Lu e la Città delle Sirene: recensione del film di Yuasa in anteprima a Lucca
Il terzo lungometraggio di Masaaki Yuasa giunge in Italia per Yamato Video
di CrisTheTuber
Come diceva un vecchio maestro in una galassia lontana lontana, "fare o non fare, non c’è provare". Non porta a nulla l’evitare di fare qualcosa per paura di fallire, perché è meglio vivere di rimpianti che di rimorsi.
Masaaki Yuasa, uno dei registi più famosi e apprezzati del panorama dell’animazione, è senza ombra di dubbio molto affezionato a questi temi. Grazie ad uno stile molto particolare di animazione, nel bene e nel male, il regista è sempre stato in grado di far parlare di sé. Il suo stile grezzo, che punta all'espressività più totale dei personaggi anche attraverso la deformazione dei loro volti, è stato spesso oggetto di discussione nella community di appassionati. Casi famosi sono il recente "Devilman Crybaby" o il celeberrimo "Ping Pong The Animation", in cui il regista ha sperimentato e ampiamente sfruttato oltre ogni limite proprio il dinamismo e l’espressività che questo suo particolare stile gli permette di inscenare. Tutti questi elementi, uniti insieme, rendono le opere di Yuasa molto profonde anche nella loro semplicità, e a fare da esempio è proprio il terzo lungometraggio del regista: Lu e la città delle sirene. Sarà riuscito il film a soddisfare le aspettative? Scopriamolo insieme.
Partiamo dall'inizio: Lu e la città delle sirene, conosciuto internazionalmente come "Lu Over the Wall", è un film del 2017 scritto e diretto da Masaaki Yuasa, terzo lungometraggio del regista e secondo basato su un soggetto originale dopo Mind Game. La pellicola è "Yuasiana" in tutto e per tutto: sin dalle primissime inquadrature, lo stile del regista è chiaro e lampante, e appare evidente come Yuasa abbia voluto sviluppare la storia a partire dal suo protagonista, ma su questo passaggio arriveremo facendo un passo alla volta.
Kai è un introverso ragazzo delle medie che, a seguito della separazione dei suoi genitori, è andato a vivere con il padre e il nonno nella città di Hinashi, da molti chiamata "La Città delle Sirene" a causa delle leggende che circolano su di essa. Il nostro protagonista ama alla follia la musica, tanto da fare colpo su due suoi compagni di scuola, Yūho e Kunio, con i quali, inizialmente poco convinto, fonda una banda, i "Seiren". Kai è però un ragazzo estremamente introverso che fa fatica a comunicare persino con suo padre, il quale non fa altro che ripetergli, seppur non in tono di cattiveria, che farebbe meglio a concentrarsi sullo studio, nonostante lui stesso in gioventù amasse la musica tanto quanto il figlio. È proprio grazie a questa passione che una sera, quasi per caso, Kai incontra Lu, una piccola sirena attratta dalla sua musica con cui, nel corso del film, instaurerà un profondo legame e che permetterà a Kai di conoscere meglio sé stesso.
Il film, sicuramente quello dal sapore più "Ghibliano" tra tutti quelli della filmografia di Yuasa, parte quindi con una premessa decisamente interessante e riesce a districarsi molto bene nel suo sviluppo: a partire dagli eventi descritti, infatti, i Seiren coinvolgeranno Lu nella composizione dei loro brani e, man mano, questo porterà alla rivelazione di molte dicerie e credenze sulle sirene che, nel corso della trama, si riveleranno più o meno fondate.
Apprezzabile soprattutto come la trama riesca a scorrere senza intoppi: non c’è nessun passaggio criptico e tutto quello che viene raccontato è precisamente chiaro, inclusa quella piccola parte di componente "fantastica" presente nelle leggende e nei poteri delle sirene. Non si parla neanche di sospensione dell’incredulità, in quanto i poteri degli abitanti del mare sono assolutamente plausibili e coerenti con le ispirazioni mitologiche da cui sono nate le sirene, inclusi i collegamenti che quest'ultime hanno con la musica. È infatti risaputo nei miti che le sirene attirano i marinai con il canto, e vederle interessate alla moderna musica è una sfumatura di immersione da non sottovalutare.
Anche a livello di ritmo narrativo Yuasa ha svolto un buon lavoro: fatta eccezione per la parte finale che è un po’ troppo rapida e alla quale si sarebbe potuto dedicare più minutaggio, soprattutto i primi quaranta minuti del film sono narrativamente spettacolari. La gestione dei tempi del racconto è precisa e puntuale, e non trasmette mai la sensazione di tempistiche dilatate solo per allungare il minutaggio del film. Se abbiamo diversi punti a favore nella trama, troviamo, tuttavia, un difetto non da poco: fatti alla mano, la trama del film risulta abbastanza banale. Il film è realizzato in modo tale che, come detto, scorra senza nessun intoppo, e la semplicità della trama è indubbiamente apprezzabile, ma la sua linearità è sconcertante e abbiamo solo piccoli elementi di sotto-trame secondarie che trovano sì compimento, ma in quanto comunque collegate a quella principale. Si può dire che Yuasa, in questo, abbia deciso di puntare molto sulla caratterizzazione e l’empatia dei suoi personaggi per far reggere il film, ma abbia perso un po’ di trama per strada. Dulcis in fundo, infatti, sono molti i momenti del film in cui Yuasa riesce a far empatizzare lo spettatore con i personaggi, complice sicuramente il modo decisamente particolare di mettere in scena le loro emozioni.
Aspetto fondamentale è la caratterizzazione dei personaggi: come detto prima, il film si articola principalmente su Kai, Yūho e Kunio. Tutti, loro, assieme, sono senza dubbio "Il protagonista" dei film. È necessario parlare di loro come unità in quanto i Seiren, ognuno con le loro diversità, sono una piccola famiglia che necessita l’uno dell’altro per poter crescere e migliorare. Ognuno dei tre ragazzi ha, infatti, i propri problemi personali e le proprie timidezze che impediscono a ciascuno di essere davvero sé stessi. Tra i tre, sicuramente quello più sincero in tal senso è Kunio, che si può considerare senza problemi il leader della band e, nel corso della pellicola, il migliore amico di Kai.
Lu, in questo contesto, è fondamentale alla crescita e alla caratterizzazione dei personaggi, in quanto la piccola sirena, "forte" della sua curiosità immane e della voglia di conoscere il mondo, rappresenta l’innocenza e la spontaneità tipica dei bambini che i Seiren, e Kai in particolare, hanno perso. Va detto che Lu non ha quindi una grandiosa caratterizzazione all’interno del film, in quanto lei è principalmente un catalizzatore della trasformazione e della riscoperta emotiva dei nostri tre protagonisti, ed è sicuramente giusto così. Far evolvere e cambiare Lu, per un qualsiasi evento, avrebbe rovinato del tutto il messaggio che la piccola sirena veicola: la propria spontaneità è qualcosa che non deve mai andare perduta, perché il primo passo per essere sé stessi è esserlo con gli altri.
Il padre di Kai risulta, seppur in modo decisamente più "macchiettistico", un personaggio interessante: partito con un approccio timido nei confronti del figlio, si riscoprirà più umano e meno distaccato di quanto lui stesso si credesse. e sarà fondamentale negli eventi del finale del film. Anche i comprimari, nonostante la loro scarsa presenza su schermo, hanno dei momenti di spicco in cui saranno in grado di far discutere di loro per le loro scelte e commuovere per alcuni avvenimenti.
Per quanto concerne la discussione sul lato tecnico generale del film, lo stile di Yuasa in questa pellicola è senza ombra di dubbio più che riuscito. Il regista porta su nuovi livelli l’espressività dei personaggi a tutto tondo, nei movimenti e nelle espressioni facciali. Iconica è la scena di Kai sott’acqua insieme a Lu, in cui il regista riesce a rendere appieno il misticismo del momento vissuto dal nostro protagonista. Un ulteriore plauso va fatto al design del padre di Lu, di cui è meglio non anticipare nulla, ma che riesce a rendere perfettamente la sensazione di inquietudine e potenza assoluta che questo essere mistico deve trasmettere. Soprattutto in una determinata scena molto dinamica, la sua bestialità e ferocia vengono messe ottimamente su schermo grazie ad una fluidità delle animazione e un’ottima gestione della regia, in un lungo piano sequenza che alterna focus e campi lunghi: quei pochi secondi rappresentano senz'altro uno dei momenti migliori del film.
Senza ombra di dubbio, quindi, Yuasa ha svolto un buon lavoro anche sul piano tecnico, che però presenta quelle medesime diverse criticità del regista che abbiamo già riscontrato in precedenza, in altre sue opere, e che confido di vedere risolte in "Ride Your Wave".
In primo luogo, i disegni nei campi lunghi sono anatomicamente sbagliati. Non si parla di animazioni ed espressioni facciali in cui il dinamismo richiede una distorsione del corpo, presenti sì ma ottimamente realizzate, bensì di semplici scene animate e disegni in cui i corpi dei personaggi sono, semplicemente, errati. Inoltre, come spesso accade nelle opere di Yuasa, se già i disegni in primo piano sono a volte imprecisi proprio per scelta estetica, nei controcampi e campi lunghi il livello di dettaglio è estremamente basso. Una cosa del genere è riscontrabile anche nei già citati Devilman Crybaby e Ping Pong. Non è ovviamente qualcosa in grado di inficiare l’esperienza visiva, ma è un vero peccato vedere un lavoro artisticamente molto valido non raggiungere la perfezione a causa di questi "piccoli" difetti.
Parlando del doppiaggio, devo realmente fare i complimenti a Yamato Video per l’ottimo lavoro svolto con il casting, poiché le scelte delle voci sono estremamente precise. Con l'eccezione dell’iconico e inconfondibile Oreste Baldini (Sommo Shinigami in Soul Eater) sul padre di Yūho, non sono riuscito a riconoscerne molte; un segno, questo, che denota una totale immersione degli attori dei personaggi.
I doppiatori, modulando o meno, sono riusciti a recitare estremamente bene, con un plauso particolare proprio alla doppiatrice di Yūho, la più calata nella sua parte e incollata su volto e carattere del personaggio. Una menzione particolare la dedico al doppiatore di Kai, che in più di un’occasione ha saputo rendere appieno l’idea di un ragazzo intrappolato dalle proprie emozioni che non riesce tuttavia a gestire. Davvero delle interpretazioni commoventi.
E' doveroso fare menzione anche della colonna sonora, purtroppo decisamente scarna: sono infatti ben pochi i brani presenti in questa pellicola, al netto del tema predominante della musica. Ciò nonostante, va riconosciuto che quelle poche canzoni e brani musicali presenti sono realizzati con estrema cura e amore per la musica, soprattutto un particolare brano che accompagna la sequenza finale e che vede protagonista della scena il nonno di Kai. Anche i brani dei Seiren, soprattutto quello che verrà più di una volta provato e ballato insieme a Lu, sono realizzati ottimamente, ma purtroppo dimenticabili.
Al netto, quindi, di una realizzazione tecnica imperfetta e una trama a tratti scontata, Lu e la città delle sirene è un film in grado di commuovere, se si va oltre la semplicità con cui è stato realizzato.
È un film estremamente vero e reale nelle emozioni dei suoi personaggi, che può regalare qualcosa in più ad uno spettatore che lo sappia guardare con gli occhi del cuore. Ricorda cioè a tutti noi che il primo passo per essere migliori è essere sé stessi e cercare di esprimersi adeguatamente, senza temere un rifiuto da parte del mondo.
È un film estremamente vero e reale nelle emozioni dei suoi personaggi, che può regalare qualcosa in più ad uno spettatore che lo sappia guardare con gli occhi del cuore. Ricorda cioè a tutti noi che il primo passo per essere migliori è essere sé stessi e cercare di esprimersi adeguatamente, senza temere un rifiuto da parte del mondo.