Speciale - Tomb Raider: la nascita, lo sviluppo e l'impatto di Lara Croft su tutti noi (Parte 2)
Dal reboot, al femminismo, sino alle polemiche sulla nuova serie Netflix
di Marcello Ribuffo
In questo speciale (qui la parte 1) dedicato a Tomb Raider e Lara Croft abbiamo parlato delle sue origini, delle enormi difficoltà nel portare avanti un brand a cadenza annuale e della perdita di controllo del suo creatore Toby Gard in favore del marketing. La seconda parte si spingerà verso l'attualità, partendo però dall'arrivo di Square-Enix che cambiò decisamente le carte in tavola.
La luce in fondo al tunnel
L’arrivo di Square-Enix infatti cambiò tutto: serviva un taglio netto col passato, un nuovo Tomb Raider e una nuova Lara contornata da nuove idee. A capo dei nuovi progetti rimase Crystal Dynamics che si mise subito a lavoro su un nuovo titolo, più uno spin-off che un capitolo ufficiale: Lara Croft and the Guardian of Light arrivò solo sul mercato digitale, offrendo ai giocatori una nuova avventura cooperativa e con visuale isometrica. Nonostante il diretto collegamento al brand Tomb Raider mancasse, il nuovo lavoro ebbe un buon successo su tutti i fronti, dando linfa al progetto principale, un reboot totale che avrebbe finalmente portato Lara Croft ai nostri giorni.
Scritto da Rhianna Pratchett e con il semplice nome di Tomb Raider, il nuovo capitolo si presentava molto lontano dagli stilemi classici del franchise, presentando una Lara alle prime armi (nata nel 1992) e inesperta, una ragazza costretta ad affrontare mille avversità. Il titolo era più maturo e soprattutto più realistico, non solo nel gameplay ma anche nella costruzione di un personaggio che ormai non era più l’icona pop degli anni ’90. Plasmata sulla modella Megan Falcar, la nuova Lara conquistò i cuori degli appassionati ma anche il gioco in sé seppe sorprendere: ambienti più ampi che favorivano l’esplorazione, una giusta dose d’azione e di sovrannaturale facevano pendant purtroppo con la limitata proposta di tombe ed enigmi che in un gioco dal nome di Tomb Raider esigevano altra cura. Inoltre, è anche uno dei simboli della cosiddetta dissociazione ludo-narrativa, con una Lara appena scampata da un tragico evento e subito una killer spietata a sangue freddo, senza soluzione di continuità.
Il successo del reboot però spinse anche Metro Goldwyn Mayer ad acquisirne i diritti per una trasposizione cinematografica, con protagonista la Premio Oscar Alicia Vikander. Basato proprio su questo reboot, il film non ha avuto però il successo sperato a causa di alcune scelte narrative e di una caratterizzazione di Lara Croft non proprio riuscita. Il successo del nuovo Tomb Raider (videoludico) fu solo l’inizio: nel 2014 Lara Croft and the Temple of Osiris continuò quanto realizzato con The Guardian of Light, ma è il 2016 l’anno importante, con un Rise of the Tomb Raider che continuò quanto di buono fatto, elevando la qualità di tutti gli aspetti del gioco su livelli eccellenti. Rise fu un successo su tutta la linea, preparando il pubblico all'uscita di Shadow of Tomb Raider che dovrebbe aver concluso questa nuova trilogia.
Scritto da Rhianna Pratchett e con il semplice nome di Tomb Raider, il nuovo capitolo si presentava molto lontano dagli stilemi classici del franchise, presentando una Lara alle prime armi (nata nel 1992) e inesperta, una ragazza costretta ad affrontare mille avversità. Il titolo era più maturo e soprattutto più realistico, non solo nel gameplay ma anche nella costruzione di un personaggio che ormai non era più l’icona pop degli anni ’90. Plasmata sulla modella Megan Falcar, la nuova Lara conquistò i cuori degli appassionati ma anche il gioco in sé seppe sorprendere: ambienti più ampi che favorivano l’esplorazione, una giusta dose d’azione e di sovrannaturale facevano pendant purtroppo con la limitata proposta di tombe ed enigmi che in un gioco dal nome di Tomb Raider esigevano altra cura. Inoltre, è anche uno dei simboli della cosiddetta dissociazione ludo-narrativa, con una Lara appena scampata da un tragico evento e subito una killer spietata a sangue freddo, senza soluzione di continuità.
Il successo del reboot però spinse anche Metro Goldwyn Mayer ad acquisirne i diritti per una trasposizione cinematografica, con protagonista la Premio Oscar Alicia Vikander. Basato proprio su questo reboot, il film non ha avuto però il successo sperato a causa di alcune scelte narrative e di una caratterizzazione di Lara Croft non proprio riuscita. Il successo del nuovo Tomb Raider (videoludico) fu solo l’inizio: nel 2014 Lara Croft and the Temple of Osiris continuò quanto realizzato con The Guardian of Light, ma è il 2016 l’anno importante, con un Rise of the Tomb Raider che continuò quanto di buono fatto, elevando la qualità di tutti gli aspetti del gioco su livelli eccellenti. Rise fu un successo su tutta la linea, preparando il pubblico all'uscita di Shadow of Tomb Raider che dovrebbe aver concluso questa nuova trilogia.
L'importanza di Lara
Come detto, Lara Croft è stato un personaggio fondamentale per la scena videoludica, ritornato in auge con i recenti reboot anche se lontana dai fasti degli anni ’90. Una donna protagonista in un videogioco d’azione sembrava una follia, eppure il ragionamento dietro a tale scelta può portare a delle riflessioni. Ian Livingstone, Creative Director di Eidos e ora Presidente onorario, ha spiegato molto bene come si è arrivati a Lara Croft:«I giochi avevano sempre avuto personaggi maschili, perché i giocatori erano ragazzi. Ma questi ragazzi non avevano smesso di giocare; erano solo cresciuti e cosa preferirebbero guardare: un riccio, un idraulico o il sedere sodo di Lara Croft? Col senno di poi, la risposta era ovvia».
Nonostante l’intervento nella scena di Lara e il periodo del “Girl Power” portato avanti dalle Spice Girls, le protagoniste femminili facevano fatica a emergere. Ci volle probabilmente un’evoluzione della società e del pensiero per sdoganare le nuove eroine che ora diamo per scontate, da Aloy di Horizon Zero Dawn alla prorompente Bayonetta. Lara Croft aveva anticipato i tempi: tutti volevano Lara e il merchandising era qualcosa da tenere sotto controllo. Tra le cose più curiose in tal senso, come raccontato nel documentario, un fantino provò a chiamare Lara il suo cavallo da corsa, chiedendo a Eidos di poter pubblicizzare il brand Tomb Raider. La risposta fu un secco no, dettata semplicemente dal rischio che un cavallo con il nome del momento sarebbe potuto cadere alla prima curva, diventando un perdente; l’associazione non era dunque possibile. Al contrario, fu concesso il nome Lara a una variante di Tulipani, del resto sembrava un’idea carina. Ma non finiva quì. Ben presto Lara Croft apparve anche sulla prima pagina di The Face Magazine, famosissima rivista rivolta alla cultura pop dell’epoca e in varie pubblicità, da quelle Visa a Seat. Nel 2006 ricevette anche una stella alla Walk of Fame di San Francisco, una via a Derby, chiamata Lara Croft Way e il Guinness dei Primati per essere l’eroina dei videogame più famosa al mondo. Non mancarono nemmeno i fumetti prodotti da Top Cow per ben cinque anni e alla “naturale” trasposizione pornografica o “semplicemente” erotica di Lara: Nell McAndrew, modella e testimonial di Tomb Raider III, posò per la nota rivista Playboy, con dicitura “Lara Croft nude“. Questo non piacque a Eidos, che decise di fare causa, imponendo un cambio di copertina.
Questo fu solo la naturale evoluzione di un reparto marketing che sin da subito spinse sulla sessualizzazione di Lara e che portò il suo creatore Toby Gard ad abbandonare i progetti.
Tralasciando quest’ultimo dettaglio però, l'avvento di Lara Croft fu un successo su tutta la linea e questo non fu solo utile a Core Design ed Eidos, ma all’intera industria videoludica fino a quel momento rinchiusa in un micro cosmo a sé stante e che, grazie a Lara, era all’improvviso al centro della ribalta. Inoltre, uno degli impatti più evidenti fu l’avvicinamento di ulteriore pubblico femminile al mondo videoludico, potendo finalmente contare su un’eroina con la quale identificarsi. Ma era davvero così?
Lara Croft non poteva che aprire dibattiti anche tra le esponenti del femminismo. Ad esempio Jennifer Baumgardner, ex editor della rivista Ms e direttrice e publisher di The Feminist Press, è, ed è tutt’ora, una delle più attive su questo fronte, favorevole alla figura di Lara. L’archeologa rappresentava una donna forte, in grado di competere con i rivali uomini e dunque una figura positiva. Anche l’esaltazione delle forme per Jennifer non fu un problema: «se lo può permettere, perché non farlo. Non credo che le donne si paragonino a un personaggio immaginario di un videogioco».
Di tutt’altro avviso in quel periodo era invece Ismini Roby, all’epoca caporedattrice e fondatrice di WomenGamers.com, un portale dedicato a tutte quelle ragazze che avevo sviluppato la loro passione per i videogame. Secondo Ismini, Lara non era altro che un oggetto sessuale, che sminuiva la figura della donna, cosa che trovò sostegno anche in Germaine Greer, una delle maggiori esponenti del femminismo del XX secolo, considerando l’archeologa come una mera fantasia per adolescenti, un «maresciallo con palloni infilati sotto la maglietta». Inoltre la Greer tornò anche sul fisico, sottolineando come Lara fosse una donna “perfetta”, assolutamente non realistica, cui le donne potevano prendere come modello sbagliato da imitare.
Questo fu solo la naturale evoluzione di un reparto marketing che sin da subito spinse sulla sessualizzazione di Lara e che portò il suo creatore Toby Gard ad abbandonare i progetti.
Tralasciando quest’ultimo dettaglio però, l'avvento di Lara Croft fu un successo su tutta la linea e questo non fu solo utile a Core Design ed Eidos, ma all’intera industria videoludica fino a quel momento rinchiusa in un micro cosmo a sé stante e che, grazie a Lara, era all’improvviso al centro della ribalta. Inoltre, uno degli impatti più evidenti fu l’avvicinamento di ulteriore pubblico femminile al mondo videoludico, potendo finalmente contare su un’eroina con la quale identificarsi. Ma era davvero così?
Lara Croft non poteva che aprire dibattiti anche tra le esponenti del femminismo. Ad esempio Jennifer Baumgardner, ex editor della rivista Ms e direttrice e publisher di The Feminist Press, è, ed è tutt’ora, una delle più attive su questo fronte, favorevole alla figura di Lara. L’archeologa rappresentava una donna forte, in grado di competere con i rivali uomini e dunque una figura positiva. Anche l’esaltazione delle forme per Jennifer non fu un problema: «se lo può permettere, perché non farlo. Non credo che le donne si paragonino a un personaggio immaginario di un videogioco».
Di tutt’altro avviso in quel periodo era invece Ismini Roby, all’epoca caporedattrice e fondatrice di WomenGamers.com, un portale dedicato a tutte quelle ragazze che avevo sviluppato la loro passione per i videogame. Secondo Ismini, Lara non era altro che un oggetto sessuale, che sminuiva la figura della donna, cosa che trovò sostegno anche in Germaine Greer, una delle maggiori esponenti del femminismo del XX secolo, considerando l’archeologa come una mera fantasia per adolescenti, un «maresciallo con palloni infilati sotto la maglietta». Inoltre la Greer tornò anche sul fisico, sottolineando come Lara fosse una donna “perfetta”, assolutamente non realistica, cui le donne potevano prendere come modello sbagliato da imitare.
Le polemiche intorno a Lara Croft non cessarono nemmeno con con il reboot del 2013, in cui era presente una scena di tentato stupro su una Lara ferita e spaventata. Immediatamente, riviste, telegiornali, femministe urlarono allo scandalo, scagliandosi su una scena che in fin dei conti, non era nemmeno esplicita. La risposta di Crystal Dynamics non si fece attendere, raccontando di come Lara, attraverso le difficoltà che comunque una donna affronta oggigiorno, riesce a cavarsela da sola contro le avversità di qualunque natura. Queste polemiche alla fine si placarono e non diedero problemi nello sviluppo di Rise of the Tomb Raider ma un altro piccolo “dibattito” si venne a creare, in concomitanza con l’annuncio di Alicia Vikander come attrice protagonista nel film Tomb Raider: «non ha le forme!», «era meglio Angelina!», «non somiglia per niente a Lara Croft!». Risparmiando i commenti più volgari, questa era una buona parte della “voce di internet”, ad avvenuto annuncio.
Inutile dire come Alicia Vikander sia una delle migliori attrici in circolazione, e forse l’insuccesso del film è anche derivato da questi pregiudizi e possibilmente dall’ignoranza sul tema, non essendosi accorti in molti come il film si rifacesse al recente reboot e alla nuova Lara Croft.
La protagonista di Tomb Raider è prima di tutto un simbolo, un simbolo che però è soggetto alle mode e ai cambiamenti generazionali. La trasformazione di Lara Croft infatti non si è arrestata e le polemiche sull'ultimo gioco da tavolo e la neonata serie Netflix ne sono la conferma. Il board game propone una Lara che ha abbandonato il suo stile di vita, pentita di aver saccheggiato tombe senza rispetto per le culture a cui appartenevano. I creatori del gioco hanno spinto molto sulla parola “colonialismo”, di cui evidentemente per loro, Lara Croft ne era simbolo. L'attuale serie Netflix invece, tocca altri punti: il suo orientamento sessuale e la sua conformazione fisica (anche se effettivamente del primo elemento non vi è alcuna traccia nella serie).
Le polemiche sono ancora sulla cresta dell'onda e figlie dell'attuale periodo storico, forse tendente a un'eccessiva sensibilizzazione, puntando più sulla modifica di personaggi già esistenti piuttosto che crearne di nuovi e più coerenti con il mondo attuale.
Inutile dire come Alicia Vikander sia una delle migliori attrici in circolazione, e forse l’insuccesso del film è anche derivato da questi pregiudizi e possibilmente dall’ignoranza sul tema, non essendosi accorti in molti come il film si rifacesse al recente reboot e alla nuova Lara Croft.
La protagonista di Tomb Raider è prima di tutto un simbolo, un simbolo che però è soggetto alle mode e ai cambiamenti generazionali. La trasformazione di Lara Croft infatti non si è arrestata e le polemiche sull'ultimo gioco da tavolo e la neonata serie Netflix ne sono la conferma. Il board game propone una Lara che ha abbandonato il suo stile di vita, pentita di aver saccheggiato tombe senza rispetto per le culture a cui appartenevano. I creatori del gioco hanno spinto molto sulla parola “colonialismo”, di cui evidentemente per loro, Lara Croft ne era simbolo. L'attuale serie Netflix invece, tocca altri punti: il suo orientamento sessuale e la sua conformazione fisica (anche se effettivamente del primo elemento non vi è alcuna traccia nella serie).
Le polemiche sono ancora sulla cresta dell'onda e figlie dell'attuale periodo storico, forse tendente a un'eccessiva sensibilizzazione, puntando più sulla modifica di personaggi già esistenti piuttosto che crearne di nuovi e più coerenti con il mondo attuale.
Ma Lara Croft, cambierà ancora. Tutto questo è dovuto all’incredibile impatto mediatico dell’eroina, che ha cambiato per sempre la visione dei videogame da parte del pubblico, trasformando il mondo videoludico in un universo di oggetti di culto, ammesso che ci sia della qualità dietro un titolo, sia ben chiaro. Lara Croft rimarrà per sempre un’icona, qualunque sia la sua versione, la sua storia e il suo aspetto. L’esplosione del successo e la sua gestione sono un insegnamento per tutte quelle software house che sognano di fare il grande colpo, ma è incredibile notare come alcuni errori commessi più di vent’anni fa si perpetuino tra problemi di comunicazione, gestione delle critiche, titoli annuali senza reali novità e così via. La storia di Lara, di Core e di Eidos è un esempio di come un’idea che può essere considerata semplice può in realtà rivoluzionare il mondo, e di come, a volte, bisogna anche sapersi fermare prima di combinare qualche guaio di troppo.