Kamen: quando la maschera è parte integrante della cultura di un paese
Da quelle del teatro Noh a quelle indossate durante i matsuri ce n'è per tutti i gusti
di Hachi194
Le maschere giapponesi hanno origini che si perdono nella notte dei tempi e sono spesso legate a riti religiosi, cerimonie, feste e rappresentazioni teatrali. Infatti se si parla di maschere, una delle primissime cose che vengono in mente sono quelle usate durante le rappresentazioni del teatro Nō o Noh.
Nato nel XIV secolo, il Noh deriva dai riti, le danze e le pantomime religiose che si effettuavano per ingraziarsi i favori degli dei nella speranza di ottenere raccolti abbondanti. Per questo motivo comprende poesia, danza, recitazione e musica e si è raffinato a tal punto che è diventato la forma di intrattenimento principale per le classi più elevate.
Tutto avviene grazie al sapiente uso delle Nômen, le maschere tipiche del Noh, indossate dallo Shite, l'attore principale, assistito dal Waki che ha il ruolo di narratore e che deve spiegare la storia agli spettatori.
Le Nômen sono circa 250 e servono per rappresentare tutti i personaggi possibili: donne, uomini, vecchi, spiriti, dei, demoni. Sono codificate in modo che lo spettatore possa riconoscere immediatamente chi ha di fronte, la sua età, il suo ruolo sociale. La maschera nasconde quindi il viso dell'attore che può calarsi totalmente nel suo personaggio e dargli vita secondo una coreografia precisa ed immutabile.
Realizzate in legno di cipresso e dipinte con colori sgargianti, sono infatti intagliate in modo che a seconda dell’angolazione e della luce mostrino un’espressione diversa; sta quindi all'attore muoversi in modo così preciso da far emergere l'esatto sentimento che si vuole trasmettere. In alcuni casi le maschere erano addirittura venerate se rappresentavano defunti o divinità.
Oggi il Teatro Noh di Tokyo continua a tenere delle rappresentazioni teatrali con le tradizionali maschere che a volte durano più di 6 ore. Durante questo tempo, per alleggerire la visione, sono messi in scena intermezzi comici detti Kyôgen: anche in questo caso gli attori indossano delle maschere i cui tratti sono ancora più esasperati per provocare l'ilarità dello spettatore e creare un forte contrasto con quelle utilizzate nel Noh.
Ma le maschere travalicano il teatro ed entrano nella vita comune, facendo la loro comparsa durante i matsuri e tutte le feste dedicate al folklore nipponico.
Uno dei più famosi e suggestivi è il Capodanno delle volpi che si tiene presso Ôji.
Secondo la leggenda, il 31 dicembre le volpi del Kanto si radunano tutte sotto ad un salice nei pressi di Ôji, una cittadina a nord di Tokyo. Dopo aver assunto sembianze umane, si dirigono al santuario Ôji Inari per pregare per l'anno nuovo.
Inari è la divinità che protegge l'agricoltura e si serve appunto delle volpi come suoi messaggeri. Per ricordare questa leggenda, gli abitanti di Ôji organizzano proprio l'ultimo dell'anno una processione: indossando delle maschere che riproducono il volto di una volpe, muniti di lanterne, si dirigono verso il tempio per effettuare la prima visita dell'anno.
Un altro festival molto impressionante è l'attraversamento del fuoco che si svolge in Hokkaido. Qui il protagonista principale è il tengu: creatura mitica giapponese, appartiene al folklore legato alla religione shintoista ed è visto a volte come un kami, cioè una divinità, a volte come uno yokai, quindi uno spirito o un demone. Fisicamente è caratterizzato da un volto dipinto di rosso, dai tratti terrificanti e con un naso molto lungo.
In Hokkaido si svolge appunto questa festa in cui un uomo, indossando una maschera che riproduce le fattezze di un tengu, attraversa un vero e proprio tunnel di fiamme, incoraggiato dal pubblico circostante e dall'esecuzione di musiche tradizionali. Il festival si svolge di notte e in questo modo l'espressione della maschera è enfatizzata dalle fiamme che spiccano nel buio e che sono l'unica fonte di luce.
Da non dimenticare le maschere indossate dai samurai durante le battaglie: denominate menpô o mempô, erano parte integrante dell'armatura ed oltre ad avere una funzione protettiva, avevano anche il compito di spaventare l'avversario incutendo timore grazie alle sue espressioni terrificanti e di riflettere il carattere del guerriero. Poteva proteggere tutto il viso o solo una parte.
Ma le maschere hanno il loro appeal anche in tempi più recenti: si possono incontrare spesso nella cultura pop giapponese. Giusto per fare qualche esempio ne "La città incantata" Senza-volto, uno dei personaggi chiave del film, ha una maschera che ricorda molto quelle del teatro Noh.
Nel videogioco La leggenda di Zelda: Majora’s Mask il protagonista Link deve collezionare una serie di maschere che sono in grado di trasformarlo e dargli poteri speciali.
Infine si potrebbe parlare delle "maschere" imposte dalle convenzioni sociali. Si parla spesso di Honne e Tatemae: la prima indica le emozioni e le opinioni reali che ha la persona, mentre la seconda identifica quello che invece si esprime in pubblico al fine di evitare i contrasti, di creare imbarazzo all'interlocutore, esibendo il "volto" che la società si aspetta per mantenere lo status quo.
Questo atteggiamento è probabilmente uno degli aspetti che più mettono in crisi gli starnieri. Si pensa che i giapponesi siano finti, disonesti. In realtà è principalmente un meccanismo di difesa, per evitare il più possibile conflitti e ferite inutili.
Fonte consultata:
Japanization