Yuriko Tiger ci racconta la sua esperienza in Giappone al Napoli Comicon 2018

Dalle difficoltà di lavorare in Giappone alle differenze culturali con l'Italia

di Slanzard

Si è tenuto sabato 28 a Napoli Comicon 2018 l'incontro moderato da noi di AnimeClick.it con ospiti Yuriko Tiger e l'illustratrice Shiori.

Yuriko Tiger è una delle più famose cosplayer italiane ed europee, nota per il grande successo ottenuto anche in Giappone, dove ha lavorato come idol, attrice e doppiatrice; è stata anche scelta da Bandai Namco come cosplayer ufficiale per Tekken.

 

Tu sei l’emblema dell’italiana che è andata in Giappone. Quali sono le differenze tra il modo di concepire le fiere del fumetto in Giappone rispetto all’Italia?

Yuriko: Il modo di divertirsi col cosplay è completamente diverso. Qui in Italia siamo abituati che uno si veste, va in giro, si fa un panino, un caffè, ci sono i gadget… c’è di tutto. In Giappone invece è tutto molto più specifico. Inoltre è tutto fatto a mano, ci sono le doujinshi. Per esempio, una fiera italiana come il Comicon ha varie aree, è molto grande e dura tantissimo! Quattro giorni, tutto il giorno. Il Comiket giapponese, invece, apre alle 11 e finisce alle 16. A cui però si aggiungono due ore per entrare e due ore per uscire, cosa che già fa capire l’enorme afflusso di pubblico di una fiera del genere. E ci sono solo doujinshi, ovvero… beh, tanti porno scritti a mano! I cosplayer invece non possono girare all’interno della fiera in quanto creano caos, e sono obbligati a pagare il camerino per potersi cambiare e fare i cosplay. Sono più rigidi, non vedrete mai Super Mario che arriva con la sua bellissima Smart in fiera. I cosplayer si mettono nella loro zona e aspettano di fare le foto: questo è il cosplay in Giappone. Ed è “bellissimo” quando stai in quel terrazzo sotto il sole con 40° sopra la testa, oppure -8°. Mentre i giapponesi sono tutti lì ordinatamente in fila per fare le foto, qui in Italia è più un “Weeee, bella, facciamo le foto! Uuuuuh, figata il contest!”… oppure la sala incontri, che in Giappone proprio non esiste. Qui ci sono molte più attività, è praticamente una grande fiera dell’intrattenimento. In Giappone il cosplay è tutto “fai questo, fai quello, vai lì”, e poi basta, finito. Non è nemmeno più un divertimento, diventa un’abitudine.

Shiori: Sono rimasta molto colpita dal fatto che in Italia non vendessero porno. L’Italia è più serie perché ha cose più decise, mentre in Giappone è solo “io mi faccio la mia doujinshi di Vocaloid, la vendo al mio stand e fine”.
 
Italia e Giappone hanno due culture in alcuni aspetti simili, ma in altri completamente agli antipodi. Quali difficoltà hai avuto tu, italiana, in Giappone, e che difficoltà ha avuto Shiori, giapponese, in Italia?

Yuriko: Acqua e fuoco, yin e yang, Italia e Giappone.
Affacciarsi alla cultura giapponese è difficile. Noi siamo un po’ troppo abituati alla cultura anime e manga, Sailor Moon, minigonne, ammazziamo i cattivi, ecc… invece non è vero. Quello che vedete nei manga è una fantasia, è quello che loro vogliono trasmettere. Alcune cose comunque si avvicinano alla loro cultura, tramite anime e manga è possibile capire molto bene la mentalità giapponese… non gli shojo, però! Quelli sono fantastici quanto Gundam. Prendiamo però Sailor Moon, il suo modo di comportarsi, come si preoccupa dell’amicizia, come fa attenzione a determinate cose, la loro situazione in casa. I giapponesi sono molto composti, e per me questo è stato molto problematico; in quanto italiana iniziavo spesso a gesticolare, e questo a loro da molto fastidio in quanto credono che tu non sappia stare ferma, che abbia dei problemi. Pensano che li prendi per scemi, che non sono in grado di capire quello che dici loro senza doverlo mimare. Un’altra difficoltà fu il capire che per loro non esiste il “no”. Se a un giapponese non piace una cosa non ti dirà mai “No (kirai)”, bensì una cosa tipo “Mmm… chotto”, con varie possibili intonazioni. E tu devi capire, in base alla tonalità del mmm… chotto, quanto è un “no”. Loro sono molto più cortesi; un italiano potrebbe dirti direttamente “Mi fai schifo!”, mentre un giapponese ti direbbe “Potevi fare meglio”. Questo ovviamente dal vivo, su internet è tutta un’altra cosa. Per cui, devi praticamente iniziare a leggere la mente degli altri per capire quello che esattamente vogliono dire e quindi iniziare ad andare d’accordo con loro. Se un giapponese non ti richiama, è normale. Devi riuscire a capire se vuole davvero uscire con te, non vuole uscire con te, vuole davvero rivederti o lo dice per gentilezza.


Shiori: Sono rimasta sconvolta dal fatto che in Italia ci sono così tanti scioperi. Perché la gente non lavora? Perché non arriva il treno? Che è successo? Sciopero? Che vuole dire sciopero? In Giappone siamo abituati alla Yamanote Line che arriva in orario, ogni 2-3 minuti. Qui invece arrivi in stazione, non c’è nulla e chiedendo ti dicono “Eh, cacchi tuoi, ora rimani qua!” e adesso che faccio? Una cosa che apprezzo degli italiani è la flessibilità. Per esempio, in aereo, se in Giappone superi anche di il peso massimo della borsa ti dicono "No, deve essere massimo 23 Kg e 2 grammi, altrimenti non te la faccio salire". In Italia invece siete più “Ma sì, dai, va bene!”. Questo vostro aspetto mi piace molto.
In Giappone non esiste l’aperitivo!


Che brutta cosa!
Moltissimi vengono da noi e ci dicono che il Giappone è un posto idilliaco, dove vorrebbero a lavorare. Tu che effettivamente ci sei andata, cosa puoi dire al riguardo?


Yuriko: Lo dico sinceramente, amando il Giappone. A visitarlo è uno dei paesi più belli al mondo, a viverlo da straniera invece i nei iniziano a comparire, e le delusioni ad ammassarsi. Scopri tutte le cose che il Giappone non ti fa vedere ad una prima visita; da un lato eccezionale, dall’altro catastrofico. E tu ti chiedi “Com’è possibile che i vostri treni passano velocissimi tra i palazzi, e poi tu ti fai problemi a parlare con una ragazza?” Ci sono alcuni lati della loro cultura e della loro personalità che non riuscirai mai a capire. Questo influisce anche sul lavoro. C’è anche il pregiudizio che hanno nei confronti degli stranieri. Diciamo che hanno un po’ di paura, e fanno spesso certe frecciatine che se venissero fatte qui in Italia saresti considerato immediatamente un razzista. Loro tuttavia non si considerano razzisti… alcuni probabilmente lo sono perché hanno il cervello di una noce di cocco, ma altri hanno semplicemente paura. Se vai a lavorare in Giappone devi essere disposto ad accettare che tu vali meno di loro, inizi e non sei un cavolo di nessuno. O almeno, io parlo del mio campo. Se vai lì come designer o ingegnere e “io sono italiano, la Ferrari, sono il fidanzato di Chiara Ferragni, la mia vita fantastica con un carlino” e loro “Ah, che bello, uno straniero, che figo!” e iniziano ad ammirarti. Io invece che sembro più giapponese che italiana, quando sono arrivata, mi facevano “Ma tu qui che ci stai a fare?” In pratica inizi da zero, e devi essere tu ad impegnarti per riuscire ad essere quasi accettata e dimostrare loro che davvero ti stai impegnando e ci tieni davvero tanto. Altrimenti pensano che sei li solamente a giocare, che credi sia una vita facile, e allora ti dicono che puoi tornare a casa. Non puoi fare ritardi, devi essere sempre serio, e devi avere delle qualità. Loro ci mettono un attimo a dirti “Perché dovrei prendere te invece di un giapponese?” Quindi tu devi avere, diciamo, le PALLE, per farti valere, senza tuttavia essere arrogante. Se uno si fa vedere arrogante “Io vengo dall’Italia!” loro ti rispondono “Ok, bene, tornatene!” Devi cercare di non ferirli, di mostrare che sei loro amico, che lì davvero per lavorare sul serio. Io lavoro nell’intrattenimento, ed è un vero casino. È anche un campo in cui è presente parecchio nonnismo. Di solito è il produttore che fa tutto per te, io invece sono stata fortunata in quanto ero già lanciata da me stessa, sapevo usare i social, sono andata in una scuola giapponese e ho iniziato a imparare il giapponese. Perché il primo produttore che ho visto mi ha detto “Ma tu non sai parlare giapponese? Sei un po’ grassa! (60 Kg). Magari nel campo porno, ti ci vedo bene!” Quindi ho capito che dovevo avere qualcos’altro, che dovevo avere delle skill. Il mio attuale manager, che non è un manager famoso in quanto gestite solo me, è uno che mi ha detto “Tu secondo me col tempo potrai diventare un’arma per il Giappone, perché riuscirai a essere un ponte tra l’estero e il Giappone”, in quanto sembro giapponese essendo stata influenzata tantissimo dal Giappone fin dall’infanzia, sono entrata pienamente nel mondo giapponese, parlo in giapponese, ecc…
I giapponesi non sono bravi a spiegare, loro non ti diranno mai “è sbagliato, fallo così”, sei tu che devi guardare, imitare e imparare da loro. Il mio manager non mi ha mai spiegato come si danno i biglietti da visita, e purtroppo ho iniziato 5 anni fa quando ancora non c’era Erikottero che faceva i suoi video in cui spiegava tutte queste cose. Quindi dovevo osservare lui e fare lo stesso che faceva lui.

 
Yuriko Tiger, AnimeClick.it e Shiori a Comicon 2018

È fondamentale parlare giapponese?

Yuriko: Sì. Certo, poi ci sono quelli che dicono che non è vero e che loro parlano solo inglese, ma è gente che si è beccata la moglie che parla italiano e inglese, si è chiusa nel suo mondo, fa il musicista e non andrà mai oltre. Per me è il giapponese è fondamentale, altrimenti non riuscirai mai a spiegarti, rimarrai sempre un pesce fuori dall’acqua.

Ultimamanente stiamo notando un po’ di apertura, sarà che li stiamo letteralmente invadendo. A breve ci saranno le Olimpiadi di Tokyo 2020, ci sono animatori europei che vengono presi dalle case di produzione. Tu stessa hai fatto drama, live action, hai lavorato per Bandai… sei stata una delle prime.

Yuriko: Purtroppo in molti non lo sanno, che sono stata una delle prime. Qui il mio sbaglio è stato il non sapere l’inglese. Da un lato mi ha aiutato perché ho assorbito benissimo il giapponese, però adesso l’avvicinamento alle Olimpiadi sta portando molti stranieri, e quindi ho dovuto iniziare a studiare anche l’inglese. Per cui non fate caso alle castronerie che scrivo su Instagram perché ho iniziato a studiarlo solo da un mese.

Tu hai fatto anche doppiaggio. Cosa ne pensi della diatriba italiana su doppiaggio giapponese vs doppiaggio italiano?

Yuriko: a 14 anni preferivo nettamente il doppaggio originale. Ed effettivamente, negli anime il doppiaggio aiuta a capire alcune sfumature caratteriali, senza adattamenti. Però ritengo il doppiaggio italiano uno dei migliori al mondo. Se devo scegliere tra inglese o italiano, scelgo italiano tutta la vita. Il problema è che le doppiatrici usano una voce kawaii che, in italiano, sembreresti una deficiente. Se la stessa voce la usi col giapponese, sembri kawaii. Io ho doppiato un personaggio che si chiama Alfa Romeo Giulietta, sia in giapponese che in italiano, e alla fine hanno scelto la versione in italiano, perché era più figa. Non so se ci siano altre italiane che, da non doppiatrici, hanno doppiato qualche anime; quello che ho fatto io è stato quasi di nascosto, perché non sapendo l’inglese le uniche informazioni su di me sono in giapponese e in italiano, e quindi c’è anche chi sostiene siano solamente bugie. “No, semplicemente non sai usare Google o Facebook!” Comunque, prima di me non c’è mai stata nessuna cosplayer ufficiale – e ufficiale significa con contratto firmato, biglietto da visita, logo ufficiale, non semplicemente fare un cosplay Marvel al cinema qui vicino. Sono cose serie, perché se sono cosplayer ufficiale di una casa e poi mi promuovo con un’altra potrebbero nascere dei battibecchi, perché io devo guadagnare solo con quello che mi dicono loro. Per questo è il cosplay è una linea grigia in Giappone, perché ci lavori, puoi violare il copyright come pure promuoverlo, in base a come lo fai. Oltre a me non penso ci siano altre cosplayer straniere famose in Giappone, ed intendo che vivono proprio in Giappone. Ora dopo cinque anni posso dirlo, se chiedete a qualcuno, vi risponderanno tutti Yuriko Tiger.

Tu e Shiori siete in cosplay di un anime non molto seguito in Italia.

Yuriko: Sì, in Giappone lo chiamano “shitto anime” o “kuso anime” (anime di merda). È un anime strano, ha due protagoniste carine ma la prima immagine che trovate su google sono loro che vi mandano affanculo. È un anime demenziale, pieno di comicità giapponese. Per esempio questo anime è stato doppiato da più di 30 persone, per soli due personaggi. Due personaggi, trenta doppiatori, tra cui maschi, vecchi, bambini. Non c’è un perché, non bisogna chiederselo, in Giappone non si chiede perché. È demenziale, è così, punto! Pop Team Epic ha spopolato in Giappone perché non ha una trama, i personaggi sono strani, sono due ragazzine carine, una delle quali sembra un uomo. Abbiamo portato la cultura di un anime del cazzo anche in Italia!

Cosa c’è ora in Giappone che potrebbe avere successo in Italia? My Hero Academia?

Yuriko: Sì, My Hero Academia ha avuto successo in tutto il mondo, anzi ha avuto quasi più successo all’esterno che in Giappone. È una serie molto occidentale, infatti ormai molte cose vengono studiate per l’Occidente. Il Giappone è piccolo, non c’è un grosso business, e quindi stanno iniziando a chiedersi cosa potrebbe avere successo anche all’estero.

Qualche anime ti è piaciuto molto di recente?

Yuriko: Darling in the FranXX, è uno di quegli anime con una trama che sembra serie ma con anche degli sfondi strani, come per esempio la posizione con cui pilotano i mecha.
Uno che mi è piaciuto tantissimo è Re:Creators, un’opera che parla dei sentimenti di un creatore, animatore, mangaka nei confronti delle sue creazioni, dei suoi personaggi. Mostra le varie emozioni di un otaku, di come ci si possa innamorare di un personaggio che non esiste.


Tante serie stanno parlano degli otaku. C’è voglia di parlare degli otaku. Tu come vedi questa cosa, dato che ci sei spesso in contatto anche col tuo lavoro?

Yuriko: Fino a poco tempo fa, se tu dicevi “Io sono otaku” la gente poteva risponderti in faccia proprio “Mi fai schifo!”. Si parla comunque di otaku a un livello differente rispetto a quanto si vede in Occidente. C’è anche una questione di razzismo, spesso sono proprio gli otaku i primi a non volere gli stranieri in Giappone. Loro si rinchiudono nel loro mondo, non vogliono avere a che fare con gli altri. Noi qui siamo tutti amici, cosplay, ci divertiamo insieme, lì invece è una cosa personale, da tenere più per sé stessi. Magari tantissimi “triggerano” a vedere tu che sei bianca e fai il cosplay di un personaggio giapponese. È una cosa che ho sperimentato in prima persona quando sono andata a fare un cosplay di K-On! nella scuola che hanno preso come modello per creare quella della serie. Uno mi ha attaccato direttamente solo per la persona che ero, perché aveva paura che, da influencer straniera, portassi altre persone a visitare quel luogo e distruggere il loro sacro tempio in cui sono magari quattro gatti in croce con le loro figurine e le loro action figure, e non vogliono che qualcuno li disturbi. È un ragionamento da bambini, ma per loro è una cosa seria, ci mettono un amore davvero ossessivo su queste cose. Adesso comunque sta diventando quasi normale essere otaku, perché si sono resi conto che la maggior parte degli stranieri che vengono in Giappone sono così, se li intervistano possono dir loro “Ah, giappominkia”… “Ma guarda che 9 su 10 sono qui perché hanno visto Sailor Moon da piccole! O Inuyasha, o Ranma…” Il mondo sta cambiando, c’è internet. Un tempo gli otaku stavano su 4chan a dire “Che belle le tette!” Ora ci sono facebook, twitter, instragram, dove tutti mettono la loro opinione con nome e cognome. Si mettono più in mostra, non è più una cosa brutta. Quest’argomento è stato trattato anche in Pop Team Epic.

Shiori: Ultimamente si parla di “fashionable otaku”, otaku che si vestono bene, comprano determinate cose, gadget e borse. Invece una volta l’otaku era una persona negativa, rinchiusa nel suo mondo e che non voleva vedere la realtà, puzzava, non si faceva il bagno, non sapeva parlare. Molti degli otaku hanno problemi con le comunicazioni umane, perché stanno sempre davanti a uno schermo, non sono abituati ad avere un contatto fisico normale. Adesso tuttavia ci sono varie cose che li stanno aiutando, come la moda, il fatto che molte opere parlano degli otaku stessi, o attori famosi in Giappone che hanno detto pubblicamente di essere anche loro otaku – se l’avessero detto dieci anni fa, avrebbero chiuso col lavoro, sarebbero stato tagliati fuori.

Pensi che Netflix e l’arrivo di questi portali possa portare nuovo interesse e nuovo lavoro per l’animazione?

Yuriko: Assolutamente sì. Ora con Netflix c’è gente a cui non gliene fregava nulla di anime e manga che è venuta a dirmi “Ma l’hai visto questo? È una figata!” Anche perché Netflix e questi cataloghi ti mostrano anime selezionati per piacere a un pubblico occidentale.
 
Yuriko Tiger Harley Quinn

Domande dal pubblico

Hai qualche caratteristica italiana che ti sei portata in Giappone e che non cambi in te stessa?


Il non avere una maschera. Io sono così come mi vedi, non sono una che si mette a dire “chotto”… magari lo uso, ma ti faccio capire bene quel che penso. Mi dicono che sono sincera e solare, che sono amica con tutti. Qui in Italia è normale che magari qualcuno voglia abbracciarmi, là non si permetterebbero mai. Qui “Oddio arriva Yuriko Tiger, ooohhhh, uhhhh!”, in Giappone si fanno piccini piccini “possiamo fare la foto?” Sembro una via di mezzo tra il giapponese serio nel lavoro e l'italiano solare, amichevole, energetico, positivo con i fan. Non ho alcun interesse di mettermi una maschera, se uno mi dice che una cosa non gli va bene gli rispondo “bene, grazie, ciao”.

Adoro il tuo manager...

Yuriko: Grazie, è molto caro, è quasi un papà per me. Se sentite qualche critica, ladrate, sono cazzate. Semplicemente ho trovato una persona buona con cui lavorare, questa è stata la mia fortuna. Non ha né potere né soldi, ma mi ha detto che credeva in me, sul serio.

Riguardo al tuo tono di voce, tu usi un certo tono quando parli in giapponese e uno diverso quando parli in italiano. Hai mai sconvolto qualche giapponese quando ti hanno sentito col tono di voce italiano?

Yuriko: Sì, ormai sono abituata a usare una parlata impostata quando uso il giapponese. Scioccato un giapponese? Sì, mi chiedevano se ero la stessa persona. Gente sconvolta “Che figata che è l’italiano”… “No, non è una figata, per fortuna che non hai capito niente di quel che ho detto”.

Molte adolescenti ti seguono e vorrebbero seguire il tuo stesso percorso. A che età possono iniziare a pensare di fare quel che hai fatto tu e qual è stato lo shock più grande che hai avuto tu quando sei arrivata da piccola in Giappone?

Yuriko: Sinceramente, se uno fosse intenzionateìo a entrare nel mondo dello spettacolo dovrebbe farlo il prima possibile, perché io ormai per loro sto già diventando vecchia, e ho 24 anni. Però mi salva il mio essere straniera, perché loro sanno che una non può partire qui da noi a fare l’idol a 14 anni, sarebbe impensabile. Però per loro se vuoi fare l’idol devi avere tra i 10 e i 20-21 anni, 22 massimo. Il corso dell’Avex per idol era fino a 21 anni, per l’artista in generale fino ai 28. Questo per studiare, poi devi avere una carriera abbastanza alta da riuscire a restare a galla. Io penso tuttavia che il Giappone sia particolarmente tosto per una persona piccola, perché all’inizio lo vedrà come un gioco, tutto bello e fantastico, senza aspettarsi quello che è davvero, le truffe, le prese in giro, il nonnismo, il razzismo. E quindi poi uno si chiude, perde in fiducia, perché viene attaccato psicologicamente. È fondamentale fare una vacanza studio in Giappone, o comunque studiare e lavorare, per capire davvero il Giappone, perché andare là coi soldi di mammina e papino e fare la bella vita non è sufficiente per capire a cosa si andrà incontro. Quindi con calma, andare lì dopo i 18 anni e iscriversi in qualche agenzia di spettacolo, ma devi arrivare giù con qualche contatto, avere esperienza, non puoi venire lì e avere un visto per lavorare nello spettacolo. Non si può arrivare in Giappone e crearsi il lavoro da zero. Le uniche che possono farlo sono quelle che hanno sposato un giapponese.

Ironic: tu hai avuto anche l’ulteriore difficoltà di essere donna. E le donne in Giappone se a 29 anni non sono ancora sposate sono considerate delle “torte avariate”.

Yuriko: Sì, mi chiedono perché non mi sposo. Perché le ragazze in Giappone sono, non dico deboli, ma più sottomesse. Se a una ragazza giapponese dite che ha sbagliato, lei si scuserà. Loro hanno paura delle straniere perché sanno che in questi casi gli ribalterebbero il tavolo sulla faccia. Sono troppo forti, e loro hanno quasi paura di non essere all’altezza, di avere a che fare con donne caratterialmente troppo forti. Loro sentono il bisogno di mantenere un lato virile che spinga le ragazze ad affidarsi a loro. Questo lo si vedeva anche nelle geisha del passato, quando alle bambine bendavano i piedi, in modo che crescessero coi piedi storti e non riuscissero a reggersi in piedi senza doversi appoggiare a un uomo. Una donna a capo di un’azienda è una cosa rarissima, e guadagnerà sempre meno di un uomo. Gli stipendi tra uomini e donne non sono uguali, nemmeno tra persone che compiono gli stessi identici lavori. Credo che uno dei primi ad essersi ribellato a questa discriminazione sia stato Hayao Miyazaki.

Shiori: L’uomo giapponese tendenzialmente pensa alla donna come una persona che deve stare in casa, a cucinare e accudire i figli. Quindi hanno molta pressione. Se sei divorziato, risposato o altre situazioni simili, tutto viene riportato sulla tua carta d’identità, e una ditta importante potrebbe decidere di non assumerti per uno di questi motivi. Essere donne ha anche queste difficoltà. Questo è uno dei motivi per cui stanno nascendo molti “haafu”, bambini metà stranieri metà giapponesi, e che il crollo di nascite è praticamente imminente.

Yuriko: Io ho finito di fare l’idol un anno fa. All’epoca avevo il divieto di portare l’anello, di parlare delle mie relazioni, di uscire con amici maschi, di farmi vedere per strada con maschi, di baciare o abbracciare altre persone, anche se straniere. Questo perché avevo l’immagine della ragazza kawaii, pura e innocente, non disponibile per nessuno, bensì la dea che nessuno tocca. Una a cui ci si può avvicinare, ma non raggiungere. Infatti la prima volta che ho sentito parlare dei kyabakura (hostess) ho pensato “Ma quindi non scopano?” Qui invece è proprio il contrario, con “Ciao bella, andiamo dietro?”. Era difficile in Giappone, era difficile in Italia, per questo ultimamente sono andata a prendermelo in Canada. Ma non è una cosa che comandi, quando mi chiedono “Ma come hai fatto? Ma è ricco? Ma è bello?” “No, ma a te che te frega?”. Perché io non penso a queste cose pensando alla stabilità per il futuro. Se vedi la loro versione di tinder, i primi 3 maschi sono bruttissimi, ma sono lì perché c’è scritto il loro salario. Ma una donna che pensa che in futuro farà la moglie e starà sempre in casa almeno sa che così sarà tranquilla e potrà crescere un figlio sempre insieme. Alla fine pensano più a se stesse e ai figli che alla persona che sposeranno.
 
Yuriko Tiger Enoshima Junko

Saresti interessata a crearti una famiglia un giorno?

Spesso mi chiedono cosa vuoi fare tra 10 anni. Io per ora non so nemmeno cosa mangerò domani a colazione. Io sono stranamente quasi normale. Sì, mi piace fare pazzie e avere la vita di un’artista, ma un giorno mi piacerebbe trovare l’amore, essere felice con una persona e crescere, dopo il mio egoismo, un altro essere umano a cui insegnare diverse cose. Però non sopporto quando mi chiedono “Perché non ti sposi un giapponese?” Perché no, non è una cosa che puoi decidere così!

Ci puoi dare qualche anticipazione sulle tue prossime attività?

Yuriko: Ci sarebbe un progetto musicale in cui canterò in questi giorni il mio secondo singolo, purtroppo però il gruppo con cui avrei dovuto cantare si è sciolto. Ci sono rimasta male perché era una questione di “lavoriamo insieme, non siamo amici, non ci contattiamo”. Un po’ troppo freddo, a me piacerebbe lavorare più sui palchi – sempre ovviamente con tutte le pratiche in regola – e intraprendere una carriera musicale rock. Questo perché il mio manager negli anni ‘ 70 faceva parte di un band rock della Avex, per cui potrebbe aiutarmi in questa avventura. A livello di visual sarebbe interessante una straniera che canta J-Rock. Poi mi piacerebbe anche continuare a fare l’attrice in Giappone, ma lì è una questione di casting, sono loro che ti devono chiamare. Sono ormai diventata una delle cosplayer più famose ma vorrei anche lavorare con altre ditte oltre a Bandai Namco e Kadokawa. Ultimamente mi sto spingendo anche all’estero, perché sono diventata la cosplayer straniera famosa in Giappone che chiamano dal Giappone per andare al’estero, per raccontare la mia esperienza, come mi sono trovata. Io vorrei anche ritornare in Italia insieme a Shiori. Perché Shiori ama l’Italia ed è la mia migliore amica giapponese. Ci siamo conosciute il primo anno che sono andata in Giappone, è affettuosa da morire, cosa che ha preso dall’Italia dato che aveva vissuto un anno a Roma, ed è stata gentilissma, mi ha aiutato tantissimo a capire la cultura giapponese, come relazionarmi con gli altri. È un’illustratrice e ama tantissimo l’Italia, amore derivato da JoJo. Lei vorrebbe tantissimo restare in Italia, ma a causa di motivi personali che non dipendono da lei me la riporto in Giappone. Adesso faremo un tour di fiere, poi la riporto con me e in futuro spero di lanciarla insieme a me in Italia, perché ritengo Shiori la mia piccola “me in Italia”.

Qual è il cosplay di che sei andata più fiera?

Sono indecisa tra Enoshima Junko, Harley Quinn e Tekken. Sono quelli che mi hanno portato a lavorare nel mondo del cosplay. Enoshima Junko mi ha portato in televisione, fino alla casa produttrice di Danganronpa ed essere la modella ufficiale per la loro rivista, davanti all’attrice vera di Enoshima Junko. Da straniera, sono felicissima che mi hanno accettato per il cosplay di un personaggio giapponese. Tekken invece è stato il mio primo videogioco picchiaduro e sono l’unica cosplayer ufficiale di questo videogioco, ho pure portato la copia del videogioco autografata a mio padre, una grande soddisfazione. Harley Quinn per una questione di interpretazione. Molte cosplayer giapponesi famose lo fanno per lavoro e non sapevano nulla del personaggio e della sua storia. Nelle interviste dicevano cose tipo “Vorrei una relazione come quella tra Harley e Joker” e io dietro “Benissimo, grande, ok…” Per me invece il cosplay è interpretazione. Se oggi vi manderò tutti affanculo è perché interpreto Popuko. Domani sarò Ariel, dopodomani Harley Quinn, e cambierò carattere ogni volta. Questo mi ha aiutato quando Warner Bros ci ha chiamato. Nonostante fossi quella con meno followers ho preso quel lavoro per l'espressione facciale.

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