Delitto e castigo, ma in realtà inteso dall'autore come una ripresa del titolo del celebre libro di Beccaria, Dei delitti e delle pene), un vero caposaldo della formazione letteraria contemporanea in Giappone, forse per il tenore sottilmente karmiko della storia. Ad ogni modo, quello che si è potuto vedere nei sei minuti del Prologo del film di Takahata, ovvero un'anteprima contenuta in un DVD/BR promozionale distribuito in Giappone in un milione di copie, sembra in effetti coprire tutto lo sviluppo psicologico di una bambina nata 'libera', cresciuta in libertà, per poi giungere sino all'adolescenza e al rifiuto delle convenzioni sociali imposta alla sua femminilità. Non manca la classica scena della corsa in cui la protagonista si spoglia delle vesti costrittive di una civiltà apparente e imposta (così Heidi, così Shoukichi). Ho il sospetto che Takahata abbia anche cambiato il finale della celebre favola, rendendo il 'ritorno alla Luna' della principessa una metafora di un effettivo suicidio di espiazione, un po' a là Petit Prince. Ma queste ultime sono solo le mie suggestioni, illazioni di scarso valore. Di certo invece c'è il bellissimo brano canoro del film, intitolato Le memorie della vita (Inochi no Kioku), dove la delicata ma penetrante voce di Nikaidou Kazumi recita: «Ogni cosa d'adesso è ogni cosa del passato». Mi resta sempre un forte senso di riconsiderazione dell'esperienza di vita di una persona.
 

 
Sull'estetica, lo stile grafico del film. Takahata, oltre a essere un raffinato intellettuale e un grande appassionato di musica, è anche un cultore e uno studioso dell'arte classica giapponese. Ha pubblicato studi (in un libro eloquentemente intitolato: L'animazione del dodicesimo secolo) in cui esprime la sua convinta opinione secondo la quale tutta l'estetica di manga e anime discenderebbe in effetti dalle pitture giapponesi antiche, 'narrative' su rotolo (dette emaki), come quella che tu citavi, prima ancora che dalle stampe ukiyo-e. Ora, con questa sua ultima fatica cinematografica, Takahata è riuscito a vivificare più che mai il suo credo, realizzando un intero film animato con lo stile grafico di quelle pitture. È riuscito a far animare dei disegni dai tratti ruvidi e discontinui come quelli di un pennello, o di uno schizzo eseguito con una matita molto morbida. L'impatto è, quantomeno per me, incredibile. Da un punto di vista schiettamente tecnico, viene solo da chiedersi come sia stato possibile farlo: per come funziona l'animazione disegnata, in teoria sarebbe pressoché infattibile! Da un punto di vista artistico, è semplicemente strabiliante: disegni di un'intensità espressiva che appare ai miei occhi come mai raggiunta prima. Ogni singolo sguardo della protagonista mi sembra spazzare via per schiettezza, profondità e comunicatività qualsiasi disegno abbia mai visto animato su uno schermo. Sono impietrito. Takahata ha dichiarato espressamente che piuttosto che concentrarsi sulla "descrizione dei dettagli", si è focalizzato sulla "comunicazione delle sensazioni". È come guardare lo schizzo preparatorio di un'opera d'arte: meno compiuto e patinato dell'opera finale, ma tanto più poderoso. Il nerbo del polso dell'artista pare direttamente impresso sulla carta. Qui è la stessa cosa, tant'è che anche l'effetto degli sfondi, degli ambienti, tutti delicatamente acquerellati, è proprio quello di sentirsi immerso nel mondo della narrazione, piuttosto che di ammirare un disegno minuzioso.
 
Personalmente non vedo l'ora di vivere l'esperienza di vedere questo film al cinema. Valutando quel che so del suo contenuto e della sua forma, non credo che Takahata si sia adagiato in alcun modo su nulla come la maniera della tradizione, anzi tutto il contrario: ha spinto la sperimentazione artistica nel campo dell'animazione travolgendone ogni canone. Questo comporta anche il rischio di irretire il pubblico abituato da sempre a un certo tipo di animazione giapponese, anche e soprattutto in Giappone. E mi pare peraltro che Kaguya-Hime no Monogatari sia anche il film animato giapponese più costoso di sempre. Prodotto con la spinta di un finanziatore mecenate che più che al profitto era interessato «a vedere un ultimo film di Takahata Isao prima di morire» (e purtroppo non ce l'ha fatta, venendo a mancare durante il lungo corso della realizzazione della pellicola), costato al suo regista ben otto anni di lavoro, con una prima sceneggiatura prevedeva una durata di tre ore e mezza, poi ridotta a 'soli' 137 minuti: questo film sembra del tutto impossibilitato a coprire le sue spese di produzione, da sempre. Si tratta di un film davvero monumentale, fatto con il più puro spirito espressionista e intellettualmente comunicativo, come è nello stile di Takahata Isao, che proprio per questo è sempre stato uno sperimentatore. Ho la sensazione che Kaguya-Hime no Monogatari si rivelerà nel tempo la più grande svolta nella storia dell'animazione giapponese (e mondiale) dai tempi di Hols no Daibouken.
 

 
A.C.
Anche per Takahata gli anni si fanno sentire. Viene spontaneo chiedersi del futuro della carriera di Tahakata, allora. Certo, non ha mai raggiunto (nel bene e nel male) l'esposizione mediatica mondiale valsa a Miyazaki da Mononoke Hime, quindi non so bene nemmeno se valga fare un paragone. Però i due sono colleghi praticamente da sempre, ha una certa età l'uno e ce l'ha l'altro. È lecito aspettarsi che anche Takahata lentamente sparisca dalla scena, senza che ce ne accorgiamo, in punta di piedi, con la discrezione che gli è sempre stata propria? In fondo, contrariamente a Miyazaki, Takahata non dovrebbe 'spiegare' niente a nessuno, o quasi.
 
G.C.
Takahata Isao non è un regista adatto a questi tempi. Miyazaki Hayao lo è stato e lo è a tuttora, con la sua fantasia debordante che è davvero perfetta per una società postmoderna tutta intenta a darsi all'escapismo trovando nei miti d'infanzia un rifugio dalla crescita personale e sociale. Soprattutto, poiché Miyazaki Hayao è una persona intelligente e artisticamente responsabile, nonché dotata di uno squisito senso estetico, i suoi film sono dei perfetti giocattoli che includono un intrinseco alibi per degli adulti che si vogliano ingannare di non stare guardando dei giocattoli, ma delle 'poetiche opere d'arte'. Al contrario, Takahata Isao è un vero intellettuale, a mio modo di vedere uno dei due grandi intellettuali della storia dell'animazione giapponese (l'altro essendo Tomino Yoshiyuki). Proprio per questo Takahata Isao è stato celebrato negli Anni Settanta e Ottanta, quando la società aveva ancora un piede nella più seria modernità e non era ancora del tutto bollita dal consumismo abulico della postmodernità. Ma inevitabilmente, con l'avanzare di quest'ultima mentalità, la personalità artistica di Takahata si è progressivamente ritrovata in controtendenza, o almeno questo è il mio personale sentore. Inoltre, e questo è invece certo, come molti intellettuali Takahata Isao è un perfezionista estremo, un revisore infinito della sua opera, un pensatore che forse non sente nessuna reale impellenza creativa. È famoso per aver spesso (sempre?) protratto e ritardato drasticamente la realizzazione delle sue opere cinematografiche, sin dai tempi di Hols no Daibouken, capolavoro assoluto e imperituro, ma fiasco commerciale tremendo, con una produzione che si era ingigantita contro ogni preventivo di tempo e di denaro. Quindi, benché al contrario di Miyazaki si sia espressamente votato a non dichiarare il suo ritiro, non credo davvero che Takahata Isao avrà modo di dedicarsi a un nuovo film, specie considerando che il suo ultimo capolavoro gli è costato appunto otto anni di lavoro. D'altro canto, però, Takahata è un regista di animazione che non disegna di suo pugno, non è un animatore, quindi forse per lui la realizzazione di un lungometraggio è comunque meno fisicamente gravosa che per Miyazaki Hayao, quindi chissà… la popolazione giapponese mostra da sempre vecchietti estremamente longevi e molto arzilli!

 
 
A.C.
Un'ultima domanda sul futuro dello studio Ghibli. Dopo la tragica scomparsa di Yoshifumi Kondou, e a parte i margini di miglioramento di Gorou Miyazaki, la cui poetica non è forse ancora ben definita, lo studio sembra essere in buone mani, se pensiamo all'incoraggiante affacciarsi sulla scena di nuove leve come Yonebayashi (Karigurashi no Arrietty). Sei tranquillo anche tu, in prospettiva?
 
G.C.
Da un punto di vista artistico, potremmo dire che Yonebayashi Hiromasa, animatore di talento e spicco formatosi in seno allo studio Ghibli e poi promosso alla regia, potrebbe essere un erede di Miyazaki Hayao, di quella concezione artigiana di regia d'animazione. Sicuramente Arrietty, nato da un antico progetto di Miyazaki stesso, si è dimostrato come un film delicato e gentile, molto sensoriale ed estremamente 'animato', proprio come nella tradizione miyazakiana. Il prossimo film di Yonebayashi, in uscita in Giappone proprio quest'anno e intitolato Omohide no Marnie (tratto dal libro di narrativa inglese When Marnie Was There), potrebbe darci presto conferma dell’effettivo talento del giovane regista. Ai suoi antipodi abbiamo Miyazaki Gorou, che differentemente dal padre ha una personalità molto più intellettuale che grafica, che non è un animatore e che valuta la realizzazione di un film in primo luogo come un'istanza comunicativa. In effetti proprio Miyazaki Gorou è probabilmente il più grande estimatore di Takahata Isao che io possa immaginare, cosa piuttosto evidente nello stile dei due lungometraggi da lui firmati, l'acerbo ma comunicativamente poderoso Ged Senki (I racconti di Terramare) e l'assai più raffinato Coquelicot-Zaka kara (Dalla Collina dei Papaveri), che, pur basato non solo su un antico progetto del padre, ma anche sviluppato da una sua sceneggiatura realizzata appositamente per il film, pure si discosta drasticamente dalle atmosfere trasognate tipiche delle produzioni di Miyazaki Hayao. Personalmente sono un grande estimatore di Miyazaki Gorou, che vedo come l'unico possibile successore di Takahata Isao: un regista che fa animazione non 'per fare animazione' in quanto tale, ma per usare l'animazione in una comunicazione culturale reale.

 
Gli eredi dei due grandi maestri, quindi, tutto sommato potrebbero già essere emersi. Tuttavia, al di là delle preferenze personali, credo che la questione sia ben altra. Il fatto è che il modo produttivo (o modello di business) dei film dello Studio Ghibli, realizzati artigianalmente con quella qualità da mani giapponesi, risulta oggi anacronistico. Il mondo dell'animazione giapponese è cambiato perché al giorno d'oggi non è più possibile produrre disegni animati di alta qualità realizzati al 100% manualmente in Giappone e rientrare dei costi di produzione. L'uso del computer e la delocalizzazione del lavoro sono subentrati anche in questo settore, spesso come mali necessari. La cruda realtà è che l'animazione 'fatta a mano' è un lavoro duro ed estenuante, tipico da paesi ancora in fase si sviluppo economico, di 'boom di produttività'. Per intenderci: fino agli Anni Ottanta le produzioni americane delocalizzavano il lavoro bruto dell'animazione in Giappone, quando il Giappone viveva ancora dell'inerzia del superlavoro del miracolo economico postbellico, ma quel periodo storico per il Giappone è finito. L'animazione giapponese ha quindi dovuto rinnovare il proprio modello di business, oltre ad essere andata incontro a una crisi di tipo creativo: i nuovi giovani giapponesi non riescono a vedere il mondo professionale dell'animazione come un mondo in cui trovare il lavoro che gli permetta di sostentarsi in una società ormai ricca e affermata come quella giapponese. Chi lo fa, lo fa perché è lui stesso un appassionato di animazione a priori, ma come risultato il mondo dell'animazione risulta sempre più autoreferenziale e sterile. Non ci sono nuovi autori realmente maturi, adulti, portatori di un pensiero giovane ma serio e assertivo, come poteva essere ai tempi del giovane Takahata, o del giovane Tomino, o del giovane Miyazaki Hayao. Questa tendenza ha in effetti già iniziato a manifestarsi quando la prima generazione di ragazzi dell'anime boom giapponese (fine '70, inizi '80) ha iniziato a passare dal lato dei consumatori a quello degli autori, e sto pensando a autori come a Anno Hideaki e studi come la GAINAX, in primis.
 

Quando i giovani Takahata Isao e Miyazaki Hayao iniziavano a muovere le loro prime mosse nel mondo dell'animazione, ai tempi di una Toei Douga scossa dalle lotte sindacali degli 'operai' animatori, erano spinti da una grande motivazione personale. Nel 1968 uscì il primo capolavoro figlio di quelle straordinarie energie: si trattava del lungometraggio Taiyo no Ouji – Hols no Daibouken (trad: "La grande avventura di Hols, il principe del Sole"). Il giovane regista Takahata voleva fare un film d'animazione che non fosse rivolto, per stile e contenuti, ai soli bambini. Il giovane animatore Miyazaki voleva fare un film d'animazione di alta qualità, che non sembrasse un sottoprodotto a confronto con l'animazione occidentale. Erano due giovani molto influenzati dalla cinematografia europea, più che dalla tradizione disneyana, e volevano usare il mezzo espressivo chiamato animazione per realizzare, con la loro opera artigianale, un prodotto dal contenuto culturale e artistico. Ci riuscirono: il loro capolavoro, con una produzione durata tre anni invece che gli otto mesi preventivati, benché condannata al fiasco commerciale cambiò per sempre il mondo dell'animazione giapponese. Hols no Daibouken era stato realizzato con grande maestria, con grande sforzo, con grande impeto artistico, racchiudendo al tempo tutta l'esperienza dall'ancora giovane animazione giapponese e spingendola a un tempo oltre i suoi limiti. Ma i tempi da allora sono molto cambiati. Se ci pensiamo, l'animazione disegnata è davvero un lavoro come a cavallo tra artigianato e industrialità. La mole di lavoro manuale svolto dai singoli artigiani coinvolti è impressionante. Fare dei lungometraggi animati alla 'vecchia maniera', come ha sempre continuato a voler fare lo Studio Ghibli, comporta oggi dei costi tanto esorbitanti che i film così prodotti hanno poi l'effettiva necessità di risultare non solo grandi successi di pubblico, ma dei veri e propri fenomeni. Infatti, se lo Studio Ghibli ha potuto sino ad oggi continuare a produrre i suoi film è stato solo per l'anomalia intrinseca alla produzioni firmate Miyazaki Hayao, un autore ormai tanto consacrato in Giappone da costituire una categoria a sé stante nel suo stesso ambiente e capace di generare incassi pressoché 'fuori scala' per il tutto settore. Ma esaurita questa cornucopia, dubito che lo Studio Ghibli potrà continuare ad esistere come noi lo conosciamo. Del resto lo Studio Ghibli era nato espressamente con l'intento di produrre e realizzare i film di Miyazaki Hayao, quindi non trovo realmente sbagliato o triste che il marchio possa o debba estinguersi con la firma del suo fondatore. Personalmente, amo le cose compiute, che hanno un loro inizio e una loro fine ben definiti. Ho sempre apprezzato Miyazaki Hayao anche per il suo essere un autore che non crea 'universi narrativi' in cui ambientare interi cicli di storie, quanto piuttosto opere uniche, singolari, definite. Senza mai seguiti (e non si citi il cortometraggio Mei e il Gattinobus, per favore, che era e resta pressoché un divertissement), senza mai spin-off, senza propaggini di contorno. Così deve essere. E se pensiamo il tutto in logica frattale: così un film, così il suo studio di produzione. Miyazaki Hayao è un animatore e poi un regista che con la sua infaticabile opera e la sua straordinaria inventiva è riuscito a dimostrare al mondo intero che l'animazione giapponese può proporre prodotti di elevata qualità artistica e contenuto culturale di spicco. Credo che questo sia sempre stato un po' il suo sogno, fin dai tempi di Hols: affermare l'animazione giapponese come un prodotto di alto livello. Oggi possiamo forse dire in tutta onestà che c'è in effetti riuscito: al di là del riconoscimento internazionale, al di là della consacrazione in patria, credo soprattutto che l'eredità di una simile impresa titanica perdurerà nelle generazioni a venire, perché tutta l'animazione giapponese e il suo pubblico sono stati fortemente influenzati dall'autorevolezza stilistica dell'opera dello Studio Ghibli e di Miyazaki Hayao. In questo senso, si potrebbe ora dire che il titolo di anime no kami (il dio degli anime) gli spetti davvero di diritto.


Venendo incontro alle richieste, la prossima settimana troverete su questi lidi il PDF completo dell'intervista/dialogo. Speriamo il pensiero vi sia gradito. La redazione ne approfitta per ringraziare vivamente Shito. L'appuntamento, con tutti voi, è al cinema per ammirare infine Kaze Tachinu.