Riprendiamo la rubrica in cui presentare le opere più apprezzate dai recensori di AnimeClick.it di un determinato periodo, filone o genere.
In questo appuntamento raccogliamo tutti i manga di genere storico. Per l'inserimento in questa classifica non si è ritenuto obbligatorio che quello storico rappresentasse l'elemento principale dell'opera, bensì è stato considerato sufficiente che svolgesse un ruolo importante.
A seguire, una raccolta di recensioni di alcuni dei titoli in classifica.

Siete d'accordo con la classifica? Oppure ci sono opere sopravvalutato o manca qualche titolone imperdibile?
 
1 L'immortale 8,895
2 Vinland Saga 8,839
3 Anatolia Story 8,824
4 La storia dei tre Adolf 8,789
5 Hojo World 3 - L'estate della adolescenza 8,727
6 Blade of the Phantom Master - Shin Angyo Onshi 8,692
7 Billy Bat 8,688
8 The Black Museum - Springald 8,650
9 I giorni della sposa 8,583
10 Kenshin, samurai vagabondo 8,556
10 Ali d'argento 8,556
12 Tetsuwan Girl 8,533
13 Keiji 8,500
14 Le rose di Versailles (Lady Oscar) 8,481
15 Vagabond 8,474
16 Orpheus 8,455
17 Basilisk 8,440
18 Edgar e Allan Poe 8,417
19 Kajimunugatai - Racconti di vita e di morte portati dal vento 8,375
19 Mademoiselle Anne (Una ragazza alla moda) 8,375
21 Rainbow 8,300
22 Lone Wolf & Cub 8,250
22 Sakuragari - All'ombra del ciliegio 8,250
24 Cesare - Il creatore che ha distrutto 8,231
25 Peace Maker 8,222
26 Le mille e una notte 8,200
27 Seton 8,125
27 Ooku - Le stanze proibite 8,125
27 Le memorie di Emanon 8,125
30 La carrozza di Bloodharley 8,118
30 Victorian Romance Emma 8,118


9.0/10
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Ci sono voluti quasi vent'anni per portare a termine l'opera "massima" di Hiroaki Samura, un manga che ha richiesto un accurato lavoro di studio e ricerca per giungere alla sua conclusione.
Nonostante l'autore abbia iniziato da giovanissimo ed abbia trascorso metà della sua vita a realizzare questo manga, sembra che "L'immortale" sia un'opera di fuori di ogni linea spaziotemporale, perché è immutabile, nello stile dei disegni e nella maturità dei contenuti, dall'inizio sino alla fine.
Il disegno di Samura che contraddistingue ogni sua opera ha fatto qui la sua prima memorabile comparsa. Tratti "sporchi" ma eleganti e personaggi ben caratterizzati e facilmente riconoscibili. Samura, nonostante affermi di non aver mai apprezzato la storia del Giappone feudale, impreziosisce la sua opera con tonnellate di dettagli storici, date e fatti realmente accaduti, aggiungendoci elementi fantasy e sovrannaturali. Anche le armi che contraddistinguono ogni personaggio nella storia sono originali e ben dettagliate, nel loro funzionamento, nelle pagine extra a fine volume.

La trama vede Manji, uno spadaccino maledetto dal dono dell'immortalità per aver ucciso 100 suoi compagni, che deve accompagnare Rin, una ragazzina in cerca di vendetta per aver perso entrambi i genitori per mano dell'Itto-Ryu, una sanguinaria scuola di spada capitanata dallo spietato Kagehisa Anotsu. La mole di personaggi che i due incontreranno lungo il cammino e lo specifico ruolo che avrà ciascuno di essi all'interno del manga, renderà la trama de "L'immortale" sempre più intrigante ad ogni volume letto. Se nella storia non ci sono colpi di scena clamorosi o del tutto inaspettati, a spiccare su tutto è invece la psicologia stessa dei protagonisti e degli antagonisti, che si evolve capitolo dopo capitolo. Non ci sono buoni o cattivi ne l'Immortale, ogni personaggio ha mille sfaccettature e il lettore può scegliere per chi tifare durante il viaggio che porterà allo scontro finale.
Un finale emozionante ed epico dove il destino di ogni spadaccino si intreccia con quello degli altri e trova il suo epilogo.

Difficile non affezionarsi a Manji o Rin, difficile non essere affascinati dall'eleganza e dalla potenza di Anotsu o non rimanere colpiti dalla fame di potere di Habaki.
Nonostante qualche scena di combattimento un tantino confusionaria e qualche "plot armor" di troppo, la spettacolarità degli scontri dove si incrociano diversi stili di combattimento e filosofie di pensiero è tangibile in ogni pagina.
Personalmente ritengo che il punto più alto del manga sia a circa 3/4 dell'opera, ambientata, senza fare alcun spoiler, nelle segrete del Castello. Leggere per credere.
Un vero e proprio must nel suo genere, ritengo sia una di quelle opere che vanno lette almeno una volta nella vita. Forse non adatto a tutti per le scene cruente, ma di indubbia qualità e indiscutibile importanza nel panorama del manga moderno.


9.0/10
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Da sempre nutro un profondo interesse per la storia, tanto da farne oggetto dei miei studi universitari, e a tal proposito un anno fa mi sono fiondato alla ricerca di seinen storico che avesse una trama, uno stile grafico o quanto meno un elemento di novità che potesse catturare in qualche modo la mia attenzione. In tal senso, sono rimasto piacevolmente sorpreso da Vinland Saga, un manga scritto e disegnato da Makoto Yukimura, già autore del popolare e acclamato Planetes, nonché unico nel suo genere in termini di ambientazione: la narrazione è infatti incentrata sui Vichinghi, i formidabili pirati norreni che hanno imperversato nell'Europa del Nord durante i primi secoli del Medioevo.

La vicenda comincia nel bel mezzo di un assedio: nella Francia settentrionale dell'XI secolo, un esercito di guerrieri nordici si appresta a dar manforte a un signorotto locale nella conquista di una roccaforte apparentemente inespugnabile. L'impresa viene portata a compimento grazie a un inatteso stratagemma e al prezioso contributo di Thorfinn, il nostro letale protagonista. Il giovane combattente sembra avere un conto in sospeso con il capo della sua banda, il freddo e calcolatore Askeladd, tanto da chiedergli insistentemente di sfidarlo in duello: tuttavia, con grande frustrazione di Thorfinn, a spuntarla è sempre il suo superiore. In un triste momento di riflessione, il ragazzo si tuffa nei ricordi e un breve quanto maestoso flashback ci illustra il suo passato, svelando le oscure ragioni dietro alla feroce sete di vendetta nei confronti di Askeladd. A questo punto il manga comincia a decollare. Tornati rapidamente al presente, osserviamo i vari personaggi presentati fino ad ora con occhi diversi, ma Yukimura non ci dà un attimo di respiro e ne introduce sempre di nuovi e affascinanti: il gigantesco e micidiale Thorkell e il taciturno principe Canuto, giusto per citarne un paio. L'autore mostra un'innata capacità di delineare con estrema naturalezza dei personaggi credibili, espressivi e mai fuori luogo. Una fitta rete di intrighi, battaglie spietate, inganni e colpi di scena sorprendenti ci conduce, con ritmo incalzante, alla climax da manuale dell'ottavo volume. I successivi sviluppi della trama, la cui qualità a livello narrativo non diminuisce di una virgola, pongono le basi di una storia più vasta e ancora tutta da scoprire.

Da un punto di vista della sceneggiatura non ho critiche rilevanti da fare: a parte alcuni passaggi particolarmente complessi tra il quarto e il quinto volume, per il resto la trama è appassionante, così come l'ambientazione risulta assolutamente avvincente. Inoltre, non mancano sequenze poetiche ed evocative in alternanza ad altre più cruente e sanguinose, il tutto allo scopo di conferire un'ulteriore impronta realistica alla storia. Per quanto riguarda l'aspetto puramente grafico, i primi due volumi sono quelli disegnati "meno bene" (le virgolette sono d'obbligo, tenendo in considerazione che la qualità dei disegni di suddetti volumi mi sembra comunque notevole se paragonata ad altri manga coevi): è noto che l'autore abbia effettuato la stesura dei primi otto capitoli con cadenza settimanale per conto del Weekly Shōnen Magazine e che in seguito si sia reso conto di non poter sostenere tale ritmo. Cominciando quindi a serializzare il suo manga sulla rivista Afternoon, stavolta con cadenza mensile e forte di maggior tempo a propria disposizione, Yukimura dà prova del suo vero potenziale per l'appunto a partire dal terzo volume, in cui la qualità dei disegni subisce un'impressionante impennata e tocca livelli d'eccellenza capaci di lasciare il lettore a bocca aperta. Se vi è piaciuto il character design già molto personale e curato di Planetes non potrete non adorare quello di Vinland Saga, ancor meglio definito e compiuto. La Star Comics si occupa della pubblicazione nel nostro paese, confezionando ciascun volume all'insegna di ottime traduzioni, una buona stampa, sovraccoperta lucida e un prezzo complessivo piuttosto accessibile. Poiché si tratta di un'opera ancora in corso, per ovvi motivi non posso dare un voto definitivo a Vinland Saga, ma se continuerà sulla stessa strada finora battuta un bel nove non glielo toglie nessuno.


9.0/10
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Il ventesimo secolo è stato uno dei periodi più tetri della storia dell'umanità. Esso ha accolto ben due guerre mondiali, lo sviluppo dell'ideologia nazionalsocialista, la questione ebraico-palestinese, il fondamentalismo religioso, il fascismo. A questi fatti la filosofia, l'arte e la letteratura risponderanno con il nichilismo (Nietzsche, Sartre), la perdita dei valori classici e il cinismo (Camus, Céline), l'ermetismo, l'escapismo... Gli stermìni di massa (onnipresenti nella storia fin dall'antichità), grazie allo sviluppo esponenziale di scienza e tecnica, nel '900 diventarono facili da attuare e di proporzioni smisurate, come testimoniano le tragedie di Hiroshima e Nagasaki, dei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau, delle foibe, del bombardamento di Dresda e della guerra del Vietnam.

Un Osamu Tezuka vecchio, stanco e da molto giunto alla piena maturità artistica, con questo giallo storico di stupefacente realismo, ci racconta la sua visione della tragedia del ventesimo secolo. I temi della discriminazione, dell'odio e dell'incomprensione sono sempre stati cari al mangaka e ne "La storia dei tre Adolf" vengono sviscerati a regola d'arte, a detta stessa dell'autore, che ha ammesso di essere riuscito ad esprimersi pienamente con quest'opera.

"La storia dei tre Adolf" è la storia di un'ambigua amicizia tra un ebreo e un tedesco, che dall'idealità dell'infanzia sfocia nella morte, nel tradimento e nel mistero. Le vicende dei suddetti incroceranno quelle dello stesso Adolf Hitler, in base ad una serie di circostanze innescate da dei documenti top secret riguardanti le vere origini del dittatore. Una parte consistente della storia vedrà un giornalista ed ex atleta, tale Sohei Toge, impegnato nella ricerca dei documenti al fine di risolvere il mistero riguardante la morte del fratello, intimamente connessa ad un complotto incentrato sul segreto dei misteriosi dattiloscritti.

Il tema delle origini ebraiche di Hitler e dei documenti che lo provano è abbastanza verosimile, infatti nel '900 i documenti complottistici andavano molto di moda (basta pensare ai famosi "Protocolli dei Savi di Sion", falso storico creato dalla polizia segreta Zarista per fini puramente antisemiti). Verosomiglianza storica a parte, il messaggio che Tezuka vuole dare è palese: credere di essere nel giusto è sbagliato, in quanto siamo fatti tutti di carne e sangue indipendentemente dalla razza, dall'ideologia, dalla religione e dall'imprinting ricevuto dal "partito x" o dalla "società y". "Gli altri siamo noi", direbbe Tozzi.

E' notevole il fatto che, a differenza della maggiorparte delle opere riguardanti i temi della Shoah e del nazismo, Tezuka non sia di parte ed introduca verso la fine la questione palestinese e l'Intifada, mettendo in evidenza che l'odio e la violenza generano altro odio e violenza, indipendentemente dal ruolo di aggressore/perseguitato. Una puntuale citazione all'invasione giapponese della Manciuria nel quarto volume ribadisce bene il concetto.

Il lettore avrà capito di trovarsi di fronte ad un manga più simile a quei libri e film storici impegnati tipici del dopoguerra, che ad un prodotto di svago. "La storia dei tre Adolf" è molto realistico, contiene scene forti e a tratti può diventare molto prolisso per chi è abituato all'abituale dose di loli, moe e fanservice dei manga più recenti.

Passando agli aspetti tecnici, la sceneggiatura è ammirevole e la storia di una perfezione formale stupefacente. Il vero difetto del manga sono i disegni, che nel loro stile tipicamente Disneyano "alla Tezuka" stonano assai con la seriosità e la pesantezza dei temi trattati. Inoltre le (rare) gag comiche tipiche dell'autore spesso non fanno ridere, in quanto l'atmosfera è molto tesa e cupa (cosa in parte dovuta all'opprimente grigiore dei disegni e alle numerose scene di tortura).

In conclusione, secondo la critica ed il pubblico, questo è uno dei manga più significativi del grande Osamu Tezuka, insieme ai soliti "La fenice", "La principessa Zaffiro","Ayako", "Astroboy" ecc... A livello di contenuti è molto maturo, schietto e diretto: alla fine ci si chiederà se quello che si è letto sia stato solamente un semplice fumetto giapponese o qualcosa di più.


10.0/10
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Raramente credo di aver avuto delle sensazioni così intense leggendo un fumetto, e la cosa più straordinaria è che tutte queste sono contenute all'interno di un unico volume. Normalmente i volumi singoli tendono sempre ad essere carenti di una struttura narrativa solida, in questo caso invece la storia riesce ad essere assolutamente coinvolgente ed allo stesso tempo, giunti alla fine della lettura, si percepisce un senso di totale completezza. Tachihara riesce a raccontare una situazione estremamente drammatica come quella del protagonista, un cosiddetto "kamikaze", parola che però all'interno del volume non compare mai, ma i membri che si apprestano al sacrificio decidendo di schiantarsi con il proprio aereo contro le navi nemiche, vengono definiti membri della Squadra di attacco speciale, con estrema realtà e leggendo questo volume si ha come la sensazione di aver assistito ad uno spettacolo cinematografico con una descrizione dei personaggi e di tutte le situazione che precedono il giorno della missione, in maniera molto dettagliata e realistica. Le emozioni che riescono ad evocare le immagini ed i pensieri del protagonista sono pura poesia e sicuramente sarà poi decisamente superiore il tempo che uno si concederà al rimembrare le gesta dei personaggi che non il tempo reale della lettura e terminato il volume si avrà sicuramente il desiderio di immergersi nuovamente nella lettura per poter recuperare tutte le sensazioni e sfumature che possono essere sfuggite ad una prima visione.

Il racconto è incentrato principalmente sulla narrazione degli ultimi giorni di vita del Caporale Daisuke, e le emozioni che si possono provare quando il pilota si appresta ad andare a compiere la propria missione suicida e ripensa alle parole della madre che gli chiede di giurare che tornerà e lui, che sa di non poter mantenere questa promessa ma che pensa che quello che sta facendo è in realtà per proteggerla, sono veramente una delle massime intensità emotive che una lettura può creare e forse nella nostra cultura occidentale manca anche la completa capacità nel riuscire a comprendere le motivazioni che possono portare queste persone a compiere un gesto così estremo, ma anche tutte le altre situazioni di contorno molto legate alla cultura giapponese come il rapporto tra i vari soldati, le ragazze che portano le loro bambole siccome loro non potranno salire sugli aerei e quindi queste lo faranno per loro o il rapporto che si viene a creare tra la giovane Himeko ed il Caporale, sempre molto delicato e intenso nelle sensazioni.

Consiglio quindi a tutti coloro che desiderano poter godere di un capolavoro assoluto della letteratura manga, di procurarsi questo volume anche se di difficile reperibilità, le sensazioni provate nella lettura saranno sicuramente superiori alle difficoltà trovate nella ricerca di questo gioiello.


10.0/10
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Tetsuwan Girl, di Tsutomu Takahashi, è un manga come pochi. Non solo perché riesce a sposare la denuncia di tematiche complesse quali il razzismo e il sessismo e a trattarle molto approfonditamente, ma anche perché nell'opera sono distinguibili diversi argomenti secondari che verrebbero messi in ombra da molti autori, ma non da Takahashi. Perché egli, in questi nove volumi, ha voluto parlare di quelli che per lui sono chiaramente temi molto importanti. E riesce a farlo in maniera del tutto personale, mai stereotipata o banale.
Tsutomu-sensei ha anche avuto la brillante intuizione di fondere questi argomenti attraverso qualcosa che potesse accomunarli, e per farlo utilizza un collante: il baseball. Esatto, perché questo non è, come a molti potrebbe sembrare, un manga sportivo, bensì un seinen a tutti gli effetti. Lo sport infatti non è altro che una scusa, un pretesto per mostrare ai lettori qualcosa di molto più grande e complesso. Ma andiamo con ordine.

Si può dire che in Tetsuwan Girl si possano trovare due temi principali. Primo: l'umiliazione e la discriminazione a cui un popolo vincente sottopone quello perdente. In questo caso si parla rispettivamente di Stati Uniti e Giappone, ma il discorso è applicabile per qualsiasi due nazioni che nella storia abbiano avuto un rapporto di questo genere. E infatti quest'opera è ambientata nel 1945, poco dopo la fine del più grande conflitto dell'umanità, dove un Giappone distrutto e umiliato è costretto a vivere all'ombra della vittoriosa America. Gli statunitensi considerano i "Jap" poco più che scimmie, esseri inferiori, non in grado di competere in alcun modo con la grande e potente nazione a stelle e strisce. Anche da questo nasce la voglia di rivalsa della protagonista, Tome Kano, nei confronti di coloro che hanno umiliato il suo popolo e la sua patria. Questo è forse il tema centrale della prima parte del manga (quella che va dal primo al sesto volume), e che proprio sul finire del numero sei, si mostrerà in tutta la sua durezza e crudeltà.
Secondo: il femminismo. In quegli anni in cui, forse proprio grazie alla guerra, le donne iniziavano a capire di non poter più essere considerate inferiori agli uomini, è Tome a essere presa ad esempio dal genere femminile giapponese. Perché lei è tutto quello che molte donne vorrebbero essere: bella, forte, determinata. E si troverà, quasi suo malgrado, a farsi carico della volontà di tutte loro, per portare in Giappone (e in tutto il mondo) la nascita di una nuova era, in cui la figura della donna non si limita più a quella di madre e casalinga. E non è un caso che il baseball sia uno degli sport maschili per eccellenza: Takahashi urla, attraverso la figura quasi utopica di Tome, che non c'è niente che un uomo sia in grado di fare e una donna no.

E non finisce qui. Perché dal sesto volume entra in scena un protagonista assolutamente inaspettato: l'amore. Pensate che tutte le storie d'amore siano ripetitive e banali? Non avete letto Tetsuwan Girl. Takahashi riesce a dare a questo sentimento una forma molto personale, che non si limita al semplice, estremo affetto, ma va ben oltre. Sconfina nella disperazione e nel sacrificio, attraverso il viaggio che Tome compirà per poter rincontrare l'uomo della sua vita, e che la porterà quasi a perdere tutto ciò che ha.

Infine, il baseball. Un pretesto che comunque può essere un motivo in più per dedicarsi alla lettura di questo capolavoro. Sia chiaro, non troverete partite particolarmente curate come in vero manga sportivo, ma se amate questo sport state pur certi che riuscirete comunque ad apprezzare questo aspetto al massimo della sua potenzialità.

Parliamo ora della grafica. Onestamente, il tratto di Takahashi è uno di quelli che preferisco in assoluto: sporco, grezzo, graffiato. Un disegno che, dietro un'apparente superficialità, nasconde paesaggi curatissimi e particolareggiati, volti definiti perfettamente e scene d'azione perfettamente delineate. L'autore sa ben distinguere quali sono gli elementi importanti delle sue tavole e si concentra su essi, lasciando in secondo piano gli elementi superflui. Vi capiterà spesso di trovare pagine in cui i personaggi principali sono definiti con meticolosità mentre i secondari sono quasi lasciati al caso, solo abbozzati. Questo è sicuramente uno dei tratti distintivi di Takahashi, e uno di quelli che meglio potrete apprezzare in quest'opera.

Riassumendo, non ho dubbi sul fatto che quest'opera si possa definire un capolavoro. Takahashi è riuscito a mescolare magistralmente tematiche così diverse e difficoltose da trattare, rimanendo sempre coerente con le sue idee, fermandosi quando opportuno e accelerando il ritmo dove ve n'era la necessità. E riuscendo, perché no, anche a emozionare e commuovere il lettore. Se cercate qualcosa di diverso, un seinen originale e che vi faccia riflettere, questo è il manga che fa per voi. Dieci pieno.


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Coloro che si accostano a Poe no ichizoku (poco opportunamente adattato in Edgar e Allan Poe, in realtà "Il Clan Poe") pensando di trovarsi di fronte a una storia di vampiri simile a quelle proposte dagli urban fantasy contemporanei e di moda (alla Twilight, insomma!) e corrispettivi shojo manga, si troverà quanto mai deluso. Nelle pagine dei Poe si respira l'aria della grande letteratura disegnata, anzi, in questo caso oserei dire della "poesia" disegnata, nella quale si svelano tutte le potenzialità presenti nel mezzo espressivo del fumetto. Di certo si vede la mano e il cuore di una mangaka di classe come la Hagio, davvero una delle madri dello shojo moderno e scrittrice fra le più sensibili e profonde del panorama manga; non è un caso che la prefazione del primo volume italiano sia stata scritta da Giorgio Amitrano, orientalista ed esperto di letteratura giapponese.
Premetto che, a scanso d'equivoci e nonostante quanto scritto sul retro dei volumi Ronin, "Il Clan Poe" non è il primo shojo in assoluto ad essere pubblicato in volume monografico, ma semplicemente il primo della casa editrice Shogakukan. Viene serializzato sulla rivista Betsu Comics dal 1974 al 1976 ed in seguito raccolto in cinque volumetti e poi in tre per la successiva edizione Bunko, da cui viene espletata anche quella italiana che abbiamo avuto la fortuna di leggere.

La Hagio prende a piene mani dalla tradizione estetica e letteraria occidentale (i nomi dei due protagonisti sono un chiarissimo riferimento e insieme un atto d'omaggio al celebre scrittore Edgar Allan Poe), calando il suo racconto in un'atmosfera a metà fra il gotico e il decadente, trattando poeticamente e magistralmente le alterne vicende dei membri di un'arcana famiglia di vampiri.
La struttura dell'opera presenta episodi apparentemente slegati fra loro, che non seguono una linea cronologica e temporale coerente, ma saltano spensieratamente di epoca in epoca; il motivo, per esempio, che ha portato alla vampirizzazione di Edgar e Marybell viene narrato solo nel secondo volume. Scelta stilistica assolutamente in linea con il carattere più profondo dell'opera: il tempo e le sue catene non hanno più alcun significato per gli immortali protagonisti di questa storia; mentre le circostanze, i luoghi, le persone e il mondo mutano, loro rimangono immutabili, eternamente fermi all'attimo della loro morte, o rinascita a una nuova esistenza.

Edgar, Allan, Marybell e gli altri membri del clan Poe scavalcano le epoche e i secoli, talvolta lasciando tracce del loro passaggio così labili che coloro in cui si imbattono si chiedono se l'incontro con gli affascinanti ragazzi sia realtà, illusione o "i nodi delle circostanze intrecciate dal tempo". Mascherata da storia finto horror il Clan è invece una malinconica e onirica riflessione sull'insensatezza dell'immortalità e la sua conseguente solitudine, che sono poi solitudine e insensatezza delle vite di tutti gli uomini.
Edgar, eterno quattordicenne, non crescerà mai, cristallizzato in un'età troppo giovane per l'esperienza che riesce a maturare nei secoli di non vita o non morte; eppure avverte con tutta la forza possibile il dramma della condizione di coloro che fanno parte della sua stirpe: la solitudine di un'esistenza a cui non si concede riposo, una continua fuga da sé stessi e dal mondo, un continuo tentativo di mimetizzarsi in mezzo all'umanità mortale e il dolore di sopravvivere a coloro che si è amati. Ma soprattutto Edgar manifesta la necessità, comune a tutti gli uomini, dell'essere accompagnati da qualcuno nel cammino, per lui troppo lungo, della vita. Queste creature della notte e del sogno, per quanto ormai lontani dalle necessità umane, non riescono a vivere da soli, tanto da sacrificare egoisticamente le persone amate alla maledizione della vita eterna.

Per quanto riguarda l'aspetto grafico la Hagio si mantiene in linea con le esperienze estetiche dello shojo degli anni 70; sfondi liberi, decorativismo diffuso, tavole lineari e semplici. Alcune scene, soprattutto nei primi capitoli, si mostrano un po' confusionarie e non sempre di chiara lettura, ma i disegni migliorano visibilmente di episodio in episodio; non giovano molto le tavole rimpicciolite dell'edizione italiana che, per quanto ben fatta, avrebbe dovuto dare maggior ampiezza a delle tavole cariche di vignette e dialoghi. D'altra parte si notano elementi che saranno tipici dello stile di Moto Hagio, che in questo suo lavoro non è ancora maturato del tutto, ma si presenta già personale, raffinato, sinuoso, arioso e sfumato come gli sfuggenti personaggi di questa sua onirica storia.
Leggete "Poe no ichizoku", rimarrete abbagliati dalla luce crepuscolare scorta dentro le sue pagine e non la dimenticherete mai.


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"Kajimunugatai" è una di quelle piccole gemme misconosciute che vengono pubblicate in silenzio, lontane dal clamore mediatico dei titoli più conosciuti. Incentrato su uno dei periodi storici di cui meno piace parlare ai giapponesi - la seconda guerra mondiale e l'immediato dopoguerra - Kajimunugatai ci mostra un punto di vista diverso, meno noto, e forse per questo anche più interessante, della vicenda: quello degli abitanti di Okinawa. Susumu Higa, nativo di Okinawa, dopo lunghe ed attente ricerche realizza un affresco crudo e veritiero di quel che dovettero affrontare i suoi compaesani, schiacciati da un lato dall'esercito americano invasore e dall'altro da quello giapponese, teoricamente incaricato di proteggerli ma in pratica anche più pericoloso di quello occidentale.

L'autore non cade nel facile espediente di demonizzare o santificare i suoi personaggi in base al loro schieramento, al contrario narra di persone normali, perfettamente credibili, tratteggiati nella propria psicologia tramite poche pennellate, senza fare alcun distinguo tra civili, militari, americani o giapponesi. Susumu Higa non si mette nemmeno a fare filosofia spicciola o scadere nell'autocompiacimento dello star facendo critica sociale: non vi è un narratore esterno che faccia da bilancia morale della vicenda, l'evoluzione della storia è asciutta e imparziale, con uno stile quasi documentaristico che lascia che sia il lettore a dare la sua interpretazione, a giudicare, ad assegnare colpe e meriti. L'interesse dell'autore è principalmente informativo, per dare una voce al suo popolo che da 60 anni è una pedina sacrificale nel gioco politico tra il Giappone e l'America, e ci riesce ottimamente grazie anche a uno stile di disegno elementare che permette di focalizzarsi completamente sul messaggio proposto.


10.0/10
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TRAMA: Nel giappone del 17° secolo il samurai Ogami Itto ricopre la prestigiosa carica di <i>Kogi Kaishakunin</i>, il boia dello Shogun. La potente famiglia degli Yagyû ordisce un subdolo inganno per sottrarre a Itto la sua importante posizione, non facendosi scrupolo di ucciderne la moglie. Privato della sua dignità di samurai e costretto al <i>seppuku</i> (il suicidio rituale), Itto decide di ribellarsi e sceglie la via del <i>Meifumaido</i>: divenuto un <i>ronin</i> (samurai senza padrone) e accompagnato dal figlio di soli 3 anni in un continuo peregrinare nelle terre del sol levante, diventa un assassino a pagamento col nome de "Il lupo solitario e il suo cucciolo" col fine di ricostituire il proprio casato e soprattutto vendicarsi degli odiati Yagyû. Nella sua missione di vendetta, sempre in bilico sul sottile filo fra la vita e la morte, egli si affida alla sua impareggiabile maestria nell'uso della spada, alla sua incrollabile determinazione e alla attiva collaborazione del figlio, il quale, sebbene molto piccolo, non esita a rischiare la vita nel condividere il destino del padre.

COMMENTO: Lone Wolf and Cub non è un manga di samurai ma è IL manga di samurai! Per un appassionato come me di questo genere si tratta di un'opera dal valore assoluto che ancora oggi, a distanza di più di 30 anni dalla sua creazione, non teme confronti. Certo è che si tratta di un pilastro del genere, di un'opera seminale che nel corso degli anni ha prodotto una quantità enorme di prodotti ispirati o direttamente tratti da questa storia. Basti pensare alla bellissima serie di 6 film omonimi degli anni '70 fino ad arrivare al recente film di Sam Mendes "Era mio padre". D'altronde Kazuo Koike, sceneggiatore di indubbia fama, a sua volta ha visto rinascere i suoi capolavori in molteplici forme.
Nella semplicità del soggetto di questo fumetto è nascosta una capacità narrativa veramente eccezionale: si procede con il racconto delle avvincenti avventure in cui si trovano invischiati il lupo e il suo cucciolo e, tassello dopo tassello, vengono alla luce tutti i retroscena dell'incipit della storia, si arricchisce il profilo dei protagonisti, si delinea mirabilmente il contesto storico e si aggiungono nuovi elementi alla risoluzione del conflitto fra Itto e gli Yagyû. Ogni capitolo racconta una storia diversa connessa con l'attività di assassino del protagonista e allo stesso tempo contribuisce in maniera diretta o indiretta allo sviluppo della trama principale: con il proseguire dei volumetti l'equilibrio fra le storie "autoconsistenti" e quelle relative alllo scontro fra il protagonista e i suoi acerrimi nemici si rompe in favore di queste ultime, realizzando un mirabile climax di coinvolgimento e partecipazione del lettore.
Il reparto grafico di questa opera probabilmente non contribuisce alla sua diffusione per il grande pubblico, si tratta di uno stile grafico che innegabilmente appartiene al passato e che in qualche modo penalizza le numerose scene di azione. Io, che all'inizio lo trovavo non esaltante ma comunque adeguato, col passar del tempo ho imparato ad amare e ad apprezzare ogni singola pagina quasi come un'opera d'arte: le tavole si fondono con lo stile del racconto in modo perfetto e trascinano il lettore in un'altra epoca dove le regole della nostra società non hanno valore e imperano il senso dell'onore, la vita e la morte.
L'edizione Planet Manga presenta luci ed ombre. Il prezzo si attesta sulla rimarchevole cifra di 5 euro ed offre un supporto cartaceo decisamente non all'altezza dell'opera. Manca la sovracopertina e la carta che compone le pagine è ruvida e poco rassicurante dal punto di vista della resistenza all'agire del tempo. In compenso l'adattamento sembra più curato della media delle altre pubblicazioni di questa casa editrice ed ogni volumetto presenta una gran quantità di pagine. Ulteriore merito per le note esplicative a fine albo che si rendono essenziali per la completa comprensione dei numerosi termini in uso nel periodo storico di ambientazione del manga e per i brevi approfondimenti di carattere storico-sociale sempre molto interessanti.
In definitiva si tratta di un fumetto immortale che soddisferà anche i palati più fini e che può lasciare indifferente solo chi non apprezza questo genere di storie o si lascia scoraggiare dall'età dell'opera: capolavoro, capolavoro, capolavoro!!


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Non sapremo mai se Fuyumi Soryo, intervistata su Kappa Magazine in seguito al grande successo riportato dalla pubblicazione di "Mars", dicesse la verità o meno quando affermò senza troppi fronzoli che lei non amava disegnare manga. Disse infatti che lei non voleva fare la mangaka, lei voleva lavorare per il cinema, la sua attività era quindi un puro ripiego economico. Insomma aveva detto a chiare lettere che lei fa i manga per i soldi (oltre ad avere ammesso di aver tirato un posacenere di metallo ad un editor una volta, ma vabbé...).
Certo, c'è da dire che guardando la sua produzione non si può darle proprio torto. Alla fine Fuyumi Soryo deve la sua fama principalmente a shojo manga adolescenziali come "Boyfriend" e il già citato "Mars", dove non si va oltre lo schema ritrito della sfigata cosmica che si innamora del bello & ribelle della sua classe, guarda caso sempre ricambiata, e poi c'è tutta una serie di inenarrabili sfighe che ostacola il loro amore fino alla fine.
Eppure se si scava più a fondo, Fuyumi Soryo appare subito appartenere ad un altro pianeta rispetto alle sue colleghe appassionatissime del loro lavoro di fumettiste. I suoi personaggi sono sempre plausibili e mai idealizzati, non ci sono mai facili lirismi, non c'è retorica o buonismo, non esiste la scontatezza nei suoi manga. Insomma leggere un'opera di Fuyumi Soryo non significa mai baloccarsi con una soap opera ampollosa, ma con autentici drammi dal pathos ineguagliabile.
Personalmente io ho sempre creduto che abbia detto di fare manga per soldi solo per fare una boutade. Perché una persona che non è animata da una sincera passione, oltre che da un talento fuori dal comune, non se ne esce fuori con un manga come "Cesare". A differenza di tanti altri mangaka di successo ormai prigionieri del loro glorioso passato (tipo Tsukasa Hojo), o impegnati a far scrivere i propri manga ai risultati delle ricerche di marketing (come Rumiko Takahashi), o che proprio non hanno fatto più nulla (Naoko Takeuchi), Fuyumi Soryo molla definitivamente i generi più mainstream e decide di dedicare tutto il resto della sua vita alla biografia di Cesare Borgia, il Duca di Valentino. L'uomo che sarebbe diventato il signore della Romagna, il figlio del papa Alessandro VI, il condottiero apparso nel momento in cui l'Italia, con la morte di Lorenzo de' Medici, avrebbe visto saltare i fragili equilibri che l'avrebbero portata a diventare terra di conquista straniera è descritto con impressionante cura.

"Cesare" non è certo la solita biografia a fumetti che si esplica in un solo volumetto. Fuyumi Soryo infatti riesce, almeno in questi primi numeri, a ricreare dal nulla un intero mondo, quello del Rinascimento. Tutto è riportato con dovizia di particolari: la società, gli usi, i costumi, la mentalità dell'epoca. Paragonerei una tale precisione nel dipingere un mondo così lontano e diverso da quello in cui l'autore si trova a vivere a quella del manga "I giorni della sposa" di Kaoru Mori: non è certo un caso se la Soryo sta scrivendo questo fumetto in collaborazione con Motoaki Hara, un docente universitario. Non parliamo poi dei disegni. Per carità, un altro dei motivi per cui ho sempre amato alla follia Fuyumi Soryo è il suo stile di disegno, così lontano dagli stereotipi degli shojo classici, privo di occhioni, sbrilluccichii, fiori e melensaggini assortite. Il suo tratto è sempre stato realistico, pulito, tagliente come le battute che fa pronunciare ai suoi personaggi. In "Cesare" assistiamo ad un notevole balzo in avanti, si sfiora la perfezione a mio avviso, tra sfondi che ricostruiscono luoghi e monumenti dell'epoca con un realismo estremo e una caratterizzazione dei personaggi che si fa ricchissima e ancora più matura. Insomma, fin dalla prima pagina, si capisce che si ha tra le mani un vero e proprio kolossal, un'opera per cui l'autrice si sta spendendo fino all'ultimo.

Tuttavia, tutti i pregi che ho già elencato non costituiscono il motivo principale per cui "Cesare" è, a conti fatti, il capolavoro assoluto di Fuyumi Soryo. "Cesare" infatti rappresenta la summa delle tematiche preferite da questa autrice. In tutti i suoi fumetti (come "ES", fino alle storie brevi tipo "Il Pesce Arcobaleno") il tema ricorrente è la dualità della persona. Tutti i suoi personaggi vivono costantemente in bilico tra quello che la morale e la società pretendono da loro e quello che sono o desiderano realmente. Che si tratti di semplice anticonformismo (come nel caso de "Il Pesce Arcobaleno") o di irrefrenabili pulsioni distruttive (come nel caso di "ES") i personaggi creati da Fuyumi Soryo sono costantemente in bilico tra luce e ombra, tra apparenza sociale e intima sostanza: in breve mai assolutamente positivi o negativi. Alla luce di quanto detto Cesare Borgia e il mondo in cui vive e prospera sono il più vivido manifesto di questa poetica. Difatti a farci da Cicerone nel mondo della politica ai tempi del Rinascimento sarà il personaggio di Angelo di Canossa, un fiorentino di umili origini che per intercessione di Lorenzo de' Medici riesce a frequentare l'Università di Pisa. Lì conoscerà Cesare Borgia e ne diventerà amico fraterno, entrando in contatto con il suo mondo, quello dei potenti dell'epoca. Sarà quindi tramite gli occhi perennemente sgranati dallo sgomento di Angelo che entreremo in questo microcosmo fatto di intrighi, tradimenti e doppiogiochi, dove tutto è ammantato da valori come la religione, la cultura e l'onore quando invece nella realtà dei fatti nulla sembra avere un senso se non la perpetrazione del potere. D'altronde Cesare Borgia è l'uomo da cui Niccolò Machiavelli prese ispirazione per scrivere "Il Principe", il saggio dove per la prima volta non si discetta della politica per come dovrebbe essere, ma per come essa è davvero, ovvero un agire secondo cui "il fine giustifica i mezzi". Cesare Borgia, per come è caratterizzato dalla Soryo, è un uomo moralmente ambiguo, calcolatore, intelligentissimo, eternamente impegnato in una metaforica partita a scacchi con nemici in tutto e per tutto uguali a lui. Non è tuttavia né una persona compiaciuta di un simile agire, né al tempo stesso tormentata. E' perfettamente consapevole che è così che va realmente il mondo. Dalle sue riflessioni emerge infatti, di volumetto in volumetto, l'idea che la politica agisce in maniera positiva non nel momento in cui viene incontro ai precetti della morale riconosciuta, bensì quando la sua azione è efficace e va incontro agli obbiettivi che si è prefissata.

Verrebbe a questo punto da chiedersi perché dopo questo profluvio di lodi metta nove anziché dieci. Semplice: siamo ancora al nono numero e l'effetto Berserk è sempre dietro l'angolo (cioè partire in maniera bruciante per poi dissipare tutto). Insomma voglio restare cauta.
Per il resto e per quanto ho finora letto, per me "Cesare-Il creatore che ha distrutto" è un'opera sontuosa, una meraviglia che tutti dovrebbero avere in libreria. Se l'autrice riuscirà a mantenere su questi binari la narrazione, "Cesare" sarà un punto fermo non tanto nella storia dei manga, ma del fumetto in generale.
Per concludere, dopo avere letto questi primi nove volumi, penso che se Rumiko Takahashi è la principessa dei manga, la corona di regina va ormai senza dubbio a Fuyumi Soryo.


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«Non Dio ha creato l'uomo, quanto piuttosto l'uomo ha creato Dio.»

Un peccato che nel XIX secolo, periodo in cui visse Ludwig Feuerbach, le memorie di Emanon fossero in Giappone, negandogli così la possibilità di incontrarla e confermare quest'affermazione. Una ragazza, anzi, più che una ragazza: l'incarnazione della storia della vita, la portatrice di un fardello tanto pesante quanti sono gli anni che è stata costretta a reggerlo sulle spalle. Bella e misteriosa, incarna il sogno di una notte dell'autore, che l'ha immaginata con tanta forza, con tanto impegno e così a lungo, che alla fine ha preso vita sotto la matita del Sensei Kenji Tsuruta. Non credo di volerne leggere lo spin-off, "Sasurai Emanon", perché ho paura che distrugga l'incanto causatomi dal suo predecessore. "Omoide Emanon" è veramente una di quelle storie stravaganti, misteriose e inconcluse, ma capaci di farti riflettere, e dotate di una forza così viva da farti quasi credere che sia tutto vero, che Emanon sia un personaggio reale, proprio come le sue memorie.

Il protagonista della storia è lo stesso autore, il quale ci spiega al termine del manga che Emanon non è altro che un prodotto delle sue fantasie, creato durante un viaggio sul traghetto fra Nagoya e Kagoshima, durante il quale si è immaginato di trascorrere tutto il tempo assieme a questa ragazza frutto delle sue visioni. Solo anni più tardi Emanon avrebbe assunto i caratteri che costituiscono oggi il suo personaggio, notabilmente i suoi ricordi: la ragazza è, infatti, detentrice di un dono ereditario, quello di tenere a mente la storia della vita sulla Terra. E' colmo di significato il fatto che, nonostante ciò dovrebbe renderla una creatura arcana e irragiungibile, Emanon sia esattamente come noi mortali: un'anima sperduta, incapace di figurarsi né lo scopo della sua esistenza, né il motivo del dono che ha ricevuto, e costretta ad abbassarsi a quel gioco delle distrazioni, del "divertissement", che Blaise Pascal riteneva permeasse l'intera permanenza dell'uomo sulla Terra. La nostra protagonista, "Senza-nome" ("Emanon" è il rovesciamento dell'inglese "No-name") ha tutti i piccoli vizi e le piccole passioni che potrebbero caratterizzare chiunque, fra di noi: beve, fuma una sigaretta dopo l'altra, ne sa un milione sull'arte del cinema... e sa innamorarsi, anzi, è stata innamorata tante volte quante le vite che le è toccato subire. Cosa ha visto con i suoi occhi, Emanon? Ogni cosa, ma questo non le ha tolto nulla di ciò che definisce un essere vivente: la lotta per la sopravvivenza, per cercare il motivo che la spinge a vivere... tutto questo è presente in lei, il che significa che non si è arresa, né è ancora giunta ad una risposta, come se l'autore volesse dimostrare che non importa quanto lunghe siano le nostre vite, né quanto profonde siano le nostre esperienze, siamo solo noi a decidere qual è il senso della nostra esistenza, anche se probabilmente non giungeremo mai alla verità assoluta. E il tenero rapporto che si instaura fra il protagonista sognatore e l'imperscrutabile compagna è quasi una celebrazione dell'attimo che può significare l'adempimento di tutta una vita. L'autore uscirà profondamente segnato dall'incontro con Emanon, e nonostante cerchi di procurarsi una vita normale, dopo tale incontro, si accorgerà che quell'attimo ha significato tutto, per lui: ha significato il suo passaggio, effimero ma indelebile, nella grande memoria della Storia.

Una vera favola in stile realismo magico, densa di significati nascosti, e con un finale davvero sorprendente. Il viaggio... non si poteva trovare un contesto migliore, per ambientare una vicenda del genere, ed è molto espressivo il fatto che l'ultimo atto sia ambientato in una stazione ferroviaria. Il viaggio non è, in fondo, la metafora della vita, quel grande sentiero dal quale si deve ripartire ogni volta dal via? Come si concluderanno i vagabondaggi di Emanon? Cosa sta cercando, che ancora non ha trovato? O forse è tutto un muoversi a vuoto? E se Emanon fosse fine a sé stessa, se non avesse bisogno di trovare uno scopo nella vita, perché è la vita stessa ad avere uno scopo in lei? Solo il lettore potrà decidere che senso dare alla storia di Emanon, se sentirsene coinvolto, se ignorarla, o finirne cambiato un pochino. Dove ci conduce la via? Se Emanon non ha ancora trovato la risposta, che speranze abbiamo noi miseri mortali? Michelangelo Buonarroti credeva che fosse proprio questa consapevolezza, la certezza di non essere in grado di trovare una risposta, a denotare la natura eroica dell'umanità: per questo motivo, nei suoi dipinti, i personaggi sono tutti raffigurati come persone bellissime, radiose e muscolose. Emanon non ha rifiutato l'umanità, segno che, nonostante l'evidente disprezzo (memorabile una sua frase con cui descrive l'evoluzione della civiltà), ha ancora la volontà di venire a contatto con il lato "eroico" della vita. Con le creature che, nonostante la natura abbia dato loro la consapevolezza di sé stesse, si sforzano ancora di sopravvivere nei loro fragili gusci mortali. Con noi, insomma. Finché non raggiungeremo uno stato spirituale superiore, l'apice della vita, l'apice della Storia.

Non so se dovrei pronunciarmi sui disegni: dovrebbero necessariamente essere elaborati, dato che stiamo parlando di un manga da un unico volume, ma nonostante tale sottinteso che dovrebbe essere la regola, la grafica colpisce ancora per l'accuratezza e la moltitudine di dettagli di cui è composta. Gli sfondi bianchi servono solo ad evidenziare momenti di profonda intensità, e i personaggi sono resi splendidamente: perfino l'autore della trama, Shinji Kajio, ha elogiato l'artista Kenji Tsuruta per il merito di aver dato una vera forma e una vera consistenza alla sua ragazza immaginaria, ed ha aggiunto che l'immagine di Emanon per come compare nel fumetto è stata, dal momento in cui Tsuruta l'ha tracciata per la prima volta, la sola e unica a dominare i suoi pensieri riguardo lei. Memorabile, davvero memorabile: se c'è un personaggio che resta impresso per il suo impatto visivo, questa non può che essere Emanon.

Poche opere sono riuscite a strapparmi un voto così pieno, e non sono neanche sicuro che fumetto e riflessione spirituale/intellettuale costituiscano un connubio particolarmente felice, ma "Omoide Emanon" sembra smentire tutto quello in cui ho creduto finora. Se avete avuto la pazienza di leggere fino in fondo, forse avrete colto il mio entusiasmo nei confronti di quest'opera, e non posso che confermarvi che, se aprirete la mente e l'anima, anche voi vi innamorerete di Emanon, che siate uomini o donne, bambini o vecchi, nobili o miserabili. E tutto questo non può non lasciarci che una speranza: la speranza che anche noi, un giorno, non grazie ad imprese mirabolanti o atti eroici, ma semplicemente con il nostro essere noi stessi, incontreremo Emanon e lasceremo la nostra firma nel libro infinito della vita.