Lavorare come animatori in Giappone? L'esperienza degli americani

Se è dura per i giapponesi, non va certo meglio agli stranieri

di Hachi194

Un po' di tempo fa vi avevo parlato delle condizioni spesso ai limiti del sopportabile di molti giovani animatori giapponesi. Ma se si è stranieri? C'è modo di entrare a far parte di uno studio di animazione e nel caso ci sono disparità di trattamento? Questa è la storia di Henry Thurlow e del suo collega Arthell Isom e della loro esperienza nel mondo degli anime nipponici.
 

Due anni fa, in un'intervista alla rivista Buzzfeed, Thurlow dichiarava: "Quando lavoravo come animatore a New York, potevo permettermi un appartamento, fare shopping e avevo sufficiente tempo libero per coltivare la mia vita privata, ma non ero soddisfatto come artista. Ora che sono in Giappone, tutto nella mia vita è assolutamente orribile, ma l'artista che è in me è completamente soddisfatto".
Due anni dopo Thurlow vive ancora nell'arcipelago ed è riuscito a fondare, insieme a Isom e al sostegno dalla California del fratello gemello di Isom, un suo studio di animazione, la D'Art Shtajio che ha compiuto un anno di vita alla fine del 2017.
 

I due hanno un curriculum di tutto rispetto. Thurlow, dopo essersi trasferito da New York a Tokyo sei anni fa, aver imparato la lingua e perfezionato la sua tecnica, ha lavorato per diverso tempo sia alla Nakamura Productions che allo Studio Pierrot. Ha disegnato per "Gundam" e "Pokemon", ma non ha mai avuto la fortuna di essere citato nei titoli di coda per il suo lavoro, pagato peraltro 4 dollari al giorno, né di veder accettati i suoi suggerimenti o le sue opinioni.
Isom invece, dopo aver studiato storia dell'arte in Italia e frequentato scuole d'arte a San Francisco e Osaka, ha lavorato al fianco del maestro Hiromasa Ogura (responsabile degli sfondi di Ghost in the Shell) specializzandosi appunto nella creazione degli sfondi, perché ossessionato dagli ambienti visivi degli anime (i colori, le illustrazioni meticolose e l'uso della luce) più che dai suoi personaggi o dalle trame.
 

I due si completano a vicenda e il loro essere tanto motivati li ha portati a diverse collaborazioni, pur essendo uno studio appena nato: hanno lavorato in alcuni episodi di "Gintama" (con tanto di menzione nei titoli di coda) e hanno creato due episodi pilota originali: "Indigo Ignited", basato su un manga americano, uscito in agosto, e "The Doll" ("Shojo no Piero"), uscito alla fine del 2017. Assieme a loro lavorano altre 12 persone, ma essere stranieri che producono anime originali in Giappone li rende comunque qualcosa di fuori dalla norma.
 

Secondo Tadashi Sudo, ex CEO di Anime! Anime!, il principale portale di informazione del settore, il numero di stranieri che lavorano a livello nazionale è circa il 5%, anche se non ci sono statistiche ufficiali. Ma Sudo crede che coloro che stanno entrando nel business oggi potranno affermarsi in ruoli più importanti.
"Il numero di non giapponesi (in Giappone) è in aumento" ha dichiarato Sudo "non solo nel lavoro di produzione, ma anche come produttori, nella pianificazione degli anime, nella gestione della vendita dei diritti e nelle pubbliche relazioni".
 

L'italiano Francesco Prandoni, direttore delle relazioni internazionali per Production I.G, ritiene che le giovani generazioni di appassionati di anime all'estero siano più propense a studiare il giapponese, aiutate in parte dalla tecnologia.
Ma i regolamenti per i visti di lavoro sono un ostacolo. "A molti di questi talenti manca un pedigree formativo e questo si traduce in un secco rifiuto al momento di ottenere un permesso di lavoro, dando così origine a molte opportunità mancate".
 

Michael Arias, regista di Tekkonkinkreet, lungometraggio del 2006, considerato un classico degli anime del 21° secolo da molti critici e fan, si è trasferito in Giappone dagli Stati Uniti 27 anni fa.
Secondo il regista, un settore dove gli stranieri sono in aumento è quello della CG (computer graphics): è richiesto un livello base meno alto, gli incentivi sono maggiori ed esistono molte opportunità, tutte cose che non ci sono per l'animazione classica, a causa anche delle poche sedi in cui poter imparare e affinare le proprie competenze.
 

Il governo ha recentemente annunciato un piano, attraverso il Cool Japan Fund, per diminuire le restrizioni sui visti a persone non giapponesi che lavorano in ambito creativo e che potrebbero non avere pedigree formativo. Nella stessa settimana, la business school IMD ha pubblicato il World Talent Ranking 2017 per le nazioni asiatiche, con la classifica dell'appeal dei vari paesi per i lavoratori stranieri: il Giappone si è classificato ultimo.
D'altronde i consigli di Thurlow per chi vuole entrare a lavorare nell'industria dell'animazione nipponica sono molto semplici: imparare la lingua, vivere con il proprio visto e prepararsi a lavorare perfino nei weekend senza aspettarsi di essere pagati.

Fonte consultata:
TheJapanTimes

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