Il Conte di Montecristo: recensione manga
Una storia sospesa tra vendetta o speranza
di *Alexiel*
Ebbene, il manga illustrato da Ena Moriyama riesce dove anche film famosi hanno fallito. Ma andiamo con calma.
Il conte di Montecristo è un classico della letteratura francese del XIX secolo. La storia racconta di Edmond Dantès, un marinaio di Marsiglia costretto a scontare una pena di quattordici anni al Castello d’If per un complotto ordito ai suoi danni. Fuggito dal castello che lo teneva prigioniero, Edmond vestirà le sembianze del Conte di Montecristo per vendicarsi di coloro che lo hanno tradito.
Se all’inizio ero preoccupata su come sarebbe riuscita l’autrice a riassumere una trama così complessa e articolata in un volume unico di poco meno di trecento pagine, andando avanti nella lettura ogni dubbio si è dissipato. Per evidenti necessità, molti avvenimenti e personaggi sono stati sacrificati, ma le scelte fatte sono perfettamente funzionali per far sì che il lettore si appassioni alla storia e ai suoi protagonisti.
Laddove non era possibile raccontare con le parole, la Moriyama ci è riuscita con un comparto grafico accattivante; il disegno arriva dove la parola scritta non può. I quattordici anni che Edmond trascorre in prigionia sono percepibili nel suo aspetto che cambia: da un giovane diciannovenne con il viso pulito e sereno ad un uomo più che trentenne dalla barba e i capelli lunghi e incolti. Ma non è solo il lungo e inesorabile passare del tempo a solcare il suo viso e il suo corpo. Nella sua cella, Edmond conosce per la prima volta nella sua vita lo sconforto, l’abbandono, la tradita speranza che venga fatta luce sul suo ingiusto arresto e infine la pazzia. Pazzia che lentamente si insinua nella sua mente e che inizia a coltivare i semi della vendetta. Ma nel momento di più assoluta disperazione, una piccola speranza illumina la sua vita: l’apparizione dell’abate Faria. Una figura salvifica all’interno dell’opera, un conforto e un padre adottivo che gli insegnerà tutto il suo sapere e che gli darà tutti i mezzi per diventare il Conte di Montecristo.
La vendetta però è un piatto che va servito freddo e, prima di dire addio a ogni umana compassione, c’è ancora posto per un’ultima buona azione.
“Le buone azioni di Dio finiscono qui. Non ho più bisogno di misericordia, umanità, gentilezza… Non mi serve più il cuore degli uomini. Già… Finalmente… posso diventare un demonio…”
È proprio da questo preciso istante che la macchina della vendetta si mette in moto. Un piano lungo ancora dieci anni per punire gli “amici” di un tempo, che prevede diversi attori, luoghi e atti, come in una pièce teatrale. Lo spettacolo ha inizio. E così, uno ad uno cadranno tutti. Montego, Villefort e Danglairs riceveranno ognuno la giusta punizione per essersi macchiati del peccato del tradimento.
Sebbene Montecristo viva esclusivamente in funzione della vendetta e nulla riesca a piegare la sua convinzione, il suo animo umano non è perduto per sempre. E questo grazie all’affetto di amici come Maximilien Morrel e di Haydée, una principessa greca venduta al mercato degli schiavi che il conte prende sotto la sua ala protettiva.
Ammetto – e sono di parte nel dirlo – che ho apprezzato tantissimo la scelta di non escludere il personaggio di Haydée dalla narrazione; anche lei, come tutti gli altri, è una mera pedina nelle mani del Conte e ha un preciso ruolo da recitare ma, nonostante sia poco presente, così come nel romanzo, si percepisce il profondo affetto che lega i due. Ed è questo affetto puro e semplice a renderla diversa da tutti gli altri. Se Faria lo aveva salvato nel momento della disperazione, Haydée lo salva da se stesso e da una vita di solitudine e dannazione. Perché, anche se convinto di essere nel giusto, Edmond non ha mai sperato in un’esistenza felice dopo la vendetta.
“Mio Signore, vuoi dunque perdonare me che ho venduto l’anima al demonio della vendetta e volevo punirmi da solo? Desideri che torni ad essere umano?”
Pur volendo trovare a tutti i costi dei difetti, davvero non riesco. Anche se il romanzo viene ridotto all’osso, si percepiscono chiaramente i profili dei personaggi e la loro psiche. Anche in questo caso, ci viene in soccorso il tratto magnifico e ricco dell’autrice, che è riuscita intelligentemente a donare i giusti volti ed espressioni ai personaggi. Di solito apprezzo i personaggi che evolvono col proseguire della storia o che tradiscono le prime apparenze, in questo caso però non mi sento di condannare l’autrice perché così facendo è riuscita a far trasparire immediatamente il loro più intimo io. Le tavole sono piene di primi piani che spesso si concentrano proprio sull’espressività dello sguardo. Ecco perché mancano quasi del tutto gli sfondi se non in determinati casi, come quando è in corso la narrazione degli eventi o quando c’è un cambio scena. Anche se poco presenti, ciò non significa che siano arronzati o buttati lì; anzi, sono tutti ben dettagliati e ricchi di particolari. Se dovessi trovare un aggettivo per descrivere il tratto dell’autrice sarebbe “ricco”. Caratteristica che traspare negli abiti, nelle acconciature e negli accessori. I corpi poi sono morbidi e sinuosi, soprattutto quelli delle donne e ognuna, a modo suo, rispecchia un modo diverso di mostrare la propria femminilità.
Non c’è storia che si rispetti se non si riesce a focalizzare l’attenzione del lettore e, come detto prima, purtroppo moltissimo è stato tagliato per esigenze pratiche, privandoci quindi dell’effetto sorpresa ben presente nel romanzo, dove ogni tassello sparso qua e là alla fine rivela un mosaico meraviglioso in cui tutto trova posto e senso. Nel manga la narrazione è lineare, chiara, senza brusche interruzioni. I dialoghi sono ben alternati alla narrazione, che serve al lettore per capire alcuni passaggi chiave della trama. Avendo già letto il romanzo, mi è mancato ciò che si prova a leggere qualcosa per la prima volta, ma tutto ciò è stato bilanciato dalla voglia frenetica di scoprire l’adattamento e alla fine ho provato lo stesso quel senso di appagamento quando arriva il momento di girare l’ultima pagina. Meglio ancora, avevo voglia di rileggerlo per paura di essermi persa qualcosa a causa della foga messa nella lettura.
Forse l’unica pecca che posso trovare è la parte riguardante la vendetta contro Villefort, la più terribile per quanto mi riguarda e quella che ho preferito. Tra morti apparenti, fantasmi e avvelenamenti, non ho ritrovato quel senso di inquietudine che ho provato leggendo il romanzo. Ma, ripeto, era davvero difficile far emergere tutte le sfumature.
Non posso far altro che consigliare questo volume della Planet Manga che merita tutti i 7,50€ del costo, dopotutto si tratta di quasi 300 pagine, quindi bello corposo. Penso possa piacere sia a chi ha già apprezzato il romanzo sia a chi magari è ancora restio dal leggerlo. Le fanciulle probabilmente apprezzeranno come me la piccola svolta romantica e il tratto accattivante, molto stile josei.