Flintlock: The Siege of Dawn - La recensione di un bruco che spera di diventare farfalla
Un mischione che in qualche modo, funziona
di Marcello Ribuffo
Siamo ormai abituati a vedere di tutto, da maghi ed elfi capaci di incredibili magie a spade laser e alieni in grado di distruggere interi pianeti.
Il fantasy ha avuto i suoi periodi e nonostante le sue varie diramazioni rimane sempre sulla cresta dell'onda. Questo perché in fondo sono sempre storie che parlano di noi come specie, però arricchite da quella sana teatralità capace di rendere piccante anche una galletta di riso. Negli ultimi vent'anni però un nuovo sottogenere si è fatto strada, quelli dei cosiddetti Flintlock Fantasy, dove la parola “flintlock” è riferito alla polvere da sparo. Questo perché, se normalmente i vari fantasy sparsi per il globo partono da uno scenario medievale, questo nuovo sottogenere si sposta più in là, praticamente in pieno periodo napoleonico.
La povere da sparo dunque diventa elemento cardine non solo per le armi da fuoco, spesso a colpo singolo, ma anche per le magie, in grado di potenziare le abilità dei protagonisti.
Questa introduzione ci porta a Flintlock: The Siege of Dawn, dove la parola “flintlock” è un chiaro riferimento a questo sottogenere. A44 Games ha infatti preso tutti gli elementi caratteristici di questi racconti e li ha messi insieme in un videogioco che, rispetto il lavoro precedente Ashen, è un bel salto in avanti.
Ambientato dunque in un mondo in cui la magia è cosa nota, la barriera tra il regno dei vivi e il regno dei morti si è infranta, permettendo la liberazione di alcuni déi che hanno gettato nello scompiglio l'intera regione. Saranno Nor, una geniera dell'esercito e la misteriosa divinità Enki a cercare di porre fine al supplizio.
Il problema principale di Flintlock sta proprio nella narrativa e in un incipit fin troppo rapido. Tutto avviene incredibilmente in fretta e non si ha il tempo di conoscere i personaggi che ci porteremo dietro fino alla fine dell'avventura. Inoltre, manca proprio la partecipazione a un contesto totalmente sconosciuto cosa che può andare bene in una narrazione in stile From Software ma che in una narrazione diretta come questa priva il giocatore di alcuni appigli fondamentali. L'inizio in medias res non è un male di per sé, anzi, ma deve essere ben studiato: in Sekiro ad esempio, nel giro di pochi minuti conosciamo bene il contesto e il nostro obiettivo, con arricchimenti strada facendo sino alla letale boss fight finale.
In Flintlock il problema è poi esacerbato da Nor (interpretata da Olive Gray), incapace di bucare lo schermo. Con una caratterizzazione che pesca a piene mani da ogni stereotipo possibile, il nostro alter ego disturba ulteriormente il possibile legame tra il giocatore e gli altri personaggi, Enki su tutti. La divinità simil-volpe, (interpretata da Alistair Petrie) è sicuramente il personaggio più apprezzabile dell'opera, con una vera evoluzione e un comportamento su una scala di grigi capace di instillare qualche dubbio sulla sua lealtà. Peccato che le interazioni con la protagonista lascino il tempo che trovano.
Se narrativamente risulta abbastanza insipido dunque e con un finale tutt'altro che esaltante, anche il mondo di gioco fatica a restituire qualcosa di memorabile. Con ambientazioni ispirate alla Mesopotamia, all'Egitto e alla Nuova Zelanda, Flintlock non regala nulla di nuovo nemmeno alla vista. Ricade un po' nel problema di Immortals of Aveum, FPS magico di Ascendant Studio: il cercare di fare qualcosa di originale, finisce per produrre l'effetto contrario. Spesso capita perché il lavoro effettuato su carta o Photoshop, con sketch incredibili e accattivanti, non lo è poi in 3D. È come se mancasse un diretto scambio tra i programmatori, modellatori e artisti: “cosa si può fare con questo motore di gioco?”, “Ok, allora proviamo così”. E si continua a lavorare fino a quando non si trova una perfetta amalgama tra concept e realizzazione finale.
Del resto siamo appena usciti da Shadow of the Erdtree, dove questa sinergia la si vede nella sua massima espressione.
In qualche modo però si salvano le boss fight principali, perché se dal punto di vista narrativo e artistico si rimane un po' freddi, da quello del gameplay qualche sorriso lo si può tirar fuori. Ci troviamo davanti a un action a tinte souls, con Nor armata di un arma a corpo a corpo, un ascia in dotazione ai genieri, e diverse armi da fuoco. La polvere da sparo è sempre il fulcro della questione e come detto inizialmente, in questo tipo di opere serve anche a potenziare le abilità della protagonista. Grazie all'intervento di Enki infatti, Nor è in grado di muoversi agilmente, compiendo doppi salti e schivate prorompenti ma questo, è solo l'inizio. Con un ottimo albero delle abilità infatti, suddiviso in tre tronconi principali, la nostra protagonista diventerà una macchina da guerra in tutto e per tutto, regalando un concreto senso di progressione. Non vi sono livelli da aumentare infatti e il progredire è dato proprio dalle nuove capacità acquisite che vanno da una maggiore efficacia degli attacchi di Enki a una migliore sinergia tra i due creando colpi devastanti chiamati Consunzioni. La cosa interessante è che tutte le abilità sono utili e se ne sentirà il bisogno in diversi frangenti dell'avventura. C'è infatti una buona amalgama tra quanto proposto in termini ludici e le possibilità offerte al giocatore e per quanto non sia un titolo enorme e con una forte componente esplorativa (anche se sono presenti diversi incarichi secondari), ci si può destreggiare facilmente tra un'abilità e un'altra.
Interessante poi, considerata l'influenza dei vari souls, la possibilità di scegliere il livello di difficoltà. Il team di sviluppo non ha voluto spingere sulla frustrazione che si può provare ogni tanto in questa tipologia di titoli offrendo una modalità “storia”, in cui i danni subiti sono letteralmente al minimo sindacale, una “normale” (quella principalmente giocata per questa recensione) e quella difficile che vi riporta in mente Shadow of the Erdtree. In sostanza cambia il valore di danno inferto dai nemici, forse una soluzione un po' 'pigra' ma in questo caso efficace.
Venendo al gameplay vero e proprio, ci troviamo di fronte a un approccio di metodo derivante dai souls contornato però da sana azione dovuta alle incredibili capacità di Nor ed Enki. Arma bianca e arma da fuoco vanno usate in sinergia e come in un Bloodborne qualunque, basta un colpo di pistola per rompere sia l'attacco nemico sia la sua guardia in condizioni particolari. Tralasciando alcuni problemini con il boss finale, il tutto appare molto leggibile e con un ritmo degli attacchi abbastanza ragionato. Prendendo ancora in considerazione l'ultimo DLC di Elden Ring, Flintlock sembra andare quasi al rallentatore, come i souls vecchio stampo; per cui, serve quasi imparare nuovamente certe tempistiche. Rimane comunque un videogioco che di veramente ostico ha ben poco: i contrattacchi dovuti ai parry e alle bocche da fuoco sono molto efficaci e raramente ci si sentirà davvero in difficoltà. Magari c'è qualche attacco dei nemici dotato di tracking di troppo o l'animazione di cura fin troppo lunga, ma tolti questi dettagli rimane un combat system abbastanza godibile.
Flintlock non vuole inventarsi nulla di nuovo e fa bene. Il rischio dell'ambizione è sempre dietro l'angolo e per un team composto da una quarantina di persone, quello di andare sul sicuro è una scelta più che saggia. Tuttavia, molto sa di già visto e se da un lato ci si sente in una comfort zone, dall'altro, ci si può anche annoiare in certi punti. Ma questo è del tutto soggettivo alla fine. Interessante è però il sistema di progressione, in cui, in qualche modo, si 'scommette' sulle proprie capacità. Immagine il classico sistema 'soulsiano' di anime o rune ma con un moltiplicatore basato sulle nostre azioni. Più siamo bravi e vari, maggiori saranno le ricompense ma qualora si venisse colpiti, prenderemo solo ciò che ci spettava inizialmente. In questo è un sistema molto onesto, non c'è che dire.
Veniamo però a Enki, lasciato volutamente per ultimo. Il nostro compagno di viaggio è fondamentale (almeno inizialmente) nel provocare lo stordimento dell'avversario. Anche qui infatti, è presente una speciale barra sul nemico che, una volta riempita, ne causerà appunto lo stordimento. Ma Enki può fare molto di più, arrivando a stordire automaticamente i nemici, distrarli oppure facendoci recuperare salute grazie ad attacchi sinergici. Il dio volpe è sicuramente la parte più riuscita dell'opera, eppure si avverte come l'intera struttura ludica sia solo una crisalide che meriterebbe sicuramente più lavoro.
Dal punto di vista tecnico non ci troviamo ovviamente di fronte a una produzione ad alto budget. La natura 'doppia A' di Flintlock si fa notare ma sa regalare discreti colpi d'occhio. Giocato a 4K con DLSS impostato su “bilanciato”, il gioco tiene botta anche su una RTX 3060. Se dal punto di vista di texture e shader si lascia guardare, considerando pure una discreta mole poligonale, è il sistema di illuminazione che rovina un po' la magia, incapace di dare una reale profondità agli ambienti di gioco. Un'illuminazione globale vecchio stampo insomma e forse è anche per questo che il comparto artistico fa fatica a spiccare davvero.
Dal punto di vista sonoro, il doppiaggio è in buona parte di ottimo livello, contando appunto su Olive Grey (la Dr. Miranda Keyes della serie TV su Halo), su Alistair Petrie (il Generale Draven in Rogue One) e su Elias Toufexis che interpreta il mentore di Nor, già voce di Adam Jensen nella serie Deus Ex. Quello che ogni tanto lascia un po' interdetti è l'accompagnamento sonoro, a tratti non proprio accattivante o addirittura, fuori luogo.
Il fantasy ha avuto i suoi periodi e nonostante le sue varie diramazioni rimane sempre sulla cresta dell'onda. Questo perché in fondo sono sempre storie che parlano di noi come specie, però arricchite da quella sana teatralità capace di rendere piccante anche una galletta di riso. Negli ultimi vent'anni però un nuovo sottogenere si è fatto strada, quelli dei cosiddetti Flintlock Fantasy, dove la parola “flintlock” è riferito alla polvere da sparo. Questo perché, se normalmente i vari fantasy sparsi per il globo partono da uno scenario medievale, questo nuovo sottogenere si sposta più in là, praticamente in pieno periodo napoleonico.
La povere da sparo dunque diventa elemento cardine non solo per le armi da fuoco, spesso a colpo singolo, ma anche per le magie, in grado di potenziare le abilità dei protagonisti.
Questa introduzione ci porta a Flintlock: The Siege of Dawn, dove la parola “flintlock” è un chiaro riferimento a questo sottogenere. A44 Games ha infatti preso tutti gli elementi caratteristici di questi racconti e li ha messi insieme in un videogioco che, rispetto il lavoro precedente Ashen, è un bel salto in avanti.
Ambientato dunque in un mondo in cui la magia è cosa nota, la barriera tra il regno dei vivi e il regno dei morti si è infranta, permettendo la liberazione di alcuni déi che hanno gettato nello scompiglio l'intera regione. Saranno Nor, una geniera dell'esercito e la misteriosa divinità Enki a cercare di porre fine al supplizio.
Il problema principale di Flintlock sta proprio nella narrativa e in un incipit fin troppo rapido. Tutto avviene incredibilmente in fretta e non si ha il tempo di conoscere i personaggi che ci porteremo dietro fino alla fine dell'avventura. Inoltre, manca proprio la partecipazione a un contesto totalmente sconosciuto cosa che può andare bene in una narrazione in stile From Software ma che in una narrazione diretta come questa priva il giocatore di alcuni appigli fondamentali. L'inizio in medias res non è un male di per sé, anzi, ma deve essere ben studiato: in Sekiro ad esempio, nel giro di pochi minuti conosciamo bene il contesto e il nostro obiettivo, con arricchimenti strada facendo sino alla letale boss fight finale.
In Flintlock il problema è poi esacerbato da Nor (interpretata da Olive Gray), incapace di bucare lo schermo. Con una caratterizzazione che pesca a piene mani da ogni stereotipo possibile, il nostro alter ego disturba ulteriormente il possibile legame tra il giocatore e gli altri personaggi, Enki su tutti. La divinità simil-volpe, (interpretata da Alistair Petrie) è sicuramente il personaggio più apprezzabile dell'opera, con una vera evoluzione e un comportamento su una scala di grigi capace di instillare qualche dubbio sulla sua lealtà. Peccato che le interazioni con la protagonista lascino il tempo che trovano.
Se narrativamente risulta abbastanza insipido dunque e con un finale tutt'altro che esaltante, anche il mondo di gioco fatica a restituire qualcosa di memorabile. Con ambientazioni ispirate alla Mesopotamia, all'Egitto e alla Nuova Zelanda, Flintlock non regala nulla di nuovo nemmeno alla vista. Ricade un po' nel problema di Immortals of Aveum, FPS magico di Ascendant Studio: il cercare di fare qualcosa di originale, finisce per produrre l'effetto contrario. Spesso capita perché il lavoro effettuato su carta o Photoshop, con sketch incredibili e accattivanti, non lo è poi in 3D. È come se mancasse un diretto scambio tra i programmatori, modellatori e artisti: “cosa si può fare con questo motore di gioco?”, “Ok, allora proviamo così”. E si continua a lavorare fino a quando non si trova una perfetta amalgama tra concept e realizzazione finale.
Del resto siamo appena usciti da Shadow of the Erdtree, dove questa sinergia la si vede nella sua massima espressione.
In qualche modo però si salvano le boss fight principali, perché se dal punto di vista narrativo e artistico si rimane un po' freddi, da quello del gameplay qualche sorriso lo si può tirar fuori. Ci troviamo davanti a un action a tinte souls, con Nor armata di un arma a corpo a corpo, un ascia in dotazione ai genieri, e diverse armi da fuoco. La polvere da sparo è sempre il fulcro della questione e come detto inizialmente, in questo tipo di opere serve anche a potenziare le abilità della protagonista. Grazie all'intervento di Enki infatti, Nor è in grado di muoversi agilmente, compiendo doppi salti e schivate prorompenti ma questo, è solo l'inizio. Con un ottimo albero delle abilità infatti, suddiviso in tre tronconi principali, la nostra protagonista diventerà una macchina da guerra in tutto e per tutto, regalando un concreto senso di progressione. Non vi sono livelli da aumentare infatti e il progredire è dato proprio dalle nuove capacità acquisite che vanno da una maggiore efficacia degli attacchi di Enki a una migliore sinergia tra i due creando colpi devastanti chiamati Consunzioni. La cosa interessante è che tutte le abilità sono utili e se ne sentirà il bisogno in diversi frangenti dell'avventura. C'è infatti una buona amalgama tra quanto proposto in termini ludici e le possibilità offerte al giocatore e per quanto non sia un titolo enorme e con una forte componente esplorativa (anche se sono presenti diversi incarichi secondari), ci si può destreggiare facilmente tra un'abilità e un'altra.
Interessante poi, considerata l'influenza dei vari souls, la possibilità di scegliere il livello di difficoltà. Il team di sviluppo non ha voluto spingere sulla frustrazione che si può provare ogni tanto in questa tipologia di titoli offrendo una modalità “storia”, in cui i danni subiti sono letteralmente al minimo sindacale, una “normale” (quella principalmente giocata per questa recensione) e quella difficile che vi riporta in mente Shadow of the Erdtree. In sostanza cambia il valore di danno inferto dai nemici, forse una soluzione un po' 'pigra' ma in questo caso efficace.
Venendo al gameplay vero e proprio, ci troviamo di fronte a un approccio di metodo derivante dai souls contornato però da sana azione dovuta alle incredibili capacità di Nor ed Enki. Arma bianca e arma da fuoco vanno usate in sinergia e come in un Bloodborne qualunque, basta un colpo di pistola per rompere sia l'attacco nemico sia la sua guardia in condizioni particolari. Tralasciando alcuni problemini con il boss finale, il tutto appare molto leggibile e con un ritmo degli attacchi abbastanza ragionato. Prendendo ancora in considerazione l'ultimo DLC di Elden Ring, Flintlock sembra andare quasi al rallentatore, come i souls vecchio stampo; per cui, serve quasi imparare nuovamente certe tempistiche. Rimane comunque un videogioco che di veramente ostico ha ben poco: i contrattacchi dovuti ai parry e alle bocche da fuoco sono molto efficaci e raramente ci si sentirà davvero in difficoltà. Magari c'è qualche attacco dei nemici dotato di tracking di troppo o l'animazione di cura fin troppo lunga, ma tolti questi dettagli rimane un combat system abbastanza godibile.
Flintlock non vuole inventarsi nulla di nuovo e fa bene. Il rischio dell'ambizione è sempre dietro l'angolo e per un team composto da una quarantina di persone, quello di andare sul sicuro è una scelta più che saggia. Tuttavia, molto sa di già visto e se da un lato ci si sente in una comfort zone, dall'altro, ci si può anche annoiare in certi punti. Ma questo è del tutto soggettivo alla fine. Interessante è però il sistema di progressione, in cui, in qualche modo, si 'scommette' sulle proprie capacità. Immagine il classico sistema 'soulsiano' di anime o rune ma con un moltiplicatore basato sulle nostre azioni. Più siamo bravi e vari, maggiori saranno le ricompense ma qualora si venisse colpiti, prenderemo solo ciò che ci spettava inizialmente. In questo è un sistema molto onesto, non c'è che dire.
Veniamo però a Enki, lasciato volutamente per ultimo. Il nostro compagno di viaggio è fondamentale (almeno inizialmente) nel provocare lo stordimento dell'avversario. Anche qui infatti, è presente una speciale barra sul nemico che, una volta riempita, ne causerà appunto lo stordimento. Ma Enki può fare molto di più, arrivando a stordire automaticamente i nemici, distrarli oppure facendoci recuperare salute grazie ad attacchi sinergici. Il dio volpe è sicuramente la parte più riuscita dell'opera, eppure si avverte come l'intera struttura ludica sia solo una crisalide che meriterebbe sicuramente più lavoro.
Dal punto di vista tecnico non ci troviamo ovviamente di fronte a una produzione ad alto budget. La natura 'doppia A' di Flintlock si fa notare ma sa regalare discreti colpi d'occhio. Giocato a 4K con DLSS impostato su “bilanciato”, il gioco tiene botta anche su una RTX 3060. Se dal punto di vista di texture e shader si lascia guardare, considerando pure una discreta mole poligonale, è il sistema di illuminazione che rovina un po' la magia, incapace di dare una reale profondità agli ambienti di gioco. Un'illuminazione globale vecchio stampo insomma e forse è anche per questo che il comparto artistico fa fatica a spiccare davvero.
Dal punto di vista sonoro, il doppiaggio è in buona parte di ottimo livello, contando appunto su Olive Grey (la Dr. Miranda Keyes della serie TV su Halo), su Alistair Petrie (il Generale Draven in Rogue One) e su Elias Toufexis che interpreta il mentore di Nor, già voce di Adam Jensen nella serie Deus Ex. Quello che ogni tanto lascia un po' interdetti è l'accompagnamento sonoro, a tratti non proprio accattivante o addirittura, fuori luogo.
Flintlock: The Siege of Dawn è in generale un titolo riuscito, dove in mancanza di una storia incisiva, fortunatamente arriva il gameplay a mitigare la situazione. Ci troviamo davanti a un classico 'doppia A' del 'vorrei ma non posso', con una certa ambizione di fondo (tanto che questo vorrebbe essere l'inizio di un franchise) che si scontra però con gli effettivi limiti narrativi e soprattutto artistici del progetto. Ha però ampi margini di miglioramento, con un gameplay che intrattiene e che a tratti regala qualche soddisfazione. Se le vendite consentiranno a Kepler di investire su un secondo da capitolo, potrebbe valerne la pena tenerlo d'occhio.