Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi ci dedichiamo alla fantascienza, con Aura Battler Dunbine, A.D. Police e Nuku Nuku, l'invicibile ragazza-gatto.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Oggi ci dedichiamo alla fantascienza, con Aura Battler Dunbine, A.D. Police e Nuku Nuku, l'invicibile ragazza-gatto.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Aura Battler Dunbine
8.0/10
Una semplice corsa notturna in moto diventa, per Sho Zama, prologo a un'incredibile avventura: risucchiato da una strana luce, il ragazzo è teletrasportato nelle magiche terre di Byston Well. È stato evocato dal sovrano Drake Luft, che gli spiega come in questo pianeta le guerre si combattono con gli aura battler, enormi insetti rinforzati meccanicamente, che reagiscono e dimostrano la loro vera potenza quanto più è forte l'aura di chi li guida al loro interno. Dotato di una grande forza psichica in quanto proveniente dal "mondo di sopra", Sho sale presto a bordo dell'aura battler Dunbine per aiutare il sovrano a conquistare militarmente le terre magiche, salvo poi sposare la causa dei ribelli capitanati da Nie Givun.
"Dunbine" è un anime che incanta e delude, e viceversa.
Sembra assurdo iniziare la recensione di un'opera di Tomino con una constatazione simile, sopratutto se riferita a un lavoro di così grande popolarità come "Aura Battler Dunbine", considerato da molti uno dei suoi picchi massimi. Eppure, se penso alla caratura del regista, all'alto budget stanziato e a molte idee assolutamente splendide rintracciabili nel soggetto di quest'opera, non posso non sentirmi spaesato e parzialmente deluso da come tanta originalità trovi nella sceneggiatura un risultato a mio parere non esaltante.
"Dunbine" nasce nel 1983 come rilettura, con l'aggiunga di robot (imposti come di consueto da Sunrise), della prima parte di "The Wings of Rean", romanzo fantasy scritto dallo stesso Tomino quello stesso anno, e che nel corso del ventennio si rivelerà essere il primo atto di un lungo ciclo letterario (addirittura 24 tomi) ambientato nelle magiche terre di Byston Well, da cui sono successivamente tratti, sempre per la sua regia, "Garzey's Wing" e "The Wings of Rean". La portata si rivela particolarmente appetitosa: "Dunbine" significa non solo, per il Giappone, la prima produzione animata squisitamente fantasy, ma anche la prima, avveniristica commistione tra questo genere e il robotico, divenendo così l'antenato dei vari "Galient" ed "Escaflowne". Tomino è qui interessato a raccontare una storia estremamente drammatica, rispetto al precedente "Xabungle", di critica al progresso tecnologico/militare, reo di distruggere l'identità delle civiltà.
Quello che qualcuno potrebbe recriminare, infatti, è che il contesto fantastico dell'opera, con la sua fauna di mostri, fate e paesaggi ancestrali, ideale background per ogni genere di avventura, è sfruttato minimamente, fornendo solo lo sfondo per le battaglie tra aura battler. Critica condivisibile, a mio parere non giustificata, visto che non tiene conto del messaggio che il regista sembra interessato a dare: quello di accusare l'uomo moderno e la rivoluzione industriale, inquadrati nella figura di Shott - l'abitante del "mondo di sopra" che porta la conoscenza tecnologica nel fabbricare armamenti bellici in questo regredito ma incontaminato mondo medievale -, di distruggere l'identità di luoghi e paesi. Interesse di "Dunbine", quindi, non è raccontare le avventure cavalleresche di un nugolo di eroi all'interno di un mondo di fiaba, ma mostrare come quest'ultimo perda tutta la sua identità e bellezza per colpa dei ritmi asfissianti di vita sotto il grigiore di guerra e armamenti. Solo tornando alle sue origini, rigettando la modernità, può, ancora, sperare di salvarsi. Messaggio reso in modo forte, chiaro e sentito, ma che non basta da solo a rendere "Dunbine" la produzione memorabile che spesso è dipinta. A prescindere dal talentuoso soggetto, la sceneggiatura è svogliata.
L'inizio è sfavillante, con la sua quindicina di episodi superbi che presentano i numerosi e ben approfonditi personaggi. Tutti 100% tominiani nelle caratterizzazioni: l'eroe introverso e disgustato dal mondo degli adulti, Sho; l'agguerrito rivale dal carisma incompreso, Bern Bunnings; l'eroina forte e risoluta ma emotivamente instabile, Marvel Frozen; il leader del gruppo che soffre per un amore tormentato, Nie Given. Tutti già visti in "Ideon" e che ritroviamo in opere successive dell'autore, ma sempre molto realistici e caratterizzati in una storia che avanza spedita e con personalità, ben narrata, che cattura l'attenzione con la sua forte enfasi drammatica, con le storie d'amore realistiche e gli spettacolari combattimenti tra i suoi insettiformi mecha - decisamente un lavoro sontuoso, sotto questo punto di vista, il mecha design di Kazutaka Miyatake, aiutato da un debuttante di gran prestigio: il futuro, celebratissimo Yutaka Izubuchi.
Una partenza che sembra addirittura mirare all'eccellenza pura, ma poi il tutto è diluito, annacquato, ridimensionato dalla mancanza di ispirazione dello staff Sunrise nello sceneggiare "Dunbine". I classici episodi riempitivi assurgono a protagonisti assoluti dell'impalcatura: ogni episodio inizia con un combattimento tra aura battler, prosegue con un mini-canovaccio già visto e usato almeno quattro volte (le fughe di Elmelie, le battaglie di Drake con i regni di Byston Well, Sho che viene additato come invasore dai terrestri) e termina con un altro combattimento tra aura battler dove non muore mai nessuno, semplici schermaglie inutili ai fini di trama. Sicuramente la gran quantità di battaglie rimane una costante delle produzioni robotiche di quegli anni, ma di solito avvengono sempre, o quasi, per mandare avanti la storia o creare momenti di impatto emozionale, non certo come furbizia per allungare il brodo o raggiungere i consueti 24 minuti a episodio. Fate i conti con la vostra soglia di sopportazione perché questi riempitivi rappresentano il 50% abbondante dell'intera serie, con l'aggravante di essere particolarmente accumulati nella parte conclusiva: una sequela interminabile di oltre dieci puntate sempre identiche. Senza contare che i personaggi, prima sprizzanti interesse e in perenne evoluzione, travolti da queste puntate inutili finiscono schiavi del loro ruolo, impossibilitati a crescere: le loro potenzialità rimangono per buona parte inespresse o, peggio, disattese, colpa di quest'appiattimento caratteriale che li colpisce anche le poche volte in cui assurgono a deus ex, sopratutto nell'evoluzione delle relazioni sentimentali, che subiscono svolte, puntualmente, di punto in bianco.
I pochi coraggiosi che vorranno arrivare in fondo alla serie lo faranno perché convinti della bontà del soggetto, grazie a quel tot di puntate veramente buone, diluite con il contagocce, che ogni tanto forniscono respiro. Oppure ci riusciranno perché, conoscendo il regista, si aspettano da lui un'altra graffiata d'autore. Sono entrambe ottime ragioni, e in questo senso almeno il finale è pienamente all'altezza delle aspettative. Una conclusione estremamente truce e drammatica, impossibile da anticipare, coerente con il messaggio ultimo dell'opera: non c'è speranza di risolvere i conflitti sociali se si scelgono le armi di guerra e tecnologia. Sono strumenti freddi, impersonali e amorali che possono solo accrescere incomprensioni accrescendo le tragedie.
Nei suoi significati e nella sua morale "Dunbine" continua tuttora a essere valido e intelligente. Nel resto, purtroppo, è un continuo susseguirsi di gioie e dolori. Un grande soggetto, ottime animazioni, un buonissimo chara design e un bestiale (in tutti i sensi) mecha sono meriti che bastano e avanzano per regalare all'opera un discreto voto; il fatto di essere composto per metà da puntate molto valide e interessanti, anche strepitose, ben di più. Purtroppo l'altra metà è da dimenticare, martoriata da un numero eccessivo di filler senza la benché minima fantasia che raramente mandano avanti una storia tutt'altro che complessa. Voto finale, quindi, approssimato all'eccesso, ma che comunque non rovina la media di un regista che, in soli cinque anni, tra "Gundam" e il suo seguito, ha realizzato opere di alto livello come "Ideon", "Xabungle" e, appunto, questo "Dunbine". Censurabile e da rimuovere dalla memoria il seguito, realizzato cinque anni dopo da Sunrise senza l'apporto del creatore originale.
"Dunbine" è un anime che incanta e delude, e viceversa.
Sembra assurdo iniziare la recensione di un'opera di Tomino con una constatazione simile, sopratutto se riferita a un lavoro di così grande popolarità come "Aura Battler Dunbine", considerato da molti uno dei suoi picchi massimi. Eppure, se penso alla caratura del regista, all'alto budget stanziato e a molte idee assolutamente splendide rintracciabili nel soggetto di quest'opera, non posso non sentirmi spaesato e parzialmente deluso da come tanta originalità trovi nella sceneggiatura un risultato a mio parere non esaltante.
"Dunbine" nasce nel 1983 come rilettura, con l'aggiunga di robot (imposti come di consueto da Sunrise), della prima parte di "The Wings of Rean", romanzo fantasy scritto dallo stesso Tomino quello stesso anno, e che nel corso del ventennio si rivelerà essere il primo atto di un lungo ciclo letterario (addirittura 24 tomi) ambientato nelle magiche terre di Byston Well, da cui sono successivamente tratti, sempre per la sua regia, "Garzey's Wing" e "The Wings of Rean". La portata si rivela particolarmente appetitosa: "Dunbine" significa non solo, per il Giappone, la prima produzione animata squisitamente fantasy, ma anche la prima, avveniristica commistione tra questo genere e il robotico, divenendo così l'antenato dei vari "Galient" ed "Escaflowne". Tomino è qui interessato a raccontare una storia estremamente drammatica, rispetto al precedente "Xabungle", di critica al progresso tecnologico/militare, reo di distruggere l'identità delle civiltà.
Quello che qualcuno potrebbe recriminare, infatti, è che il contesto fantastico dell'opera, con la sua fauna di mostri, fate e paesaggi ancestrali, ideale background per ogni genere di avventura, è sfruttato minimamente, fornendo solo lo sfondo per le battaglie tra aura battler. Critica condivisibile, a mio parere non giustificata, visto che non tiene conto del messaggio che il regista sembra interessato a dare: quello di accusare l'uomo moderno e la rivoluzione industriale, inquadrati nella figura di Shott - l'abitante del "mondo di sopra" che porta la conoscenza tecnologica nel fabbricare armamenti bellici in questo regredito ma incontaminato mondo medievale -, di distruggere l'identità di luoghi e paesi. Interesse di "Dunbine", quindi, non è raccontare le avventure cavalleresche di un nugolo di eroi all'interno di un mondo di fiaba, ma mostrare come quest'ultimo perda tutta la sua identità e bellezza per colpa dei ritmi asfissianti di vita sotto il grigiore di guerra e armamenti. Solo tornando alle sue origini, rigettando la modernità, può, ancora, sperare di salvarsi. Messaggio reso in modo forte, chiaro e sentito, ma che non basta da solo a rendere "Dunbine" la produzione memorabile che spesso è dipinta. A prescindere dal talentuoso soggetto, la sceneggiatura è svogliata.
L'inizio è sfavillante, con la sua quindicina di episodi superbi che presentano i numerosi e ben approfonditi personaggi. Tutti 100% tominiani nelle caratterizzazioni: l'eroe introverso e disgustato dal mondo degli adulti, Sho; l'agguerrito rivale dal carisma incompreso, Bern Bunnings; l'eroina forte e risoluta ma emotivamente instabile, Marvel Frozen; il leader del gruppo che soffre per un amore tormentato, Nie Given. Tutti già visti in "Ideon" e che ritroviamo in opere successive dell'autore, ma sempre molto realistici e caratterizzati in una storia che avanza spedita e con personalità, ben narrata, che cattura l'attenzione con la sua forte enfasi drammatica, con le storie d'amore realistiche e gli spettacolari combattimenti tra i suoi insettiformi mecha - decisamente un lavoro sontuoso, sotto questo punto di vista, il mecha design di Kazutaka Miyatake, aiutato da un debuttante di gran prestigio: il futuro, celebratissimo Yutaka Izubuchi.
Una partenza che sembra addirittura mirare all'eccellenza pura, ma poi il tutto è diluito, annacquato, ridimensionato dalla mancanza di ispirazione dello staff Sunrise nello sceneggiare "Dunbine". I classici episodi riempitivi assurgono a protagonisti assoluti dell'impalcatura: ogni episodio inizia con un combattimento tra aura battler, prosegue con un mini-canovaccio già visto e usato almeno quattro volte (le fughe di Elmelie, le battaglie di Drake con i regni di Byston Well, Sho che viene additato come invasore dai terrestri) e termina con un altro combattimento tra aura battler dove non muore mai nessuno, semplici schermaglie inutili ai fini di trama. Sicuramente la gran quantità di battaglie rimane una costante delle produzioni robotiche di quegli anni, ma di solito avvengono sempre, o quasi, per mandare avanti la storia o creare momenti di impatto emozionale, non certo come furbizia per allungare il brodo o raggiungere i consueti 24 minuti a episodio. Fate i conti con la vostra soglia di sopportazione perché questi riempitivi rappresentano il 50% abbondante dell'intera serie, con l'aggravante di essere particolarmente accumulati nella parte conclusiva: una sequela interminabile di oltre dieci puntate sempre identiche. Senza contare che i personaggi, prima sprizzanti interesse e in perenne evoluzione, travolti da queste puntate inutili finiscono schiavi del loro ruolo, impossibilitati a crescere: le loro potenzialità rimangono per buona parte inespresse o, peggio, disattese, colpa di quest'appiattimento caratteriale che li colpisce anche le poche volte in cui assurgono a deus ex, sopratutto nell'evoluzione delle relazioni sentimentali, che subiscono svolte, puntualmente, di punto in bianco.
I pochi coraggiosi che vorranno arrivare in fondo alla serie lo faranno perché convinti della bontà del soggetto, grazie a quel tot di puntate veramente buone, diluite con il contagocce, che ogni tanto forniscono respiro. Oppure ci riusciranno perché, conoscendo il regista, si aspettano da lui un'altra graffiata d'autore. Sono entrambe ottime ragioni, e in questo senso almeno il finale è pienamente all'altezza delle aspettative. Una conclusione estremamente truce e drammatica, impossibile da anticipare, coerente con il messaggio ultimo dell'opera: non c'è speranza di risolvere i conflitti sociali se si scelgono le armi di guerra e tecnologia. Sono strumenti freddi, impersonali e amorali che possono solo accrescere incomprensioni accrescendo le tragedie.
Nei suoi significati e nella sua morale "Dunbine" continua tuttora a essere valido e intelligente. Nel resto, purtroppo, è un continuo susseguirsi di gioie e dolori. Un grande soggetto, ottime animazioni, un buonissimo chara design e un bestiale (in tutti i sensi) mecha sono meriti che bastano e avanzano per regalare all'opera un discreto voto; il fatto di essere composto per metà da puntate molto valide e interessanti, anche strepitose, ben di più. Purtroppo l'altra metà è da dimenticare, martoriata da un numero eccessivo di filler senza la benché minima fantasia che raramente mandano avanti una storia tutt'altro che complessa. Voto finale, quindi, approssimato all'eccesso, ma che comunque non rovina la media di un regista che, in soli cinque anni, tra "Gundam" e il suo seguito, ha realizzato opere di alto livello come "Ideon", "Xabungle" e, appunto, questo "Dunbine". Censurabile e da rimuovere dalla memoria il seguito, realizzato cinque anni dopo da Sunrise senza l'apporto del creatore originale.
A.D. Police
4.0/10
"A.D. Police" è l'ultimo degli OAV della saga nata dalla serie "Bubblegum Crisis", di cui rappresenta il prequel. La storia infatti è ambientata qualche anno prima "Bubblegum Crisis", prima quindi della nascita delle Knight Sabers, e si incentra sul periodo in cui a contrastare i crimini degli androidi era solamente la squadra speciale della polizia addetta a questo tipo di casi, l'A.D. Police per l'appunto.
Protagonista degli OAV è Leon, il detective dongiovanni che abbiamo imparato a conoscere nel capitolo principale della saga, che qui invece è ancora una matricola della squadra speciale, al cui fianco troveremo la ben più esperta collega Geena.
Che dire di questo prequel? Innanzitutto l'atmosfera è estremamente diversa rispetto a "Bubblegum Crisis" e al suo seguito "Bubblegum Crash!". In "A.D. Police" tutto tende a prendersi molto più sul serio, non c'è quell'atmosfera di azione sfrenata e scanzonata che si avvertiva nelle altre due serie di OAV. "A.D. Police" si rifà in maniera molto più ortodossa alle atmosfere angoscianti e prive di qualsivoglia bellezza del cyberpunk più classico. D'altronde già fin dalla sigla iniziale gli omaggi a "Blade Runner" sono evidenti. Ovviamente questo non è un difetto, io trovo molto gustose quelle opere che all'interno di una determinata continuity cambiano completamente genere e atmosfera, è un modo per arricchire una saga. Voglio dire, per me il terzo film di Tenchi Muyo e il secondo di Patlabor sono belli anche perché hanno completamente stravolto i brand a cui appartengono. Il problema però è che "A.D. Police" non soddisfa nessuna delle ambizioni a cui tende. Le storie che propone sono scritte malissimo, hanno buchi di sceneggiatura grossi come una casa. Basti pensare al fatto che contraddice proprio la storia principale a cui appartiene: l'A.D. Police in "Bubblegum Crisis" ha spesso problemi a risolvere i crimini perpretati dai Boomers, sia per inferiorità tecnologica sia per i limiti imposti dalla legge, che spesso strizza l'occhio alla Genom, la potentissima multinazionale che produce androidi. A ovviare questi problemi ci sono appunto le quattro eroine protagoniste con i loro portentosi esoscheletri. Allora perché in questa serie di OAV la polizia non ha praticamente alcun problema a fare fuori gli androidi criminali o impazziti? Perché boh! Per non parlare di autentici fatti tragici che vengono sviluppati senza alcuna plausibilità e che lasciano completamente interdetto lo spettatore, o spunti interessanti di trama gettati al vento come se niente fosse da un intreccio completamente privo di riguardi nei confronti della logica stessa del racconto.
Certo, "Bubblegum Crisis" si prendeva decisamente meno sul serio di "A.D. Police", ma non ci si metteva mai le mani tra i capelli guardandolo, anzi. I protagonisti, poi, sia per la brevità della serie sia per la scarsa pregnanza della storia, sono privi di carisma e completamente bidimensionali, del tutto dimenticabili. In teoria dovrebbe la serie incentrarsi sul passato di Leon, in pratica Leon si vede solo nel primo episodio, in cui tra l'altro mena le mani per venti minuti abbondanti. Da corollario, scordatevi quindi qualsiasi tipo di approfondimento della trama principale di "Bubblegum Crisis", anche quello si è perso per strada, a favore invece di scene spinte assolutamente da neuro-deliri - sì, mi riferisco al fatto che uno dei personaggi cerca di fare sesso con un robot, spento.
Anche da un punto di vista tecnico la differenza si sente, eccome se si sente. Innanzitutto al character design non abbiamo più Kenichi Sonoda, ma Fujio Oda. Per quanto però si cerchi di replicare l'estrema piacevolezza del tratto di Sonoda, la qualità del chara è talmente altalenante che tra il primo e il terzo episodio non c'è quasi alcuna continuità grafica nell'aspetto dei personaggi. Se il primo episodio è quello dove il chara dà il meglio di sé con particolareggiatissimi primi piani, nel terzo ci va di gran lusso se Geena, la coprotagonista, ha le pupille.
Infine anche la colonna sonora, uno dei tratti più distintivi di "Bubblegum Crisis", non regge il minimo confronto con il passato. Se le musiche della serie principale sono un monumento all'orecchiabilità, qua nemmeno si sentono. Certo, questi OAV sono molto più seri e quindi non potevano farsi accompagnare da una colonna sonora spudoratamente pop anni Ottanta, ma qua la colonna sonora è praticamente insignificante. La stessa sigla iniziale è proprio tirata via, sembra fatta con la pianola per bimbi Bontempi Five.
Le animazioni? Pare proprio che sia stato speso tutto il budget per il primo episodio. Scordatevi le scene d'azione forsennata dei precedenti capitoli della saga; qua tutti i problemi si risolvono in dieci secondi, altrimenti non si arrivava a pagare gli stipendi. Ed è pure un OAV, un'opera per cui si tendeva a spendere molto di più rispetto a un anime!
Per concludere, questo prequel è un'occasione sprecata sotto ogni punto di vista. Non aggiunge niente alla storia di "Bubblegum Crisis" ed è senza alcun dubbio una poracciata, tanto è fatto alla carlona.
Dimenticabile.
Protagonista degli OAV è Leon, il detective dongiovanni che abbiamo imparato a conoscere nel capitolo principale della saga, che qui invece è ancora una matricola della squadra speciale, al cui fianco troveremo la ben più esperta collega Geena.
Che dire di questo prequel? Innanzitutto l'atmosfera è estremamente diversa rispetto a "Bubblegum Crisis" e al suo seguito "Bubblegum Crash!". In "A.D. Police" tutto tende a prendersi molto più sul serio, non c'è quell'atmosfera di azione sfrenata e scanzonata che si avvertiva nelle altre due serie di OAV. "A.D. Police" si rifà in maniera molto più ortodossa alle atmosfere angoscianti e prive di qualsivoglia bellezza del cyberpunk più classico. D'altronde già fin dalla sigla iniziale gli omaggi a "Blade Runner" sono evidenti. Ovviamente questo non è un difetto, io trovo molto gustose quelle opere che all'interno di una determinata continuity cambiano completamente genere e atmosfera, è un modo per arricchire una saga. Voglio dire, per me il terzo film di Tenchi Muyo e il secondo di Patlabor sono belli anche perché hanno completamente stravolto i brand a cui appartengono. Il problema però è che "A.D. Police" non soddisfa nessuna delle ambizioni a cui tende. Le storie che propone sono scritte malissimo, hanno buchi di sceneggiatura grossi come una casa. Basti pensare al fatto che contraddice proprio la storia principale a cui appartiene: l'A.D. Police in "Bubblegum Crisis" ha spesso problemi a risolvere i crimini perpretati dai Boomers, sia per inferiorità tecnologica sia per i limiti imposti dalla legge, che spesso strizza l'occhio alla Genom, la potentissima multinazionale che produce androidi. A ovviare questi problemi ci sono appunto le quattro eroine protagoniste con i loro portentosi esoscheletri. Allora perché in questa serie di OAV la polizia non ha praticamente alcun problema a fare fuori gli androidi criminali o impazziti? Perché boh! Per non parlare di autentici fatti tragici che vengono sviluppati senza alcuna plausibilità e che lasciano completamente interdetto lo spettatore, o spunti interessanti di trama gettati al vento come se niente fosse da un intreccio completamente privo di riguardi nei confronti della logica stessa del racconto.
Certo, "Bubblegum Crisis" si prendeva decisamente meno sul serio di "A.D. Police", ma non ci si metteva mai le mani tra i capelli guardandolo, anzi. I protagonisti, poi, sia per la brevità della serie sia per la scarsa pregnanza della storia, sono privi di carisma e completamente bidimensionali, del tutto dimenticabili. In teoria dovrebbe la serie incentrarsi sul passato di Leon, in pratica Leon si vede solo nel primo episodio, in cui tra l'altro mena le mani per venti minuti abbondanti. Da corollario, scordatevi quindi qualsiasi tipo di approfondimento della trama principale di "Bubblegum Crisis", anche quello si è perso per strada, a favore invece di scene spinte assolutamente da neuro-deliri - sì, mi riferisco al fatto che uno dei personaggi cerca di fare sesso con un robot, spento.
Anche da un punto di vista tecnico la differenza si sente, eccome se si sente. Innanzitutto al character design non abbiamo più Kenichi Sonoda, ma Fujio Oda. Per quanto però si cerchi di replicare l'estrema piacevolezza del tratto di Sonoda, la qualità del chara è talmente altalenante che tra il primo e il terzo episodio non c'è quasi alcuna continuità grafica nell'aspetto dei personaggi. Se il primo episodio è quello dove il chara dà il meglio di sé con particolareggiatissimi primi piani, nel terzo ci va di gran lusso se Geena, la coprotagonista, ha le pupille.
Infine anche la colonna sonora, uno dei tratti più distintivi di "Bubblegum Crisis", non regge il minimo confronto con il passato. Se le musiche della serie principale sono un monumento all'orecchiabilità, qua nemmeno si sentono. Certo, questi OAV sono molto più seri e quindi non potevano farsi accompagnare da una colonna sonora spudoratamente pop anni Ottanta, ma qua la colonna sonora è praticamente insignificante. La stessa sigla iniziale è proprio tirata via, sembra fatta con la pianola per bimbi Bontempi Five.
Le animazioni? Pare proprio che sia stato speso tutto il budget per il primo episodio. Scordatevi le scene d'azione forsennata dei precedenti capitoli della saga; qua tutti i problemi si risolvono in dieci secondi, altrimenti non si arrivava a pagare gli stipendi. Ed è pure un OAV, un'opera per cui si tendeva a spendere molto di più rispetto a un anime!
Per concludere, questo prequel è un'occasione sprecata sotto ogni punto di vista. Non aggiunge niente alla storia di "Bubblegum Crisis" ed è senza alcun dubbio una poracciata, tanto è fatto alla carlona.
Dimenticabile.
Ah le ragazze gatto, esiste cosa più giapponese? In realtà da circa 70 anni gongola in America una certa Catwoman. Ma se la nostra ragazza-gatto fosse anche una androide, con capelli rosa-fucsia la classica divisa scolastica alla marinaretta perennemente addosso? Sì, solo roba malata manga.
Tratto da un manga di Yuzo Takada composto da un solo volume, "All Purpose Cultural Cat Girl Nuku Nuku" è una serie di OVA prodotti nel 1992, nel medesimo formato di "Mainichi ga Nichiyoubi" di cui avevo scritto in precedenza e tratto anche esso da un manga di Takada, ovvero: sei OVA da trenta minuti destinati al mercato dell'home video, VHS o Laserdisc (supporto forte nel Giappone dell'epoca) che sia.
La serie inizia con un inseguimento tra un'automobile guidata da un trasandato signore con figlioletto appresso, e un elicottero che non si fa troppi problemi a sparare al suo bersaglio, nello scontro a fuoco però un micetto precedentemente raccolto dal ragazzino viene ferito mortalmente. Fortuna vuole che il padre del ragazzo, Kyusaku Natsume, sia un geniale inventore e per farsi perdonare dal figlio Ryunosuke decide di trapiantare il cervello e la volontà del felino nel corpo di un androide dalle fattezze femminili che stava creando. Nasce così Nuku Nuku. I problemi però non tarderanno ad arrivare, Kyusaku è un ex dipendente della potente "Mishima Heavy Industries" alla quale stava progettando il prototipo di cui sopra tramite ingenti somme di denaro, che sarebbe dovuta diventare una letale unità di combattimento. Contrario alla creazione di una temibile arma, lo scienziato fugge portandosi dietro di sé il prezioso corpo meccanico e per tale motivo padre e figlio vengono costantemente presi di mira dall'organizzazione, ma grazie a Nuku Nuku, divenuta una guardia del corpo del piccolo Ryunosuke, la faranno franca ad ogni occasione grazie al suo insieme di forza distruttiva e agilità felina.
A metà tra Nanako SOS e le commedie demenziali della Takahashi, la serie tra alti e bassi intrattiene a dovere, grazie al suo mix di azione, comicità e commedia. Ben costruito, in tal senso, il particolare rapporto tra Ryunosuke e sua madre, mentre la fase di "umanizzazione" della folle Nuku Nuku è trattata con semplicità senza però risultare banale. La sceneggiatura è a cura dell'autore stesso e si discosta da quella del breve manga, senza però mai eccedere con particolari intrecci narrativi, e l'innesto di una folle rivale per Nuku Nuku nel quarto episodio enfatizza l'azione con scene di distruzione cittadina all'ordine del giorno.
La realizzazione tecnica si presenta di gran lunga superiore rispetto a "Mainichi ga Nichiyoubi" e non solo per i due anni di differenza, vi è più cura sia dal lato visivo, nella colorazione come nelle animazioni, che in quello sonoro coadiuvato da un'orecchiabile colonna sonora e un doppiaggio di ottima qualità.
Le sigle di una giovane Megumi Hayashibara (voce di Nuku Nuku) completano il quadro, in particolare la seconda opening "Yume Hurry Up" dal suo piacevole sapore estivo, e le due ending con le quali risulta difficile premere lo stop. Nel 1998 ne verrà prodotto un remake per la televisione di dodici episodi (seguito a sua volta da una terza trasposizione con diversi personaggi sulla quale è meglio sorvolare), ma già con questi OVA "Nuku Nuku" si dimostra per quello che è, un piacevole passatempo del tutto figlio dei suoi tempi, da gustare con il vostro gatto svogliato seduto sulle ginocchia.
Tratto da un manga di Yuzo Takada composto da un solo volume, "All Purpose Cultural Cat Girl Nuku Nuku" è una serie di OVA prodotti nel 1992, nel medesimo formato di "Mainichi ga Nichiyoubi" di cui avevo scritto in precedenza e tratto anche esso da un manga di Takada, ovvero: sei OVA da trenta minuti destinati al mercato dell'home video, VHS o Laserdisc (supporto forte nel Giappone dell'epoca) che sia.
La serie inizia con un inseguimento tra un'automobile guidata da un trasandato signore con figlioletto appresso, e un elicottero che non si fa troppi problemi a sparare al suo bersaglio, nello scontro a fuoco però un micetto precedentemente raccolto dal ragazzino viene ferito mortalmente. Fortuna vuole che il padre del ragazzo, Kyusaku Natsume, sia un geniale inventore e per farsi perdonare dal figlio Ryunosuke decide di trapiantare il cervello e la volontà del felino nel corpo di un androide dalle fattezze femminili che stava creando. Nasce così Nuku Nuku. I problemi però non tarderanno ad arrivare, Kyusaku è un ex dipendente della potente "Mishima Heavy Industries" alla quale stava progettando il prototipo di cui sopra tramite ingenti somme di denaro, che sarebbe dovuta diventare una letale unità di combattimento. Contrario alla creazione di una temibile arma, lo scienziato fugge portandosi dietro di sé il prezioso corpo meccanico e per tale motivo padre e figlio vengono costantemente presi di mira dall'organizzazione, ma grazie a Nuku Nuku, divenuta una guardia del corpo del piccolo Ryunosuke, la faranno franca ad ogni occasione grazie al suo insieme di forza distruttiva e agilità felina.
A metà tra Nanako SOS e le commedie demenziali della Takahashi, la serie tra alti e bassi intrattiene a dovere, grazie al suo mix di azione, comicità e commedia. Ben costruito, in tal senso, il particolare rapporto tra Ryunosuke e sua madre, mentre la fase di "umanizzazione" della folle Nuku Nuku è trattata con semplicità senza però risultare banale. La sceneggiatura è a cura dell'autore stesso e si discosta da quella del breve manga, senza però mai eccedere con particolari intrecci narrativi, e l'innesto di una folle rivale per Nuku Nuku nel quarto episodio enfatizza l'azione con scene di distruzione cittadina all'ordine del giorno.
La realizzazione tecnica si presenta di gran lunga superiore rispetto a "Mainichi ga Nichiyoubi" e non solo per i due anni di differenza, vi è più cura sia dal lato visivo, nella colorazione come nelle animazioni, che in quello sonoro coadiuvato da un'orecchiabile colonna sonora e un doppiaggio di ottima qualità.
Le sigle di una giovane Megumi Hayashibara (voce di Nuku Nuku) completano il quadro, in particolare la seconda opening "Yume Hurry Up" dal suo piacevole sapore estivo, e le due ending con le quali risulta difficile premere lo stop. Nel 1998 ne verrà prodotto un remake per la televisione di dodici episodi (seguito a sua volta da una terza trasposizione con diversi personaggi sulla quale è meglio sorvolare), ma già con questi OVA "Nuku Nuku" si dimostra per quello che è, un piacevole passatempo del tutto figlio dei suoi tempi, da gustare con il vostro gatto svogliato seduto sulle ginocchia.
Questa è una di quelle serie che di solito cade nel dimenticatoio una volta vista, tanto che se non avessi visto e letto la recensione non avrei neanche aggiunto questo anime alla mia lista delle cose già viste XD
Onestamente guardando la scheda non viene segnalato nessun fansub, ma allo stesso tempo io ho come la vaga idea di averlo seguito in italiano, forse su fastweb tv nel periodo in cui guardai Dance in the Vampire Bund (questo sottotitolato, credo derivante dal simulcast).
Adesso, dopo aver finito di delirare con i miei vaghi ricordi veniamo al commento sulla recensione, sicuramente ben fatta, tanto da aver richiamato alla mia mente immagini del primo episodio visto, ma in definitiva troppo generosa nel suo voto finale dal mio punto di vista, un bel 6 politico sarebbe stato credo più adeguato per una serie che di sicuro non eccelle, ma che non si fa neanche odiare.
Tieni conto che in prima istanza God aveva dato 6 a Dunbine, e' solo perche' io gli ho rotto i maroni a dismisura che ha alzato il voto...
Complimenti ai tre recensori ^^
L'ho visto in VHS tanti anni fa e me lo ricordo come un anime leggero e divertente, nonché discretamente ben realizzato. Un po' di Amarcord!
6 a Dunbine è una bestemmia. Cmq non ti incaxxare ma io voglio dare 6 a Vifam! (però 10 a Baldios che ho quasi finito)
In ogni caso complimenti ai 3 recensori e alle opere scelte.
Di quegli anni, comunque, preferisco di gran lunga Ideon e sopratutto Xabungle, quest'ultimo molto più avvincente e ispirato di Dunbine.
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