Riconosciuto unanimamente come uno dei maggiori protagonisti del fumetto mondiale, Jirō Taniguchi è stato un autore totale. Virtuoso del disegno e scrittore raffinato, nella vasta esplorazione dei generi narrativi la sua opera ha spaziato dal romanzo storico al racconto intimista, dall’avventura al poliziesco, dal western alle storie di animali, arrivando a toccare anche lo sport. È qui che entra in scena Blue Fighter, pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1982 e di recente tradotto in italiano da J-Pop Manga, a un anno esatto dalla sua scomparsa e a meno di un mese dalla dipartita dello sceneggiatore Garon Tsuchiya (alias Caribu Marley), autore di Old Boy. L’opera, ambientata nel mondo della boxe, ci restituisce tutta la freschezza del tratto di un giovane Taniguchi unito al fascino dei personaggi tormentati e borderline di Tsuchiya.
 
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Il pugilato raccontato dalla coppia Taniguchi/Tsuchiya, con ruvide pennellate ricche di suggestioni noir, consente da un lato di riscoprire l'anima popolare e autentica della nobile arte, dall’altro di sondare il suo lato più oscuro e ineffabile. Blue Fighter è un manga atipico nella produzione del grande Maestro di Tottori, ma allo stesso tempo costituisce una vera chicca per gli amanti del mondo dei guantoni e un’ottima lettura per comprendere le ragioni profonde che sottendono lo spirito di sacrificio e l'agonismo di un atleta combattente.

Reggae è un taciturno e imperscrutabile boxeur giapponese dal passato arcano, si esibisce nella categoria dei pesi leggeri e le sue statistiche non brillano per numero di vittorie, tanto da venire soprannominato il “re delle sconfitte". Alcolizzato e con la carriera ormai sul viale del tramonto, sembra destinato a una tragica fine sul ring, ma durante un match alla famosa Korakuen Hall (il tempio della boxe a Tokyo) viene notato da Dreddy D’Angelo, un americano ex campione mondiale dei mediomassimi ora manager e talent scout di successo. Questi decide di scommettere tutto su Reggae, quindi lo ingaggia per una tournèe di incontri (sia ufficiali che clandestini) in America, che lo porteranno a scalare la classifica fino a raggiungere la possibilità di sfidare il campione del mondo.
 
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Cronisti di match furiosi e di torbidi retroscena, gli autori ci narrano dell'ipotesi di una rivincita sulla società, rivelandoci un mondo del pugilato cinico e spregiudicato. La storia proposta in questo volume non contiene i temi e motivi tipici della maggior parte del lavoro di Taniguchi che lo ha reso famoso, spesso popolato di personaggi dal cuore puro, intrisi di umanesimo Zen e dolce nostalgia. Il Blue Fighter protagonista del fumetto è un loser dedito all’alcol, antieroe in conflitto con sé stesso, enigmatico e ombroso kamikaze del ring e primitiva espressione della legge della giungla metropolitana, dove non sempre vince il più forte.

Attraverso lo scenario crudo e disincantato dall’interno di quel mondo corrotto, ci viene suggerito ciò che deve provare un pugile quando si sta giocando tutto, non solo l’incontro o la propria carriera ma, in ultima analisi, la propria stessa esistenza, cercando di abbattere un avversario che può apparire invincibile. La boxe diventa così una sfida dura e spietata, un rischio che, accettato o subito come inevitabile soperchieria dettata dalle condizioni, può significare affermazione e riscatto, ma resta soprattutto esuberante e fascinoso trionfo vitale della fisicità.
 
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La parabola sportiva qui si mescola alle atmosfere cupe che rimandano direttamente al periodo hard-boiled di Taniguchi (Tokyo Killers, Trouble is my business), con i suoi fumosi night club, i sordidi scenari suburbani, le sensuali dark ladies e i personaggi coloriti ai limiti del picaresco. Il racconto raggiunge il suo acme nelle sfrenate scene degli incontri sul ring, tra i muscoli vivi e guizzanti, i volti deformati dai possenti pugni e i fisici scolpiti degli atleti, artefici di un rito primordiale presentato in tutta la sua brutalità e sospeso nell’assordante fragore del pubblico che urla in preda a un’estasi selvaggia.

Con la sua messa in scena meticolosa, dal forte sapore cinematografico, Taniguchi sa bene come usare le immagini, eccellendo nella ricerca del particolare, nella gestualità dei corpi e nell’espressività dei volti. Carnale e sanguigno, Blue Fighter è un ritratto di moderno gladiatore a tutto tondo, con le pulsioni più animali legate all'istinto di sopravvivenza ma non senza una certa introspezione psicologica. Graficamente è più aspro e grintoso in confronto alle tavole misurate e certosine delle opere mature di Taniguchi, in cui la densità delle immagini e l’economia delle parole producono il massimo risultato emozionale. Dal canto suo Tsuchiya propone un intreccio a tratti spiazzante, che a un certo punto sconfina inopinatamente in una deriva new age, ma che conclude in crescendo con un vertiginoso finale di intensità drammatica.
 
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C’è anche una mini colonna sonora in Blue Fighter, che va dal blues di Call It Stormy Monday (But Tuesday Is Just as Bad) di T-Bone Walker, al jazz di I’ll be seeing you di Billie Holiday fino alla malinconica ballad No woman no cry di Bob Marley, i cui testi riecheggiano fra le tavole disegnate con un effetto ancora una volta molto cinematografico.

L’edizione J-Pop Manga consta di un volume unico di circa 290 pagine in bianco e nero, brossurato con sovraccoperta monocromatica satinata, in formato medio di 15x21cm, rilegatura a filo refe, al costo di 15 euro. Si auspica caldamente che l’editore milanese porti in Italia anche gli altri lavori dell’inedita coppia di autori.

Opera consigliata in primis ai collezionisti di Jirō Taniguchi, che avranno a disposizione un altro prezioso tassello da aggiungere alla loro biblioteca; poi agli appassionati di quella boxe eroica, tragica e sublime che, quando è ben raccontata, può diventare metafora stessa della vita; e infine a tutti coloro che volessero cogliere quella particolare fascinazione legata agli epici scontri sul ring che da sempre ha sedotto i grandi narratori.
 
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Jirō Taniguchi: una vita per il fumetto
Nato nella prefettura di Tottori nel 1947, dopo il diploma si trasferisce a Tokyo dove comincia a lavorare come assistente del mangaka Kyota Ishikawa, finché non gli viene proposto di creare una storia tutta sua. Debutta come fumettista nel 1970 con Kurorohorumu (Cloroformio). Nel 1971 pubblica Karetaheya (La stanza arida). L'anno successivo vince il premio Big Comic di Shogakukan con il manga Tōi koe (Voci lontane). Nel 1975 pubblica Namae no nai dobutsutachi (Animali senza nome), serie che ha per protagonisti gli animali, un tema che riprenderà più volte nella sua carriera. L’anno seguente comincia una proficua collaborazione con lo scrittore Natsuo Sekikawa su opere hard-boiled tra cui Rind! 3, Muboi toshi (Città aperta), Nishikaze wa shiro (Il vento dell'est è bianco), la raccolta Tokyo Killers e la serie Jikenya kagyō (Trouble is my business).
Nel 1980 inizia a collaborare con Caribu Marley disegnando storie ambientate nel mondo della boxe, tra cui Ao no Senshi (Blue Fighter), Nakkuru – Ken no ran (Nocche - Pugno ribelle) e Live Odyssey. Nel 1985 comincia la serie Bocchan no jidai (Ai tempi di Bocchan), tratto da un classico della letteratura di Soseki Natsume. Tra il 1984 e il 1986 pubblica Blanca (Blanca). Nel 1988 si cimenta anche nella fantascienza, con la serie Chikyu hyokai kiji (Cronache del dissolvimento della Terra).
Nel 1990 inizia a disegnare due serie di racconti brevi, successivamente raccolte nei volumi Genju jiten (Enciclopedia degli animali primordiali) e Aruku hito (L'uomo che cammina). Nel 1992 vince il Premio Shogakukan con Inu o kau (Allevare un cane) e l'anno seguente pubblica K, storia di ambientazione alpinistica scritta da Shiro Tosaki. Dello stesso periodo è la raccolta Keyaki no ki (L'olmo e altri racconti), tratta da Ryuichiro Utsumi. Del 1995 è invece Chichi no koyomi (Al tempo di papà), vero e proprio romanzo a fumetti, cui segue nel 1998 Harukana machi-e (In una città lontana), dei quali scrive anche i testi. Nel 1998 viene premiato con l'Osamu Tezuka Award per il manga Bocchan no jidai, finito di pubblicare dopo oltre dieci anni di lavoro. Nel 1996 esce Ikaru (Icaro), su testi di Moebius.
Nel 2000 pubblica Kamigami no itadaki (La vetta degli dei), tratto da un romanzo dello scrittore Baku Yumemakura, e Sōsakusha (La ragazza scomparsa). Del 2002 è Ten no taka (Sky Hawk), in cui sconfina nel genere western. Nel 2004 esce Seton, sulla vita del naturalista Ernest Thompson Seton e Hareyuku sora (Un cielo radioso) del 2005. Nel 2003 vince il premio Alph'Art al Festival di Angoulême per la migliore sceneggiatura con Harukana machi-e (In una lontana città), da cui è stato tratto anche un film e una pièce teatrale, e nel 2004 il premio Attilio Micheluzzi per la migliore serie straniera al Comicon di Napoli con Bocchan no jidai. Nel 2011 viene insignito della medaglia di Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres dallo Stato francese ed è l'ospite principale della 15° edizione di Lucca Comics & Games (qui il nostro reportage completo).
È morto l'11 febbraio 2017, all'età di 69 anni, dopo una lunga malattia.
Moebius lo ha descritto come "un samurai sorridente con il pennino appuntito come la punta di una spada" e ha paragonato il suo tratto al "volo di una libellula”. Il regista messicano Guillermo del Toro ha elogiato il suo lavoro in questi termini: "Taniguchi era un poeta manga, il Kieslowski della pagina, un osservatore del mondo sereno e profondo".
 
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Il pugilato in parole e immagini
Da sempre le storie di boxe hanno sedotto le più grandi firme del mondo della letteratura, personaggi del calibro di Jack London, Ernest Hemingway, Norman Mailer, Joyce Carol Oates, hanno subito il fascino della nobile arte diventandone sommi cantori. In ambito cinematografico vi si sono cimentati schiere di registi, come Robert Wise, Martin Scorsese, David O. Russell, Norman Jewison e Clint Eastwood, solo per citarne alcuni. Naturalmente anche il fumetto giapponese non si è sottratto alla sfida del ring, talvolta creando autentici personaggi cult, entrati di prepotenza nell’immaginario degli appassionati, come il leggendario Joe Yabuki, nato dalla penna di Asao Takamori (alias Ikki Kajiwara) e dalle matite di Tetsuya Chiba.
 
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