Belle: a tu per tu con il regista Mamoru Hosoda
Riassunto degli incontri tenuti dal regista a ottobre a Roma
di CrisTheTuber
AnimeClick, nella persona del nostro direttore editoriale Alessandro "Ironic74" Falciatore, è stata presente ai due eventi in cui il regista si è confrontato con pubblico e giornalisti, rispondendo alle loro domande e illustrando il processo creativo del suo ultimo capolavoro. Qui di seguito, vi riportiamo un estratto di questi due incontri, il primo dei quali è stato una tavola rotonda in cui il regista ha risposto alle domande dei giornalisti. Buona lettura!
Buongiorno Maestro Hosoda, l'ispirazione principale del film è La Bella e la Bestia, una favola europea che affonda le sue radici nel '700. Ho però letto che c'è un'altra ispirazione, in questo caso giapponese, a una favola di Atsushi Nakajima che parla di un poeta che si trasforma in tigre. Ero curiosa di sapere come queste favole di tradizione così tanto diverse possano entrare in contatto e cosa le ha fatto pensare che, insieme, potessero divenire qualcosa di nuovo.
Buongiorno a tutti. Immagino che qui in occidente sentiate molto vicino a voi molto il romanzo de "La Bella e la Bestia" per vederne subito il parallelismo, e, come ha ricordato lei, il film è anche ispirato al Sangetsuki, un'opera scritta nell'Era Meiji e che ha origini ancora più antiche, in quanto ispirato a un racconto di 1300 anni fa proveniente dalla Cina, nel quale un poeta non riesce a divenire tale ma si trasforma in tigre. Non c'è la contrapposizione tra Bella e Bestia, e la Bestia nel mio film è forse la parte più "orientale", pescando a piene mani dall'opera di Nakajima dove l'animale è più una sfaccettatura dell'essere umano, creando un contrasto con l'immagine occidentale della Bestia di qualcosa che deve essere scacciato e allontanato, in quanto comunque parte di noi stessi.
Ho letto che l'idea di raccontare il mondo virtuale nelle sue luci e nelle sue ombre è nato dalla sua preoccupazione per il futuro di sua figlia. È vero che c'è anche questo fattore personale nella decisione di scrivere questo film?
Io credo che nel mondo dei social media e di Internet la vita dei giovani sia veramente tanto difficile, si ha la sensazione di essere costretti a partecipare e iscriversi per timore di rimanerne esclusi, contando anche che i social network evidenziano ancora di più la mancanza di relazioni sociali tra i ragazzi, perché diventa tutto invisibile. Si parla addirittura di vere e proprie caste nelle scuole, proprio perché si vede come alcuni ragazzi non partecipino e vengano addirittura ignorati dal resto del gruppo se non partecipa ad attività e chat. Mia figlia al momento ha soltanto cinque anni e noto che tra casa e scuola cambia radicalmente: se in ambiente famigliare si sente a suo agio e si comporta come una principessa, a scuola è molto timida. Osservando tutto questo mondo che ci circonda, non riesco a non chiedermi se una volta diventata adolescente sia in grado di navigare e sopravvivere là fuori. È per questo che voglio dare un messaggio di speranza, supporto e coraggio ai ragazzi che vivono in questo contesto. Sono stato vittima anche io di situazioni poco simpatiche su Internet. Credo anche che un artista che sente il bisogno di esprimere la propria creatività non debba esprimersi e sfogarsi a piccole dosi sui social network, credo che sia meglio caricare tutta la molla creativa e farla esplodere attraverso le proprie opere.
Lei ha più volte dichiarato che uno dei film che più l'ha ispirata è Lupin III: Il castello di Cagliostro. Le piacerebbe se le offrissero la possibilità di dirigere un film su Lupin? Oppure c'è un personaggio della sua infanzia in particolare che desidererebbe portare sul grande schermo con l'animazione?
Ci sono tante persone che hanno rievocato Lupin III. Non ho mai pensato a questa possibilità né mi è stata mai posta la domanda, sinceramente mi accontento di riguardare le opere di Lupin III che guardavo da piccolo.
In molti dei suoi film i personaggi si ritrovano in un'altra dimensione, che sia virtuale o parallela, nella quale riescono a ritrovare loro stessi. Dato che il cinema è, di fatto, entrare in un altro mondo, volevo sapere se ci sono stati nel corso della sua vita, uno o più che l'hanno aiutata a ritrovare sé stesso e che magari l'hanno ispirata nel suo lavoro.
Partiamo da questo: U non è un Alter Ego della realtà che ti permette di realizzarti soltanto in questo mondo virtuale, al contrario. Tramite U è possibile realizzarsi nel mondo reale. Come dice lei, guardare un film dà a noi l'opportunità di entrare in un altro mondo, e attraverso l'osservazione e la visione del film riusciamo, una volta tornati nella nostra quotidianità, ad arricchire la nostra realtà, e questa per noi è una possibilità straordinaria. Io sono un cinefilo e ne ho veramente tanti di registi e opere da cui ho tratto ispirazione, ma se proprio dovessi trovare un film importante per me sarebbe Lo spirito dell'alveare.
La famiglia è un tema ricorrente nelle sue pellicole: abbiamo la maternità in Wolf Children, la paternità in The Boy and the Beast e il legame tra fratelli in Mirai. Cosa rappresenta per lei questa tematica e come la rappresenta?
La mia infanzia non è stata particolarmente piena di ricordi fantastici in famiglia, anzi, direi che ne è stata piuttosto sprovvista. Forse, essendo anche figlio unico, l'ho vissuta in maniera diversa. Solo ora, dopo tanti anni, mi rendo conto che i miei genitori, a modo loro, mi hanno amato moltissimo e riesco ad apprezzarli appieno. Forse attraverso questi film vorrei ringraziarli, perché i miei genitori non ci sono più. Sono cose che lì per lì, quando sei piccolo, dai per scontate e non vedi, ma quando diventi adulto guardi tutto con occhi diversi.
Mi ricollego alle due domande precedenti e le chiedo: qual è effettivamente il legame che c'è tra il cinema dal vivo e il cinema d'animazione. Pensando a grandi autori del '900 fino ad arrivare a grandi artisti contemporanei, mi chiedevo se si è ispirato a qualcuno di loro in termini registici oltre che stilistici.
Si può dire che se risaliamo agli anni '70, i generi erano molto marcati, quindi possiamo parlare più che di film sul kung fu di veri e propri "B-Movie" o, per quanto riguarda i cartoni, si può dire che fossero prodotti prettamente per bambini, era molto netta la differenza tra le categorie. Io penso che l'animazione ora sia diventata una vera e propria modalità di espressione e non più solo un genere, è diventata qualcosa di molto più fluido. È solo un mezzo, non c'è differenza tra live action e cartone, l'obiettivo di entrambi è raccontare una storia. I confini si sono fatti più grigi, basti pensare che un film in corsa a un'edizione di Cannes un tempo era espressione chiara di determinate categorie e generi, ora non dico che si sia rivoluzionato e che tutto sia intercambiabile, ma qualcosa è cambiato. A Cannes non mi hanno invitato in quanto regista d'animazione, ma per le tematiche trattate nel mio film. Quando ci scambiamo le idee con i miei colleghi, come ad esempio Ryusuke Hamaguchi, mio coetaneo, non facciamo differenze tra live action e cartoni, perché per noi adesso è cosa vogliamo esprimere e raccontare, e su questo ci troviamo molto d'accordo.
Maestro, in un momento di grande esplosione delle piattaforme, come Netflix, Amazon e da poco anche Disney+, la richiesta di prodotti d'animazione giapponesi, seriali e lungometraggi, è aumentata. Qual è, secondo lei, l'attuale fotografia dell'industria degli anime in Giappone.
Credo che grazie a Internet e a queste piattaforme, come diceva lei, le persone hanno potuto scoprire il lato divertente dell'animazione. Inoltre, "grazie" alla pandemia, le persone mentre erano a casa hanno avuto la possibilità di assaggiare e scoprire generi nuovi, che fino a quel momento non avevano mai considerato.
Detto ciò, ci tengo a precisare che Belle è stato pensato e creato per il grande schermo, quindi mi dispiacerebbe non poco sapere che in molti se lo siano visto su un computer o un qualsiasi device con un piccolo schermo. È un'opera che va vista e vissuta in un cinema. D'altra parte, se parliamo di Netflix nello specifico, ci tengo a precisare che i diritti non rimangono più a chi crea gli anime, noi diventiamo dei meri fornitori, e credo che questo nel futuro potrebbe diventare un problema.
Mi ricollego quanto detto poco fa: ultimamente, soprattutto Netflix, sta portando live action di produzione americana di grandi classici del fumetto e dell'animazione, basti pensare a Death Note, Cowboy Bebop e dell'imminente One Piece. Lei cosa ne pensa di queste operazioni?
È molto difficile dare un'opinione generale, per me qui entriamo molto nella sfera personale. Credo che molto spesso rimaniamo ancorati a quello che è il nostro passato, il nostro vissuto. Posso dire, come professionista, che alcune opere sono state realizzate in maniera carina e altre no, ma sempre a gusto personale. Per esempio io sono rimasto estremamente colpito nel 1991 dalla versione animata della Disney de La Bella e la Bestia e personalmente non ritengo fosse necessario un remake in live action nel 2017. Ma appunto, de gustibus.
Ultima domanda: la musica è uno dei punti cardine del suo film. È tramite la musica che Suzu ritorna a credere in sé stessa e a riavvicinarsi alla sua famiglia e a chi le vuole bene. Volevo chiederle di parlarci della collaborazione con "The Millennium Parade" e del casting call globale per il "Lalala" da inserire in una delle scene più potenti di tutto il film.
Il canto è uno degli elementi principali del film, ma non è l'unico. Belle non è la storia di una star del canto, ma la storia di Suzu, un'adolescente timida che ritrova attraverso questo mondo virtuale il suo amore per il canto, cresce, si apre e si trasforma come persona anche nella sua realtà. Questo è importante, perché quello che vogliamo far sentire è che attraverso il canto i nostri ragazzi possono sentire qualcosa riecheggiare in loro. Tutti noi, per colpa della pandemia, abbiamo sofferto la solitudine, e ci siamo rifugiati nella realtà virtuale di Internet e dei social network. Io vorrei far trovare ai ragazzi, attraverso Belle, le stesse caratteristiche di libertà ed emozione, e l'arte e il canto permettono proprio questo. Abbiamo richieste di registrare solo questo pezzettino, ma per noi riflette appieno il senso del canto: queste parole, seppur ognuno da parti diverse del mondo, ci connettono tutti.
Da qui in avanti, proseguiamo con un estratto del secondo incontro di Hosoda con il pubblico, una conferenza tenuta in un cinema e presentata dallo scrittore e giornalista Enrico Azzano. Nuovamente, buona lettura.
Buongiorno Maestro, innanzitutto la ringrazio tantissimo per essere qui. La prima domanda che vorrei porle è la seguente: ho qui segnati i titoli di tre lavori italiani che parlano di lei e delle sue opere. Cosa si prova, dopo il percorso della sua vita, ad essere diventato materia di studio per altri.
Buongiorno a voi, è davvero un piacere essere qui. Vi ringrazio per essere venuti ad ascoltarmi e di essere accorsi in tanti in questa meravigliosa città che è Roma. È una domanda abbastanza particolare: non credo di aver mai progettato una mia opera pensando che, nel futuro, sarebbe stata oggetto di tesi da parte di qualcuno. Tuttavia penso che il mio obiettivo sia creare qualcosa di nuovo, sempre di diverso da prima, e la mia attenzione è totalmente rivolta al come creare questo qualcosa di diverso. Non ho la presunzione di dire che so tutto, anzi, mi ritengo tutt'ora in fase di apprendimento, ho moltissime cose da imparare e imparo tantissimo durante la produzione di un film guardando e osservando altro.
Citavo prima questi tre lavori a lei dedicati. Uno di essi, una monografia in due parti a cura di Dario Moccia pubblicata su YouTube, porta il titolo Tutto iniziò con i Digimon. L'impressione, rivedendo i suoi primi lavori, è che nonostante fossero sulla carta meno personali delle sue opere successive presentino comunque delle tracce che è stato poi possibile riconoscere in tutta la sua filmografia. Lei che ne pensa?
Io credo che questa domanda non riguardi solo me, ma moltissimi artisti e ciò che hanno fatto con le loro primissime opere, le cosiddette "opere vergini": sono come delle lenti d'ingrandimento attraverso le quali possiamo osservare la visione dell'artista del mondo. Nel mio caso nello specifico, con Digimon ho creato degli elementi, dei temi e dei leitmotiv che avrei poi ripreso in varie delle mie opere.
Un'opera televisiva a cui lei ha lavorato è Magica Doremì, una serie televisiva molto apprezzata sia qui in Italia che in Giappone. Lei nello specifico ha diretto due episodio tra cui il celeberrimo episodio 40, noto per la sua particolarità e la sua adesione alla realtà, peculiare per una serie di maghette. Può parlarcene?
Come ha detto lei, io ho diretto solo due puntate di Magica Doremì, una serie nella quale ritroviamo una maga che ha smesso di fare la maga. Questo mi fa tornare in mente una mia esperienza: è noto che io avrei dovuto dirigere Il Castello errante di Howl, progetto che ho poi lasciato per diversi motivi, ma nella produzione di Howl io ho lasciato qualcosa di incompiuto, che non sono riuscito a realizzare con quell'opera, cose che in un certo senso sono riuscito a realizzare proprio in questi due episodi di Magica Doremì, quindi credo che queste due puntate siano state per me una forma di espressione di qualcosa che non ho potuto portare a termine. C'è sempre un modo e un momento con cui ci si può esprimere, e in questo caso esprimendo qualcosa che era rimasto in sospeso.
Facciamo un passo indietro: prima ancora di diventare regista e animatore professionista, com'è nata in lei la passione di diventare animatore? Qual è stato il suo percorso d'apprendimento e quanto hanno influito le serie d'animazione che lei ha visto da bambino e da ragazzo?
Nel periodo delle elementari ci furono due film che mi colpirono particolarmente, ovvero Galaxy Express 999 - The Movie e Lupin III - Il castello di Cagliostro, entrambi usciti nel 1979 e che sicuramente conoscerete tutti voi. Queste sono sicuramente sono le due opere che più di tutte mi hanno stimolato e mi hanno fatto da primo input, però ovviamente alle elementari non era mio desiderio diventare regista. Nonostante questo, sono rimasto affascinato da questi registi che riuscivano a creare dei mondi fantastici con l'animazione. Ho inizialmente pensato che la mia strada potesse essere la pittura a olio e ho iniziato a frequentare un'università d'arte dove l'ho studiata. In questa fase della mia vita, ho incontrato l'opera di un regista spagnolo, ovvero Lo spirito dell'alveare di Victor Erice. Questo film, che è veramente un'opera concettuale, mi ha fatto capire che quella era la mia strada, che anche il cinema è un'opera artistica e un mezzo potente per creare dell'arte ed esprimersi. Questo è stato il mio secondo input nell'avviarmi verso la carriera di regista.
Quanto influisce il suo essere cinefilo sul suo stile, e quali sono i registi ai quali si è ispirato o che potrebbero averla influenzata, che le vengono in mente se dovesse pensare a un approccio registico e narrativo che trova affine a lei o anche che semplicemente suggerirebbe per la visione?
Credo che per fare un film non basta narrare una storia attraverso delle frasi: c'è molto di più nel creare e costruire, ci vuole anche un contesto oltre alle frasi e alla musica, e inoltre bisogna anche capire come il pubblico recepisce un contesto e una sequenza di immagini. Ritengo che tutto questo sia essenziale per la creazione di un'opera cinematografica. Ad esempio, parlando de Lo spirito dell'alveare, non è esagerato dire che sia un film muto avendo davvero pochissime frasi. Eppure, è un film che parla tantissimo, è ricco di messaggi ed è molto profondo, e infatti un'altra cosa molto importante è il dinamismo del film. Se io dovessi fare la lista dei registi dai quali mi sono ispirato e che mi hanno influenzato probabilmente non finiremmo più di parlare, partiremmo da Kurosawa e arriveremmo ai giorni nostri. Ho visto davvero migliaia di film nella mia vita, soprattutto nel periodo universitario dove passavo le giornate a fare praticamente solo quello, e devo dire che proprio un film che ho visto in quel periodo, La bella e la bestia di Jean Cocteau del 1946, mi è stata di grande ispirazione per creare Belle.
Mi è parso di capire che lei non abbia apprezzato molto La Bella e la Bestia del 2017, anche se non è generalmente contrario ai remake.
Per me l'importante è capire come il regista interpreta il film e le sue tematiche. Non sono contrario ai remake, ma è importante capire come il regista interpreta i personaggi, il contesto storico e come rielabora una storia che viene ripetuta, che viene riproposta in diverse maniere e in diversi contesti storici. È questa la chiave per capire se un remake abbia senso o meno.
Ha mai pensato di tornare a fare cinema in live action come ha tentato di fare durante l'università? Può essere una strada per il futuro oppure no?
Assolutamente no, non ho alcuna intenzione di fare film in live action né adesso né in futuro. Io credo che la storia del cinema con attori in carne e ossa sia ancora più lunga, e nel corso della storia del cinema abbiamo visto tantissimi capolavori. Sono state esplorate tante forme di espressione e sono state battute tante strade per il cinema live action. Al contrario, credo che l'animazione, che io adoro veramente con tutto il cuore, abbia una storia molto recente e che sia un genere ancora da esplorare a fondo. È per questo che io vorrei continuare a esplorare le potenzialità dell'espressione attraverso l'animazione. Ovviamente ci sono tanti registi di anime, come Keiichi Hara e Katsuhiro Otomo che hanno provato a cimentarsi con il live action e poi sono tornati indietro. Dal mio punto di vista come fan il mio desiderio, come penso quello di voi tutti, è che i registi di animazione non perdano tempo con i live action e facciano altri anime.
*viene riprodotta una clip tratta da Summer Wars* Di questa sequenza potremmo parlarne per ore, ma volevo chiederle nello specifico quanto è stato importante Takeshi Murakami e la collaborazione con Louis Vuitton per Superflat Monogram nella progettazione di questo mondo.
In realtà, è stato Murakami a voler collaborare con me in quanto grande fan di Digimon, so che potrebbe sembrare che il mondo Oz di Summer Wars sia un derivativo dell'influenza di Murakami, ma in realtà è vero il contrario. Questa sequenza, quindi, è sì ispirata alla nostra collaborazione, ma non nel modo in cui appare. Belle è in realtà un po' un "soft-remake" di Summer Wars, che è a sua volta lo stesso per Superflat Monogram. Mi spiego meglio: non ho mai pensato di rimettere mano alle mie precedenti opere, ma è come se ogni opera fosse un'evoluzione di ciò che l'ha preceduta. Indubbiamente, Belle è un discendente diretto ed evoluto del concetto di Internet e del mondo virtuale che ho esplorato con Digimon, con Superflat Monogram, con Summer Wars e infine con Belle stesso. È un continuo "update".
Escludendo la creazione dell'idea del film e degli storyboard, quanto tempo ci vuole per produrre un film? Quanto tempo porta via creare le animazioni, contando che anche a causa dell'utilizzo di tecniche diverse e complesse l'animazione richiede tempi di produzione molto più lunghi?
C'è una grande differenza tra animazione e live action: nell'animazione, prima ancora di iniziare a mettere mano al lavoro, devo pensare dall'inizio alla fine cosa voglio ottenere, cosa voglio esprimere con l'anime. Bisogna essere convinti del proprio prodotto, della bellezza e dell'unicità del messaggio che si vuole trasmettere con l'opera, che dev'essere completamente progettato e strutturato nella mia testa in modo tale che io lo possa spiegare al meglio al mio staff e ai miei collaboratori. Anche nel live action abbiamo una struttura e una cornice, ma sono diversi strati che si accumulano man mano che si gira. Per produrre Summer Wars ci abbiamo impiegato un anno, ma questo perché la progettazione e l'idea era molto chiara nella mia testa, sapevo perfettamente cosa volevo creare. Ovviamente è fondamentale la collaborazione e la coesione dello staff, che si deve convincere della bontà di un'idea.
Parlando di collaborazioni: con Belle avete stretto delle importanti collaborazioni internazionali, come Jin Kim e Tom Moore. Studio Chizu manterrà questa direzione in futuro? E come ha fatto a gestire delle personalità del settore così forti?
Vi racconto: quando venne pubblicato Wolfwalkers, l'ultimo lavoro dello studio di Tom Moore, mi chiesero di collaborare nella pubblicità per il mercato giapponese, per cui ebbi l'occasione di parlarci da remoto. Entrambi concordavamo che noi studi indipendenti dovevamo collaborare per contrastare i grandi nomi come Disney e Pixar. Siccome lui aveva già finito Wolfwalkers gli chiesi se avesse già in mente un nuovo prodotto e lui mi rispose, molto sinceramente, qualcosa come "Ho appena finito, adesso sono in vacanza". Al che mi venne spontaneo dirgli "Ma come, in vacanza in pandemia? Sei a casa, dai, dammi una mano con Belle", e fu così che nacque la nostra collaborazione.
Una semplice curiosità: come avete scelto il nome della studio? C'è un significato più profondo dietro?
Il termine "chizu" in giapponese significa "mappa". Per me l'animazione è un mondo ancora inesplorato, una "tabula rasa" da riempire, c'è ancora tanto da scoprire, tanti mondi inesplorati. Il nostro compito è riempirla con ciò che riusciamo a immaginare, attraverso nuove forme di espressione, nuovi film, nuovi prodotti. Per esempio, potremmo trovare attraverso l'animazione il modo di dare vita a diverse sfaccettature della vita che finora non sono state ancora esplorate. Per questo dobbiamo riempire la "mappa" con tanti nuovi continenti.
Tornando sull'argomento collaborazioni: nelle sue ultime tre pellicole (The Boy and the Beast, Mirai, Belle) ha scritto lei la sceneggiatura, mentre nei tre film antecedenti (La ragazza che saltava nel tempo, Summer Wars, Wolf Children) ha collaborato con una sceneggiatrice, Satoko Okudera. Lei trova il suo cinema cambiato nel corso dei suoi ultimi sei film? Proseguirà su questa linea di scrittura lasciando le collaborazioni solo all'animazione?
Devo fare una correzione: è vero che ne La ragazza che saltava nel tempo e in Summer Wars l'autrice della sceneggiatura è Satoko Okudera. Tuttavia, per quanto abbiamo collaborato anche con Wolf Children, il tema centrale della storia è tratto da una mia personale esperienza di vita, ossia la perdita di mia madre. Per cui, siccome la sceneggiatrice Okudera non aveva mai conosciuto mia madre, era quasi impossibile per lei descrivere i sentimenti che provavo nei suoi confronti. Per questo motivo la maggior parte della sceneggiatura l'ho dovuta scrivere io. La scelta seguente non è stata forzata, ma semplicemente, poiché nelle altre opere avevo intenzione di parlare dei miei figli e di mia moglie, dovevo essere io a prendere in mano la sceneggiatura e scrivere. Non posso prevedere il futuro sulle mie collaborazioni, però sono aperto a qualsiasi tipo di esperienza.
*viene riprodotta una clip tratta da Summer Wars* In realtà, con la sua precedente risposta ha anticipato una mia domanda, indi per cui le chiedo: quanto è importante e quanto inserisce della sua vita nelle sue opere?
Rivedendo questa scena mi sono tornati in mente tanti ricordi: fino a questo spezzone, ero quasi "orgoglioso" di non aver mai fatto morire nessuno nei miei film, però in questa pellicola era purtroppo cruciale rendere una scena madre e dare un significato profondo alla morte di nonna Sakae. Ho pensato tantissimo a come si sarebbe evoluta l'opera se l'avessi salvata, e purtroppo non c'è stato modo. È la prima volta che incentravo una sequenza in una mia opera sulla morte di una persona, e ricordo di essermi dedicato anima e corpo per rendere la scena il più vera possibile.
So che è complicato spiegarlo, ma vorrei chiederle come si pensa e realizza una sequenza di questo tipo? Prima la scrive o la visualizza nella sua mente?
Partiamo dal presupposto che far morire una persona in una sequenza di una mia opera è molto difficile. Tuttavia, mi sono domandato: se dobbiamo descrivere la vita di una persona, non possiamo sfuggire alla morte. Quindi mi sono chiesto come fosse possibile descrivere al meglio il concetto di morte, e invece di fare uno zoom in sulle singole persone di questa numerosissima famiglia ho preferito fare uno zoom out e cogliere da lontano la tristezza di ognuno dei familiari. Volevo che il pubblico captasse le loro emozioni usando l'immaginazione.
È stato "più semplice" affrontare la morte del padre di Ame e Yuki in Wolf Children perché era, appunto, la seconda volta che lo facevo. Purtroppo credo che siamo un po' anestetizzati alla morte, basta accendere la televisione e ci rendiamo conto che ogni due ore non si fa altro che parlare di omicidi. La morte, purtroppo, è diventata un elemento della nostra quotidianità.
Restiamo sempre sulla sequenza della morte del padre in Wolf Children: è peculiare come inserisca in modo molto naturale, secco e veloce uno snodo narrativo così importante. Aveva pensato ad altre soluzioni o le è subito venuto in mente questo?
Nel periodo in cui stavo creando Wolf Children, sia io che mia moglie desideravamo avere un bambino o una bambina. Siamo andati spesso negli ospedali per avere supporto, ma ricordo che allo stesso tempo ero molto insicuro. Mi domandavo se una volta che mio figlio o mia figlia avesse visto la luce, sarei stato in grado di vivere abbastanza per vederlo/a crescere. Non avevo la certezza che non mi sarebbe successo nulla, e questa cosa mi metteva molta ansia e terrore. Per questo motivo, nonostante sembri che nel film io tratti questo tema con leggerezza, in realtà non volevo dargli troppa drammaticità. La morte prima o poi arriva per tutti, dare a quella scena un tono drammatico mi sembrava blasfemo, perché nella morte non c'è né bene né male, e volevo che la scena fosse quanto più realistica possibile.
Riallacciandomi al discorso di prima, noi vediamo le morti come qualcosa di normale e continuo non solo nella vita quotidiana, ma anche nelle serie tv. Non credo ci sia bisogno di renderlo un evento drammatico, fa parte della nostra vita.
Ho sempre creduto che con il suo cinema lei è in grado di coniugare diversi piani: può essere spettacolare, drammatico, divertente, sa costruire sequenze in piani fissi ma anche dinamici. Credo sia un po questo il segreto del suo successo. Come definirebbe il suo stile di regia se dovesse analizzarlo?
È difficile parlare di stile: credo che noi registi, dato che dobbiamo narrare qualcosa, in testa non dobbiamo avere uno stile ma una nostra sintassi, un linguaggio solo nostro. Nel montare una scena dobbiamo avere dei nostri tagli, come usarli e quali usare, con quali angolature, con quale tecnica... Se dovessimo solo comunicare una storia, basterebbe narrare. Io credo che lo stile di un regista si veda in come esprime il mondo che vede attraverso i suoi occhi, ed è per questo ce noi ci commuoviamo guardando le opere degli altri: noi vediamo il mondo attraverso il suo modo di percepire la realtà, e quello deriva dal suo stile.
*viene riprodotta una clip tratta da The Boy and the Beast* Ci può raccontare la genesi di questa sequenza? Quali sono stati i suoi tempi, e quanto le è costata in termini di sforzo creativo?
Mi ha fatto molto piacere rivedere questa sequenza. Ripercorrendo con la memoria ciò che abbiamo fatto con questo film, ricordo che nonostante lo abbiamo fatto in tempi limitati, devo dire che lo staff e i collaboratori hanno dimostrato di avere capacità elevatissime. Abbiamo lavorato a un film ad alto impatto, solo guardando questa sequenza mi vengono in mente numerosi dettagli che abbiamo inserito in numerose sequenze, come ad esempio la balena. Se in Summer Wars essa era raffigurata come un animale pacifico, in questo film è più vicina alla figura di Moby Dick, ovvero la natura che dev'essere domata dall'uomo, qualcosa di negativo che dobbiamo contrastare. Mi rendo che è stato qualcosa di pazzesco, ho scatenato queste balene nel centro di Shibuya a Tokyo, e devo dire che anche adesso mi diverte vedere questo connubio tra una location tipica di Tokyo e le balene.
Maestro, grazie della sua presenza qui con noi.
Grazie a voi, è veramente un peccato dirvi addio. Anzi, arrivederci.