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La ricerca della felicità è stata affrontata in moltissimi modi da tutte le arti narrative. In molti hanno scelto la strada del racconto fantastico o fantascientifico oppure ancora la ricerca come viaggio.
Inio Asano si pone la stessa domanda, ma ce lo racconta con la vita di tutti i giorni. Solanin, infatti, è la vicenda di un gruppo di cinque ragazzi che stanno affrontando il periodo di passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta. Non sono più così piccoli da non essere autosufficienti (difatti, alcuni di loro convivono ed hanno un lavoro), ma non sono nemmeno così grandi da essere pienamente adulti. In questo panorama narrativo, tutti i personaggi si fanno le stesse domande: dove sto andando a finire? È questa la vita che desidero? Sono pronto per affrontare il mondo? E qual è il mio posto nel mondo?
Asano non poteva scegliere un modo migliore per raccontare queste domande che tormentano tutti nel periodo della vita che affrontano i protagonisti di Solanin. E l’autore lo fa con una semplicità disarmante.

La vicenda è molto scorrevole nella lettura e mai pesante. Ad ogni personaggio è dedicato il giusto spazio e la psicologia è ben delineata. Infatti, spesso le vignette sono completamente nere (o bianche) e noi possiamo leggere i pensieri di chi agisce. Un posto d’onore è riservato alla protagonista: Inoue Meiko, impiegata, infelice del proprio lavoro, che all’inizio dell’opera si licenzia per cercare una risposta a “quelle” domande. Lo spazio dedicato a Meiko non è maggiore solo per i pensieri, le azioni e in generale per la sua vicenda, ma anche per gli stessi disegni che la ritraggono. Questi sono particolarmente curati e molte volte isolano il suo sguardo che è rivolto direttamente al lettore, quasi che Asano stesse guardandoci attraverso gli occhi del suo personaggio.

I dialoghi sono naturali e scritti in modo da risultare il più quotidiano possibile, ma mai costruiti a tavolino. E in questa semplicità e naturalezza, l’autore inserisce molti messaggi rivolti a chi legge. Sono numerosi i casi in cui si possono estrapolare frasi dai dialoghi o dalle riflessioni per trascriverle su un foglietto da attaccare sul muro della nostra camera con questa intenzione: “Non devo dimenticare queste parole, perché è vero: il mondo funziona così ed io devo comportarmi cosà”.
Sebbene la vicenda narrata abbia dei risvolti drammatici, ci sono alcuni momenti in cui è impossibile trattenersi dalle risate, per le dinamiche sviluppate o per alcuni nice touch dei disegni, e altri momenti in cui l’autore ci mostra delle trovate veramente geniali. Senza spoilerare troppo, un esempio è la riflessione tutta mentale di Taneda: un vero spasso!

Planet Manga porta in Italia quest’opera in due volumetti al prezzo di 7,50€ l’uno. L’edizione non è male, anche se a mio parere il volumetto è un po’ troppo floscio e la sovraccoperta deve essere tolta durante la lettura, perché tende a scivolare e rischia di rovinarsi. La carta utilizzata è leggermente gialla, ma non dà alcun fastidio. L’unica vera pecca è la qualità della stampa. Infatti, l’inchiostro rimane sulle dita se la lettura tende a prolungarsi. Ma a parte questo, Solanin è un’opera che andrebbe letta da tutti, almeno da una certa età in poi. Inoltre non dimenticatevi che <i>“uno zero unito ad un altro zero, fa l’infinito”</i>.



10.0/10
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La maledizione e il miracolo: sarebbe stato un ottimo titolo alternativo a quello scelto per quest'anime. Fruits Basket prende il nome, invece, da un gioco che Tohru faceva da bambina coi suoi compagni: a ognuno veniva dato il nome di un frutto e quando veniva chiamato il proprio ogni bambino doveva correre verso il centro in cui, immagino, era collocato il cesto che avrebbe dovuto raccoglierli. Puntualmente a Tohru veniva assegnato il nome "polpetta di riso": ma una polpetta di riso in un cesto di frutta non ha senso. Il suo nome allora non veniva mai chiamato. Era solo un'espediente per emarginare una ragazza che non appariva simpatica: lei restava lì seduta a guardare i suoi compagni giocare. Fruits basket ci parla di come anche lei sarà in grado, una volta cresciuta, di evocare un cesto in cui trovare il suo posto.

La maledizione e il miracolo dicevo. La maledizione dei Sorah, molto simile a quella di Ranma e soci, trasforma i membri della famiglia negli animali dello zodiaco cinese nel caso in cui venissero abbracciati da persone del sesso opposto (come faranno a riprodursi? Mistero). Rispetto a Ranma 1/2 qui non troviamo personaggi che vivono la loro sorte spensieratamente, ma ogni membro soffre di una serie di traumi psicologici dovuti alla loro particolare condizione; la sorte poi è stata particolarmente severa con chi nasce sotto il segno del gatto, che deve sopportare ben due maledizioni e allo stesso tempo non è nemmeno ammesso all'interno dello zodiaco.
A questo punto arriva il miracolo: la guarigione. Non quella del corpo, ovviamente, ma quella, ben più importante, dell'anima. Nella vita dei Sorah entra, cioè, in scena Tohru che, talvolta vincendo le loro resistenze, curerà le ferite lasciate dal tempo e li indurrà a una più benevola accettazione del proprio destino. Ognuno di essi, udendo il proprio nome pronunciato con gioia, accetterà di entrare nel cesto di frutta che Tohru sta creando.

Se non s'era capito quest'anime m'è piaciuto tanto, ma proprio tanto. Qualcuno dirà che non è molto originale, ma l'originalità spesso va ricercata nei particolari più che nella storia in sé. I personaggi della storia sono inizialmente emarginati, per destino o per natura, dalla società e lo resteranno fino alla fine: non c'è riscatto per loro. Riusciranno però a crearsi un microcosmo dove riusciranno a vivere e a essere felici tutti insieme.
Quanto alla necessità di dargli un seguito, sinceramente, non sono convinto. Certo ci si affeziona ai personaggi, ma perché rischiare di rovinare una storia così bella?



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Un manga senza infamia e senza lode, con un intreccio dalla stratificazione approssimativa e un tratto da primo della classe che non delude ma, personalmente, non mi convince del tutto.

La storia è incentrata sulle figure di Ral e Grad, rispettivamente un ragazzo e l'ombra che risiede in lui. Il primo, alla stregua di un novello Sigismondo (protagonista del dramma "La vita è sogno" ad opera di Pedro Calderóm de La Barca), vive da sempre in un luogo buio e isolato proprio per via del suo legame con la creatura. Le ombre sono infatti degli esseri demoniaci provenienti dal Noir, il regno delle tenebre, che non possedendo un proprio corpo instaurano con i loro ospiti un rapporto che può dare origine a tre tipi diversi di fusione tra le due parti. Esiste poi uno stadio superiore, il Friend, che consente agli ospiti di ricevere il sangue e i poteri dall'ombra che convive in loro. L'istruzione dell'infelice è affidata alla giovane Mio, la sola a cui sia permesso interagire con lui. La situazione cambia quando il castello di Lord Roy, padre del ragazzo, subisce un attacco da parte delle ombre di Opsquira, regina del Noir, le cui brame espansionistiche si estendono fino al domino su entrambi i mondi; liberato dalla sua prigione sulla parola di Mio, Ral viene convinto da quest'ultima a schierarsi al fianco degli umani, gli stessi che non avevano esitato, anni prima, a bollarlo come mostro. Ha così inizio la sua missione che, come shonen vuole, sarà costellata di Incontri Interessanti™ ed Epiche Battaglie™ fino allo Scontro Decisivo™ con la perfida Opsquira. Riuscirà il nostro eroe (autoproclamatosi "Ral il Palpatore" a causa della sua passione per il seno femminile) a riportare la pace nel mondo della luce?

Ora, di carne al fuoco per uscirsene con un buon prodotto ci sarebbe, anche tenuto conto del fatto che il manga consta di 4 volumi soltanto. Il problema è la mancanza di equilibrio tra lo sviluppo di ciascuna tematica: tra fiumi di fan service e battaglie preconfezionate, infatti, i pochi spunti interessanti fanno non poca fatica ad emergere, e dire sarebbe bastato sfrondare da qualche altra parte per far sì che avessero lo spazio che meritavano. Il tanto atteso scontro con Opsquira, poi, viene liquidato talmente in fretta che il lettore non ha neppure il tempo di assimilarlo. L'introspezione psicologica dei personaggi risulta alquanto nebulosa: una vera e propria fiera della vacuità che ha, ovviamente, Ral come attrattiva principale, caratterizzato in maniera farraginosa e altalenante alla faccia della presunta maturità che dovrebbe acquisire in corso d'opera. Dopo di lui i personaggi più deludenti sono sicuramente Gannette, che spicca più per il suo abbigliamento che non per le doti di spadaccino o la potenza della sua ombra, e Opsquira, che di fatto non è caratterizzata per niente.

Per concludere, definirei "Blue Dragon" più come un esercizio di stile che come un manga vero e proprio; nulla da eccepire sui risultati raggiunti da Obata, peccato non si possa dire lo stesso di Takano che con la sua sceneggiatura non coinvolge, non stupisce e non lascia assolutamente il segno.