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Poter parlare tranquillamente in italiano con chi, come Keiko Ichiguchi, ha vissuto in prima persona tante tappe fondamentali del fumetto nipponico, sia nel Sol Levante che in Italia, non sono cose che succedono tutti i giorni. Abbiamo vissuto questa esperienza singolare ed oserei dire unica durante il Kappa Festival di Ferrara grazie agli amici di Kappalab.
La Ichiguchi ha vissuto infatti il periodo "ruggente" della diffusione delle fanzine amatoriali negli anni ottanta fino al 1988, anno in cui partecipa e vince un prestigioso concorso indetto dalla casa editrice Shogakukan.
Con quest'ultima inizia poi un rapporto di lavoro che termina nel 1994. Nello stesso anno ecco la scelta che segnerà la sua vita: si trasferisce in Italia, la cui lingua aveva studiato all'università. Nel nostro paese la Ichiguchi, grazie all'amicizia instaurata coi Kappa Boys, collaborerà come traduttrice a diversi titoli di successo, nel periodo d'oro del manga in Italia, e ritornerà a intraprendere la carriera di fumettista e a percorrere quella di saggista sia per editori europei che per giapponesi.
Una vita intensa che non potevamo non sviscerare attraverso tante domande e tante curiosità. Una chiacchierata davvero interessante che riproponiamo qui sia in forma scritta che in video.

A: Ciao Keiko, tu sei una delle poche artiste con cui possiamo parlare in Italia di un periodo storico davvero importante per la storia del fumetto giapponese. Ci riferiamo agli anni '70 e '80, periodo in cui hai iniziato a muovere i tuoi primi passi per far parte di questo mondo.

K: In realtà io ho avuto una piccolissima parte in tutto questo e ho lavorato in questo campo in Giappone dalla fine degli anni '80 all'inizio dei '90.

A: Il modello a cui ti sei sempre ispirata è quello degli shojo anni '70, vero? Come mai?

K: Erano la mia passione da bambina, da Candy Candy in poi ne ho letti davvero tanti.
Candy fu un successo enorme anche in Giappone, spingendo tante bambine dell'epoca a cimentarsi nel disegno. Io avevo 10 anni quando iniziai a copiare il manga e ci rimasi male quando vidi che il cartone animato che ne derivò non aveva la stessa bellezza della controparte cartacea, anche se ebbe anch'esso tanto successo visto che fu uno dei primi cartoni animati che mi ricordi destinato quasi esclusivamente ad un pubblico femminile.


05/12/14: Keiko Ichiguchi apre il Kappa Festival al Catello Estense di Ferrara con il classico taglio del nastro rosso.
 

A: Tu però hai iniziato a farti conoscere disegnando storie di Capitan Tsubasa (in Italia Holly e Benji n.d.r.). Come mai visto che era un fumetto che parlava di calcio, sport di solito per maschi?

K: Questo titolo ebbe un successo clamoroso in Giappone e fuori, non ricordo bene come ho iniziato a disegnare queste storie ma di sicuro sono stata attratta dai tanti personaggi che potevo realizzare. Avevo già realizzato la mia prima storia autoconclusiva e originale a 15 anni, poi mi lasciai trascinare a 18 anni dal movimento creato attorno alle fanzine.
Erano i tempi in cui il Comiket iniziava a nascere (il primo Comiket fu organizzato nel dicembre 1975 n.d.r.) e espandersi. Partecipavano quasi sempre club scolastici e circoli, che si producevano i loro fumetti come attività ricretive e cercavano un luogo di scambio.


A: In Italia ormai il Comiket è legato al cosplay, si pensa quasi sia una Lucca Comics più bella perchè giapponese.

K: Ora il cosplay ne è la parte più colorata e rumorosa ma all'inizio il Comiket era semplicemente un luogo di scambio per autoproduzioni scolastiche che poi è esploso successivamente con il movimento legato alle fanzine. In questa "esplosione" Capitan Tsubasa ebbe un notevole ruolo.

A: Capitan Tsubasa fu anche uno dei primi titoli a essere parodiato con storie a sfondo sessuale a quanto sappiamo noi.

K: In realtà questo iniziò già su una rivista chiamata "Auto", che era un punto di riferimento per il nascente fandom anime e manga (i futuri otaku), dove gli autori emergenti potevano mandare le loro storie. Quasi per scherzo si iniziarono a pubblicare immagini di personaggi degli anime in pose sexy cominciando da Char Aznable di Gundam.
L'anime di Tomino era molto popolare e costituiva una grande rottura con il passato, utilizzando anche un vocabolario tutto suo davvero sterminato. Non c'è da meravigliarsi quindi se ispirò anche tantissime parodie comiche, dando il via a un genere!
I fan di Gundam non si limitarono solo a fare fumetti ma furono anche tra i primi a riunirsi per condividere con altri la loro passione. Nella mia città, Osaka, ad esempio c'era solo una libreria molto grande che vendeva fumetti (non esistevano negozi che vendevano solo manga) e tutti gli appassionati si riunivano lì.
Ora che mi fai ricordare io iniziai a collaborare con il mio primo gruppo fanzine disegnando storie di GodMars ma solo per divertimento.


A: Come è nato il desiderio di realizzare manga?

K: Tutti i bambini giapponesi da piccoli sognano questo. Al liceo mi demoralizzai molto e lasciai perdere perchè non mi sentivo all'altezza, al contrario di altri miei amici davvero molto bravi che già lavoravano in gruppo e puntavano a farne una professione.
Arrivata all'università e non piacendomi tanto lo studio fui trascinata da una mia amica a fare storie per divertimento, iniziai quindi, come detto, con GodMars e poi fummo travolti dal ciclone Capitan Tsubasa.
I personaggi erano davvero fighi e ci piaceva disegnarli come Karl-Heinz Schneider detto Kaiser o il francese Pierre. Piacevano da matti proprio alle ragazze.


A: Erano secondo noi scelti in effetti per il pubblico femminile, anche l'argentino Diaz.

K: Si, ho fatto una storia anche su di lui (ride). Ne ho fatte tante e mi sono divertita molto durante il periodo universitario. Partecipavo a tante fiere e ho conosciuto tante persone. Era un bel modo di stare insieme con chi condivideva la nostra passione, fuori dai soliti ambienti che frequentavamo in cui eravamo visti come "quelli strani".
Non ci interessava più di tanto vendere la fanzine, anzi in alcuni casi erano solo scambi visto il costo esiguo che avevano. Nessun editore infatti le stampava e le facevamo girare con le fotocopie.
All'inizio partecipavano davvero poche persone, i numeri che fa oggi il Comic Market erano lontani anni luce.


A: Pare che Capitan Tsubasa abbia portato molta fortuna, il caso più eclatante sono le Clamp.

K: Si, le incontravo spesso ai raduni. Loro erano in sette e non avevano neanche il nome CLAMP, erano solo un gruppo di fan di Genzo (il portiere, Benji in Italia) e ci divertivamo tanto insieme in maniera spensierata. Ricordo però che Mokona già all'epoca dimostrava grandi qualità pur essendo ancora liceale e il suo stile, oggi famoso, era già ben definito.

A: Non possiamo non parlare della tua esperienza di vita qui in Italia, dove abiti ormai stabilmente da più di venti anni. Hai scritto anche numerosi saggi per far conoscere il tuo popolo agli italiani, che sono stati poi raccolti nel libro "Non ci sono più i giapponesi di una volta".

K: Si ma il titolo l'ha scelto l'editore (ride)

A: L'impatto con l'Italia come è stato, una volta che ti sei decisa a venire per viverci?

K: All'inizio sono arrivata a Bologna. Solo io e la valigia. A 28 anni mi sentivo molto sperduta. Studiavo molto per migliorare l'italiano in modo da trovare un impiego come interprete e mi sentivo molto sola e triste. Dopo un anno davvero difficile ho poi conosciuto i kappa Boys che mi proposero di lavorare con loro a un volume della Star Comics, "Oltre la porta", ed iniziò quindi un nuovo periodo di soddisfazioni e divertimento per me.

Una delle ultime fatiche di Keiko Ichiguchi. La Promessa dei Ciliegi, per Euromanga Edizioni, presentata all'ultimo Lucca Comics and Games 2014.


A: Tu hai vissuto il momento d'oro del manga in Italia, gli anni 90, periodo in cui sono arrivati tanti titoli di valore e di successo. Ricordiamo che tu sei stata traduttrice anche di Berserk e Vagabond. Che esperienza è stata?

K: E' stato davvero stranissimo, non mi capacitavo. In Giappone ormai il business aveva totalmente invaso il settore e il mangaka era diventata una professione a tutti gli effetti. In Italia si viveva invece tutto con passione e meraviglia, con tanti incontri e fiere davvero stimolanti. C'era poi tanta attesa e tanto seguito su moltissimi titoli.

A: Ora questo entusiasmo ti sembra scemato?

K: Sì. Una volta si toccava con mano la fame di informazioni e di scambio di opinioni che si viveva alle fiere come Lucca. Anche i fumetti erano davvero molti più difficili da reperire e trovarli era una festa.
Anche io venivo fatta oggetto di tante attenzioni pur non essendo famosa e questo mi sorprendeva.


A: Qualche fumetto dell'epoca che ti ha sorpreso per il successo in Italia?

K: A parte Saint Seya e Dragon Ball quello che mi ha sorpreso tanto per il riscontro positivo avuto qui in Italia è stato "Touch" di Mitsuru Adachi. Non mi aspettavo vi piacesse questo particolare tipo di storie molto delicate.

A: Oggi come vedi il mondo anime/manga rispetto ai tempi in cui eri bambina?

K: Rispetto al passato noto una grande differenza. Prima c'erano manga con disegni bellissimi mentre la loro controparte animata era piuttosto al risparmio, oggi invece noto il contrario: manga il cui disegno non è il massimo mentre la serie animata, complice forse un budget alto, risulta spettacolare come recentemente per L'Attacco dei Giganti.

A: Una serie animata che hai visto di recente e che ti è molto piaciuta?

K: Su consiglio di una mia amica ho visto Natsume yuujinchou e mi è piaciuta tantissimo, ho amato in particolar modo il personaggio di Nyanko Sensei la cui voce è prestata da Kazuhiko Inoue, il mitico cyborg 009 della serie di fine anni settanta.

A: Dopo venti anni come ti trovi in Italia?

K: Sto bene anche se con tutti i problemi che avete anche voi. Torno a casa tutti gli anni ma ogni anno mi manca meno, mi sento sempre meno parte di quel posto anche se ci sono cose che mi commuovono e mi fanno star bene come il periodo della fioritura.
Ora comunque l'italia non viene più vista come un paese lontano i Giappone, specie ad Osaka sono tanti i ristoranti italiani, i luoghi della moda e le persone che amano il vostro paese.


A: Ultima domanda, da quanto si evince da molti manga e molti anime i giovani giapponesi ne escono come dei timidi e degli impacciati nei rapporti con l'altro sesso, grosse difficoltà a confessare i propri sentimenti e a vivere relazioni sentimentali/sessuali. Le risulta sia veramente così?

K: Ai miei tempi, quando andavo a scuola, non era così ma oggi, quando ho a che fare per lavoro con ragazzi giapponesi, trovo molta difficoltà e timidezza ma non perchè sono una donna. C'è proprio una difficoltà a interagire e poca fiducia in loro stessi.

A: Keiko ti ringraziamo di questa lunghissima chiacchierata davvero molto interessante e ti diamo appuntamento per i tuoi prossimi libri e fumetti. Un grande saluto!