Speciale - Lo sviluppo della saga di God of War tra deicidi e un futuro incerto

Ripercorriamo i dietro le quinte di una saga entrata nell'Olimpo dei videogiochi

di Marcello Ribuffo

Quando si parla di God of War, un brivido lungo la schiena compare nei veterani del gaming. Ore e ore passate nelle vesti di un deicida che, nonostante abbia cambiato ultimamente connotati non ha mai perso la sua furia, con il “fantasma di Sparta” che rappresenta sempre la personificazione della potenza e della rabbia. In questo articolo ripercorreremo le vicende del “fu” Dio della Guerra, dai concept sino a God of War Ascension, in quello che potremmo definire un percorso classico della serie. Per il God of War del 2018 arriverà un altro articolo, più personale, più avanti.
 

Sviluppato da Sony Santa Monica, God of War ebbe una gestazione particolare e il cui successo fu del tutto inaspettato. God of War non fu però il primo progetto del team, con Kinetica che diede modo a uno dei suoi sviluppatori di muovere i primi passi verso il primo capitolo di questa saga. David Jaffe infatti, divenne capo di un nuovo team, con l'idea di sviluppare qualcosa di completamente diverso. God of War, che trae ispirazione dai capisaldi del genere fino a quel momento, come Ico e Devil May Cry era qualcosa di mai visto prima. L'ambientazione dell'antica Grecia, permetteva di prendere innumerevoli spunti sia dal punto vista dei nemici, sia sui vari elementi narrativi ma anche, sulle sezioni platform. La Grecia fu dunque una scelta amata da tutti ma per il protagonista, le cose non erano altrettanto semplici. Santa Monica infatti aveva l'obiettivo di creare un personaggio carismatico ma soprattutto brutale, lontano dagli stilemi dell’epica classica. Rivedere adesso le idee originali fa un certo effetto: furono passati in rassegna infatti diversi modelli, come soldati mascherati, guerrieri dalla spiccata vena africana fino a un personaggio che portava sulle spalle un bimbo o un cane. Fu così deciso di realizzare un personaggio a torso nudo e che al posto della classica armatura avrebbe avuto un grosso tatuaggio blu. Tuttavia, tale tattoo divenne rosso dopo che fu notata un’eccessiva somiglianza con un personaggio di Diablo II. Ma anche le armi avevano ricevuto un tocco speciale: due lame, denominate Spade del Chaos, fuse con una lunga catena direttamente sulle braccia del protagonista, per gentile concessione di Ares. A questo punto mancava solo il nome: visto che nella mitologia greca molto spesso ogni personaggio personificava una qualità (una virtù o un vizio), al personaggio in questione fu affibbiata la Potenza, che in greco antico si traduce appunto con Kratos (Κράτος). Il corpo bianco di Kratos è dovuto alle ceneri della moglie e della figlia da lui uccise mentre si trovava sotto il controllo di Ares, e attaccate per sempre alla sua pelle – di base scura –, attraverso una maledizione dell’Oracolo della sua stessa città.
 
I primi bozzetti

Dopo tre anni intensi di sviluppo venne presentato finalmente God of War, un successo su vasta scala, apprezzatissimo dalla critica e amato dal pubblico. Già dalla sua uscita costituì uno dei pilastri del grande tempio Sony. Tanta sana violenza venne immersa in un contesto assolutamente originale e con una trama che a poco a poco lasciava intravedere tutti gli aspetti del mondo di gioco e di Kratos, un antieroe sì ma ricco di sfaccettature. Oltre ai combattimenti di natura hack and slash, erano in scena anche diverse sezioni platform e puzzle ambientali; un esempio su tutti è quello del Tempio di Pandora. Importante è anche la possibilità di potenziare Kratos e le sue armi, dando così un forte senso di progressione all’interno del gioco. God of War ha anche il merito di aver sdoganato i quick time event, trasformando l’eliminazione dei nemici, soprattutto dei boss, in scene altamente coreografiche e suggestive. Particolare è anche l'utilizzo della telecamera fissa, perfetta in tutte le situazioni e gestita direttamente dal motore di gioco, capace di dare sempre il punto di vista migliore. God of War rimane senza dubbio uno dei migliori videogiochi della storia, cosa sancita allo Spike Video Game Award 2005 dove ricevette il premio “Gioco d’azione dell’anno” e David Jaffe, il suo creatore, fu premiato come “Sviluppatore dell’anno“. Da ora in avanti comunque, God of War era un nome da tenere ben a mente e pronunciato con rispetto.

Ma il successivo capitolo, non fu God of War II. Esiste infatti anche un capitolo per smartphone denominato Betrayal, che cronologicamente si interpone tra Chains of Olympus e il secondo capitolo. La caratteristica di Betrayal è la sua grafica 2D e il suo essere più un platform game che altro. I combattimenti sono ovviamente semplificati ed essendo un titolo per cellulari, per forza di cose, si son dovuti fare dei sacrifici, a cominciare dal sistema di controllo fino al comparto tecnico e sonoro. È proprio in questo capitolo però che a Kratos venne affibbiato il titolo di “uccisore degli Dei“, ponendo le basi per la guerra totale scatenata di lì a poco.
Lo sviluppo di God of War II era ampiamente previsto, e la palla passò da David Jaffe al responsabile delle animazioni, Cory Barlog, aprendo anche di fatto la leggenda della “maledizione di God of War”: un nuovo capitolo, un nuovo director. Il team era diviso in due: chi voleva sviluppare il titolo sulla nuova e più potente console (PlayStation 3), chi voleva sfruttare al massimo l’ampio numero di unita vendute di PS2. Fu Yoshida, presidente Worldwide di Sony, a prendere la decisione che ormai tutti conosciamo. Il secondo capitolo rappresenta un affinamento di quanto visto in precedenza: il sistema di combattimento rimane pressoché invariato nella forma ma con un miglioramento della risposta ai comandi e feeling con armi. I nuovi armamenti e magie rappresentano le vere novità in ambito di gameplay, così come il Vello d’Oro, capace di respingere gli attacchi se usato con il giusto tempismo, e le Ali di Icaro, che permettevano di coprire grandi distanze e modi più fantasiosi di uccidere i nemici. Anche la trama risulta meglio raccontata, grazie anche a bellissime cutscene in CGI e arricchita da molte più boss fight. Il comparto tecnico era eccezionale, probabilmente la produzione migliore su PlayStation 2. Il successo fu replicato: nel 2007, God of War II vinse i Premi Bafta come “Technical Achievement” e “Story and Character”.
 
God of War II ancora oggi è incredibile

Il brand ebbe un tale successo da essere trasposto, sotto forma di prequel, nella portatile Sony: PSP. Con il sottotitolo Chains of Olympus, il God of War su handheld si configura come prequel, fornendo uno sguardo più ampio su Kratos. Sviluppato da Ready at Down (sviluppatore che vanta anche il discusso The Order 1886), questo titolo fu in grado di mostrare tutte le potenzialità della portatile Sony, toccando vette d’eccellenza un po’ dappertutto. Il motore base utilizzato era quello di Dexter ma servì un aggiornamento apposito del firmware di PSP per far fruttare tutte le idee che aveva in serbo il team di sviluppo. Ready at Down riuscì a trasporre un titolo perfetto anche sulla console portatile, a cominciare dal comparto tecnico, impressionante visto il contesto, aiutato sicuramente dallo schermo più piccolo per la pura resa grafica fornendo a PSP una vera e propria killer application. Anche i comandi, sulla cui resa si temeva non poco, vennero adattati regalando quasi le stesse sensazioni del DualShock. Ovviamente, rispetto ai titoli principali, questo capitolo ebbe qualche mancanza, come la durata della campagna tra le 6-8 ore, puzzle e boss più semplici, ma il tutto comunque rigiocabile per sbloccare i numerosi extra.
Una curiosità: sul libretto d’istruzioni di Chains of Olympus figura un invito a cercare le cosiddette Urne del Potere, in grado di conferire poteri inauditi e difficili da trovare. Peccato solo che nel frattempo gli sviluppatori decisero di eliminarle dal gioco completo per cui, chi non ne era a conoscenza, probabilmente ha vagato per ore in cerca di urne che effettivamente non erano presenti. In ogni caso, Chains of Olimpus fu il gioco più venduto e con i voti più alti presente su PSP.

Nuovo God of War, nuovo director: si passa da Cory Barlog a Stig Asmussen, l’art director di God of War II. Siamo al primo salto generazionale per questo franchise, approdando nel 2010 su PlayStation 3. Con il terzo capitolo, visto anche un nuovo e più potente hardware, si vantano diverse novità dal punto di vista del gameplay. Innanzi tutto magie e armi non sono più elementi separati: ogni arma infatti possiede un suo potere intrinseco, selezionabile grazie alla croce direzionale, con la quale era possibile cambiare arma rapidamente, continuando così le combo senza interruzioni. Inoltre, vennero modificate postura e animazioni del protagonista oltre all’introduzione di una barra apposita per l’utilizzo di alcuni oggetti come l’Arco di Apollo e gli Stivali di Hermes. A livello tecnico è essenzialmente un capolavoro, capace di lasciare sbalorditi ancora oggi nonostante siano passati otto anni. L’utilizzo del nuovo hardware ha permesso un boost spaventoso in tutti gli aspetti del gioco regalando una perla di pregevole fattura. È la prima ora di gioco che risulta assolutamente straordinaria e picco più alto di tutta la produzione, difficilmente replicabile. In quell’ora di gioco si è avvolti da God of War alla massima potenza. Oltre all’eccezionale comparto tecnico non si è badato a spese anche nel sonoro, che si fregia di ben quattro compositori differenti, che sono riusciti ad arrangiare brani dal tono epico in grado di esaltare ogni situazione possibile. Durante lo sviluppo molte idee furono scartate come una modalità multiplayer o la possibilità di utilizzare gli Stivali di Hermes per correre sui muri alla stessa maniera di Prince of Persia.
 
L'inizio di God of War III è manuale del videogioco

Arriva un nuovo capitolo su PSP: Ghost of Sparta, cronologicamente posto tra il primo God of War e God of War: Betrayal. Questo capitolo rappresenta il canto del cigno di PSP, una gioia per gli occhi sia dal punto di vista meramente tecnico sia artistico, anche se purtroppo non raggiunge le cifre di vendite degli altri capitoli. Questo capitolo e Chains of olympus furono poi rimasterizzati nella Origin Collection per PS3.
Nuovo God of War, nuovo producer, come ormai da tradizione: la palla passa da Stig Asmussen a Todd Papy. Arriviamo all’utimo God of War uscito finora, Ascension, un prequel dell'intera saga. Ascension rappresenta l'unico vero buco nell'acqua del franchise. Non vanta una trama che lascia il segno e nonostante alcune novità, come per il tasto cerchio del pad, non più adibito alle prese ma alle armi secondarie, che è possibile raccogliere durante il gioco, e l'utilizzo di diversi amuleti, utili per le rinnovate fasi platform, Ascension vanta grossi problemi di design, soprattutto nel combat system (famosa la questione dei frame di invincibilità maggiori con il salto piuttosto che con la schivata). Ma la vera novità fu il comparto multiplayer, sia competitivo che cooperativo, una scelta a conti fatti un po’ forzata ma utile per creare engagement. Questa modalità venne di fatto sempre scartata in fase di sviluppo: Kratos era infatti un personaggio solitario e una modalità multigiocatore avrebbe rischiato di snaturare la natura del protagonista.

Infine, arriva 2018 e come al solito tocca a un nuovo producer, ma questa volta a una vecchia conoscenza: Cory Barlog si lancia in quello che a tutti gli effetti è sia un sequel che un reboot del franchise, con il semplice titolo di God of War. Il nuovo capitolo sposta il focus su elementi parecchio diversi dalla serie classica, passando ad esempio dalla mitologia greca a quella norrena, in un futuro in cui Kratos ha ormai una certa età, prendendosi cura di Atreus, suo figlio. Cambiano completamente anche il combat system e il sistema di telecamere, non più fisso, ma spostato direttamente alle spalle del protagonista. Tutti questi cambiamenti rendono questo God of War effettivamente un altro gioco e difficilmente paragonabile ai titoli precedenti. Eppure, nonostante tutto, è God of War. Ne riparleremo più in là.
 
Un cambiamento drastico

Dopo otto giochi, uno mobile, un romanzo, una serie a fumetti, un lungometraggio sempre in cantiere (forse), remastered e reboot, con Kratos apparso un po’ in giro in diversi altri media, ci si rende conto di quanto God of War sia entrato nella storia di questo mondo. Pensate che tra i piani di Santa Monica la serie avrebbe dovuto concludersi con il secondo capitolo, quando Kratos, dopo aver sterminato gli déi greci avrebbe continuato la sua caccia ad altre divinità di altre mitologie come quella nordica e addirittura quella cristiana. Infatti, riferimenti in tal senso, sono presenti in God of War II, in un dipinto che raffigurava i Tre Magi e un’arma, chiamata Lancia del Destino, come quella che trafisse Gesù crocifisso. Dopo tutto ciò, Kratos sarebbe diventato la Morte in persona, con le sue due lame che sarebbero diventate una falce, appunto come quella del mietitore. Dopo Ragnarok, il futuro della serie è incerto ma sicuramente, in un futuro non molto lontano, God of War tornerà. Magari in forma di remake.


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