Con The Evil Within Shinji Mikami torna al genere che l’ha reso famoso, dopo quasi 10 anni dall’ultimo suo survival horror, Resident Evil 4 nel 2005, ed alcune buone divagazioni, God Hand e Vanquish, il noto game designer si è rimesso in gioco cercando di tornare una figura di spicco di questa tipologia di giochi. C’ è riuscito? Continuate a leggere questa recensione, basata sulla versione PlayStation 4 del gioco, per scoprirlo!
The Evil Within ha avuto una genesi abbastanza travagliata, nel marzo 2010 Mikami fonda il team Tango Gameworks dopo aver lasciato Platinum Games, solo però a distanza di 2 anni circa viene annunciato lo sviluppo del primo titolo provvisoriamente chiamato Project Zwei. Con il passare del tempo il gioco cambia nome in The Evil Within, o Psychobreak in Giappone, ma soprattutto comincia ad assumere una propria identità che fa ben sperare considerando anche chi ne è l’autore. Gli appassionati di Resident Evil erano rimasti delusi dalla saga dopo l’ abbandono della direzione da parte di Mikami, questa poteva quindi essere l’ occasione per tornare ai fasti di un tempo.
Il gioco ci vede vestire i panni di Sebastian Castellanos detective nella città di Krimson City. Lungo il tragitto che lo porta in centrale per la fine del turno arriva una strana chiamata che segnala alcuni strani accadimenti al Beacon Mental Hospital, ove sono stati commessi alcuni omicidi e tutti gli agenti inviati sul posto non rispondono più. La pattuglia quindi cambia direzione e si reca all'ospedale, trovando molti cadaveri, a conferma del fatto che c'è qualcosa che non va, e lasciando peraltro intuire immediatamente come l’impostazione stilistica dell'intero titolo sia molto cruda.
Senza spoilerarvi troppo, da una telecamera di sicurezza assistiamo ad una sparatoria tra alcuni poliziotti ed una persona misteriosa in grado di teletrasportarsi, questa scena darà il la alla nostra avventura che si dipanerà tra scenari molto vari e suggestivi intervallati da spezzoni all’interno dell’ospedale. Nella clinica psichiatrica avremo modo di interagire con un’infermiera per salvare la partira, effettuare upgrade, ma soprattutto raccogliere vari indizi sulla trama del gioco che ci porteranno a dubitare pure di noi stessi e della nostra sanità mentale.
La mano di Mikami è ben evidente nelle meccaniche di gameplay, ci troviamo di fronte ad un survival horror in terza persona di stampo classico. Chi ha giocato Resident Evil 4 si ritroverà quindi a casa, chi invece si è avvicinato alla serie solo con gli episodi successivi troverà un titolo meno action degli altri. La minore importanza delle fase d’azione è sottolineata per esempio dal numero limitato di munizioni, scordatevi quindi di giocare “alla Rambo”, sarà invece necessario privilegiare un’ approccio di tipo stealth o, in alternativa, una buona esplorazione dell’ambiente in modo da sfruttare eventuali trappole disseminate nella zona. Queste comunque avranno un doppio utilizzo, chi vorrà potrà sfruttarle a proprio vantaggio per liberarsi di un po’ di nemici senza sprecare munizioni, in alternativa le si potrà disinnescare per ricavarne dei pezzi utili a costruire i dardi per la balestra ed aumentare così il numero di colpi a nostra disposizione.
L’ambiente comunque ci aiuterà pure in altre occasioni, troveremo ogni tanto delle bottiglie utili per distrarre i nemici e proseguire indisturbati, in altri punti invece potremo usare degli oggetti per individuare meglio i nemici. L’ esplorazione ambientale sarà utile anche per semplificarsi la vita, lungo l’ avventura, infatti, avremo modo di trovare delle munizioni (che di regola scarseggiano), ulteriori ingranaggi per costruire i dardi, dei fiammiferi per dare fuoco ai cadaveri dei nemici così da non farli più rialzare, ma soprattutto dei barattoli pieni di un liquido verde (questi vengono rilasciati alle volte pure dai corpi che bruciamo), che serviranno nelle fasi all’interno dell’ ospedale, visto che sarà la moneta utile a potenziare le nostre caratteristiche (barra energetica, recupero, scatto ed altro) e quelle delle armi (precisione, capienza caricatore, velocità di ricarica e danni inflitti).
Da segnalare come il titolo vada parzialmente contro corrente anche per quanto riguarda la difficoltà, non ci troviamo davanti ad un nuovo Demon's o Dark Souls ma comunque il livello è più alto della media, bassina, degli ultimi anni. Tra munizioni scarse, trappole non sempre visibili (per quelle esplosive non è raro notarle solo perché scatta l’allarme sonoro di qualche secondo prima dell’ esplosione) e nemici non sempre collaborativi nel farci proseguire, non sarà raro morire e dover ricominciare un pezzo di gioco anche più volte. Su questo frangente fortunatamente non ci sono solo i salvataggi ma anche dei checkpoint sparsi lungo i livelli. Per effettuare i salvataggi dovremo trovare alcune stanze apposite, identificabili da una musichetta udibile nei dintorni, e all’interno di queste sono presenti degli specchi che, una volta inquadrati tramite la pressione di un pulsante, ci trasporteranno momentaneamente all’ospedale, dove potremo anche potenziarci sedendoci su una sorta di sedia elettrica, e potremo aprire degli armadietti contenenti vari bonus tramite chiavi da trovare in giro per i livelli, ricomponendo inoltre una mappa della zona intorno all’ospedale.
L'impostazione della telecamera, come accennato in precedenza, è in terza persona, nel momento in cui si deve sparare si aziona il classico "zoom" per facilitare le cose, inizialmente la mira non sarà il massimo, ma, potenziando le armi, le cose andranno meglio.
The Evil Within è un titolo cross gen basato sull’ID Tech 5, questo comporta tutta una serie di problemi che purtroppo pesano sull’aspetto grafico del gioco. In particolare, abbiamo un’ impatto buono, dovuto soprattutto ad alcuni effetti come quello della telecamera sporca (che però si può disattivare) o ai filtri particellari, guardando però oltre si nota come tra old e next generation non ci sia un grande stacco come ci si potrebbe aspettare. Nelle prime fasi di gioco è presente qualche incertezza del motore grafico, ma per fortuna andando avanti queste scompaiono; discorso diverso per un minimo di pop up delle texture che comunque non arreca eccessivo fastidio (preferisco concentrarmi sul gameplay che sulla grafica e questo non viene assolutamente rovinato). Le ambientazioni proposte, come detto, sono varie e ben realizzate.
Per quanto riguarda il comparto audio, buono il doppiaggio italiano delle varie voci anche se non sarà tra gli aspetti per cui verrà ricordato, musiche anche di livello accettabile.
The Evil Within ha avuto una genesi abbastanza travagliata, nel marzo 2010 Mikami fonda il team Tango Gameworks dopo aver lasciato Platinum Games, solo però a distanza di 2 anni circa viene annunciato lo sviluppo del primo titolo provvisoriamente chiamato Project Zwei. Con il passare del tempo il gioco cambia nome in The Evil Within, o Psychobreak in Giappone, ma soprattutto comincia ad assumere una propria identità che fa ben sperare considerando anche chi ne è l’autore. Gli appassionati di Resident Evil erano rimasti delusi dalla saga dopo l’ abbandono della direzione da parte di Mikami, questa poteva quindi essere l’ occasione per tornare ai fasti di un tempo.
Il gioco ci vede vestire i panni di Sebastian Castellanos detective nella città di Krimson City. Lungo il tragitto che lo porta in centrale per la fine del turno arriva una strana chiamata che segnala alcuni strani accadimenti al Beacon Mental Hospital, ove sono stati commessi alcuni omicidi e tutti gli agenti inviati sul posto non rispondono più. La pattuglia quindi cambia direzione e si reca all'ospedale, trovando molti cadaveri, a conferma del fatto che c'è qualcosa che non va, e lasciando peraltro intuire immediatamente come l’impostazione stilistica dell'intero titolo sia molto cruda.
Senza spoilerarvi troppo, da una telecamera di sicurezza assistiamo ad una sparatoria tra alcuni poliziotti ed una persona misteriosa in grado di teletrasportarsi, questa scena darà il la alla nostra avventura che si dipanerà tra scenari molto vari e suggestivi intervallati da spezzoni all’interno dell’ospedale. Nella clinica psichiatrica avremo modo di interagire con un’infermiera per salvare la partira, effettuare upgrade, ma soprattutto raccogliere vari indizi sulla trama del gioco che ci porteranno a dubitare pure di noi stessi e della nostra sanità mentale.
La mano di Mikami è ben evidente nelle meccaniche di gameplay, ci troviamo di fronte ad un survival horror in terza persona di stampo classico. Chi ha giocato Resident Evil 4 si ritroverà quindi a casa, chi invece si è avvicinato alla serie solo con gli episodi successivi troverà un titolo meno action degli altri. La minore importanza delle fase d’azione è sottolineata per esempio dal numero limitato di munizioni, scordatevi quindi di giocare “alla Rambo”, sarà invece necessario privilegiare un’ approccio di tipo stealth o, in alternativa, una buona esplorazione dell’ambiente in modo da sfruttare eventuali trappole disseminate nella zona. Queste comunque avranno un doppio utilizzo, chi vorrà potrà sfruttarle a proprio vantaggio per liberarsi di un po’ di nemici senza sprecare munizioni, in alternativa le si potrà disinnescare per ricavarne dei pezzi utili a costruire i dardi per la balestra ed aumentare così il numero di colpi a nostra disposizione.
L’ambiente comunque ci aiuterà pure in altre occasioni, troveremo ogni tanto delle bottiglie utili per distrarre i nemici e proseguire indisturbati, in altri punti invece potremo usare degli oggetti per individuare meglio i nemici. L’ esplorazione ambientale sarà utile anche per semplificarsi la vita, lungo l’ avventura, infatti, avremo modo di trovare delle munizioni (che di regola scarseggiano), ulteriori ingranaggi per costruire i dardi, dei fiammiferi per dare fuoco ai cadaveri dei nemici così da non farli più rialzare, ma soprattutto dei barattoli pieni di un liquido verde (questi vengono rilasciati alle volte pure dai corpi che bruciamo), che serviranno nelle fasi all’interno dell’ ospedale, visto che sarà la moneta utile a potenziare le nostre caratteristiche (barra energetica, recupero, scatto ed altro) e quelle delle armi (precisione, capienza caricatore, velocità di ricarica e danni inflitti).
Da segnalare come il titolo vada parzialmente contro corrente anche per quanto riguarda la difficoltà, non ci troviamo davanti ad un nuovo Demon's o Dark Souls ma comunque il livello è più alto della media, bassina, degli ultimi anni. Tra munizioni scarse, trappole non sempre visibili (per quelle esplosive non è raro notarle solo perché scatta l’allarme sonoro di qualche secondo prima dell’ esplosione) e nemici non sempre collaborativi nel farci proseguire, non sarà raro morire e dover ricominciare un pezzo di gioco anche più volte. Su questo frangente fortunatamente non ci sono solo i salvataggi ma anche dei checkpoint sparsi lungo i livelli. Per effettuare i salvataggi dovremo trovare alcune stanze apposite, identificabili da una musichetta udibile nei dintorni, e all’interno di queste sono presenti degli specchi che, una volta inquadrati tramite la pressione di un pulsante, ci trasporteranno momentaneamente all’ospedale, dove potremo anche potenziarci sedendoci su una sorta di sedia elettrica, e potremo aprire degli armadietti contenenti vari bonus tramite chiavi da trovare in giro per i livelli, ricomponendo inoltre una mappa della zona intorno all’ospedale.
L'impostazione della telecamera, come accennato in precedenza, è in terza persona, nel momento in cui si deve sparare si aziona il classico "zoom" per facilitare le cose, inizialmente la mira non sarà il massimo, ma, potenziando le armi, le cose andranno meglio.
The Evil Within è un titolo cross gen basato sull’ID Tech 5, questo comporta tutta una serie di problemi che purtroppo pesano sull’aspetto grafico del gioco. In particolare, abbiamo un’ impatto buono, dovuto soprattutto ad alcuni effetti come quello della telecamera sporca (che però si può disattivare) o ai filtri particellari, guardando però oltre si nota come tra old e next generation non ci sia un grande stacco come ci si potrebbe aspettare. Nelle prime fasi di gioco è presente qualche incertezza del motore grafico, ma per fortuna andando avanti queste scompaiono; discorso diverso per un minimo di pop up delle texture che comunque non arreca eccessivo fastidio (preferisco concentrarmi sul gameplay che sulla grafica e questo non viene assolutamente rovinato). Le ambientazioni proposte, come detto, sono varie e ben realizzate.
Per quanto riguarda il comparto audio, buono il doppiaggio italiano delle varie voci anche se non sarà tra gli aspetti per cui verrà ricordato, musiche anche di livello accettabile.
The Evil Within rappresenta un piacevole ritorno al passato del genere, per alcuni potrà sembrare un titolo non troppo moderno, gli appassionati di survival horror di vecchia data però lo apprezzeranno proprio per questo. Il titolo di Mikami non è certamente perfetto, ma potrebbe rappresentare una svolta per il genere, perché si abbandona la deriva action presa da molti titoli degli ultimi anni per puntare su altri aspetti che tiravano in passato e la cui assenza ha fatto allontanare parte dell’utenza. La longevità è buona e per concludere l’ avventura, composta da 15 capitoli non tutti uguali, sono richieste circa 20 ore, ma questo dipenderà poi dalle vostre abilità, da quanto sarete dediti all’esplorazione dei livelli (approccio altamente consigliato) e dal livello di difficoltà scelto tra i 2 presenti, una volta terminata sarà poi sbloccato un nuovo livello più estremo per ricominciare l’ avventura. Da segnalare una piccola chicca, il gioco presenta varie citazioni ad altri titoli survival horror, i fan del genere quindi non disegneranno questi omaggi.
Pro
- Ritorno al passato nello stile…
- Buona longevità
- Trama “malata”
- Ambientazioni varie ed ispirate
- Graficamente buono...
Contro
- ...che non tutti potrebbero apprezzare
- Livello di difficoltà settato forse leggermente troppo in alto
- Qualche incertezza grafica soprattutto nelle fasi iniziali
- ...ma dalla next gen ci si aspetta di più
Lo comprerò alla prima occasione, per PS3 però
Il secondo "contro" invece potrebbe essere sensato, un livello di difficoltà troppo elevato è in grado di stimolare alcuni e di frustrare altri... ma il livello di difficoltà non è settabile, come avviene ormai in tutti i giochi?
Un gioco non deve essere ne troppo facile ne troppo difficile. Deve offrire il giusto livello di sfida, ma non deve mai impedire di godersi il gioco rendendolo frustrante o spingendo chi ci gioca ad abbandonare per rabbia o nervosismo. Se succede, la difficoltà è troppo alta.
EvilWithin è uno dei pochissimi giochi che usa le difficoltà in modo sensato, ed è molto chiaro ed onesto in quello che tratta:
cominci con due livelli, hai "casual", che è praticamente facile, o normale in pressochè tutti i giochi, per persone non molto esperte del genere; poi "survival", praticamente "difficile", più ostico e pressante, per chi non è nuovo al genere stealth/survival, tipo chi ha giocato TheLastOfUs a difficoltà elevata o il recente Alien Isolation, poi sblocchi gli altri due più hardcore per masochisti.
Il problema delle difficoltà è che è ormai la norma mettere opzioni per gente che non ha mai tenuto un controller in vita sua, seguito da lunghissimi tutorial su come muovere personaggio e telecamera, per dare spazio al maggior numero possibile di persone, ma TEW è stato pubblicizzato come un "ritorno alle origini", un gioco ispirato ai complessi e snervanti survival di un tempo, e rimane chiaro su quello che vuole essere e quello che vuole dare.
La difficoltà che si deve scegliere in TEW se si vuole giocare un'esperienza più "cinematica" e meno snervante è casual, ma a nessuno piacerebbe essere chiamato casual, e quindi tutti saltano a survival, e dicono che il gioco è difficile dopo aver scelto modalità difficile >__>
@MECHA: definirli ridicoli è una questione di punti di vista, sull' impostazione conosco persone che l' hanno mollato subito rivendendolo perchè "vecchio", in questa ottica mi pare doveroso segnalare quindi il potenziale problema. Per la difficoltà, c' è stato qualche pezzo che ho dovuto ripetere più volte (4/5, non 100 comunque), un conto è la sfida ed un altro è avere difficoltà ad avanzare e questo ad alcune persone potrebbe creare problemi fino ad abbandonarlo
@bbQsauce: non è proprio così secondo me, per "praticità" (mancanza di tempo visto che dovevo chiudere la recensione in tempi "brevi" tra 2 mila impegni compresa Lucca) ho giocato direttamente a livello più basso e qualche pezzo più tostarello l' ho trovato (per esempio il nemico a metà del sesto livello quando rimani intrappolato solo con lui), il problema però non è mio che non ho più la mano per questo genere di giochi ma generale, me l' ha pure confermato un amico che ha giocato a livello più alto ed ha finito sia Demon's Souls che i 2 Dark Souls
La difficoltà è alta all'inizio, poi dopo 4-5 capitoli, una volta capito il meccanismo, imparato a potenziare il personaggio, rientra nella media. Da prendere.
E' uno dei titoli che ho in lista e prima o poi acquisterò, sono più per questo tipo di survival horror che non per quelli moderni, in cui per i miei gusti, c'è troppa azione. Sono pessima a conservare munizioni (fondamentalmente ho una pessima mira e ne spreco tantissime, mi sono bloccata a Dead space per questo motivo), spero che non sia troppo difficile per gli impediti come me!
La grafica è bella, sia chiaro...credo che, in fin dei conti, sono io ad essere abbastanza schizzinoso
Ciao, Tacchan
Apprezzo molto che non sia lunghissima e dia le informazioni fondamentali per la valutazione, trama, giocabilità, durata del gameplay, inoltre è molto apprezzabile che ci si rivolga anche a chi non è un hardcore gamer.
Grazie e ottimo lavoro.
Ciao e grazie,
Andrea
L'atmosfera c'è tutta e il survival è ben implementato, difficile quanto basta a mettere pepe al cu'. La grafica non è niente di eccezionale ma i disegni e la regia recuperano.
Adesso non resta che aspettare anche Silent Hill.
Sul discorso paura, la cosa è soggettiva, personalmente riconosco le tematiche non allegre ma non mi sono impaurito ma lo stesso è capitato anche con PT (la demo del nuovo Silent Hills) giocandola con amici, l' atmosfera comunque per me c' è e spesso conta più di quello che si vede realmente.
Concludo rinnovando i ringraziamenti a chi ha apprezzato la recensione, non sono abituato a scrivere e per me è quindi sempre un' operazione un po' complessa, sapere che vi sia piaciuta mi fa molto piacere
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