L'esperienza Cyberpunk 2077
Si è così parlato di Cyberpunk 2077 che a molti è venuto a noia eppure, c'è qualche piccolo dettaglio che forse non è ancora uscito fuori... ai più almeno.
di Marcello Ribuffo
Cyberpunk 2077 è l'equivalente videoludico del Vaso di Pandora: una volta scoperchiato è in grado far provare le più diverse sensazioni a questo mondo. Su queste pagine trovate già una ricca recensione della versione PC, sicuramente la più performante e piacevole da giocare.
Eppure, visti i pareri discordanti abbiamo ritenuto fondamentale dare un'altra lettura al lavoro CD Projekt RED, analizzando il perché per molti Cyberpunk 2077 è tutt'altro che un titolo memorabile, almeno in senso positivo.
Chi vi scrive ha passato più di 100 ore per le vie di Night City, scovando reconditi segreti e testando ogni anfratto del titolo. In questa fase, non verranno presi in considerazione i problemi tecnici: di bug e glitch divertenti ne abbiamo visti a bizzeffe, ma Cyberpunk 2077 non è solo composto da elementi che, comunque, potranno essere sistemati "semplicemente" con delle patch. I problemi purtroppo sono di natura strutturale e insiti nel codice di gioco. Insomma, magari i problemi fossero solo i bug.
Esperienza. Questa è una parola che molti lettori o recensori non prendono mai in considerazione quando ci si trova davanti a una recensione. Una recensione non è solamente un "elenco" di cosa piace o cosa no ma è la trascrizione delle emozioni e delle analisi scaturite dall'opera. È per questo che molto spesso i voti variano da persona a persona, perché oltre la "fredda" analisi di gameplay, narrativa e tecnica intervengono i fattori emozionali che ovviamente, sono del tutto personali. Sintetizzando, la recensione è quel luogo dove "2+2 non fa sempre 4" e Cyberpunk 2077 è la degna rappresentazione di questo concetto.
Trovarsi tra le strade di Night City dopo un'attesa di circa otto anni fa il suo certo effetto, un sogno, qualcosa da tempo desiderato e finalmente disponibile a ogni ora della giornata. È un po' come essere innamorati di qualcuno che non conosciamo ancora a fondo e dove interviene l'idealizzazione di chi è nei nostri pensieri. Ma una volta trovaticisi davanti c'è anche il rischio di rimanere delusi. Sia ben chiaro, Cyberpunk 2077 è un titolo che non viene mai a noia, coinvolge grazie al suo world building ma che, purtroppo, non appaga appieno, come fossimo stati in un ristorante di Gordon Ramsey: si mangia benissimo ma uscendo, si muore di fame.
Come detto nell'incipit, i problemi sono per lo più di natura strutturale e che toccano quasi tutti gli aspetti del titolo, dalla componente narrativa, al gameplay in senso lato e soprattutto nel bilanciamento, forse il vero tallone d'Achille del lavoro del team polacco.
Le maledette armi tecnologiche sono ad esempio tra le tante idee lasciate a metà. In natura, l'evoluzione non fa altro che combinare mosse e contromosse tra prede e predatori: hai enormi denti in grado di frantumare ogni cosa? Creo una corazza; Hai una vista acuta? Mi mimetizzo, e così via. In questo caso, hai un'arma in grado di perforare palazzi in serie e ogni genere di ostacolo con più di 600 colpi a disposizione?
La consequenzialità di Madre Natura sembra essersi presa una pausa durante lo sviluppo del titolo ed è chiaro come l'intero concetto possa essere traslato all'intero impianto RPG; ma ci arriviamo dopo. Sembra una cosa banale, eppure, una volta trovato questo tipo di arma, cosa vi spinge a rischiare, a provare il tutto per tutto a suon di proiettili e lame, quando potere sparare in tutta sicurezza? Non è certo la prima volta che vengono usati simili espedienti: anche in Syphon Filter 3 era presente un'arma speciale con mirino a raggi x, in grado perforare qualunque cosa, con la possibilità di vedere cosa attraverso l'ostacolo; ma i colpi a disposizione erano limitati e di conseguenza era da usare solo a fini tattici o in casi estremi (anche perché il level design spingeva il giocatore sempre al movimento). Anche nel reboot di Syndicate, targato Starbreeze, vi erano armi simili, ma comunque limitate nell'uso. Questo essenzialmente per una questione di equilibri di gioco e soprattutto, per stimolare il giocatore a trovare soluzioni alternative al "camperare". Le armi tecnologiche in Cyberpunk 2077 non sono necessariamente un male: andiamo, siamo in un 2077 alternativo, è giusto che esistano.
Il problema è il mancato studio di una contromisura, almeno un disturbatore di segnale in grado di oscurare la visuale attraverso gli oggetti e spingerci a uscire dalla copertura. Non è una cosa da poco in quanto in certi frangenti, CD Projekt RED sembra non essersi interessata ai cicli d'azione delle fasi shooter, segmenti temporali in cui il giocatore viene "costretto" a cambiare approccio all'azione. Complice un'IA davvero ridotta ai minimi termini, dove si fa fatica a mettere insieme "intelligenza" e "artificiale", tutto questo si perde purtroppo per strada, considerando che risponde prontamente solo alle armi da fuoco. Non stiamo qui a dilungarci qualora si usassero solo armi bianche...
Detto questo però, lo shooting è in grado di regalare grosse soddisfazioni. È chiaro, siamo bel lontani dai lavori id Software ad esempio, ma per essere la prima volta del team polacco è un lavoro niente male. In qualche modo sono riusciti a giostrarsi con i vari feedback delle tantissime armi presenti, per non parlare delle animazioni uniche per ogni bocca da fuoco. Da questo punto di vista dunque, Cyberpunk soddisfa, ma come detto precedentemente, non ci si sazia a dovere e purtroppo, in ogni punto del gioco dove il nostro occhio si posa non può che venire alla mente "bello, però...".
Vi ricordate dell'esempio fatto su Madre Natura, traslabile anche nell'RPG? Eccoci. Cyberpunk 2077 è un RPG. Quasi tutta la sua parametrica ha un senso e immergersi nello skill tree è una gioia. Il nostro V può divenire letteralmente qualsiasi cosa, da un super Netrunner in grado di hackerare persino le mattonelle, a un killer spietato capace di eliminare chiunque con un colpo solo... cosa che potrete fare con qualunque build superato un certo livello, ma son dettagli.
Come ben saprete, sono ben tre le possibili strade per guadagnare punti esperienza, di cui solo due effettivamente utili. Arrivare al level cap è abbastanza semplice, con l'astuta idea di limitare i perk acquisibili e spingerci dunque a scegliere cautamente quali abilità apprendere. Peccato solo che molte di queste abilità siano essenzialmente inutili, in grado anche di portare più sbilanciamento rispetto a quanto già il titolo non sia. Ma è la Reputazione a essere difficilmente comprensibile, palesandosi come uno dei rimasugli degli elementi cancellati. Cosa dovrebbe essere il livello reputazione? Partiamo da quello che è all'interno di Cyberpunk, essenzialmente un progressivo sblocco di missioni secondarie dovuto al "farsi un nome" a Night City. Bene; il problema è che Night City se ne frega di noi bellamente come quando abbiamo iniziato. Non vi è alcun cambiamento tangibile delle nostre azioni, né a livello fisico (salvo in qualche modo Delamain), né tra le gang, né tra la polizia, né tra i cittadini. Tutto è immutabile, come il primo giorno ne La Città dei Sogni. Inoltre, raggiungere il level cap in questo contesto è di una semplicità spaventosa, visto che non vi è un reale sistema di karma. Tutto ciò che facciamo, aggiunge punti reputazione, sia che salviamo qualcuno sia che decapitiamo membri delle gang durante una chiacchierata. Per non parlare del sistema di crimine, solo di facciata ma forse è inutile soffermarci su questo aspetto.
Del resto difficilmente potrete creare volontariamente dei crimini ─ a meno che non siate dei sadici ─ visto che non è presente alcun sistema di furto, se non per le auto (ma dalla poca utilità) e un'impossibilità letterale di interagire con i passanti (inspiegabile come ci sia permesso di parlare loro). Di certo, in un open world RPG in prima persona, con una certa complessità del level design, la questione "passanti" può essere tranquillamente archiviata. Un peccato? Certamente, ma non elemento fondamentale. Anche perché ─ altrimenti se ne parlerebbe solo male ─ Cyberpunk 2077 ha tanto da offrire, con missioni secondarie che non hanno paragoni di alcun tipo con quelle presentate dai concorrenti. CD Projekt RED è riuscita a plasmare dei personaggi che travalicano la barriera che li porta a esser persone, credibili nelle loro reazioni, così diverse, così familiari. È difficile non rimanere coinvolti sentimentalmente con alcune vicende, grazie anche alla saggia scelta della visuale in prima persona, capace di farci immergere in interazioni intime e profonde, per certi versi uniche nel panorama videoludico. Trovarsi accanto a Judy, mentre racconta dei suoi sogni o della sua disperazione toccano il cuore, disperandoti del fatto che non puoi attivare la romance con lei perché hai scelto un V maschio. Ma anche qui, son dettagli.
L'architrave narrativa è però Jonny Silverhand, un personaggio in grado di evolversi durante il corso dell'avventura, ma che forse risulta quello meno "profondo". Durante i suoi monologhi o scambi di battute, è difficile non sentire parole, fatti ed eventi in qualche modo già sentiti prima, mancando forse di quella reale intimità che invece fuoriesce dalla gran parte del resto del cast. Forse è spiegabile dal fatto che il plot principale risulta a tratti abbastanza debole, rimanendo nella mente più gli eventi secondari che quelli principali. Qui entra anche il soggettivo e l'emotività, diversa per ognuno e troppo malleabile dall'esperienza personale. È fuor di dubbio comunque, che il lavoro svolto sulla caratterizzazione estetica e sonora sia da applausi scroscianti (applausi di questo tipo anche al doppiaggio italiano, moltiplicati per due): ogni veicolo, abito e cyberware è unico, ricco di dettagli incredibili ma che fanno venire ancor di più l'amaro in bocca.
È questo il problema; anche mentre queste righe sono trascritte, non si può non pensare a tutte le occasioni mancate di un titolo che poteva tranquillamente essere tra i giochi del decennio. Non ho parlato di come il crafting sbilanci ancor di più l'esperienza, di come il background iniziale vali realmente solo per il prologo, di come di sandbox ci sia molto poco e tanto altro. Quello che conta, ed è forse il reale senso di questo articolo, è che Cyberpunk 2077 è un bel gioco. È facile soffermarsi su tutti quegli elementi che non funzionano o che funzionano in parte, su come la fisica esplode o su come non si possa personalizzare esteticamente V ─ ma davvero? ─, ma citando una scena di Birdman, etichettare sembra l'unico modo per poter descrivere, perdendo però il vero significato del qualcosa. Cyberpunk 2077 è come quel fiore preso in mano da Riggan Thomson, il protagonista del film: come un fiore non è un semplice ammasso di petali e polline, il titolo CD Projekt RED non è solo un ammasso di bug ed elementi incompleti. L'esperienza "fiore" e l'esperienza "Cyberpunk 2077", hanno ben altro da raccontare.
Eppure, visti i pareri discordanti abbiamo ritenuto fondamentale dare un'altra lettura al lavoro CD Projekt RED, analizzando il perché per molti Cyberpunk 2077 è tutt'altro che un titolo memorabile, almeno in senso positivo.
Chi vi scrive ha passato più di 100 ore per le vie di Night City, scovando reconditi segreti e testando ogni anfratto del titolo. In questa fase, non verranno presi in considerazione i problemi tecnici: di bug e glitch divertenti ne abbiamo visti a bizzeffe, ma Cyberpunk 2077 non è solo composto da elementi che, comunque, potranno essere sistemati "semplicemente" con delle patch. I problemi purtroppo sono di natura strutturale e insiti nel codice di gioco. Insomma, magari i problemi fossero solo i bug.
Esperienza. Questa è una parola che molti lettori o recensori non prendono mai in considerazione quando ci si trova davanti a una recensione. Una recensione non è solamente un "elenco" di cosa piace o cosa no ma è la trascrizione delle emozioni e delle analisi scaturite dall'opera. È per questo che molto spesso i voti variano da persona a persona, perché oltre la "fredda" analisi di gameplay, narrativa e tecnica intervengono i fattori emozionali che ovviamente, sono del tutto personali. Sintetizzando, la recensione è quel luogo dove "2+2 non fa sempre 4" e Cyberpunk 2077 è la degna rappresentazione di questo concetto.
Trovarsi tra le strade di Night City dopo un'attesa di circa otto anni fa il suo certo effetto, un sogno, qualcosa da tempo desiderato e finalmente disponibile a ogni ora della giornata. È un po' come essere innamorati di qualcuno che non conosciamo ancora a fondo e dove interviene l'idealizzazione di chi è nei nostri pensieri. Ma una volta trovaticisi davanti c'è anche il rischio di rimanere delusi. Sia ben chiaro, Cyberpunk 2077 è un titolo che non viene mai a noia, coinvolge grazie al suo world building ma che, purtroppo, non appaga appieno, come fossimo stati in un ristorante di Gordon Ramsey: si mangia benissimo ma uscendo, si muore di fame.
Come detto nell'incipit, i problemi sono per lo più di natura strutturale e che toccano quasi tutti gli aspetti del titolo, dalla componente narrativa, al gameplay in senso lato e soprattutto nel bilanciamento, forse il vero tallone d'Achille del lavoro del team polacco.
Le maledette armi tecnologiche sono ad esempio tra le tante idee lasciate a metà. In natura, l'evoluzione non fa altro che combinare mosse e contromosse tra prede e predatori: hai enormi denti in grado di frantumare ogni cosa? Creo una corazza; Hai una vista acuta? Mi mimetizzo, e così via. In questo caso, hai un'arma in grado di perforare palazzi in serie e ogni genere di ostacolo con più di 600 colpi a disposizione?
La consequenzialità di Madre Natura sembra essersi presa una pausa durante lo sviluppo del titolo ed è chiaro come l'intero concetto possa essere traslato all'intero impianto RPG; ma ci arriviamo dopo. Sembra una cosa banale, eppure, una volta trovato questo tipo di arma, cosa vi spinge a rischiare, a provare il tutto per tutto a suon di proiettili e lame, quando potere sparare in tutta sicurezza? Non è certo la prima volta che vengono usati simili espedienti: anche in Syphon Filter 3 era presente un'arma speciale con mirino a raggi x, in grado perforare qualunque cosa, con la possibilità di vedere cosa attraverso l'ostacolo; ma i colpi a disposizione erano limitati e di conseguenza era da usare solo a fini tattici o in casi estremi (anche perché il level design spingeva il giocatore sempre al movimento). Anche nel reboot di Syndicate, targato Starbreeze, vi erano armi simili, ma comunque limitate nell'uso. Questo essenzialmente per una questione di equilibri di gioco e soprattutto, per stimolare il giocatore a trovare soluzioni alternative al "camperare". Le armi tecnologiche in Cyberpunk 2077 non sono necessariamente un male: andiamo, siamo in un 2077 alternativo, è giusto che esistano.
Il problema è il mancato studio di una contromisura, almeno un disturbatore di segnale in grado di oscurare la visuale attraverso gli oggetti e spingerci a uscire dalla copertura. Non è una cosa da poco in quanto in certi frangenti, CD Projekt RED sembra non essersi interessata ai cicli d'azione delle fasi shooter, segmenti temporali in cui il giocatore viene "costretto" a cambiare approccio all'azione. Complice un'IA davvero ridotta ai minimi termini, dove si fa fatica a mettere insieme "intelligenza" e "artificiale", tutto questo si perde purtroppo per strada, considerando che risponde prontamente solo alle armi da fuoco. Non stiamo qui a dilungarci qualora si usassero solo armi bianche...
Detto questo però, lo shooting è in grado di regalare grosse soddisfazioni. È chiaro, siamo bel lontani dai lavori id Software ad esempio, ma per essere la prima volta del team polacco è un lavoro niente male. In qualche modo sono riusciti a giostrarsi con i vari feedback delle tantissime armi presenti, per non parlare delle animazioni uniche per ogni bocca da fuoco. Da questo punto di vista dunque, Cyberpunk soddisfa, ma come detto precedentemente, non ci si sazia a dovere e purtroppo, in ogni punto del gioco dove il nostro occhio si posa non può che venire alla mente "bello, però...".
Vi ricordate dell'esempio fatto su Madre Natura, traslabile anche nell'RPG? Eccoci. Cyberpunk 2077 è un RPG. Quasi tutta la sua parametrica ha un senso e immergersi nello skill tree è una gioia. Il nostro V può divenire letteralmente qualsiasi cosa, da un super Netrunner in grado di hackerare persino le mattonelle, a un killer spietato capace di eliminare chiunque con un colpo solo... cosa che potrete fare con qualunque build superato un certo livello, ma son dettagli.
Come ben saprete, sono ben tre le possibili strade per guadagnare punti esperienza, di cui solo due effettivamente utili. Arrivare al level cap è abbastanza semplice, con l'astuta idea di limitare i perk acquisibili e spingerci dunque a scegliere cautamente quali abilità apprendere. Peccato solo che molte di queste abilità siano essenzialmente inutili, in grado anche di portare più sbilanciamento rispetto a quanto già il titolo non sia. Ma è la Reputazione a essere difficilmente comprensibile, palesandosi come uno dei rimasugli degli elementi cancellati. Cosa dovrebbe essere il livello reputazione? Partiamo da quello che è all'interno di Cyberpunk, essenzialmente un progressivo sblocco di missioni secondarie dovuto al "farsi un nome" a Night City. Bene; il problema è che Night City se ne frega di noi bellamente come quando abbiamo iniziato. Non vi è alcun cambiamento tangibile delle nostre azioni, né a livello fisico (salvo in qualche modo Delamain), né tra le gang, né tra la polizia, né tra i cittadini. Tutto è immutabile, come il primo giorno ne La Città dei Sogni. Inoltre, raggiungere il level cap in questo contesto è di una semplicità spaventosa, visto che non vi è un reale sistema di karma. Tutto ciò che facciamo, aggiunge punti reputazione, sia che salviamo qualcuno sia che decapitiamo membri delle gang durante una chiacchierata. Per non parlare del sistema di crimine, solo di facciata ma forse è inutile soffermarci su questo aspetto.
Del resto difficilmente potrete creare volontariamente dei crimini ─ a meno che non siate dei sadici ─ visto che non è presente alcun sistema di furto, se non per le auto (ma dalla poca utilità) e un'impossibilità letterale di interagire con i passanti (inspiegabile come ci sia permesso di parlare loro). Di certo, in un open world RPG in prima persona, con una certa complessità del level design, la questione "passanti" può essere tranquillamente archiviata. Un peccato? Certamente, ma non elemento fondamentale. Anche perché ─ altrimenti se ne parlerebbe solo male ─ Cyberpunk 2077 ha tanto da offrire, con missioni secondarie che non hanno paragoni di alcun tipo con quelle presentate dai concorrenti. CD Projekt RED è riuscita a plasmare dei personaggi che travalicano la barriera che li porta a esser persone, credibili nelle loro reazioni, così diverse, così familiari. È difficile non rimanere coinvolti sentimentalmente con alcune vicende, grazie anche alla saggia scelta della visuale in prima persona, capace di farci immergere in interazioni intime e profonde, per certi versi uniche nel panorama videoludico. Trovarsi accanto a Judy, mentre racconta dei suoi sogni o della sua disperazione toccano il cuore, disperandoti del fatto che non puoi attivare la romance con lei perché hai scelto un V maschio. Ma anche qui, son dettagli.
L'architrave narrativa è però Jonny Silverhand, un personaggio in grado di evolversi durante il corso dell'avventura, ma che forse risulta quello meno "profondo". Durante i suoi monologhi o scambi di battute, è difficile non sentire parole, fatti ed eventi in qualche modo già sentiti prima, mancando forse di quella reale intimità che invece fuoriesce dalla gran parte del resto del cast. Forse è spiegabile dal fatto che il plot principale risulta a tratti abbastanza debole, rimanendo nella mente più gli eventi secondari che quelli principali. Qui entra anche il soggettivo e l'emotività, diversa per ognuno e troppo malleabile dall'esperienza personale. È fuor di dubbio comunque, che il lavoro svolto sulla caratterizzazione estetica e sonora sia da applausi scroscianti (applausi di questo tipo anche al doppiaggio italiano, moltiplicati per due): ogni veicolo, abito e cyberware è unico, ricco di dettagli incredibili ma che fanno venire ancor di più l'amaro in bocca.
È questo il problema; anche mentre queste righe sono trascritte, non si può non pensare a tutte le occasioni mancate di un titolo che poteva tranquillamente essere tra i giochi del decennio. Non ho parlato di come il crafting sbilanci ancor di più l'esperienza, di come il background iniziale vali realmente solo per il prologo, di come di sandbox ci sia molto poco e tanto altro. Quello che conta, ed è forse il reale senso di questo articolo, è che Cyberpunk 2077 è un bel gioco. È facile soffermarsi su tutti quegli elementi che non funzionano o che funzionano in parte, su come la fisica esplode o su come non si possa personalizzare esteticamente V ─ ma davvero? ─, ma citando una scena di Birdman, etichettare sembra l'unico modo per poter descrivere, perdendo però il vero significato del qualcosa. Cyberpunk 2077 è come quel fiore preso in mano da Riggan Thomson, il protagonista del film: come un fiore non è un semplice ammasso di petali e polline, il titolo CD Projekt RED non è solo un ammasso di bug ed elementi incompleti. L'esperienza "fiore" e l'esperienza "Cyberpunk 2077", hanno ben altro da raccontare.