Decimo anniversario dal terremoto del Tohoku: ricordi, commemorazioni e notizie

Non c'è separazione definitiva finché c'è memoria

di Hachi194

Dieci anni fa l'11 marzo era un venerdì. Alle 14:46 (le 6:46 in Italia) la terra in Giappone iniziò a tremare e lo fece per 6 lunghi minuti: la scossa di terremoto più forte nella storia dell'arcipelago aveva una magnitudo di 9.0 e un epicentro in mare a 30 km di profondità. Questo provocò uno tsunami con onde alte mediamente più di 10 metri (come una palazzina di circa tre piani) che si abbatterono sulle coste nord orientali del paese ad una velocità di 750 km/h arrivando fino a 10km nell’entroterra. Il terremoto prima e lo tsunami dopo colpirono anche diverse centrali nucleari.
 

Il danno peggiore lo subì l’impianto di Fukushima Daichi: il sistema di alimentazione si fermò provocando un blackout che interruppe il sistema di raffreddamento. I reattori si surriscaldarono provocando una serie di esplosioni e il rilascio di una nube radioattiva con conseguente evacuazione della zona per un raggio di 60 km. L’evento fu in seguito catalogato come incidente di classe 7, la stessa di Chernobyl.
 

Oggi vogliamo ricordare i morti, i dispersi, gli sfollati attraverso le voci dei sopravvissuti.
Vogliamo ricordarli in un anno in cui commemorare non è facile, vista la pandemia che impedisce molte cerimonie ufficiali. Vogliamo ricordarli anche attraverso sentenze di tribunali che dopo dieci anni sottolineano come ancora ci sia molto da fare per chi è rimasto, per chi ha perso tutto, per chi è dovuto andare avanti nonostante tutto.
Quattro piccole grandi storie, fra le tante che il web propone, per non dimenticare. Qui, in Giappone, o in qualunque altra parte del mondo.
 
 
Il Ricordo

Yukio Kumada nel 2011 aveva 24 anni ed era un giornalista del quotidiano locale Fukushima Minyu Shimbun. Quel giorno si trovava lungo la National Route 6, a circa 3 chilometri dalla costa di Minamisoma, nella prefettura di Fukushima. Minamisoma ha pianto 1153 vittime ed è stata evacuata e chiusa all'accesso perché si trova entro un raggio di 20 chilometri dalla centrale nucleare di Fukushima Daiichi.
Kiyoshi Abe ha 70 anni ed è un falegname. Quel giorno è stato probabilmente l'ultima persona a vedere Yukio Kumada.
E forse quell'incontro potrebbe avergli salvato la vita.
 

Quando c'è stata la scossa di terremoto Abe stava lavorando nella città di Soma, poco a nord di Minamisoma. Il suo pensiero era corso subito ai suoi due nipoti che vivevano con lui: erano riusciti a tornare a casa dalla scuola elementare che frequentavano? Per questo si era messo subito alla guida della sua auto e si era diretto verso casa.
Stava guidando lungo la National Route 6 quando vide un giovane uomo.
"Era qui, l'ho visto salutare così" dice, agitando le mani sopra la testa. "Ho pensato: perché mi sta salutando? E poi ho guardato verso l'orizzonte e ho visto una cosa come una nuvola blu-nera che si stava avvicinando."
 

All'improvviso si rese conto che era il mare, di solito invisibile da quel punto sulla strada. Era un enorme tsunami. Immediatamente fece inversione di marcia e corse via verso un terreno più elevato. Dopo aver guidato per qualche minuto, scese dall'auto con le gambe che gli tremavano.
Qualche tempo dopo il disastro, sentì che un giornalista era stato trascinato via dall'acqua proprio lungo quella strada. Era Kumada. Si ricordò che l'uomo che lo aveva "salutato" aveva una macchina fotografica appesa al collo. Era scioccato da quanto fosse giovane.
Il quartiere di Karasuzaki in cui Abe viveva aveva circa 150 case. La maggior parte di loro è stata inghiottita dallo tsunami, senza lasciare alcuna traccia che lì ci fosse mai vissuto qualcuno. In una piazza su un terreno sopraelevato che domina l'area, c'è una statua bianca del Buddha con una lapide su cui ci sono i nomi dei 58 abitanti del luogo che hanno perso la vita nel disastro.
 

Abe indica sulla lapide il nome di Kumada."I funzionari del governo locale hanno detto che sarebbe stato meglio includere anche lui, anche se non abitava qui. Hanno detto che se non fosse stato per lui ora su questa stele ci sarebbe il mio di nome".
Dopo il disastro, Abe ha assunto il ruolo di capo dell'associazione dei residenti di una struttura abitativa temporanea. Ha pensato che lui, da sopravvissuto, doveva fare la sua parte. Ha distribuito oggetti donati da tutto il paese e organizzato il sistema per gestire i volontari.
La sua casa ora si trova a circa cinque minuti di macchina dal mare, costruita in un'area in cui un gruppo di residenti si è trasferito dopo il disastro. "Penso ancora a Kumada, anche se non abbiamo mai nemmeno parlato. Se lo avessi lasciato salire in macchina in quel momento, si sarebbe miracolosamente salvato? Ci ho pensato così tante volte. Potrebbe essersi sposato e avere figli. Quando ci penso, mi dispiace tanto per quello che è successo."
 

Nel 2018 ad Abe è stato diagnosticato un cancro ai reni. Nel settembre 2020 sono state trovate delle metastasi ai polmoni e ha subito un intervento chirurgico. Deve fare visite di controllo regolarmente. "La mia vita è stata salvata. Se non faccio tutto il possibile per prolungarla, anche solo di un giorno, dovrò scusarmi con Kumada". I giorni si sono trasformati in mesi e da lì in anni, da quando un giovane che non aveva mai incontrato gli ha salvato la vita.
Kumada era al suo secondo anno di lavoro ed era stato assegnato a un ufficio a Minamisoma un anno prima del disastro. Il padre di Kumada, tra le foto del figlio che decorano la sua stanza, ne ha tenuta una di lui che lo ritrae nel suo primo giorno di lavoro. La sua espressione nervosa suggerisce l'orgoglio e la speranza di entrare a far parte della società adulta. "Era un ragazzo con un forte senso di responsabilità. Se solo fosse stato un po' più codardo ..." racconta suo padre. "È una cosa terribile quando tuo figlio muore prima di te"
 
 
Commemorare ai tempi della pandemia

Per il decimo anniversario del disastro del terremoto e dello tsunami del 2011, l'imperatore Naruhito e l'imperatrice Masako hanno incontrato i sopravvissuti online poiché la pandemia di coronavirus rende difficile per loro visitare il Giappone nord-orientale. Le videoconferenze con i residenti di Iwate, Miyagi e Fukushima, le prefetture più duramente colpite dal disastro, sono iniziate già a febbraio.
L'imperatore e l'imperatrice, che hanno visitato la regione quando erano principe e principessa ereditaria, hanno pregato per le vittime e offerto parole di incoraggiamento ai sopravvissuti.
L'ex imperatore Akihito e l'ex imperatrice Michiko sono andati numerose volte nella regione colpita dal disastro. L'anno scorso, la cerimonia commemorativa che si tiene ogni anno a Tokyo dal 2012 è stata annullata per la prima volta a causa della pandemia.
 
 
Il documentario

"Non c'è separazione definitiva finché c'è memoria".
In quel 11 marzo, più di 20.000 persone hanno perso la vita e molte altre sono ancora disperse. Col passare del tempo molti hanno abbandonato ogni speranza di ritrovare i loro cari e hanno smesso di cercarli. Tuttavia, ci sono persone che ancora non si sono arrese: questa è la storia di Koi, documentario diretto da Lorenzo Squarcia che racconta di due uomini estremamente diversi, che però condividono una forza di volontà incrollabile e desiderano fermamente mantenere vivi i ricordi di quelli che sono scomparsi.
La perseveranza è il collante che lega Tomohiro Narita, Yasuo Takamatsu e molti altri abitanti della zona che non vogliono dimenticare, perché non vogliono che succeda mai più una cosa del genere. Koi è disponibile gratuitamente per tutti i possessori di Amazon Prime.
 
 
La sentenza

La sezione di Iwaki del tribunale distrettuale di Fukushima ha sentenziato che la Tokyo Electric Power Company Holdings Inc. deve pagare un totale di circa 600 milioni di yen a 271 querelanti per l'evacuazione causata dal disastro nucleare del 2011.
La causa era stata intentata da 297 querelanti residenti nel distretto di Yamakiya nella città di Kawamata, a cui era stato ordinato di evacuare. Gli avvocati della parte lesa avevano chiesto alla Tepco un risarcimento di 14,7 miliardi di yen.
Questa causa è la seconda di una serie presentata dagli sfollati che hanno lasciato le loro case a causa del triplice disastro nella centrale nucleare di Fukushima n.1.
Nella prima, l'Alta Corte di Sendai aveva ingiunto alla Tepco di pagare un totale di oltre 700 milioni di yen.
 

In quest'ultima, il presidente del tribunale Yukitaka Najima ha affermato che l'importo già pagato agli sfollati in base alle linee guida del governo è ragionevole e quindi non sono necessari pagamenti aggiuntivi. I risarcimenti già erogati sono stati effettuati ai sensi della legge sul risarcimento dei danni nucleari, che obbliga l'operatore di un impianto nucleare a risarcire i danni da esso derivanti, indipendentemente dal fatto che vi sia stata o meno negligenza.
Inoltre il tribunale ha respinto la domanda dei ricorrenti secondo cui la Tepco è responsabile ai sensi del codice civile per non aver impedito l'incidente.
Un gruppo di avvocati ha criticato la sentenza come ingiusta, affermando che il danno riconosciuto è troppo piccolo e hanno espresso l'intenzione di fare appello a un tribunale superiore.

Fonti consultate:
TheMainichi 1
TheMainichi 2
TheJapanTimes


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