Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo ai live action, con Thermae Romae, Itazura Na Kiss - Love in Tokyo e Space Battleship Yamato.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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Il film di "Thermae Romae", basato sul manga omonimo di Mari Yamazaki, esce nel 2012, mentre il manga è ancora in corso di serializzazione, e per questo presenta una storia un po' diversa, ma non per questo meno godibile.
Ambientato nel periodo di massimo splendore dell'Impero Romano, il film ha per protagonista Lucius Modestus (interpretato dal bravo Hiroshi Abe), un architetto romano specializzato in bagni termali. A corto di idee, mentre si fa un bagno, finisce per qualche strano motivo nel Giappone moderno, dove scopre gli usi del popolo giapponese, che impiega una tecnologia molto più avanzata di quella dei Romani. Tornato a Roma nel suo tempo, mette in pratica queste idee rinnovando il modo di fare il bagno alle terme, diventando molto famoso, al punto che lo stesso imperatore Adriano ne richiede i servizi.
Il film inizia allo stesso modo del manga, ripresentando le stesse situazioni in modo molto simile, ma dopo un po' inizia a prendere una direzione tutta sua, che porta la storia su nuovi binari. All'incirca si può dire che il film copre gli eventi del manga fino al volume 3.

La cosa interessante è che il film è stato girato in gran parte proprio qui in Italia, nella storica Cinecittà, e il cast è pieno di attori italiani (credo, o comunque europei), mentre solo i ruoli più importanti sono affidati ad attori giapponesi. Questo fa all'inizio uno strano effetto, perché Abe che interpreta Lucius è chiaramente giapponese, ma quando finisce in Giappone viene chiamato "lo straniero". E' anche strano vedere un imperatore Adriano giapponese, ma bisogna scendere a compromessi, e dopo un po' ci si fa l'abitudine. Del resto gli attori non giapponesi nel film sono tutti doppiati (nella versione originale), e non si poteva fare tutto il film doppiato, poiché l'effetto non è il massimo.

La colonna sonora è piena di brani lirici delle opere più famose, come "La traviata" o "L'Aida", che ci stanno anche bene, ma comunque non ci azzeccano molto con le scene in cui sono messe, ma immagino che faccia più "Italia" rispetto a brani qualsiasi.

Buona è anche la costruzione dei vari set, che rendono bene le atmosfere della città per quelle che sono le ricostruzioni che si possono ricavare dai dati storici. Ogni tanto comunque qualche scena panoramica, tipo nel finale, puzza un po' troppo di CG, ma anche qua, chiudiamo un occhio.
Perché? Perché alla fine il film è godibile e divertente. Dura quasi due ore, ma scivolano via, senza che il film risulti pesante o noioso. E' divertente vedere come Lucius cerchi di comprendere la cultura giapponese, stupendosi di ogni cosa, al punto tale da commuoversi. Inoltre, anche se la storia presenta delle differenze con quelle del manga originale, il film ne riesce a cogliere l'essenza, ricreandone bene l'atmosfera. E le differenze aiutano lo spettatore che magari ha letto il manga, che quindi può godersi il film senza sapere già come finisce, ma soprattutto fanno comodo allo spettatore che non conosce il manga e può godersi il film, che risulta comunque comprensibilissimo.

Detto questo, lo consiglio proprio a tutti, perché è un film adatto a ogni tipo di pubblico, non solo a chi guarda anime e legge manga. E' un ottimo film da guardare per farsi due risate in famiglia, e per questo spero che ne esca presto la versione doppiata, dato che il film merita; sarebbe un peccato che la barriera linguistica possa impedirne la visione a un pubblico più generalista non abituato ai sottotitoli.

-Ci rivedremo?
-Si, ci rivedremo sicuramente, perché tutte le strade portano a Roma.



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La concezione dell'amore romantico vuole spesso che gli amanti si sentano predestinati l'uno all'altro, tanto da riconoscersi sin dal primo sguardo. E sguardo dopo sguardo, e sorrisi, e gesti e l'aria che profuma di magia, ecco l'amore che sboccia. Eppure, molti di noi abbiamo un'insana disposizione ad affezionarci anche a storie d'amore travagliate, che superano ogni ostacolo e si insinuano con difficoltà fino a far breccia. Perché l'amore vero non si lascia abbattere e deve dimostrarci che è così.
E allora eccoci qui a parlare di Itazura na kiss, il manga ideato da Kaoru Tada nel 1991. La fortunata serie fa parlare tutt'ora, e "Mischievous Kiss - Love in Tokyo"' è l'ultima fatica ispirata al famoso titolo, la cui traduzione è "Tutto iniziò con un bacio". Viste le numerose trasposizioni di questa amata storia, ci vien subito da pensare: In cosa si distinguerà quest'altra?

Ebbene, Love in Tokyo è stavolta ambientata nella capitale nipponica ai giorni nostri. E' dunque una versione rivisitata in chiave moderna, che non manca di novità anche nella caratterizzazione dei personaggi. Infatti le vicende pur seguendo in linea generale la storia originale, cercano di dare un taglio personale ai personaggi, dei quali vengono sviluppate le riflessioni introspettive. Peccato che di questa impronta nuova e originale se ne fa ben poco avendo una sceneggiatura piuttosto magra. Magra è il termine giusto, poiché si sa', un racconto che si regga per bene sui suoi piedi ha bisogno di un percorso narrativo ben articolato, fatto di tante piccole vicende che messe insieme creano delle relazioni tra i personaggi, e perciò recano un senso alle dinamiche che avvengono tra essi. Oltretutto, un attento percorso narrativo richiama il coinvolgimento dello spettatore - che in questo caso sarei io - che vive delle scenette tra i due giovani protagonisti - che per la cronaca sono Irie-kun e Kotoko-chan - e invece no! In circa quattro o cinque episodio si riesce a riassumere in quattro e quattr'otto gli anni del liceo, per poi proiettare i protagonisti direttamente alla vita adulta. E a me, che da accanita fan di questa serie me la sono sorbita in tutte le salse-manga, salse-drama, salse-anime, perché mi si rimane a bocca asciutta?

Facendo un passo indietro torno alla storia, che come avrete senz'altro inteso in Love in Tokyo non mi ha certo saziata come avrebbe dovuto. Irie è il bell'imbusto della scuola che fin dal primo giorno di liceo cattura l'attenzione della sciocca e sgraziata Kotoko - insomma, lei ha avuto un colpo di fulmine per il più bravo della scuola. L'ingenua liceale cova il suo amore confidandolo alle sue due amiche, che pur essendo intelligenti quanto due capre vestite, hanno il buon senso di dirle di darci un taglio. E invece la tenace Kotoko continua a coltivare il suo desiderio d'amore - e in aiuto gli viene una pioggia di meteoriti che sembra imperversare su tutta la città a causa sua! - fin quando non si fa coraggio e consegna a Irie la propria lettera d'amore per lui. Come da registro lui nemmeno la legge, ma il caso vuole che i loro genitori, insospettabili amici d'infanzia, si trovino a voler coabitare quando - udite, udite - una meteora solitaria rade al suolo la nuova abitazione di Aihara Kotoko.
Insomma, Kotoko insisterà a tampinare il soggetto delle sue attenzione, incentivata dall'invadente madre di Irie, mentre quest'ultimo la rifiuterà con freddezza. Come dicevo poc'anzi, le piccole scaramucce e i momenti dell'inizio di questo incubo amoroso sono ridotte all'osso, alcune saltate, altre sintetizzate ai minimi termini. Il che è una grave pecca in quanto questi tagli rendono maggiormente incomprensibili le cause insite nella costante attenzione di Kotoko verso Irie. Cioè fanno sembrare Kotoko ancora più stupida e morbosa di quanto possa sembrare di già! Seppure nel copione di Irie si prevede la sua insofferenza o impassibilità nei confronti dell'allegra molestatrice, nella prima metà della serie non vengono creati ad arte gli episodi in cui si trovano a stretto contatto e che in qualche modo fanno svolazzare il cuore di Kotoko quanto i nostri. Ma la colpa non è del tutto della sceneggiatura! Direi che in buona parte si deve a Yuki Furukawa la sua incapacità di fare il "figo" che seppur dotato di un'incrollabile freddezza riesca a comunicare fascino e magnetismo. Il suo Irie sembra per lo più uno stocca fisso lobotomizzato. La sua controparte femminile interpretata da Honoka Miki è stata senz'altro più entusiasmante e, seppure con qualche imperfezione probabilmente dovuta alla giovane età dell'attrice, riesce senz'altro a catturare con la sua tremenda dolcezza. Una particolare menzione la meritano anche due attori secondari, Yoji Tanaka e Yuki Yamada. Il primo interpreta il Signor Aihara, padre di Kotoko, un uomo mite, umile e saggio, che con la propria presenza ha recato al drama un tocco di solennità e serietà che altrimenti sarebbe stata del tutto assente. Il secondo è il giovane interprete di Kinnosuke, l'eterno innamorato di Kotoko, che per ironia del destino non viene ricambiato. Ecco, a proposito di Kin-chan e Kotoko vanno spese due paroline proprio perché il drama - rispetto ad altre versioni - si avvale di una profonda descrizione di questo rapporto univoco. In Love in Tokyo vediamo una Kotoko che forse inconsapevolmente incentiva l'infatuazione di Kin-chan attraverso sorrisi, belle parole sulla direzione del proprio futuro e piccoli momenti assieme - oltre alle costanti dichiarazioni di lui, che lei non si da cura di rifiutare. Il personaggio di Kinnosuke ha ottenuto un notevole attenzione, al punto da renderlo il personaggio vincente di questa serie.

Detto ciò, il giudizio dei doramisti è unanime: la migliora trasposizione di Itazura na kiss è senz'altro quella taiwanese che vede Ariel Lin e Jow Cheng in It started with a kiss e They kiss again, rispettivamente del 2005 e del 2007. Eppure, quest'ultimissima serie riesce a far parlare di sé, forse oscurando la precedente versione giapponese del 1996 (ormai difficile da reperire) e anche la serie coreana che ha lasciato il tempo che trova nella memoria degli spettatori. Sarà per il tocco di modernità, per la fotografia luminosa aiutata da delle discrete ambientazioni, comunque sia "Mischievous kiss - Love in Tokyo" ha catturato l'attenzione, tanto da confermare una seconda stagione che si impegnerà a narrare le vicende matrimoniali di Kotoko e Irie. Non posso dire di aspettare con ansia il proseguo, ma darò un'occasione a questa nuova serie sperando che a livello narrativo ci siano miglioramenti come si erano ravveduti negli ultimi episodi del drama.



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Il film "Space Battleship Yamato", kolossal fantascientifico giapponese uscito di recente anche nei cinema italiani, è un rifacimento in chiave più moderna e con attori in carne ed ossa di un vecchio classico dell'animazione nipponica, la serie "Corazzata spaziale Yamato", firmata negli anni '70 dal maestro Leiji Matsumoto.
Non ho mai avuto l'occasione di approcciarmi alla serie originale, né in formato manga né a cartoni animati, quindi lascerò agli esperti i confronti fra il film e l'anime, concentrando la mia analisi soltanto sul lungometraggio.

E' un film di ampio respiro e di gran fascino, che fonde perfettamente il classico e il moderno per creare una storia epica e toccante, e che lascia decisamente il segno.
Il viaggio della nave spaziale Yamato alla ricerca di una flebile speranza di salvezza per la Terra del futuro, fra "warp" interstellari e battaglie a colpi di cannoni futuristici contro orde di astronavi aliene, affascina e colpisce, dimostrandosi una buona base per creare una storia avvincente e spettacolare, ricca di effetti speciali, sparatorie e combattimenti spaziali degni del miglior "Guerre Stellari". Dietro la sua apparenza da spettacolare film d'azione e fantascienza,"Space Battleship Yamato" nasconde, però, diversi, interessantissimi, spunti di riflessione che ne tradiscono le origini nipponiche, differenziandolo dai blockbuster hollywoodiani che cerca di imitare (peraltro, riuscendoci perfettamente).
Già il nome della nave spaziale del titolo parla chiaro. "Yamato". Come il nome dell'antichissimo regno dal quale si sarebbe poi, gradualmente, sviluppato il Giappone. Ma anche come la più grande nave da guerra mai realizzata, che, fra il 1941 e il 1945, solcò i tumultuosi mari della Seconda Guerra Mondiale. Una corazzata enorme, possente, dal tragico destino (fu affondata nel 1945 da un attacco aereo americano), che sin dalla sua costruzione è stata ammantata da un carisma quasi mitologico. Del resto, nei suoi primi anni di servizio fu la nave dell'ammiraglio Yamamoto Isoroku, eroe di guerra divenuto leggenda al pari della sua splendida imbarcazione, al punto da far credere ai Giapponesi che non avrebbero mai potuto perdere la guerra fintanto che la Yamato avesse solcato il mare.
Non stupisce, dunque, che la potente corazzata Yamato abbia continuato ad accendere le fantasie dei Giapponesi ben oltre la fine della guerra, al punto che Leiji Matsumoto le ha dedicato un'epica storia diventata un caposaldo del fumetto e dell'animazione giapponese, e che rivive dopo un trentennio in questo bel film. La corazzata spaziale Yamato è, infatti, la Yamato stessa, il cui relitto è stato recuperato e trasformato in astronave. Se, durante la guerra, quella enorme e potente nave era la più grande speranza di una nazione che voleva primeggiare e trovare il proprio posto nell'equilibrio mondiale, non stupisce che allo stesso modo, millenni dopo, nell'universo fittizio esplorato dal film, sia il Giappone, con la versione futuristica di quella stessa nave, a rappresentare l'ultima speranza di salvezza della Terra tutta.

C'è molto della Seconda Guerra Mondiale dietro "Space Battleship Yamato", che, in più aspetti, ricorda i classici film di guerra giapponesi, qui ripresi in una versione più moderna e d'ambientazione spaziale.
Tema centrale della storia è la crescita personale del protagonista Susumu Kodai e il dualismo che lo contrappone a Okita, il capitano della Yamato. Il rapporto fra i due personaggi è uno degli elementi più tipicamente giapponesi del film, nonché, forse, uno di quelli di maggior fascino. Pochissime parole, pochi ma significativi gesti, molti saluti militari e molti tormenti compongono il toccante racconto del legame fra un capitano e il suo secondo. Un rapporto fatto di iniziale ostilità (Susumu accusa Okita di aver lasciato morire suo fratello Mamoru, sacrificando la sua nave in una precedente battaglia) che si fa via via sempre più profondo e sentito.
Malinconica, nostalgica, tormentata, carismatica, sofferta, dotata di fascino, potenza, una misteriosa saggezza e una sorta di paterno calore nascosto dietro un'apparenza fredda e insensibile, la figura di Okita, con la lunga barba bianca e il cappello da capitano calcato sugli occhi, torreggia su tutti gli altri personaggi nonostante venga mostrato relativamente poco. Inflessibile, severo e impenetrabile, ma dall'animo nobile e sofferto, Okita è il non plus ultra degli eroi di guerra giapponesi di un tempo, quelli che addestravano con durezza i propri sottoposti ed erano pronti a morire per la patria, quelli che si mostravano sempre fieri e impeccabili e si concedevano di essere sentimentali e versare lacrime, aprendo un piccolo spiraglio di emotività, unicamente davanti a un bel paesaggio e con un bicchierino di saké in mano. La sua storia personale e i suoi tormenti, svelati poco a poco, contribuiscono a dipingere un affresco di un uomo d'altri tempi dal fascino straordinario.
Se Okita incarna tutto il fascino dei classici eroi di un tempo, il protagonista Susumu è solo apparentemente più moderno. Al di là del bel faccino, degli addominali scolpiti e dell'atteggiamento sfrontato e guascone, infatti, Susumu è un personaggio complesso e in continua evoluzione, che si trova a dover mettere da parte il suo spirito ribelle e si scoprirà essere più simile di quanto pensi al capitano barbuto da lui odiato in un primo momento, tanto da riuscire a comprenderne le ragioni e a compiere egli stesso scelte drastiche, sofferte e inevitabili, mettendo la sua missione persino al di sopra della sua stessa vita.

"Space Battleship Yamato" è tragico e passionale come un vecchio film di guerra, ma anche frenetico e spettacolare come un moderno film hollywoodiano. Non si risparmia effetti speciali di grande bellezza, combattimenti adrenalinici, alieni e astronavi, non gli manca nemmeno l'inevitabile sottotrama romantica, che vede come protagonista Susumu e la sua compagna Yuki, bellissima (ad un certo punto della storia, posseduta temporaneamente dagli alieni, cambia colore di occhi e capelli, e diventa stupenda), dura in apparenza ma in realtà fragile, dolce e bisognosa del suo amore.
Ha un gran bel cast, "Space Battleship Yamato". Susumu e Okita sono chiaramente i personaggi che spiccano maggiormente, ma vengono affiancati da una nutrita schiera di azzeccatissimi comprimari a cui si riesce ad affezionarsi con inaspettata facilità, nonostante alcuni di loro vengano dipinti con pochissimi, ma efficaci, tratti.
Un destino, quello della corazzata spaziale Yamato e del suo equipaggio, epico, solenne, tragico. Un viaggio straordinario fatto di cameratismo, emozioni, battaglie, amori, rivelazioni, incontri e, inevitabilmente, addii. Del resto, quella dei Terrestri contro l'ambigua razza aliena Gamilas è una guerra e, come disse tempo fa un carismatico personaggio giapponese a cartoni animati, "a volte i guerrieri perdono"...
Unico neo in un affresco che rimane comunque splendido e toccante è proprio la caratterizzazione dei cattivi, gli enigmatici alieni Gamilas, che finisce un po' buttata in una spiegazione non molto chiara e dalla deriva pseudo-filosofica come piace tanto ai Giapponesi. Non importa, però, granché, di loro, perché la scena è tutta per i Terrestri, gli umani, deboli, complessi, tormentati, splendidi eroi a bordo della Yamato, che affascinano con la loro storia e la loro missione carica di speranze ed emozioni, fra goliardiche bevute nel bar della nave e i solenni saluti militari con cui, a testa alta, vanno incontro al loro incontrovertibile destino.

Un grande spettacolo di azione e di emozioni, quello di "Space Battleship Yamato", che non sfigura affatto in confronto ai grandi blockbuster di fantascienza a stelle e strisce, a cui fa il verso con una spettacolarità degna di "Guerre Stellari" e una colonna sonora eroica ed esaltante in stile "Armageddon". Del resto, il microfono per accompagnare i titoli di coda l'han dato proprio a Steven Tyler, che regala al film giapponese "Love lives", un pezzo intenso e coinvolgente, una canzone che celebra l'amore allacciandosi perfettamente alla trama del film e al suo finale e in cui risuonano echi di quella splendida "I don't wanna miss a thing" che Tyler cantava nel 1998, un po' colonna sonora simbolo dei grandi blockbuster spaziali di Hollywood.
La recitazione è seria e convincente, e anche il giovane Takuya Kimura, idol molto popolare in Giappone che interpreta il protagonista Susumu, si rivela essere serio e preparato, capace di offrire ben più di un bel faccino al suo personaggio.
Molto buono il doppiaggio italiano, come quasi sempre accade quando ci sono di mezzo gli studi milanesi e grandi voci come quelle di Ivo De Palma (anche direttore del doppiaggio), Elisabetta Spinelli e Tony Fuochi (la cui voce seria e possente è quanto di più azzeccato possa esistere per un personaggio di gran peso come Okita).

"Space Battleship Yamato" è un film commovente, epico e avvincente, che potrà far felici sia i fan della fantascienza, delle astronavi e delle esplosioni/sparatorie, sia i fan del Giappone, che possono ritrovare qui molti aspetti della cultura del loro amato Paese, siano essi la solenne tragicità dei classici film di guerra o la riproposizione in carne ed ossa di uno dei cartoni animati nipponici più amati.