Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Legend of Galactic Heroes, Wicked City - La città delle bestie incantatrici e EF - a tale of melodies.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Oggi appuntamento libero, con gli anime Legend of Galactic Heroes, Wicked City - La città delle bestie incantatrici e EF - a tale of melodies.
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Legend of the Galactic Heroes
10.0/10
Recensione di Metaldevilgear
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Fino a qualche giorno fa non pensavo che sarei mai ritornato a etichettare un anime come 'capolavoro', o meglio, fino a qualche settimana fa, quando arrivato a metà visione, avevo già capito quanto la maturità e la profondità di Ginga Eiyuu Densetsu si elevassero al di sopra di quasi tutto quanto avessi già visto. La Leggenda degli Eroi Galattici è semplicemente 'leggenda' di nome e di fatto, un capolavoro imprescindibile, imprevedibile, emozionante, indelebile. Mastodontico tanto nella durata (110 episodi per l'home video divisi in quattro stagioni, senza contare vari prequel usciti in seguito) quanto nella dettagliatissima riproduzione dell'universo generato dalla mente di Yoshiki Tanaka, autore della celebre serie di romanzi da cui è stato tratto, è ambientato in un'ipotetico trentacinquesimo secolo in cui i viaggi interstellari sono ormai cosa comune e dove tale è rimasta anche la tendenza degli esseri umani a formare fazioni per darsi battaglia. LOGH riesce, dove tanti altri titoli falliscono, a mantenere viva l'attenzione dello spettatore per ciascuna delle oltre cento puntate di fila, trattando allo stesso tempo temi ostici come geografia e filosofia politiche. E il bello è che potrebbe benissimo riuscirci fornendosi della forza dei soli dialoghi, il cui stampo letterario è spesso ben manifesto, grazie all'uso di una retorica che, attenzione, mai rischia di risultare prolissa, tanto meno di scadere in alcuna gratuita lezioncina morale. Già in questo la sceneggiatura dimostra una maturità invidiabile. La moralità non è mai presentata come qualcosa di inequivocabile, univoco, ogni attore agisce secondo la propria, in completa coerenza, tanto che il rischio di prediligere, da spettatori, l'una o l'altra delle parti opposte, non si corre mai, perché non è possibile stabilire chi sia nel 'giusto' o nello 'sbagliato'. In fin dei conti la guerra da più di un secolo in corso tra la democratica Alleanza dei Pianeti Liberi e l'autocratico Impero Galattico, fa da cornice al conflitto che le figure chiave della vicenda hanno con se stesse. Yang Wenli e Reinhardt von Lohengramm non interpretano il ruolo stereotipato di 'antagonisti': si stimano, si equivalgono nell'ingegno, ma proteggono ideali contrapposti, e spesso e volentieri dubiteranno che perseguirli in modo assoluto costituisca il modus operandi più opportuno. Eppure non possono, non devono indugiare, perché proteggere ideali non vuol dire altro che proteggere le persone che hanno sostenuto, sostengono e sosterranno tali ideali, nel corso di una storia umana che, pertanto, non conosce cambiamento: "In ogni epoca, in ogni luogo, le azioni degli uomini rimangono le stesse" recita l'incipit della seconda opening. Un'osservazione che si riflette specialmente nel fare calmo e modesto di Yang, che invece di diventare ammiraglio della flotta repubblicana, avrebbe preferito fare lo storiografo; più aspirazionista è il modo di pensare di Reinhardt, che giura a se stesso, e a due persone a cui tiene più della sua vita, ovvero la sorella e l'amico d'infanzia-braccio destro Sigfried, di riuscire a ribaltare la dinastia tiranna dei Goldenbaum, presente da cinque secoli, e divenire sovrano illuminato dell'intera galassia. Come spettatori, penso sia davvero impossibile non arrivare a riconoscere con immensa ammirazione lo straordinario carisma che entrambi i protagonisti trasudano, e che li piazza di diritto tra i più memorabili di sempre. Ma se pensate che, degli oltre cento nomi presenti nel cast, essi siano gli unici a vantarsi di una caratterizzazione coi fiocchi, vi sbagliate: la gerarchia militare che costituisce le fazioni si compone di personalità ugualmente capaci di lasciare un segno indelebile sia negli eventi narrati, sia nella memoria del pubblico. Potrei elencare almeno una decina di nomi per i quali non sfigura minimamente l'appellativo di protagonisti aggiunti: il già citato Sigfried Kircheis, giusto e fedele confidente; il giovane pupillo di Yang, Julian Minci; il freddo e machiavellico Paul von Oberstein, gli ammiragli Mittermeyer e Reuenthal, grandissimi compagni dagli interessanti retroscena familiari, poi Bucock, Merkatz, Muller, i vice-ammiragli Bittenfeld e Cazellnu; Schenkopp, comandante dell'imbattibile fanteria Rosen Litter; gli spiritosi Attenborough e Poplan; mentre spiccano, tra le presenze femminili, quelle di Frederica Greenhill, al fianco di Wenli, e Hildegard von Mariendorf, dalla parte di Reinhardt, insieme all'amata sorella Annerose, che avranno un ruolo di primissimo piano nei meriti delle vicende. Nomi di una lista che potrebbe ancora andare avanti, nomi che a dispetto della derivazione prevalentemente teutonica, non si dimenticano facilmente, anche perché gli autori vengono sempre incontro all'osservatore con tempestive didascalie e interventi di una voce narrante, fondamentale per orientarsi nella sapientemente ricamata trama. Sulla quantità di occasioni in cui quest'ultima vi inviterà a nozze con la sorpresa, il ragionamento, la tensione, il dubbio, la meditazione, la commozione, perfino il dolore, non mi soffermerò, poiché ve ne sono tantissime. Tutto ciò che si pretende da un'opera narrativa, sia a livello organico, sia dell'intrattenimento, ma anche dell'emotività, Ginga Eiyuu Densetsu lo garantisce, non rinunciando mai né al pragmatismo, ma nemmeno alla finezza dei mezzi. La morte, elemento che ovviamente ricorre spesso in un contesto simile, è ad esempio affrontata da una parte con immediatezza, con crudezza se necessario, ma talvolta può assumere dei toni più romanzati, ciò non togliendo che il suo peso sia il medesimo. La regia di Noboru Ishiguro (purtroppo scomparso nel 2012) sottolinea con perizia anche questi momenti, ma propone il meglio di sé nella riproduzione delle colossali battaglie tra intere flotte di navi spaziali, riponendo non tanto nelle animazioni, quanto nella componente sonora, le premesse per un esito maestoso. Proprio come era stato con Macross dunque, il regista presta grande attenzione alla colonna sonora, affidandosi al lavoro di Shin Kawabe, Shinsuke Kazato, e poi signori del calibro di Beethoven, Mozart, Chopin, Bach, Wagner, Debussy, Schumann, Brahms, Handel, Rachmaninoff ed altri. Non è da tralasciare nemmeno la bellezza delle sigle, su tutte la terza, molto evocativa 'Sea of the Stars'.
Completare un giudizio sull'apparato tecnico in modo uniforme non è facile: contando una pubblicazione che si estende per ben nove anni ('88-'97), uno sviluppo che passa tra le mani di più studi d'animazione, e il fatto che le animazioni in un anime del genere non abbiano un ruolo tanto prioritario, non si sarebbe potuto chiedere di meglio. Sicuramente degno di nota è il lavoro di character design, elaborato da ben quattro pennini: i volti hanno tratti distintivi, maturi, con linee sottili, eleganti ma essenziali, in uno stile che ancora oggi non risulta affatto obsoleto ed anzi, andrebbe preso d'esempio per la sua efficiente varietà. Decisamente buono anche il mecha-design (Naoyuki Kato), anche se la nave ammiraglia Brünhild è forse l'unica che si distingue un po' di più per bellezza estetica.
Semplicemente, per essere spronati a guardare Legend of the Galactic Heroes non c'è bisogno di essere appassionati d'animazione, o di fantascienza, anzi, direi che entrambi i termini non dovrebbero poi accostarsi troppo all'idea che ci deve fare di quest'opera. Può essere inteso come prodotto di nicchia, certamente, ma solo perché alcuni fattori superficiali, come la durata, l'età, la mole di dialoghi, finiscono solitamente per scoraggiare la maggior parte delle persone. Io stesso avevo 'paura' dei medesimi fattori, che sono poi diventati un lontano ricordo di fronte alla sensazione di meraviglia e coinvolgimento in me provocati dall'inizio e perdurati fino all'ultima, meravigliosa schermata sfocata da lacrime genuine. LOGH è un'epopea spaziale che raggiunge l'eccellenza in ogni sua parte, termine di paragone per la scrittura di sceneggiature, enciclopedia alternativa della storia dell'umanità, emozionante contenitore di storie nelle storie e galleria di personaggi eccezionali, uno tra i pezzi più pregiati dell'animazione giapponese, da tramandare ai posteri e agli scettici.
Completare un giudizio sull'apparato tecnico in modo uniforme non è facile: contando una pubblicazione che si estende per ben nove anni ('88-'97), uno sviluppo che passa tra le mani di più studi d'animazione, e il fatto che le animazioni in un anime del genere non abbiano un ruolo tanto prioritario, non si sarebbe potuto chiedere di meglio. Sicuramente degno di nota è il lavoro di character design, elaborato da ben quattro pennini: i volti hanno tratti distintivi, maturi, con linee sottili, eleganti ma essenziali, in uno stile che ancora oggi non risulta affatto obsoleto ed anzi, andrebbe preso d'esempio per la sua efficiente varietà. Decisamente buono anche il mecha-design (Naoyuki Kato), anche se la nave ammiraglia Brünhild è forse l'unica che si distingue un po' di più per bellezza estetica.
Semplicemente, per essere spronati a guardare Legend of the Galactic Heroes non c'è bisogno di essere appassionati d'animazione, o di fantascienza, anzi, direi che entrambi i termini non dovrebbero poi accostarsi troppo all'idea che ci deve fare di quest'opera. Può essere inteso come prodotto di nicchia, certamente, ma solo perché alcuni fattori superficiali, come la durata, l'età, la mole di dialoghi, finiscono solitamente per scoraggiare la maggior parte delle persone. Io stesso avevo 'paura' dei medesimi fattori, che sono poi diventati un lontano ricordo di fronte alla sensazione di meraviglia e coinvolgimento in me provocati dall'inizio e perdurati fino all'ultima, meravigliosa schermata sfocata da lacrime genuine. LOGH è un'epopea spaziale che raggiunge l'eccellenza in ogni sua parte, termine di paragone per la scrittura di sceneggiature, enciclopedia alternativa della storia dell'umanità, emozionante contenitore di storie nelle storie e galleria di personaggi eccezionali, uno tra i pezzi più pregiati dell'animazione giapponese, da tramandare ai posteri e agli scettici.
Stairway90
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La carriera del regista Yoshiaki Kawajiri è fortemente legata alle opere di Hideyuki Kikuchi, visto che tre dei suoi lavori più celebri, ossia La città delle bestie incantatrici, Demon City Shinjuku e Vampire Hunter D: Bloodlust sono tratti dai romanzi dello scrittore. Proprio La città delle bestie incantatrici è il primo film interamente realizzato da Kawajiri, che prima di allora aveva diretto SF Shinseiki Lensman assieme al ben più esperto Kazuyuki Hirokawa e il secondo segmento del film Manie-Manie Meikyu monogatari (il primo è opera di Rintaro, il terzo di Katsuhiro Otomo, il celebre autore di Akira). Inizialmente, anzi, il progetto era nato come cortometraggio di poco più di mezz'ora, ma i produttori rimasero così soddisfatti dal lavoro di Kawajiri da affidargli il compito di farne un lungometraggio, che debuttò nelle sale nipponiche il 25 aprile del 1987 e ottenne un grande successo di pubblico e di critica, oltre a numerose polemiche.
Tratto dal primo romanzo della serie Wicked City, il film è ambientato in una moderna Tokyo di fine XX secolo, in cui l'umanità e demoni abitanti del Mondo Oscuro convivono da secoli rispettando un patto per mantenere la pace, anche se pochi esseri umani sono a conoscenza di questa verità; tuttavia, esiste una fazione di demoni che punta a rompere la pace e per fare ciò intendono eliminare l'ambasciatore del mondo degli umani, l'arzillo vecchietto italiano Giuseppe Maiato. Per proteggerlo, gli vengono affiancate due guardie del corpo, l'umano Renzaburo Taki e la demoniaca Makie, ma le forze che bramano la rottura del trattato sono decise a tutto per ottenere i loro obiettivi, e non si faranno scrupoli per togliere di mezzo il vecchio e le due guardie, accanendosi soprattutto su Makie quando quest'ultima sarà, indirettamente, causa della morte di un altro demone, suo ex-amante. Salvandosi più volte l'un l'altro e conoscendosi meglio, Makie e Taki finiscono, piuttosto prevedibilmente, col mettersi insieme e nella loro unione anzi dovrebbe nascere, stando alle parole finali di Maiato, il primo bambino metà umano e metà demone, simbolo di una nuova era di pace fra i due popoli.
Il lungometraggio si caratterizza per una mescolanza di erotismo, thriller e horror (non sempre ben riuscita, in verità) e da un comparto tecnico accattivante, poiché offre scenari dalla tinte scure (dominanti il nero e il blu) che esaltano l'aspetto noir, animazioni più che buone nelle scene d'azione e nei numerosi combattimenti, e un character design adulto e realistico che rende al meglio la sensualità delle figure femminili e le orride sembianze dei mostri. Il ritmo dell'azione purtroppo cala nella seconda parte del film, dopo un inizio serrato e promettente, mentre la componente erotica (che porta ingiustamente molti a etichettare la pellicola come un hentai) si intreccia spesso e volentieri con quella orrorifica: emblematica è una delle scene iniziali, in cui Taki va a letto con una bellissima donna che si rivelerà essere un demone con una vagina dentata, chiara metafora dell'ansia da castrazione che l'uomo giapponese di fine anni '80 stava vivendo in seguito alla rivoluzione della società e all'emancipazione femminile. In verità, di scene di sesso il film è pieno, presentandoci in più di un'occasione Makie vittima di violenze carnali (stranamente senza opporsi o lamentarsi della cosa) o addirittura un amplesso fra i due protagonisti in una chiesa: sono elementi che potrebbero urtare la sensibilità di qualche spettatore o risultare fastidiosi, e messi lì senza alcun motivo se non quello di soddisfare la perversione dei Giapponesi, ma, se visti all'interno del loro contesto, sottolineano ulteriormente quell'atmosfera cupa, oscura, violenta e perversa che permea la pellicola. Altro elemento che deluderà sicuramente gli spettatori più esigenti è la caratterizzazione dei personaggi, che si basa su stereotipi triti e ritriti (il tenebroso duro che si lascia andare solo a rapporti occasionali con belle donne, la stupenda e intrigante femme fatale, l'antagonista sadico e spietato dallo sguardo minaccioso, il vecchietto libidinoso) e manca di qualsiasi approfondimento o percorso di formazione durante la storia, tant'è vero che la storia d'amore che nascerà fra i due protagonisti risulta, a conti fatti, piuttosto frettolosa e poco credibile (insomma, Makie ha subito da poche ore uno stupro di gruppo e poi, come se nulla fosse, fa sesso con Taki in una chiesa!).
La studiosa di letteratura e cultura giapponese Susan J. Napier ha dedicato grande spazio nel suo libro Anime from Akira to Princess Mononoke all'analisi delle figure femminili della pellicola e delle loro trasformazioni, mettendo in luce come il percorso di Makie, introdotta come personaggio indipendente e più forte del suo collega maschile Taki, poi trasformata in una vittima sacrificale per salvare Maiato e Taki e infine in una figura materna quando rimane incinta del protagonista, rappresenti il ritorno della figura femminile nell'ordine patriarcale in un periodo in cui l'emancipazione femminile coinvolgeva anche il Giappone. Condivisibile o meno questa analisi, La città delle bestie incantatrici resta, pur con i suoi difetti, il primo successo commerciale e di critica di Kawajiri, che vi introduce alcuni degli elementi caratteristici della sua "poetica", e come thriller dalle atmosfere cupe e dall'erotismo "perverso" costituisce una visione gradevole, anche se non eccelsa.
Tratto dal primo romanzo della serie Wicked City, il film è ambientato in una moderna Tokyo di fine XX secolo, in cui l'umanità e demoni abitanti del Mondo Oscuro convivono da secoli rispettando un patto per mantenere la pace, anche se pochi esseri umani sono a conoscenza di questa verità; tuttavia, esiste una fazione di demoni che punta a rompere la pace e per fare ciò intendono eliminare l'ambasciatore del mondo degli umani, l'arzillo vecchietto italiano Giuseppe Maiato. Per proteggerlo, gli vengono affiancate due guardie del corpo, l'umano Renzaburo Taki e la demoniaca Makie, ma le forze che bramano la rottura del trattato sono decise a tutto per ottenere i loro obiettivi, e non si faranno scrupoli per togliere di mezzo il vecchio e le due guardie, accanendosi soprattutto su Makie quando quest'ultima sarà, indirettamente, causa della morte di un altro demone, suo ex-amante. Salvandosi più volte l'un l'altro e conoscendosi meglio, Makie e Taki finiscono, piuttosto prevedibilmente, col mettersi insieme e nella loro unione anzi dovrebbe nascere, stando alle parole finali di Maiato, il primo bambino metà umano e metà demone, simbolo di una nuova era di pace fra i due popoli.
Il lungometraggio si caratterizza per una mescolanza di erotismo, thriller e horror (non sempre ben riuscita, in verità) e da un comparto tecnico accattivante, poiché offre scenari dalla tinte scure (dominanti il nero e il blu) che esaltano l'aspetto noir, animazioni più che buone nelle scene d'azione e nei numerosi combattimenti, e un character design adulto e realistico che rende al meglio la sensualità delle figure femminili e le orride sembianze dei mostri. Il ritmo dell'azione purtroppo cala nella seconda parte del film, dopo un inizio serrato e promettente, mentre la componente erotica (che porta ingiustamente molti a etichettare la pellicola come un hentai) si intreccia spesso e volentieri con quella orrorifica: emblematica è una delle scene iniziali, in cui Taki va a letto con una bellissima donna che si rivelerà essere un demone con una vagina dentata, chiara metafora dell'ansia da castrazione che l'uomo giapponese di fine anni '80 stava vivendo in seguito alla rivoluzione della società e all'emancipazione femminile. In verità, di scene di sesso il film è pieno, presentandoci in più di un'occasione Makie vittima di violenze carnali (stranamente senza opporsi o lamentarsi della cosa) o addirittura un amplesso fra i due protagonisti in una chiesa: sono elementi che potrebbero urtare la sensibilità di qualche spettatore o risultare fastidiosi, e messi lì senza alcun motivo se non quello di soddisfare la perversione dei Giapponesi, ma, se visti all'interno del loro contesto, sottolineano ulteriormente quell'atmosfera cupa, oscura, violenta e perversa che permea la pellicola. Altro elemento che deluderà sicuramente gli spettatori più esigenti è la caratterizzazione dei personaggi, che si basa su stereotipi triti e ritriti (il tenebroso duro che si lascia andare solo a rapporti occasionali con belle donne, la stupenda e intrigante femme fatale, l'antagonista sadico e spietato dallo sguardo minaccioso, il vecchietto libidinoso) e manca di qualsiasi approfondimento o percorso di formazione durante la storia, tant'è vero che la storia d'amore che nascerà fra i due protagonisti risulta, a conti fatti, piuttosto frettolosa e poco credibile (insomma, Makie ha subito da poche ore uno stupro di gruppo e poi, come se nulla fosse, fa sesso con Taki in una chiesa!).
La studiosa di letteratura e cultura giapponese Susan J. Napier ha dedicato grande spazio nel suo libro Anime from Akira to Princess Mononoke all'analisi delle figure femminili della pellicola e delle loro trasformazioni, mettendo in luce come il percorso di Makie, introdotta come personaggio indipendente e più forte del suo collega maschile Taki, poi trasformata in una vittima sacrificale per salvare Maiato e Taki e infine in una figura materna quando rimane incinta del protagonista, rappresenti il ritorno della figura femminile nell'ordine patriarcale in un periodo in cui l'emancipazione femminile coinvolgeva anche il Giappone. Condivisibile o meno questa analisi, La città delle bestie incantatrici resta, pur con i suoi difetti, il primo successo commerciale e di critica di Kawajiri, che vi introduce alcuni degli elementi caratteristici della sua "poetica", e come thriller dalle atmosfere cupe e dall'erotismo "perverso" costituisce una visione gradevole, anche se non eccelsa.
EF - a Tale of Melodies
10.0/10
Se "Memories" è il dettaglio, la pennellata d'autore che dà identità alle emozioni, "Melodies" è la visione d'insieme senza la quale il primo non si completerebbe e, a sua volta, "Melodies" stesso non si compirebbe.
"Memories" e "Melodies" sono infatti due opere compenetrate, strutturate in un unicum che dà forza a entrambe. "Melodies" spiega cosa si cela dietro il palcoscenico di "Memories", ma, nonostante il loro intrecciarsi, riesce comunque a vivere di luce propria: sono come i due lati di un triangolo, illuminati singolarmente, prima di essere svelati dal terzo elemento, il percorso suscitato nello spettatore, in un'unica grande figura geometrica.
Quello che in "Memories" era solo tracciato si compie infatti nell'Otowa australiana. La nuova città, fredda replica dell'originale, si incendia grazie al miracolo compiuto dai suoi protagonisti. Nella prima serie si percepisce l'esistenza di un qualcosa al di là delle vicende messe in onda, ma è nel secondo filone che si assiste alla gestazione del prodigio. Miracolo dunque, un concetto più volte rigettato a turno dai protagonisti dell'anime ("Esistono solo le coincidenze e l'inevitabile" cit.), e infine svelato tra le pieghe dell'intensa luce che permea il personaggio di Yuuko Amamiya. È lei infatti l'artefice, il messo angelico che dà il via a una sequela di eventi concludentisi nella sua stessa ascensione. Yuuko è il personaggio 'cristiano' che agisce nel classico contesto giapponese, un condensato di fatalità, senso del dovere, coerenza estrema e smarrimento. Lei è il vettore di questi archetipi ritratti nei personaggi nipponici che qui intraprendono la strada della redenzione. Il suo desiderio diventa un patto con il divino per portare il bene in un mondo costellato da eventi tragici, sia sociali (terremoto, guerra), sia personali (le esperienze dei protagonisti, anche la sua). E la Otowa australiana, fredda e appena accennata nel primo serial, se non quale scenario del percorso di Renji e Chihiro, diventa il caldo alveo del sogno, l'altro capo di quell'arcobaleno che parte dall'originale in Giappone, a suggellare il patto dei protagonisti con sé stessi e con ciò che vi è celato oltre la scala del cielo (cit.).
C'è qualcosa di speciale in questa opera unica. Nonostante le poche puntate, l'esigua dinamica e alcune scelte stilistiche che ti colgono di sorpresa, percepisci immediatamente di essere dinanzi a un anime come ve ne sono pochi (in tal senso, della specie, ricordo solo "Clannad"). "EF" è un prodotto da far vedere a chi sta male, perché, a mio parere, è una gioia che ti riconcilia con il mondo.
P.S. Guardando "Melodies" in particolare, capisci che spesso si sottovaluta questa forma d'arte. Eppure ci sono cose che ti smuovono qualcosa dentro, come versi distillati dal profondo, colori impressi sulla tela, suoni e melodie che invadono l'aria e disegnano qualcosa dentro di noi. Poteva anche non essere un anime, poteva essere fatto di nulla, ma sarebbe rimasto sempre un capolavoro emotivo.
"Memories" e "Melodies" sono infatti due opere compenetrate, strutturate in un unicum che dà forza a entrambe. "Melodies" spiega cosa si cela dietro il palcoscenico di "Memories", ma, nonostante il loro intrecciarsi, riesce comunque a vivere di luce propria: sono come i due lati di un triangolo, illuminati singolarmente, prima di essere svelati dal terzo elemento, il percorso suscitato nello spettatore, in un'unica grande figura geometrica.
Quello che in "Memories" era solo tracciato si compie infatti nell'Otowa australiana. La nuova città, fredda replica dell'originale, si incendia grazie al miracolo compiuto dai suoi protagonisti. Nella prima serie si percepisce l'esistenza di un qualcosa al di là delle vicende messe in onda, ma è nel secondo filone che si assiste alla gestazione del prodigio. Miracolo dunque, un concetto più volte rigettato a turno dai protagonisti dell'anime ("Esistono solo le coincidenze e l'inevitabile" cit.), e infine svelato tra le pieghe dell'intensa luce che permea il personaggio di Yuuko Amamiya. È lei infatti l'artefice, il messo angelico che dà il via a una sequela di eventi concludentisi nella sua stessa ascensione. Yuuko è il personaggio 'cristiano' che agisce nel classico contesto giapponese, un condensato di fatalità, senso del dovere, coerenza estrema e smarrimento. Lei è il vettore di questi archetipi ritratti nei personaggi nipponici che qui intraprendono la strada della redenzione. Il suo desiderio diventa un patto con il divino per portare il bene in un mondo costellato da eventi tragici, sia sociali (terremoto, guerra), sia personali (le esperienze dei protagonisti, anche la sua). E la Otowa australiana, fredda e appena accennata nel primo serial, se non quale scenario del percorso di Renji e Chihiro, diventa il caldo alveo del sogno, l'altro capo di quell'arcobaleno che parte dall'originale in Giappone, a suggellare il patto dei protagonisti con sé stessi e con ciò che vi è celato oltre la scala del cielo (cit.).
C'è qualcosa di speciale in questa opera unica. Nonostante le poche puntate, l'esigua dinamica e alcune scelte stilistiche che ti colgono di sorpresa, percepisci immediatamente di essere dinanzi a un anime come ve ne sono pochi (in tal senso, della specie, ricordo solo "Clannad"). "EF" è un prodotto da far vedere a chi sta male, perché, a mio parere, è una gioia che ti riconcilia con il mondo.
P.S. Guardando "Melodies" in particolare, capisci che spesso si sottovaluta questa forma d'arte. Eppure ci sono cose che ti smuovono qualcosa dentro, come versi distillati dal profondo, colori impressi sulla tela, suoni e melodie che invadono l'aria e disegnano qualcosa dentro di noi. Poteva anche non essere un anime, poteva essere fatto di nulla, ma sarebbe rimasto sempre un capolavoro emotivo.
Non posso invece condividere l'entusiasmo che traspare dalla recensione su Ef, al quale certamente vanno riconosciuti taluni meriti ma che (a parer mio) è lontanissimo dall'essere valutato con un'eccellenza. Questione di gusti. Io non ho trovato nulla di speciale in quest'opera (che ho comunque valutato con un 8 ) semmai posso dire di aver preferito il prequel... anche se non di molto.
Però direi che è stato troppo stretto col voto
Scherzi a parte LOGH è immenso e se potessi scegliere un'opera a cui dare più di 10 probabilmente sceglierei quella.
Per quanto riguarda melodies tempo fa vidi il predecessore memories (che reputai molto buono pur non essendo il mio genere di elezione) e, vista la rece che ho appena letto, credo che recupererò anche questo.
A dire il vero quando ho concluso la visione non ero tanto sicuro di scrivere le mie considerazioni, non avendo idea di dove iniziare, temendo di omettere qualcosa, di non rendergli pienamente giustizia, ma la tentazione di attribuire di nuovo un 10 dopo anni, e magari di lasciarsi finalmente andare con gli elogi, era troppo alta.
Degli altri due conosco Wicked City (visto addirittura al primo Comicon al quale partecipai, mi pare nel 2009), mentre Melodies ce l'ho in lista, dato che il prequel mi ha convinto. Mi pare di capire che farei bene a guardarlo a breve, prima che dimentichi del tutto gli eventi della prima serie.
Wicked City l'ho visto molto tempo fa, ma non ricordo molto, a parte che è molto spinto. Dovrei rispolverarlo.
Sugli EF non mi ci sono ancora cimentato, o meglio, ci avevo provato con la prima serie, ma l'ho mollata al primo episodio, mi aveva fatto una cattiva impressione, ma ci tornerò su.
Ti consiglio solo, in futuro, di dividere in paragrafi i tuoi scritti, che così sembra meno un wall of text e meno un "mattone" (non lo è affatto, ma qualcuno direbbe che sembra troppo lunga così).
Stranamente sono d'accordo con le "casuali" recensioni scelte sempre da metalgear
LOGH non l'ho mai visto né ho intenzione di farlo, credo sia una serie sopravvalutatissima u.u
Scherzi a parte, se avete la possibilità guardatevelo, anche se purtroppo in italiano non ci sono tutte le puntate e il progetto di fansub è ripartito dopo una lunga pausa, tant'è vero che io ho seguito tutta la serie coi sub della lingua di Albione. E' una serie bellissima, profondissima, che parla di strategia militare, politica e storia in una maniera piacevolissima, con dei personaggi davvero carismatici e particolari, personalmente quei 110 episodi non mi sono pesati e ci sono anzi rimasto male quand'è finita, ne avrei voluti di più. E poi ha una colonna sonora e un doppiaggio della Madonna! Non credo esista un'opera di animazione paragonabile ad essa e personalmente è diventata la mia preferita.
Non ho visto invece nessuno dei due EF.
Wicked City non lo conosco ma pare interessante, in particolare quel tipo di disegno
EF - a Tale of Melodies l'ho visto però non so se si merita il massimo dei voti perché ricordo che, nonostante le belle atmosfere e il tema curioso, c'erano alcune cose che non andavano bene.
In ogni caso complimenti ai recensori!
Complimenti ai 3 recensori.
Del film ho apprezzato molto l'atmosfera tenebrosa, i disegni e le animazioni, davvero peculiari ed eccellenti per il periodo, per i quali avrei dato almeno un punto extra sul voto finale.
Complimenti agli autori selezionati!
Non ho mai nemmeno capito cosa ci troviate nella scena di sesso in chiesa. I giapponesi non sono cristiani e nemmeno comprendono cosa sia esattamente il cristianesimo, per loro è solo un elemento scenografico e non una bestemmia.
Avesse girato una scena così un occidentale, non gliel'avrei mai perdonata; ma se mi stupisse da un anime, avrei cambiato hobby tanto tempo fa...ho visto anime e manga ben più blasfemi di questo.
L'unica cosa che mi dà "fastidio" di quella scena è che avvenga poche ore dopo uno stupro, e diciamo che trovo poco credibile che una donna subisca uno stupro di gruppo, che dovrebbe essere un'esperienza devastante e drammatica (fra l'altro per come è stato realizzato quello stupro non sembra neanche tanto drammatico, ma lasciamo stare), e poco dopo sia tutta contenta di far sesso (anche se consenziente e con la persona che ama). Va bene che è un anime ma non un hentai! Penso che un minimo di shock, di repulsione verso l'atto dovrebbe esserci.
Il fatto che avvenga proprio in una chiesa non mi crea problemi, ma potrebbe esserci gente che ne viene urtata, è un punto di vista che va rispettato...
Se poi certe scene infastidiscono, cosa guardate a fare un film dichiaratamente erotico?
I mostri agiscono così: puniscono stuprando e nel modo più subdolo, facendolo piacere alla vittima.
Il maschilismo poi è all'ordine del giorno negli anime.
Come si pone lo Stair di quest'affermazione con quello che ha adorato il manga di DevilLady?
Ma non ho mai detto che di Devillady amo le reazioni della protagonista agli stupri (che non sono comunque sempre e solo di semplice godimento)! Anche se comunque Nagai fin dalle prime pagine la mostra come una ninfomane posseduta (ma non credo di poter scendere nei dettagli qui); se anche Makie di Wicked City fosse stata presentata come una ninfomane avrebbe avuto senso quello che le succede dopo.
E comunque vorrei chiarire una cosa, nel caso qualcuno avesse il sospetto che ho penalizzato il film per questo discorso: il 7 non l'ho dato certo per questo elemento, che non ho nemmeno fatto pesare come grosso difetto, ma perché come opera non ritenevo meritasse più di 7.
Considerando che per me il film in questione è un pornazzo mascherato da action horror, trovo sbagliato lamentarsi di questioni come la donna che gode mentre viene stuprata, è come lamentarsi di scene di nudo in un erotico. È sicuramente inverosimile e di cattivo gusto, ma insomma è un rituale immancabile in questo genere.
Comunque era giusto un'osservazione, niente di che. A me sto film fa schifo, gli dò 4 per la noia imperante che mi ha trasmesso (nonostante la regia raffinatissima di Kawajiri).
Mah, erotico non significa necessariamente stupro, infatti delle altre scene di sesso non mi sono affatto lamentato (nemmeno di quel pseudo-tentacle rape che coinvolge sempre Makie), anzi le ho apprezzate parecchio e alcune, come quelle della vagina dentata e della donna che cerca di assorbire il vecchietto, rafforzano l'idea alla base del film, dell'uomo che è spaventato dalla "rivoluzione femminista" e che vive l'ansia di castrazione o la paura inconscia di essere riassorbito nell'utero materno.
Poi la paura del femminismo...mah, allora perché l'unica donna che a Taki non interessa è proprio la tradizionalissima collega? Cercate troppi significati nascosti in questo film.
A sto giro voglio vedere (anche se sono anni) le due serie di EF - A Tale of Melodies/Memories e la lunghissima di Legend of Galactic Heroes...
Prima o poi le vedrò
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