Ritratto di famiglia con tempesta di Hirokazu Kore-eda: intervista e recensione
Il grande regista di "Little Sister" è in Italia per presentare in anteprima il nuovo film che uscirà nelle sale il 25 maggio, in lizza a Cannes
di lightorange
Anche Ritratto di famiglia con tempesta (After the Storm), con Hiroshi Abe, Kirin Kiki, Yôko Maki, Rirî Furankî e Sôsuke Ikematsu, mette sotto la lente di ingrandimento i rapporti disfunzionali padri/figli e mariti/mogli, fatti di gesti imperscrutabili, sguardi sfuggenti e parole non dette.
Il film uscirà ufficialmente nelle sale il 25 maggio e in occasione della tappa milanese del tour promozionale, tenutasi lunedì 8 maggio alle ore 20:15 presso il cinema Anteo di via Milazzo, è stato presentato da Paolo Mereghetti, che ha posto alcune domande al cineasta giapponese davanti al pubblico in platea, fra cui l’inviata di AnimeClick.it che ha raccolto per noi la testimonianza dell’evento. Di seguito troverete poi il video e le fotografie dell'incontro avvenuto invece a Torino.
Paolo Mereghetti dialoga con Hirokazu Kore-eda
(ATTENZIONE: l'intervista, tenutasi a seguito della proiezione del film, potrebbe contenere spoiler su quest'ultimo)
Paolo Mereghetti: Buonasera. Devo dire che mi sento un po’ in difficoltà a parlare dopo il film di Kore-eda perché sembra quasi di rompere questa grazia, questa atmosfera, questa gentilezza che esso trasmette. Però stasera mi tocca, e quindi cercherò di chiedere al regista di parlarci un po’ di questo film. Per prima cosa, partirei proprio dalla canzone che conclude il film: che canzone è?
Hirokazu Kore-eda: Allora, questo brano è di Nagazumi e si intitola Hanaregumi. Mentre mi cimentavo nella scrittura della sceneggiatura, continuavo costantemente ad ascoltare i suoi album in sottofondo perché è un musicista che a me piace tantissimo. Quindi dopo aver concluso la sceneggiatura, mi sono detto “perché non provare a chiedere di poter utilizzare uno dei brani?” e alla fine è nata questa collaborazione.
Paolo Mereghetti: La musica è molto importante nei suoi film. Vuole parlarci un po’ di questo rapporto che ha con la musica? Come serve a creare, ad aumentare l’atmosfera dei film?
Hirokazu Kore-eda: In realtà, cerco di evitare l’utilizzo della musica per amplificare, potenziare, estendere, quelle che sono le emozioni dei personaggi; di solito, invece, inserisco la musica come intervallo tra una scena e l’altra. Infatti faccio sempre in modo di evitare che ci sia una sovrapposizione fra le battute e la musica stessa. La musica ha sempre un ruolo di rilievo, però per me è l’acustica ad avere un ruolo ancora più importante, acustica intesa come suono della vita quotidiana: ad esempio, il suono della vasca da bagno e dell’acqua che la riempie; oppure quello del cibo, mentre si mangia; o il futon mentre viene steso sul pavimento. Tutto ciò mi serve perché dà un effetto ancora più tridimensionale alla struttura della storia e quindi faccio sempre in modo che non ci sia uno scontro fra tutti questi elementi acustici e la musica.
Paolo Mereghetti: Veniamo al film che abbiamo appena visto. Il protagonista è un personaggio abbastanza insolito: vorrebbe fare lo scrittore, però fa l’investigatore privato. Come mai questa scelta, l’idea di farne un investigatore privato che entra nelle vite degli altri?
Hirokazu Kore-eda: Va detto che quest’opera in particolare ha come sfondo, come ambientazione, le case popolari giapponesi, in cui io stesso ho abitato per circa una ventina d’anni. Quindi, molto di quello che vedete in quest’opera può essere definito autobiografico, cioè tratta qualcosa che ha a che fare con me, con mio padre, mia madre, mia sorella; qualcosa che ha a che fare con la mia infanzia. E spesso vengono narrati degli episodi che si riferiscono alla mia vita personale, inclusi molti miei amici, i quali sono stati rappresentati semplicemente cambiandogli un po’ la forma. Quindi anche questa idea di un romanziere che finisce per diventare detective perché non sfonda con la carriera di romanziere in realtà si ispira a un mio amico di nome Nakajima al quale io non ho dato alcun avvertimento, ho usato il suo personaggio senza che lui lo sapesse. Tempo dopo ci siamo incontrati a una riunione e lui ha detto “bello il film, molto bello!”, e ha continuato a fare il detective.
Paolo Mereghetti: Una curiosità: il gioco è veramente una piaga giapponese? Sembra che sia qualcosa che coinvolge molto nel film il padre e il nonno. È così presente la voglia di giocare e di rovinarsi?
Hirokazu Kore-eda: Senza dubbio, quello del gioco d’azzardo è un grosso problema. Comunque, nella fattispecie di questo film, non mi sono concentrato su questa situazione sociale. Più che altro deriva dal fatto che a mio padre piaceva il gioco d’azzardo: ad esempio, quando io avevo qualche malattia non si riuscivano a trovare i soldi per le cure. E mi ricordo che lui poi magari andava a chiedere del denaro in prestito a qualcuno che si trovava vicino alla fermata dell’autobus, e siccome lui all’apparenza sembrava una persona molto seria, riusciva nel suo intento. Non so in realtà se sia il caso di parlare di queste cose qui davanti a voi… Poi mi ricordo che arrivavano le telefonate chiedendo “ma suo figlio adesso si sente bene?” e io rispondevo dicendo “sono io il figlio, sì adesso è tutto a posto”. A volte quella della mia malattia era una la scusa che lui utilizzava per ottenere soldi, anche se non era vero che stavo male. Tutto questo ho cercato di riproporlo perché, come accennavo poco fa, quello che volevo fare era ricreare tutta la situazione del mio circondario e non allontanarmi da essa all’interno della narrazione di questa storia. Ovviamente, se dovessi parlare in Giappone della mia famiglia come ho appena fatto qui, mia sorella si arrabbierebbe moltissimo, quindi lì in genere vedo sempre di evitare questo tipo di discorsi… Ma siamo a Milano, quindi se ne può parlare.
Paolo Mereghetti: In questo discorso in qualche modo autobiografico c’è il rapporto tra adulti e figli, che un po’ attraversa tutto il suo cinema, per lo meno il suo cinema che abbiamo visto in Italia. Ricordo, a coloro cui fosse sfuggito, che il film precedente si chiama Little Sister e il film ancora precedente, addirittura, Father and Son, “padre e figlio”, e racconta lo scambio di famiglie di due bambini, che vengono scambiati nella culla. Ma quello che mi interessa è proprio in qualche modo sentire da lei cosa pensa di questo rapporto tra padri e figli: ci sono dei padri che sembrano non voler crescere e dei figli che qualche volta si dimostrano più maturi dei loro genitori…
Hirokazu Kore-eda: Diciamo che, come ho detto prima, ci sono degli elementi molto autobiografici anche se non riguardano il film nella sua interezza. Quello che voglio dire è che quello che vedete in termini di conversazioni, anche il cibo che avete visto, sono tutti derivati da mie esperienze dirette. Ad esempio, nel caso di quest’ultimo film, abbiamo un protagonista che mostra una relazione con un padre che non c’è più, con un padre che è venuto a mancare. Ora, non so quanto possa essere familiare per chi di voi non è giapponese quanto sto per dire, ma nella scena dell’incenso, in cui il reggi-incenso viene pulito e il protagonista prende con i bastoncini i pezzetti di incenso che erano rimasti non bruciati, ebbene quello in realtà è qualcosa che ho davvero fatto e mi ricorda quanto è successo al crematorio (in seguito alla cremazione di mio padre, c’era stata la raccolta delle ossa). Quello che voglio dire è che poi io stesso sono diventato padre e, soprattutto nell’arco degli ultimi due-tre anni, la mia esistenza è cambiata in quanto padre e non so se posso dire se sono cresciuto, se sono diventato più adulto o se semplicemente mi sono trasformato, ho avuto una qualche tipo di metamorfosi, quello che posso dire è che ho cominciato a pensare alla figura di mio padre, che inizialmente forse mi era più distante e invece adesso non lo è più. Alla fine questa probabilmente è diventata una delle motivazioni per cui questa relazione tra padri e figli è diventata un tema ricorrente nei miei film.
Paolo Mereghetti: Nei suoi film, questi rapporti finiscono sempre per restare un po’ sospesi, con dei finali un po’ malinconici. Come va a finire la storia tra le due famiglie in Father and Son? Chi lo sa? Come andrà a finire il rapporto tra il protagonista, questo padre/detective/scrittore, e il proprio figlio e la ex-moglie? Perché questa voglia di finali sospesi, senza dare una soluzione?
Hirokazu Kore-eda: Credo che sia perché la loro esistenza poi continuerà dopo il film.
Paolo Mereghetti: Eh, ma cosa faranno? Lui pagherà il mantenimento del figlio o no?
Hirokazu Kore-eda: E chissà… Pagherà? Non pagherà? Questo può dipendere da tutta una serie di fattori. Tra l’altro, la percezione di ciò potrebbe variare anche in base allo spettatore: magari una donna che ha visto questo film adesso vede quella scena e genera una conclusione pensando alla propria vita privata, a come è andata a finire la propria relazione precedente con un uomo. Diciamo che a me piace che ci possa essere un riflesso della propria esistenza, del proprio modo di pensare, del proprio punto di vista, dello spettatore quando guarda questo film che gli fa pensare a “come potrebbe andare”. Io stesso non so cosa succederà, non so cosa farà quest’uomo con i soldi, se riuscirà a pagare o meno. Per quanto riguarda il fatto che mi piace non proporre delle risposte concrete, dei finali decisi, questo ha anche a che fare con quanto detto poco fa, quando dicevo che la loro esistenza continuerà dopo questo film: in realtà non stavo scherzando, a me piacerebbe molto che domani mattina, quando tutti quanti voi avrete modo di svegliarvi, penserete “chissà se quel bambino anche questa mattina si sarà messo le scarpe chiodate e avrà cominciato a giocare a baseball? Oppure chissà cosa starà facendo?”. Cioè, io desidero che poi lo spettatore possa creare la propria continuazione in base a quelle che possono essere le risposte che la nostra esistenza, finora, ci ha fatto percepire.
Paolo Mereghetti: Ecco, rimaniamo su questo argomento: l’idea di cinema alla base dei suoi film è proprio questa, è quella di offrire allo spettatore non delle risposte ma piuttosto delle domande a cui deve cercare di rispondere in prima persona. Adesso la stragrande maggioranza del cinema che va per la maggiore cerca, invece, di offrire delle risposte perché sono più tranquillizzanti, più piacevoli in qualche modo. Invece lei pensa che il cinema non debba dare risposte?
Hirokazu Kore-eda: Sì, è esattamente così. Io sono dell’idea che, alla fine, la persona che crea un film propone, tramite quel film, un processo della propria filosofia, del proprio pensiero. E quindi, poi, chi guarda quel film in un certo istante, avrà la possibilità di unirsi per la durata del film insieme alla persona che lo ha creato; dopo di che, prende una sua strada, un suo percorso. Questo secondo me è il cinema ed è anche una vera forma di intrattenimento.
Paolo Mereghetti: Questa è anche un po’ la ragione per cui spesso lei parla di fatti reali, di cronaca (come gli scambi di bambini nella culla), oppure la sua vita personale, e poi cerca di elaborarli, aprendoli a interrogativi, cercando di riflettere su quello che succede.
Hirokazu Kore-eda: Sì, è così. Soprattutto è molto importante, prima di iniziare questo processo, riflettere attentamente su questi fatti realmente accaduti. Ad esempio, in Father and Son, io sono diventato padre e ho cominciato a riflettere sul rapporto tra genitori e figli, se si tratti più di un rapporto legato dal sangue o invece dal tempo trascorso insieme. Io stesso non avevo tanto tempo da trascorrere con mia figlia, quindi da quel punto di vista è stato proprio qualcosa derivato da un pensiero sviluppato molto attentamente. Ma nel caso in cui si dovesse scoprire che non c’è nessun legame di sangue, che cos’è che avrebbe creato un vero legame all’interno di questa relazione? E questo è quanto viene chiesto anche all’interno della storia.
Paolo Mereghetti: Un paio di domande più generali sul cinema: ha dei maestri del cinema giapponese? Ha degli ideali a cui tende? Ha qualche regista che ama particolarmente?
Hirokazu Kore-eda: Tra i registi giapponesi, vengo in qualche modo paragonato a Ozu e senza dubbio per me è un grandissimo onore. Però devo dire che a me non sembra di stare creando delle opere così altolocate, quindi sento anche una certa distanza. Invece, se parliamo di questo film che avete appena visto, sento più una vicinanza con Mikio Naruse, che in realtà è della stessa generazione di Ozu, ma quello che a me piace tantissimo dei suoi film è la narrazione umana, la descrizione umana dei personaggi: questi uomini spesso trasandati, che si lasciano andare, e le loro interazioni. I film di Naruse mi piacciono proprio tanto e spesso sono una fonte di ricerca.
Paolo Mereghetti: E invece per il cinema occidentale? Che cinema le piace? Che registi ama?
Hirokazu Kore-eda: Il regista che mi ha portato a intraprendere questa carriera è, non lo dico perché sono in Italia, Fellini. Sono passati trent’anni, ma è stato un episodio molto importante della mia vita: ricordo che avevo 19 anni, era un cinema piccolo della zona universitaria, ed è stata una cosa molto importante. Ho anche delle forti simpatie nei confronti di produzioni inglesi e di altri registi, ma Fellini è stato il punto di partenza.
Paolo Mereghetti: Un’ultima domanda: lei si considera migliore come regista o come padre?
Hirokazu Kore-eda: Per quanto riguarda l’essere padre, non saprei cosa dire. Tra l’altro non so neanche fare un paragone su cosa sia meglio in termini dell’uno o dell’altro. Senza dubbio, come regista cinematografico, adesso finalmente riesco a girare i film che desidero in modo costante, però ci sono ancora molte cose che non vanno come vorrei, cioè ho ancora l’impressione di dovermi potenziare, di dover in qualche modo espandere le mie possibilità. Ormai sono passati venti anni da quando ho iniziato a girare film e ancora ci sono certe cose che non riesco del tutto a comprendere perché è un mondo molto profondo; ma è proprio questa profondità a renderlo così interessante. E quindi ci sono ancora tantissime cose che voglio fare come regista e sono anche tantissime le cose che devo fare come padre: e sia come regista che come padre, fintanto che ne ho l’opportunità, devo riuscire a farle.
"Ritratto di Famiglia con Tempesta" ha un titolo che rimanda immediatamente alla pittura, a una forma d’arte che, personalmente, associo poco ai film: quando penso al cinema, uno dei primi collegamenti che faccio riguarda la dinamicità delle immagini in movimento, qualcosa che la fotografia e, in senso lato, la pittura, non riescono a trasmettere con facilità. Ecco, il titolo italiano di questo film riesce a rendere bene l’idea di ciò che gli spettatori si accingono a vedere. La storia ha, infatti, uno sviluppo piuttosto lento. Anzi, si potrebbe quasi dire che non ha uno sviluppo vero e proprio. Il regista, che è anche sceneggiatore, ci catapulta sin da subito nelle dinamiche quotidiane della famiglia che fa da protagonista alla storia e ci fa assistere a una breve parentesi dell’esistenza di ogni suo membro.
Il protagonista della storia è Ryota, uno scrittore che, non riuscendo a completare la stesura della sua ultima fatica, si ritrova a lavorare part-time presso un’agenzia investigativa al fine di trarre ispirazione dalle vite della gente che dovrà pedinare e, perché no, guadagnare qualcosina in più. Il contatto con uno stile di vita completamente diverso da quello che aveva conosciuto fino ad allora gli permette di indagare più in profondità sui meandri della vita umana e, allo stesso tempo, lo porta ad assomigliare sempre più al tanto disprezzato padre, che aveva passato gran parte della sua vita scialacquando i risparmi e contraendo debiti a destra e a manca. Alla vicende legate alla sua carriera si affiancano quelle private: Ryota non riesce ad accettare il divorzio con la moglie, e l’inevitabile separazione dal figlio, e cerca in ogni modo di riavvicinarsi a loro, con risultati altalenanti. A completare il quadro, si inserisce la simpatica madre di Ryota: una donna che è stata costretta a fare tanti sacrifici a causa del marito, ma che nonostante ciò riesce tuttora a godere delle piccole gioie della vita quotidiana.
Ed è proprio la quotidianità a fare da perno all’interno dell’intero film. E non mi riferisco solamente alle azioni svolte dai protagonisti: le conversazioni risultano talmente naturali da far dimenticare, in certi punti, che si sta guardando un’opera ambientata in un Paese con una cultura e delle tradizioni completamente diverse dalle nostre. Lo spettatore stacca per due ore la spina e si dimentica di stare seduto comodamente a guardare un film; viene, invece, immerso nella realtà del film stesso, accompagnando Ryota nelle sue (dis)avventure, l’ultima delle quali che ci viene mostrata è proprio quella tempesta che dà il titolo all’opera e che permetterà a questa sgangherata famiglia di riunirsi e, finalmente, confrontarsi.
“Ritratto di Famiglia con Tempesta” è un’opera lenta, delicata, e con un tocco di malinconia che, a parer mio, insaporisce il tutto: è una riflessione sull’accettazione del presente senza rimpiangere il passato né rincorrere il futuro. Il regista, nell’intervista, ha espresso il desiderio che gli spettatori possano ritrovare, all’interno dei suoi film, un riflesso della propria esistenza: personalmente, trovo che sia riuscito nel suo intento e penso valga la pena di dedicare un paio d’ore del proprio tempo per godersi quest’opera e viverla insieme ai protagonisti.
Il protagonista della storia è Ryota, uno scrittore che, non riuscendo a completare la stesura della sua ultima fatica, si ritrova a lavorare part-time presso un’agenzia investigativa al fine di trarre ispirazione dalle vite della gente che dovrà pedinare e, perché no, guadagnare qualcosina in più. Il contatto con uno stile di vita completamente diverso da quello che aveva conosciuto fino ad allora gli permette di indagare più in profondità sui meandri della vita umana e, allo stesso tempo, lo porta ad assomigliare sempre più al tanto disprezzato padre, che aveva passato gran parte della sua vita scialacquando i risparmi e contraendo debiti a destra e a manca. Alla vicende legate alla sua carriera si affiancano quelle private: Ryota non riesce ad accettare il divorzio con la moglie, e l’inevitabile separazione dal figlio, e cerca in ogni modo di riavvicinarsi a loro, con risultati altalenanti. A completare il quadro, si inserisce la simpatica madre di Ryota: una donna che è stata costretta a fare tanti sacrifici a causa del marito, ma che nonostante ciò riesce tuttora a godere delle piccole gioie della vita quotidiana.
Ed è proprio la quotidianità a fare da perno all’interno dell’intero film. E non mi riferisco solamente alle azioni svolte dai protagonisti: le conversazioni risultano talmente naturali da far dimenticare, in certi punti, che si sta guardando un’opera ambientata in un Paese con una cultura e delle tradizioni completamente diverse dalle nostre. Lo spettatore stacca per due ore la spina e si dimentica di stare seduto comodamente a guardare un film; viene, invece, immerso nella realtà del film stesso, accompagnando Ryota nelle sue (dis)avventure, l’ultima delle quali che ci viene mostrata è proprio quella tempesta che dà il titolo all’opera e che permetterà a questa sgangherata famiglia di riunirsi e, finalmente, confrontarsi.
“Ritratto di Famiglia con Tempesta” è un’opera lenta, delicata, e con un tocco di malinconia che, a parer mio, insaporisce il tutto: è una riflessione sull’accettazione del presente senza rimpiangere il passato né rincorrere il futuro. Il regista, nell’intervista, ha espresso il desiderio che gli spettatori possano ritrovare, all’interno dei suoi film, un riflesso della propria esistenza: personalmente, trovo che sia riuscito nel suo intento e penso valga la pena di dedicare un paio d’ore del proprio tempo per godersi quest’opera e viverla insieme ai protagonisti.
Autrice: lightorange
Trailer ufficiale italiano
Hirokazu Kore-eda nasce il 6 giugno 1962, a Tokyo. Dopo aver studiato all'Università di Waseda, decide di fare lo scrittore, ma non incontrando il successo sperato, lavora come documentarista per l'emittente televisiva Man Union, firmando principalmente opere legate al sociale e al mondo del cinema. Dopo il debutto nei film a soggetto con la trasposizione della novella omonima di Teru Miyamoto, Maboroshi no hikari (1995), sul tema del suicidio, inizia la carriera come regista, produttore, sceneggiatore e montatore. Affina la sua poetica affrontando i temi del sociale e dell’esistenzialismo, facendo un abile uso della macchina da presa con la quale crea uno stile audio-visivo contemplativo e intimista. Fra le sue pellicole più famose si ricordano: Nobody Knows (2004), I Wish (2011), Father and Son (2013), Little Sister (2015).
Incontro con Hirokazu Kore-eda a Torino
Ringraziamo gentilmente il sito animeonbluray / liveactiononbluray per il video e le fotografie scattate durante l'incontro tenutosi a Torino
Fonti consultate:
Rassegna stampa ufficiale Far East Film Festival
Live Action Blu Ray blogspot