Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

Per saperne di più continuate a leggere.

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Un antico proverbio indiano recita: “viaggiando alla scoperta delle terre a noi ignote, troveremo un intero continente dentro noi stessi”.

Simile ad un innocente desiderio riposto nell’angolo più puro del cuore, “A Place Further Than the Universe" (letteralmente “un posto più lontano dell’universo”), si rivela la frizzante, leggera metafora dell’eterno dualismo fra il desiderare ed il sognare ad occhi aperti contrapposti alla perfida paura che da sempre attanaglia il cuore dell’essere umano, ovvero il viaggio verso l’ignoto e l’abbandono delle proprie certezze.
Col passare dei secoli siamo diventate creature abitudinarie e sedentarie, raramente nomadi per pensiero più che fisicamente, tuttavia le spericolate eccezioni emerse da tale tendenza si sono rivelate, nel corso della storia, individui capaci di rendersi celebri ed immortali proprio grazie ai loro viaggi. Colombo, Polo, Magellano, Armstrong: ognuno di loro partiva con poche certezze, tante paure, ma sopra ogni cosa, un irrefrenabile desiderio di scoperta, conferma, fascino e curiosità. Così è stato, e così sarà per sempre, perché questo è l’essere umano.
Sovente, chi ha il coraggio di cambiare mettendosi in gioco fino alla fine va incontro ad una scommessa che si rivela invero vinta già in partenza: affrontare l’ignoto per trionfare sulle proprie insicurezze è già di per sé un successo morale profondamente personale, ed è proprio in questo anime che tali vibrazioni si palesano sotto varie forme, sensazioni e colori: c’è chi è in cerca della propria madre, chi scappa da una routine asfissiante e fin troppo professionale per un’adolescente, chi vuole dare una scossa alla propria vita e chi fugge da brutti ricordi e pessime amicizie…
Ma non sempre fuga fa rima con codardia, anzi: ci vuole tanto, tanto coraggio per cambiare radicalmente i propri punti di riferimento, ed è sorprendente quanto questo si possa rivelare incisivo per una crescita spirituale interiore.

Mari è una liceale con tanta voglia di dare una svolta alla propria vita. Anela ad assaporare la sua gioventù al massimo, in cerca di qualcosa d’adrenalinico e scoppiettante. Vorrebbe intraprendere un viaggio in un luogo lontanissimo ed indimenticabile, ma la realtà è che ha addirittura paura di allontanarsi dalla porta di casa, e questo stridere fra desideri e timori la rende insofferente e insoddisfatta. Destino vuole che la sua stessa scuola sia frequentata da una coriacea, onesta e introversa coetanea di nome Shirase, che da tutti, goliardicamente, è soprannominata “Antarctic”, poiché non fa altro che parlare di voler “andare in Antartide”.
Beh, un luogo assurdamente lontano, letteralmente un posto all’altro capo del mondo, invivibile per temperature e morfologia, dove non esiste civiltà alcuna e soltanto spedizioni di ricercatori e scienziati possono recarvisi.
Che ci crediate o meno, Shirase non scherza.
Fa sul serio. Nei suoi occhi balena spesso quella determinazione che rese grandi gli esploratori del passato, anche se le sue intenzioni non sono mosse principalmente da spirito d’avventura o desiderio di scoperta: la sua è una vera e propria missione emotiva alla ricerca della madre scomparsa anni prima, proprio durante una sfortunata spedizione nel grande Continente Bianco.
Scoprendo i reali intenti di Shirase, Mari ne rimane inevitabilmente coinvolta, commossa, e nel contempo, attratta. Fra paure, confusione ed una preziosa amicizia che sta germogliando senza che nessuna delle due se ne renda conto, Shirase trascinerà la compagna nel “posto più lontano dell’universo”, ma non saranno le sole minorenni a bordo della grande rompighiaccio con rotta sud: all’improbabile, simpaticissima coppia di giovani ragazze se ne aggiungeranno altre due, Hinata e Yuzuki, entrambe con motivazioni che le spingeranno ad aggiungersi senza remore, lasciandosi alle spalle ogni abitudine e riferimento - amicizie gelose ed ingrate, lavoro, famiglia, scuola, impegni. Tutto.

Guardarsi avanti, prendere la vita a piene mani, saltare le proprie paure a piè pari. Camminare a passo spedito, correre, respirare a fondo e a lungo, liberi da pensieri: “A Place Further Than the Universe" è un crescendo d’inarrestabile tenerezza e sentimento. Le sfumature emotive sono di una naturalezza disarmante; s’amalgamano perfettamente ad una colonna sonora fluida, contingente alle dinamiche della vicenda. La comicità spesso spiazzante, diretta e con pause studiate che ne valorizzano l’ironia, strappano più di una genuina risata e sono da contorno ad una trama forse fin troppo semplice e per nulla complessa, genuinamente realistica, quanto basta per non avvertire il bisogno d’altro.
La paura del viaggio verso l’ignoto si palesa in quest’anime con le malcelate vesti della similitudine più classica, un freno a mano tirato per chi teme di buttarsi sia nella vita che nelle relazioni personali, il classico terrore di lanciarsi nel vuoto e spingersi “all’avventura” (in tutte le sue forme), lasciandosi alle spalle la propria confort zone; ma l’adolescenza è l’età in cui tutto questo fa sia più spavento, sia eccita di più, e l’incoscienza della gioventù può talvolta dare una mano a sganciarsi definitivamente da tali impedimenti. Ognuna di queste sfumature viene ivi dipinta coi colori dell’animo femminile di quattro simpaticissime, differenti ragazze che vi entreranno nel cuore dalla porta principale in una manciata di episodi, grazie al semplice, spontaneo realismo con cui verranno proposte.

La costruzione della trama, come accennato, apparentemente fluida e semplice, vien servita allo spettatore suddivisa in tre parti: vibrante e scoppiettante l’incipit, in sordina la parte centrale – con un netto crescendo - verso un finale davvero memorabile. Nonostante la brevità della serie, si percepisce con piacere che ogni tassello sia perfettamente al proprio posto e non manchi davvero nulla. Le sfumature emotive delle protagoniste vengono approfondite, intrecciate tanto da tessere un quadro sempre più vivo e realistico, credibile e coeso, così come appare realistico il loro percorso di crescita interiore e di avvicinamento alla spedizione, che si rivelerà un gran trampolino di lancio per una svolta psicologica definitiva.
Si parla di emozioni vere, di umanità, di fragilità, di errori e di rimorsi.
Questa è la vita. Man mano che procede, l’anime esplora l’emotività legata all’amicizia adolescenziale mettendo in primo piano pregi e difetti spesso inevitabili, come gelosia, rabbia, affetto sincero, impetuosità, attaccamento, dipendenza, paura, gioia e chi ne ha più ne metta. Tutto questo rende le protagoniste eccezionalmente reali, in una crescita continua che ce le fa percepire vere, (quasi) mai artefatte o messe sul palcoscenico del viaggio solo per funzionalità di trama.
Altro grande pregio del prodotto è la minuzia nei particolari, soprattutto degli ambienti tecnici e meccanici (la nave, la stazione antartica, gli scenari urbani); ogni fondale si rivela impeccabile e ricreato in modo sublime.
Un livello artistico molto valido, quindi. Quando infine si giunge in Antartide, ecco che i paesaggi quasi-lunari del famoso Grande Bianco e tutte le rifrazioni di luce non possono che affascinarci. Come fosse reale, ogni elemento vibra e permane congelato al tempo stesso, scuotendo le corde dell’anima e gratificando l’occhio dello spettatore. Le animazioni si rivelano oneste ma non eccelse, relativamente discrete, così come un character design classico moderno che non stupisce, senza infamia né lode, ma che comunque svolge il suo onesto lavoro, quasi sempre sopra la sufficienza.
Il comparto sonoro è pieno di saliscendi, sicuramente orecchiabile, con un’opening scoppiettante ed una ending davvero meravigliosa, un ondeggiare fra malinconia e sogni futuri, note serene di una dolcezza unica.

“A Place Further Than the Universe" è uno slice of life che trasmette grande positività.
Se dovessimo riassumerlo in una metafora concettuale, potremmo dire che si tratta di un vaso traboccante di ottimismo e amor proprio: un inno al non lasciarSi indietro, non smarrirSi per le proprie paure, non metterSi in secondo piano. In poche parole, un incoraggiamento animato.
Affrontare la vita con l’impeto di un’adolescente, ci siamo mai riusciti davvero? Forse si, forse no, ma la vita è una sola, e come diceva Lorenzo de’Medici, “gioite ora, che del doman non v’è certezza”. Quando i problemi ci schiacciano e crediamo che non ci sia via d’uscita, trovare quella marcia in più che ci faccia scattare in avanti diventa un obbligo e un dovere nei nostri stessi confronti, un modo per amarci, rispettarci e darci un’altra possibilità.
Il finale dell’anime è davvero toccante. Man mano che gli ultimi episodi scorrono sotto i nostri occhi, i parallelismi fra il presente delle protagoniste e i flashback frammentati che lentamente vanno a comporre il mosaico delle relazioni fra i vari personaggi intensificano un dramma che non viene mai esposto brutalmente, fatto sempre intendere con un garbo ed una misuratezza impeccabili. Ogni personaggio principale è infine caratterizzato ed approfondito in modo unico come raramente si è visto un una serie di soli tredici episodi, fino al raggiungimento di un epilogo intenso e riflessivo, con scene di taglio espressamente cinematografico.

Parlare di amicizia non è mai facile, e qui lo si fa alla grande.
Il viaggio delle quattro giovanissime esploratrici è più interiore che fisico; viaggiare, mettersi alla prova, affrontare avversità e provare a fidarsi di chi abbiamo vicino può davvero accrescerci psicologicamente, donandoci esperienze che mai avremmo potuto anche solo immaginare senza abbandonare la nostra confortante ma rigida, inflessibile abitudinarietà.
E da tutto questo, s’evince una riflessione tanto semplice quanto fondamentale: l’amicizia (in tutte le sue mutabili, imprevedibili forme) non è qualcosa che si possa spiegare semplicemente a parole, tanto meno in una recensione. È soggettiva, diversa da ogni altra relazione esistente fra esseri umani, e quella vera è talmente rara che riuscire ad incontrare un’altra persona con cui condividerla attraverso il nostro medesimo spettro emotivo è qualcosa di più raro dell’amore corrisposto, poiché più leggero e ancor più senza vincoli: solo e soltanto affetto incondizionato, quel desiderio di compagnia, quel semplice sapere che l’altro/a c’è e ci sarà, a prescindere da tutto e da tutti.
Senza molti giri di parole, l’amicizia narrata in “A Place Further Than the Universe" è qualcosa di magico, verosimile e al tempo stesso fragile, e perciò, infinitamente prezioso.
Non fatevi un torto, guardatevela al più presto, ma preparate i fazzoletti se siete persone empatiche o sensibili: la metafora è nella catarsi di un epilogo che non è affatto la “fine”. Siamo tutti sulla stessa barca, tutti con un grande desiderio di raggiungere quell’Antartide agognato per dare una svolta alla nostra vita, e che si chiami davvero Antartide o in qualsiasi altro modo poco importa, perché quello che ci regalano Shirase, Mari, Hinata e Yuzuki è un insegnamento tanto semplice quanto potentissimo e infervorante:
Non arrendetevi mai, qualsiasi cosa vi dicano, qualsiasi cosa pensino di voi, e tenetevi stretto chi nel bene e nel male vi rimarrà accanto, perché i veri amici sono quelli, quelli che piuttosto di vedervi soffrire da soli faranno a metà col vostro dolore e con le vostre lacrime.

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Si sapeva che tra i nostri due piccoli eroi, a cui si era recentemente unita la morbida Nanachi, e il fondo del misterioso Abisso, si interponesse l'enigmatico personaggio di Bondrewd. Si sapeva anche di ciò che di terribile accadeva nei meandri più profondi della voragine, almeno in parte. Ciò che ancora era da scoprire era a cosa avrebbe portato l'inevitabile incontro tra l'avventuroso trio e il maledetto Fischietto Bianco. Soprattutto Nanachi, che già aveva avuto il dispiacere di conoscerlo, avrebbe emotivamente risentito, in un modo o nell'altro, della visita alla sua vecchia nemesi, che tanto odio aveva maturato nella piccola incarnazione della Benedizione dell'Abisso.

Per la prima volta, se si esclude il repentino scambio di battute con Ozen, i bambini si trovano di fronte a colui che più di ogni altro incarna il concetto di ambizione nel suo stato primordiale. Bondrewd fa da tramite tra Riko & Co. e l'Abisso stesso, lasciando intendere che, se ancora non si fosse capito, non si torna indietro. Il messaggio vuole essere forte e chiaro. Tuttavia, sembra che solo in parte tale messaggio riesca a giungere alle orecchie degli spettatori principali. Difatti, nonostante il collante creato nel personaggio della dolce Prushka, che, ancor più di Nanachi a suo tempo, va a sbattere in faccia ai bambini la cruda realtà dell'Abisso, questi sembrano reagire fin troppo passivamente alla notizia che, quando metti in gioco tutto, la vita, che sia tua o degli altri, non fa eccezione. L'Abisso reclama il suo sacrificio, e non ci sono sconti. Bondrewd sembra aver abbracciato a cuor leggero tale verità; ed è proprio questo a fare del suo personaggio qualcosa di concettualmente sublime. L'amore che egli prova nei confronti della scoperta, della volontà, dell'ambizione, è l'unica cosa che pare contare davvero per lui; tutto il resto, egli stesso compreso, non è altro che una serie di pedoni facilmente sacrificabili. Dal canto loro, Riko, Reg e Nanachi sembrano titubare di fronte a questa verità, che, almeno per ora, pare scalfirli solo in parte.

Personalmente mi trovo a dover descrivere i difetti, purtroppo evidenti, di questa trasposizione, con sentimenti contrastanti. L'impatto emotivo che scaturisce dal susseguirsi delle vicende è forte, fortissimo. Tuttavia, a intervallare lo scorrere degli eventi sono nientemeno che siparietti comico-'fanserveschi' di dubbia contestualizzazione che fin troppo spesso vedono protagonisti il pene di Reg e i piagnistei striduli delle bambine. Seppur fuori contesto, però, mi sono trovato a pensare a come sarebbe stata la visione se privata di questi spezzoni dalla dubbia qualità. Una botta allo stomaco difficile da digerire. Mi vien da dire che non tutto il male venga per nuocere, ma forse no.

Ciò che però davvero danneggia questa affascinante storia di misteri è ciò che di più importante, a mio modo di vedere, ci possa essere. L'impatto emotivo che scaturisce dalla discesa nell'Abisso, protagonista indiscusso ancora una volta, lo abbiamo noi spettatori, lo ha Bondrewd, lo ha Nanachi, ma non lo hanno, almeno per ora, Riko e Reg. Sembra proprio che tra uno strato e l'altro si sia persa la maturazione dei due protagonisti, i quali più di ogni altro vorremmo vedere trasformati dalla discesa della misteriosa voragine. Di strada tanta ne è stata fatta e tanta ne manca da fare, l'Abisso reclama il suo sacrificio a chiunque; Riko e Reg, spero, non faranno eccezione.

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Il mio rapporto con i film dello Studio Ghibli è sempre stato complesso, e per quanto io apprezzi le idee di Miyazaki, a volte tendo a preferire i film scritti da Takahata, che era forse un regista meno bonaccione e un po' meno utopista rispetto al collega.

Nel caso specifico, "Pioggia di ricordi" è senza dubbio uno dei migliori slice of life che ho avuto occasione di vedere, se non il migliore in assoluto, per molteplici motivi.
Fin dalla sigla di apertura colpiscono le musiche di alto livello. Esse sono parte integrante dello spirito di questo film. Tra le altre cose, fanno anche da colonna sonora all'ambientazione stessa, ovvero la campagna giapponese. L'espressività dei personaggi è molto vera: spesso e volentieri, gli anime e i manga raffigurano dei personaggi che in un certo qual senso sono attori, e in quanto tali recitano la loro parte. Per quanto in tal modo sia comunque possibile esprimere emozioni e pensieri in modo assai incisivo, qui invece ho avuto l'impressione che i personaggi non fossero degli attori, ma delle persone vere. Talmente vere che è facile per lo spettatore trovare frammenti del proprio vissuto, e guardare il film mantenendosi sulla giusta lunghezza d'onda. Ed è esattamente quello che un vero e proprio slice of life dovrebbe fare.
L'assoluta assenza di azione può rendere questo film un po' difficile da seguire. In un prodotto di questo genere la noia è sempre dietro l'angolo, ma, per quanto mi riguarda, non l'ho trovato noioso e la sua staticità non mi ha pesato. L'intreccio fra passato e presente rende il tutto più interessante, in più tale intreccio non è costruito al solo scopo narrativo, ma ha in sé anche simbolismi che fanno meglio intendere il mondo interiore di Taeko.
Interessante come viene esplorato e concepito il mondo agricolo, in contrapposizione a una metropoli come Tokyo: entrambi sono ambienti creati dall'uomo, ma nel primo è conferito maggior respiro alla natura. Da questa prospettiva, "Pioggia di ricordi" prende una piega ecologista, ma lo fa senza mai uscire dai parametri del proprio realismo, e ponendo la protagonista davanti a un bivio. Da un certo punto di vista è un romanzo di formazione, anche se il registro è più maturo in confronto al predecessore "Kiki - Consegne a domicilio".

La grafica è quella di alto livello a cui lo Studio Ghibli ci ha abituati, i fondali sono spettacolari e vi è quel character design morbido, semplice e aggraziato che ha caratterizzato anche i film diretti da Miyazaki. Per quanto riguarda le animazioni, si nota che sono datate e un po' altalenanti, ma non tanto da compromettere la visione di questo splendido lungometraggio. Naturalmente, se il genere non fa per voi, ve lo sconsiglio, ma secondo me questo è cinema d'animazione di grande pregio.