Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Oggi ci dedichiamo a film anime, con i lungometraggi Kanashimi no Belladonna, Ashura e Utena - Apocalisse adolescenziale.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
Oggi ci dedichiamo a film anime, con i lungometraggi Kanashimi no Belladonna, Ashura e Utena - Apocalisse adolescenziale.
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
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Kanashimi no Belladonna
10.0/10
Recensione di AkiraSakura
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"Kanashimi no belladonna", alias "Belladonna della tristezza", è una rilettura dell'emancipazione femminile in chiave psichedelica e post-moderna. Concepito originariamente da Osamu Tezuka e diretto da Eiichi Yamamoto, questo film è l'ultimo della trilogia Animerama, comprendente "Cleopatra" e "A Thousand & one Nights", entrambi diretti da Tezuka stesso prima del suo abbandono della Mushi Productions per dedicarsi completamente ai manga. Misconosciuto e intellettualoide capolavoro visivo anni '70, "Kanashimi no belladonna" è un concentrato di arte visuale decisamente d'avanguardia.
In un medioevo atavico ed archetipale, la bellissima Junnu vuole sposare un pover'uomo, Jun, che non è in grado di pagarsi la dote. Il feudatario locale, evidente simbolo dell'opprimente potere patriarcale, dopo aver rifiutato la cerimonia con una perversa forma di "jus primae noctis" violenta e fa violentare dai suoi accoliti la promessa sposa. Nella sua disperazione Junnu entra in contatto con un demone di forma fallica simboleggiante la volontà di potenza ed il progresso socio-culturale, fattori che permettono alla donna di acquisire l'indipendenza e la libertà sessuale. La vicenda si evolve attraverso un viaggio lisergico pieno di citazioni alla pittura di Klimt, all'elegante tratto di Guido Crepax e ai vari stili di pittura moderni (graffiti, acquarello, pastello...) Il finale è sconcertante e denso di simbolismi e molteplici livelli di lettura.
Composto prevalentemente da veri e propri quadri, "Kanashimi no belladonna" gioca di contrappunto con la staticità dei frame immobili di sovente "squarciati" delle poche scene effettivamente animate, metafore del moto assoluto indotto dalla volontà che s'incarna in falli, fuochi ardenti e richiami orgiastici. E' comunque errato catalogare questo film come hentai, in quanto il nudo viene presentato in modo puramente artistico e simbolico. Si assiste infatti al trionfo della bellezza delle forme femminili, all'eleganza e alla meraviglia del rapporto sessuale inteso come estasi dello spirito e dei sensi.
Punto di forza del lungometraggio sono indubbiamente le musiche, in pieno stile rock progressivo anni '70 e reminescenti di Miles Davis, Gong (in particolare la triologia di vinili di "Radio Gnome") e primi Pink Floyd. "Kanashimi no belladonna" è infatti uscito nel 1973, in pieno climax da beat generation, contestazioni studentesche e indipendenza femminile.
Quando "Kanashimi no belladonna" sfocia nell'horror, lo fa con una moltitudine di colori e uno stile pittorico molto particolare, che penso abbia in parte ispirato le trovate grafiche della più recente serie animata "Mononoke", altro prodotto originalissimo che guardacaso è anch'esso un'analisi psicologica a tinte macabre e inquietanti sulla condizione della donna nella modernità.
In conclusione, "Kanashimi no belladonna" è un film d'animazione per tutti e per nessuno, pertanto è molto difficile assegnare una valutazione oggettiva. Sicuramente non è adatto al pubblico medio, essendo troppo erotico per l'audience infantile e troppo cerebrale per i cultori dell'eros. Questo fatto è testimoniato dal suo completo flop commerciale, che contribuì tra l'atro a mandare la Mushi Productions in bancarotta. Mi sento comunque di consigliarlo a chi ama il cinema sperimentale, a chi pensa di avere un po' di "estro artistico" e a chi apprezza il trionfante rock progressivo anni '70. Infatti vedrete scorrere nel film immagini simili alle copertine dei vostri LP preferiti: "Nuda" dei Garybaldi, "Climbing!" dei Mountain, "Felona e Sorona" delle Orme...
In un medioevo atavico ed archetipale, la bellissima Junnu vuole sposare un pover'uomo, Jun, che non è in grado di pagarsi la dote. Il feudatario locale, evidente simbolo dell'opprimente potere patriarcale, dopo aver rifiutato la cerimonia con una perversa forma di "jus primae noctis" violenta e fa violentare dai suoi accoliti la promessa sposa. Nella sua disperazione Junnu entra in contatto con un demone di forma fallica simboleggiante la volontà di potenza ed il progresso socio-culturale, fattori che permettono alla donna di acquisire l'indipendenza e la libertà sessuale. La vicenda si evolve attraverso un viaggio lisergico pieno di citazioni alla pittura di Klimt, all'elegante tratto di Guido Crepax e ai vari stili di pittura moderni (graffiti, acquarello, pastello...) Il finale è sconcertante e denso di simbolismi e molteplici livelli di lettura.
Composto prevalentemente da veri e propri quadri, "Kanashimi no belladonna" gioca di contrappunto con la staticità dei frame immobili di sovente "squarciati" delle poche scene effettivamente animate, metafore del moto assoluto indotto dalla volontà che s'incarna in falli, fuochi ardenti e richiami orgiastici. E' comunque errato catalogare questo film come hentai, in quanto il nudo viene presentato in modo puramente artistico e simbolico. Si assiste infatti al trionfo della bellezza delle forme femminili, all'eleganza e alla meraviglia del rapporto sessuale inteso come estasi dello spirito e dei sensi.
Punto di forza del lungometraggio sono indubbiamente le musiche, in pieno stile rock progressivo anni '70 e reminescenti di Miles Davis, Gong (in particolare la triologia di vinili di "Radio Gnome") e primi Pink Floyd. "Kanashimi no belladonna" è infatti uscito nel 1973, in pieno climax da beat generation, contestazioni studentesche e indipendenza femminile.
Quando "Kanashimi no belladonna" sfocia nell'horror, lo fa con una moltitudine di colori e uno stile pittorico molto particolare, che penso abbia in parte ispirato le trovate grafiche della più recente serie animata "Mononoke", altro prodotto originalissimo che guardacaso è anch'esso un'analisi psicologica a tinte macabre e inquietanti sulla condizione della donna nella modernità.
In conclusione, "Kanashimi no belladonna" è un film d'animazione per tutti e per nessuno, pertanto è molto difficile assegnare una valutazione oggettiva. Sicuramente non è adatto al pubblico medio, essendo troppo erotico per l'audience infantile e troppo cerebrale per i cultori dell'eros. Questo fatto è testimoniato dal suo completo flop commerciale, che contribuì tra l'atro a mandare la Mushi Productions in bancarotta. Mi sento comunque di consigliarlo a chi ama il cinema sperimentale, a chi pensa di avere un po' di "estro artistico" e a chi apprezza il trionfante rock progressivo anni '70. Infatti vedrete scorrere nel film immagini simili alle copertine dei vostri LP preferiti: "Nuda" dei Garybaldi, "Climbing!" dei Mountain, "Felona e Sorona" delle Orme...
Asura
5.0/10
Recensione di grandebonzo
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Non solo periodo di battaglie leggendarie ed eroici condottieri, i torbidi dell'Epoca Sengoku nascondono, nei loro più oscuri meandri, una disturbante realtà: in un Paese martoriato da guerre intestine e catastrofi naturali, a fare da fosco retroscena alle gloriose gesta dei samurai sono infatti carestie, devastazioni e miseria. Un quadro dalla tinte fosche, che incornicia una greve disperazione, fatta di uomini senza prospettive, straziati e resi spietati da fame e privazioni, insensibili a qualsiasi solidarietà e dimentichi di ogni freno inibitore. Tra le lande desolate della Kyoto di fine '500, in un sordido tugurio, viene alla luce Asura, bambino-bestia che porta sul corpo le cicatrici di un'umanità ormai alla deriva: sopravvissuto a un prematuro destino di morte, ignaro di qualsiasi convenzione sociale, dovrà farsi strada attraverso gli orrori di un mondo sull'orlo dell'abisso, un mondo in cui una madre può pensare addirittura di cibarsi del proprio figlio.
Per un demone che parla solo il linguaggio della violenza - traslato fin troppo esplicito della natura umana - esiste possibilità di redenzione?
Ciò che a prima vista colpisce della pellicola diretta da Keichi Sato, già salito agli onori delle cronache per la regia di "Tiger & Bunny", è la scelta alquanto discutibile di animarla interamente in computer grafica. Se da un lato il non volersi affidare ai disegni tradizionali permette la realizzazione di notevoli effetti speciali e di fondali caratterizzati da un'estrema cura per il dettaglio, dall'altro presenta, soprattutto in relazione alle figure umane, animazioni legnose e innaturali, nonché una totale inespressività dei volti. Un autentico delitto, perché il sapiente utilizzo di una paletta di colori lividi e sanguigni ben si fonde con la follia delle vicende raccontate: tra lune immense, foreste spettrali, campi riarsi e tramonti fiammeggianti, le sensazioni trasmesse, soffocanti come la crudeltà dei temi trattati, si amplificano in iperboliche rappresentazioni. Pure gli accompagnamenti musicali, caratterizzati da una vena orchestrale assai ispirata, sanno esaltare l'atmosfera opprimente del film, ma, così come il setting, non trovano adeguata intensità nei personaggi, burattini senz'anima privi di forza comunicativa.
Nonostante le perplessità sulle scelte stilistiche, tuttavia, i maggiori difetti dell'opera si riscontrano nella sceneggiatura, incapace, a causa di una narrazione a tratti ridicola, di coniugare ambizioni speculative a una trama solida e verosimile. Se negli intenti programmatici c'era - e mi sembra piuttosto evidente - il desiderio di comporre un affresco storico refrattario a idealizzazioni, mi domando come sia stato possibile caratterizzare il protagonista in maniera così palesemente grottesca e 'fantasiosa': corpo ignifugo, resistente a rovinose cadute tra precipizi di roccia, capace di compiere balzi scimmieschi e dotato di una forza erculea, nonostante dimensioni fisiche lillipuziane. Tutte qualità incongrue con un realismo spesso cercato con morbosa insistenza, e inutili sul piano narrativo.
Ancora più incomprensibili appaiono però le forzature operate sulla crescita interiore del ferino Asura: da bestia assetata di sangue incapace persino di proferir parola, si scopre improvvisamente, ma senza giustificazione, fine disquisitore di concetti filosofici vertenti sulla natura umana e sul senso della vita. Riflessioni focalizzate sulla dualità dell'anima che si rivelano però piuttosto superficiali, e che raggiungono l'apice della banalità nella metaforica dicotomia tra paesaggi bucolici e scene colme di orrore.
Non danno un contributo apprezzabile nemmeno gli altri personaggi 'positivi', i quali, lungi dall'essere il sospirato appiglio di questo mondo disumanizzato, sembrano piuttosto mossi o da una patinata moralità (Wakasa) o da un desiderio di stupire totalmente fuori contesto (il monaco).
Potenzialmente interessante, "Asura" si rivela a mio avviso un'operazione mal riuscita, un'opera pretenziosa minata da un ingiustificato sensazionalismo e da trovate degne dello shōnen più ingenuo, difetti evidenti che ne offuscano la 'credibilità' storica ed etica. Si salvano alcuni arditi espedienti visivi, nulla più che un apprezzabile, ma impersonale esercizio di stile.
Per un demone che parla solo il linguaggio della violenza - traslato fin troppo esplicito della natura umana - esiste possibilità di redenzione?
Ciò che a prima vista colpisce della pellicola diretta da Keichi Sato, già salito agli onori delle cronache per la regia di "Tiger & Bunny", è la scelta alquanto discutibile di animarla interamente in computer grafica. Se da un lato il non volersi affidare ai disegni tradizionali permette la realizzazione di notevoli effetti speciali e di fondali caratterizzati da un'estrema cura per il dettaglio, dall'altro presenta, soprattutto in relazione alle figure umane, animazioni legnose e innaturali, nonché una totale inespressività dei volti. Un autentico delitto, perché il sapiente utilizzo di una paletta di colori lividi e sanguigni ben si fonde con la follia delle vicende raccontate: tra lune immense, foreste spettrali, campi riarsi e tramonti fiammeggianti, le sensazioni trasmesse, soffocanti come la crudeltà dei temi trattati, si amplificano in iperboliche rappresentazioni. Pure gli accompagnamenti musicali, caratterizzati da una vena orchestrale assai ispirata, sanno esaltare l'atmosfera opprimente del film, ma, così come il setting, non trovano adeguata intensità nei personaggi, burattini senz'anima privi di forza comunicativa.
Nonostante le perplessità sulle scelte stilistiche, tuttavia, i maggiori difetti dell'opera si riscontrano nella sceneggiatura, incapace, a causa di una narrazione a tratti ridicola, di coniugare ambizioni speculative a una trama solida e verosimile. Se negli intenti programmatici c'era - e mi sembra piuttosto evidente - il desiderio di comporre un affresco storico refrattario a idealizzazioni, mi domando come sia stato possibile caratterizzare il protagonista in maniera così palesemente grottesca e 'fantasiosa': corpo ignifugo, resistente a rovinose cadute tra precipizi di roccia, capace di compiere balzi scimmieschi e dotato di una forza erculea, nonostante dimensioni fisiche lillipuziane. Tutte qualità incongrue con un realismo spesso cercato con morbosa insistenza, e inutili sul piano narrativo.
Ancora più incomprensibili appaiono però le forzature operate sulla crescita interiore del ferino Asura: da bestia assetata di sangue incapace persino di proferir parola, si scopre improvvisamente, ma senza giustificazione, fine disquisitore di concetti filosofici vertenti sulla natura umana e sul senso della vita. Riflessioni focalizzate sulla dualità dell'anima che si rivelano però piuttosto superficiali, e che raggiungono l'apice della banalità nella metaforica dicotomia tra paesaggi bucolici e scene colme di orrore.
Non danno un contributo apprezzabile nemmeno gli altri personaggi 'positivi', i quali, lungi dall'essere il sospirato appiglio di questo mondo disumanizzato, sembrano piuttosto mossi o da una patinata moralità (Wakasa) o da un desiderio di stupire totalmente fuori contesto (il monaco).
Potenzialmente interessante, "Asura" si rivela a mio avviso un'operazione mal riuscita, un'opera pretenziosa minata da un ingiustificato sensazionalismo e da trovate degne dello shōnen più ingenuo, difetti evidenti che ne offuscano la 'credibilità' storica ed etica. Si salvano alcuni arditi espedienti visivi, nulla più che un apprezzabile, ma impersonale esercizio di stile.
Recensione di Kabutomaru
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Anno 1999: Kunihiro Ikuhara, regista di due stagioni di "Sailor Moon", sale sull'altare dei grandi registi con il capolavoro televisivo "La Rivoluzione di Utena", portando in animazione un nuovo modo autoriale di raccontare storie, in cui l'intreccio si dipana attraverso frequenti simbolismi e metafore che rivoluzioneranno completamente i canoni dello shoujo, rovesciando al contempo gli archetipi della fiaba classica. Il progetto del gruppo Be-Papas, di cui Ikuhara fa parte, consiste nel preparare un soggetto la cui storia verrà sviluppata differentemente in ogni media (serie TV, manga, film, videogiochi, etc.). Con "Utena la filettè revolutionnaire The Movie: Apocalisse Adolescenziale", il regista firma un remake cinematografico dall'esigua durata di ottanta minuti e che ha tutt'altro svolgimento rispetto alla serie televisiva, donando al mondo del cinema uno dei più grandi, eccentrici, anti-commerciali, anti-conformisti e visionari film d'animazione.
La storia prende spunto dall'incipit originale, mostrando l'arrivo di Utena Tenjo all'accademia Othori, dove incontra una ragazza di nome Anthy Himemiya, chiamata dai duellanti La Sposa della Rosa, e venendo da essi contesa come trofeo a seguito di un duello. Utena in modo rocambolesco riesce a battere lo sbruffone Sayonji e fa sua Himemiya: dovrà perciò proteggerla dalle mire degli altri duellanti e gestire quello che si annuncia subito un complicato rapporto.
Sebbene abbia fatto uno sforzo per redigere una breve sinossi, è estremamente riduttivo ridurre un'opera di tale portata a un breve riassunto.
La forza del film non risiede assolutamente nella sua trama, che è praticamente labile, per non dire inesistente, poiché l'architettura della pellicola si basa su una serie continua e suggestiva di flussi di immagini dalla forte carica visionaria. Non tutto ha un senso e delle volte il regista ci marcia benissimo sopra (vedere i siparietti delle ombre): se volete ricondurre tutto alla razionalità fallirete miseramente, il puzzle costruito non ha una forma univoca, ognuno può vedervi quello che vuole nella miriade di simbolismi e oggetti. Nonostante questo, la bravura del regista rende l'intera serie ben lungi dall'essere un vuoto contenitore, visto che in alcune scene chiave emerge chiaramente la sua visione. Infatti, l'accademia rappresenta chiaramente il luogo dell'ordine e del conformismo voluto dalla società, nel cui involucro tutti sono "morti pur restando in vita".
Come e soprattutto chi può uscire da questo mondo chiuso e soffocante? Il titolo del film "Apocalisse Adolescenziale" viene in soccorso allo spettatore. Solo l'adolescente e non l'adulto può cambiare lo stato delle cose, perché quest'ultimo è una persona già formata e insita nei grigi meccanismi di questo mondo. L'adolescente è una persona in cammino, che può sperimentare, valutare e quindi cambiare, plasmando continuamente la sua identità sessuale (nel film è questo lo scopo principale), politica, culturale e così via. Questa ribellione al soffocante conformismo sociale è ben rappresentata con la metafora della fuga in macchina da parte di Anthy e Utena, che si ribellano allo stato delle cose. Certo, la realtà può essere grigia, dura, inospitale e desolante, ma è il prezzo da pagare per poter finalmente vivere e abbandonare l'opprimente accademia. Spogliati da tutto ciò che si era in precedenza si è nudi in questo mondo senza alcuna strada tracciata, ma Utena e Anthy grazie al loro reciproco legame potranno affrontare questa desolante realtà e creare insieme una strada nuova.
Il film, a differenza dell'omonima serie TV, è un modo anche per scavare a fondo nel rapporto tra Utena e Anthy, il quale risulta sessualmente molto più esplicito. Seppur si presenti con capelli corti e abiti maschili, lontano da tutti e solo in presenza di Anthy, Utena si mostra tremendamente fragile e femminile. Anthy rispetto alla controparte televisiva è molto più disinibita e libera, ma allo stesso tempo schiava del suo ruolo di Sposa della Rosa. L'intero film può infatti anche essere letto in chiave fiabesca, in cui il principe (Utena) tenta di salvare la principessa (Anthy) dal castello in cui è rinchiusa (accademia).
Per quel che riguarda il comparto tecnico, si nota chiaramente il netto miglioramento rispetto alla povertà della serie televisiva. Se in quest'ultima Ikuhara poteva dare di certo sfogo alla sua visionarietà, certo era limitato dal basso budget concessogli, non di rado costretto a riciclare le medesime sequenze e a sopperire con la regia e giochi di luce agli sfondi carenti. Nel lungometraggio fortunatamente non è più così: grazie all'alto budget si resta ammaliati dall'alto sfarzo grafico e l'artista può dar sfogo a sequenze visionarie e oniriche molto suggestive, dando pieno sfogo al suo divino estro registico, avvalendosi di una messa in scena teatrale che brilla in scene di grande impatto come la sequenza del duello tra Juri e Utena, la fuga in autostrada di Anthy e soprattutto la scena clou del film, Akio che avanza a passo lento ma deciso e sotto di lui la strada scorre in senso opposto (una scena assurda e irreale, ma poco importa, perché il risultato di ciò è sicuramente riuscito).
Anche l'accademia, nonostante rappresenti il luogo dell'ordine, è rappresentata in modo scomposto, con le sue strutture che si muovono senza alcuna logica, forse simbolo dello stato d'animo degli studenti, ognuno dei quali cerca la propria identità in questo mondo.
Insomma, Kunihiko Ikuhara non si lascia piegare dalle logiche di mercato che negli ultimi anni hanno ridotto i registi a mere marionette nelle mani delle case di produzione, e crea uno dei film più anti-commerciali di sempre. Le sue opere sono anti-convenzionali e colme di una forte componente autoriale che costringe lo spettatore a sottostare alle sue regole, invitandolo ad andare oltre la propria convenzionale idea di cinema, pena restare chiuso e limitato nelle regole filmiche e seriali imposte dalle case di produzione. Ikuhara crea, dopo l'Utena televisiva, il suo secondo capolavoro, molto probabilmente il miglior film d'animazione degli anni '90, tanto da ergersi a emblema del cinema post-moderno.
Se vogliamo trovarvi un difetto, ma giusto uno, si può dire che, pur essendo un remake dell'omonima serie TV, il film non ne è indipendente: in esso ne sono ripresi termini e situazioni, rendendo di fatti un obbligo la visione del predecessore. Ma a parte questo trascurabile neo, chi ama Ikuhara e i film ermetici proverà immensa gioia nel decifrare i vari simbolismi (anche se a volte sin troppo estremi e non-sense); chi deciderà di non fare neanche un tentativo resterà chiuso per sempre nelle sue convenzioni, continuando a non andare oltre il proprio naso.
La storia prende spunto dall'incipit originale, mostrando l'arrivo di Utena Tenjo all'accademia Othori, dove incontra una ragazza di nome Anthy Himemiya, chiamata dai duellanti La Sposa della Rosa, e venendo da essi contesa come trofeo a seguito di un duello. Utena in modo rocambolesco riesce a battere lo sbruffone Sayonji e fa sua Himemiya: dovrà perciò proteggerla dalle mire degli altri duellanti e gestire quello che si annuncia subito un complicato rapporto.
Sebbene abbia fatto uno sforzo per redigere una breve sinossi, è estremamente riduttivo ridurre un'opera di tale portata a un breve riassunto.
La forza del film non risiede assolutamente nella sua trama, che è praticamente labile, per non dire inesistente, poiché l'architettura della pellicola si basa su una serie continua e suggestiva di flussi di immagini dalla forte carica visionaria. Non tutto ha un senso e delle volte il regista ci marcia benissimo sopra (vedere i siparietti delle ombre): se volete ricondurre tutto alla razionalità fallirete miseramente, il puzzle costruito non ha una forma univoca, ognuno può vedervi quello che vuole nella miriade di simbolismi e oggetti. Nonostante questo, la bravura del regista rende l'intera serie ben lungi dall'essere un vuoto contenitore, visto che in alcune scene chiave emerge chiaramente la sua visione. Infatti, l'accademia rappresenta chiaramente il luogo dell'ordine e del conformismo voluto dalla società, nel cui involucro tutti sono "morti pur restando in vita".
Come e soprattutto chi può uscire da questo mondo chiuso e soffocante? Il titolo del film "Apocalisse Adolescenziale" viene in soccorso allo spettatore. Solo l'adolescente e non l'adulto può cambiare lo stato delle cose, perché quest'ultimo è una persona già formata e insita nei grigi meccanismi di questo mondo. L'adolescente è una persona in cammino, che può sperimentare, valutare e quindi cambiare, plasmando continuamente la sua identità sessuale (nel film è questo lo scopo principale), politica, culturale e così via. Questa ribellione al soffocante conformismo sociale è ben rappresentata con la metafora della fuga in macchina da parte di Anthy e Utena, che si ribellano allo stato delle cose. Certo, la realtà può essere grigia, dura, inospitale e desolante, ma è il prezzo da pagare per poter finalmente vivere e abbandonare l'opprimente accademia. Spogliati da tutto ciò che si era in precedenza si è nudi in questo mondo senza alcuna strada tracciata, ma Utena e Anthy grazie al loro reciproco legame potranno affrontare questa desolante realtà e creare insieme una strada nuova.
Il film, a differenza dell'omonima serie TV, è un modo anche per scavare a fondo nel rapporto tra Utena e Anthy, il quale risulta sessualmente molto più esplicito. Seppur si presenti con capelli corti e abiti maschili, lontano da tutti e solo in presenza di Anthy, Utena si mostra tremendamente fragile e femminile. Anthy rispetto alla controparte televisiva è molto più disinibita e libera, ma allo stesso tempo schiava del suo ruolo di Sposa della Rosa. L'intero film può infatti anche essere letto in chiave fiabesca, in cui il principe (Utena) tenta di salvare la principessa (Anthy) dal castello in cui è rinchiusa (accademia).
Per quel che riguarda il comparto tecnico, si nota chiaramente il netto miglioramento rispetto alla povertà della serie televisiva. Se in quest'ultima Ikuhara poteva dare di certo sfogo alla sua visionarietà, certo era limitato dal basso budget concessogli, non di rado costretto a riciclare le medesime sequenze e a sopperire con la regia e giochi di luce agli sfondi carenti. Nel lungometraggio fortunatamente non è più così: grazie all'alto budget si resta ammaliati dall'alto sfarzo grafico e l'artista può dar sfogo a sequenze visionarie e oniriche molto suggestive, dando pieno sfogo al suo divino estro registico, avvalendosi di una messa in scena teatrale che brilla in scene di grande impatto come la sequenza del duello tra Juri e Utena, la fuga in autostrada di Anthy e soprattutto la scena clou del film, Akio che avanza a passo lento ma deciso e sotto di lui la strada scorre in senso opposto (una scena assurda e irreale, ma poco importa, perché il risultato di ciò è sicuramente riuscito).
Anche l'accademia, nonostante rappresenti il luogo dell'ordine, è rappresentata in modo scomposto, con le sue strutture che si muovono senza alcuna logica, forse simbolo dello stato d'animo degli studenti, ognuno dei quali cerca la propria identità in questo mondo.
Insomma, Kunihiko Ikuhara non si lascia piegare dalle logiche di mercato che negli ultimi anni hanno ridotto i registi a mere marionette nelle mani delle case di produzione, e crea uno dei film più anti-commerciali di sempre. Le sue opere sono anti-convenzionali e colme di una forte componente autoriale che costringe lo spettatore a sottostare alle sue regole, invitandolo ad andare oltre la propria convenzionale idea di cinema, pena restare chiuso e limitato nelle regole filmiche e seriali imposte dalle case di produzione. Ikuhara crea, dopo l'Utena televisiva, il suo secondo capolavoro, molto probabilmente il miglior film d'animazione degli anni '90, tanto da ergersi a emblema del cinema post-moderno.
Se vogliamo trovarvi un difetto, ma giusto uno, si può dire che, pur essendo un remake dell'omonima serie TV, il film non ne è indipendente: in esso ne sono ripresi termini e situazioni, rendendo di fatti un obbligo la visione del predecessore. Ma a parte questo trascurabile neo, chi ama Ikuhara e i film ermetici proverà immensa gioia nel decifrare i vari simbolismi (anche se a volte sin troppo estremi e non-sense); chi deciderà di non fare neanche un tentativo resterà chiuso per sempre nelle sue convenzioni, continuando a non andare oltre il proprio naso.
Visto con due compagne di corso in Giappone e a tutti ha fatto a dir poco schifo. Se è quello lì merita 0...
Visto con due compagne di corso in Giappone e a tutti ha fatto a dir poco schifo.
Ahimè, ormai il pubblico è troppo abituato alla pappa pronta e non si sforza neanche pochino di interpretare i messaggi che un regista sapientemente nasconde nella sua opera. E questo spiega inoltre perchè Miyazaki è innalzato a Dio mentre gente come Oshii e Ikuhara non sono minimamente considerati.
Kanashimi no Belladonna ottima pellicola vintage, provocatoria e dallo spirito deliziosamente seventies.
A chi devo ringraziare per ciò ^^ ?
Comunque credo che il tema che unisce questi tre lungometraggi sia lo sperimentalismo, anche se gli altri due non li ho visti, ma vedendo le immagini e leggendo le recensioni di Akirasakura e grandebonzo, credo di averci preso.
Nonostante grandebonzo sia negativo con il film, direi che mi ha interessato non poco invece XD. Credo che dalle negatività ce sottolinea potrei ritrovarci delle positività...
Volevo scrivere qualche cosa in più, ma veniva una recensione lunghissima (la prima bozza era di 4 pagine word, sin troppo insomma XD), quindi ho dovuto eliminare alcune cose riguardanti la figura di Touga o le splendide musiche di J:A Seazer. Comunque il film l'ho rivisto circa un mese fa, e...sarei seriamente intenzionato a dargli anche un 10 tondo visto che è praticamente perfetto, ma ci sono cose che non ho compreso al 100 %.
Forse il più grande film d'animazione degli anni 90, o almeno da TOP 3 di quel decennio c'è di sicuro. Comunque in una TOP 10-20 dei migliori film d'animazione della storia, sto film vi entra di diritto.
Ha una regia che è superlativa, con 4-5 sequenze che sono divine, un approccio disinibito al massimo verso la trama, anti-conformista al massimo, temi profondi e interessanti, una fusione tra immagini e musica perfetta...se ci aggiungiamo che è stato fatto con appena 120 milioni di yen (in pratica niente...circa un milione di euro) è a dir poco incredibile.
Insomma Ikuhara con 10 milioni di euro che farebbe? Quarto Potere dell'animazione? Forse è meglio che lavora con pochi soldi, la carenza di mezzi aiuta ad ingegnarti e usare il mezzo cinematografico per inventarti qualcosa di nuovo.
"Il film di Utena è quello in cui lei si trasforma in un'automobile?
Visto con due compagne di corso in Giappone e a tutti ha fatto a dir poco schifo. Se è quello lì merita 0..."
Si è quello in cui si trasforma in auto...
Schifo...cavolicchio, ma ragionarci due secondi è troppo? Cioè è un film che se si è visto Utena, è capibile (ameno nei suoi significati più immediati). Lo dico io che i film ermetici soggettivamente li detestavo, poi ho visto Ikuhara e ho spremuto un pò il mio cervello e...il risultato s'è vistoXD.
Belladonna vorrei recuperarlo, ho già letto diverse recensioni positive e sono incuriosito dallo stile grafico davvero ricercato.
Complimenti agli autori!
Interessante può essere (è un parare soggettivo, può sicuramente piacere di più), variegato boh, complesso proprio no, nel modo più assoluto.
In primis perché Penguindrum, nel bene o nel male, ripropone tante idee già esplorate in Utena, e in secondo luogo perché scavando nei vari livelli di lettura c'è veramente un'immensità di contenuti dietro.
Penguindrum, che è pure più corto, non credo ci si avvicini nemmeno.
Ma d'altronde Utena è stato capito da pochi nel 1997, figuriamoci ora che la gente è abituata a spegnere il cervello quando guarda anime (dev'essere successo per forza qualcosa se 15 anni fa venivano scelte per essere adattate robe come Seikai no Monshō e ora la light novel tipo è Haganai).
No purtroppo, devi prima vederti la serie TV, perchè nel film Ikuhara fa riferimento a concetti a situazioni ampiamente trattate nella serie TV e che quindi presuppongono la conoscenza della stessa.
In primis perché Penguindrum, nel bene o nel male, ripropone tante idee già esplorate in Utena, e in secondo luogo perché scavando nei vari livelli di lettura c'è veramente un'immensità di contenuti dietro.
Penguindrum, che è pure più corto, non credo ci si avvicini nemmeno.
Mawaru affronta tante idee già mostrate in Utena ma la stessa Utena affronta idee già presenti in Sailor moon S. Il riciclo di tematiche ( con uno stesso autore poi ) non deve assolutamente essere un punto negativo per una serie nel caso gli autori siano gente come Ikuhara e Oshii visto che riescono a trovare sempre situazioni nuove per mostrare la loro visione. Il fatto che Mawaru sia più corto gioca sicuramente a suo vantaggio visto che si perde decisamente meno di Utena la quale tra l'altro paga la palese inesperienza di Ikuhara in cabina di regia ( tutto si può dire di Utena ma non che sia una serie amalgamata bene). Mawaru con meno episodi è molto più solido strutturalmente ed in meno tempo riesce a trattare decisamente meglio l'interazione tra i personaggi ( visto che alla fine salvo Miki e Nanami il resto dei personaggi interagiscono solo negli episodi a loro dedicati ) ed inoltre la struttura di Utena è di una rigidità quasi totale ( episodio all'acqua di rose->combattimento Saionji poi Miki, poi Yuri, Nanami ed infine Toga) qua si vede che Ikuhara stava ancora legato al suo precedente lavoro ( Sailor moon S ). Come quantità di contenuti Mawaru e Utena si equivalgono niente da dire ma a livello di qualità tecnica/struttura Mawaru supera di molto Utena.
Non che il film sia globalmente brutto, ma quella scena delle automobili non l'ho apprezzata, mi spiace!
Eppure, visto che ne avete parlato, Mawaru penguindrum mi è piaciuto, eccome!
Boh, credete che il fatto che io non sopporti Anthy ed il confine del mondo (nel manga odio più lui, nel film li odio allo stesso modo) possa aver in qualche modo influenzato il mio giudizio?
Non concordo in modo assoluto.
La quantità di contenuti non è proprio paragonabile, se dici che lo è mi viene da pensare che tu non sia sceso così a fondo con Utena, perché ci sono talmente tanti riferimenti che come complissità stiamo su un livello superiore.
D'altronde non mi si può paragonare lo gnosticismo (tanto per citare uno dei livelli di lettura della storia) con Kenji Miyazawa.
E poi no, mi sa che non ci siano capiti, non sono i temi ricorrenti il problema, è proprio che nel succo dell'opera ci sono troppe cose già viste in Utena, il che mi sta anche bene, ma rimane il fatto che questa scelta pone Penguin un po' al di sotto di Utena (e lo stesso vale per Oshii, tanto più che il suo film che preferisco rimane Patlabor 2, anche per via delle critiche socio-politiche che non sono certo presenti in tutti i suoi film).
E la struttura rigida di Utena è palesemente voluta, non certo un retaggio di Sailor Moon o il simbolo dell'inesperienza di Ikuhara (e Utena, davvero, tutto mi dà tranne che l'idea di essere stato diretto da un regista inesperto).
@Sonoko: il film comunque non andrebbe visto prima di aver completato la serie, faccio fatica a pensare che si possa capirlo in caso contrario (poi vabbè, la scena delle auto può anche non piacere, ma non mi pare si possa riderre tutto il film a quella).
Forse senza quella scena delle auto avrei valutato meglio il film nel suo complesso: che cosa c'entra quella scena nel contesto, vuol dire che la povera Utena era solo uno strumento privo di sentimenti atto ad essere sfruttato dalla povera Anthy per la sua rivoluzione o cosa? Oppure era un omaggio ai Transformers o ai robottoni anni '80?
L'intero film è un allegoria, in sostanza tutto ciò che vedete è una sorta di proiezione materiale e superficiale di concetti che si trovano annidati in profondità, in sostanza si può dire che l'intera vicenda è un velo che nasconde la sostanza.
"Era forse un omaggio ai Transformers o ai robottoni anni '80? "
Quando penso ai Transformers purtrropo li associo ai tre filmacci di Michael Bay, tenterò di recuperare la serie TV un giorno lontano.
Comunque sia sta scene dalle auto dura si e no 10 minuti ed il film dura un'ora e 20...c'è anche altro.
L'empatia e l'aiutarsi l'un l'altro come soluzione all'ineluttabile solitudine dell'uomo, le colpe dei padri che ricadono sui figli ( tema assente in Utena), colpe che possono essere annullate con l'amore degli altri ( ma ad un prezzo, altra cosa assente in Utena) la morte che non è una totale eliminazione dal piano dei vivi, sì, effettivamente Mawaru ha giusto due contenuti in confronto a Utena
ci sono troppe cose già viste in Utena, il che mi sta anche bene, ma rimane il fatto che questa scelta pone Penguin un po' al di sotto di Utena
Ah perfetto, dunque Utena visto che tratta tematiche già viste in Sailor moon S è inferiore a questo. Basta essere d'accordo.
E la struttura rigida di Utena è palesemente voluta, non certo un retaggio di Sailor Moon o il simbolo dell'inesperienza di Ikuhara (e Utena, davvero, tutto mi dà tranne che l'idea di essere stato diretto da un regista inesperto).
No, la rigidità di Utena non è voluta ma è chiaramente un retaggio dei maho-shojo ( situazione tranquilla->nemico da sconfiggere->di nuovo tutto a posto, guarda caso con Mawaru venuto molti anni dopo Ikuhara a creato una struttura molto più libera ).La poca interazione tra i personaggi in corso d'opera è un altro punto dolente causato dall'inesperienza visto che Ikuhara ha iniziato da Sailor moon S e non ha dovuto creare ex-novo le interazioni tra i personaggi salvo le outer con le inner, cosa che comunque era ridotta a due soli personaggi nuovi e questa inesperienza si è riflessa nei personaggi di Utena, così come praticamente il riciclo del carattere di Michiru e Haruka con Anthy e Utena ( difatti con il film Ikuhara ha modificato la psicologia delle due ) riciclo che non ha evitato pure il palese copia/incolla di screenshoot.
Infatti mi stavo godendo il film, poi è apparsa quell'autostrada e mentre la scena continuava io pensavo: ed ora cos'è questa roba???
Io non seguivo i Transformers, ma so ciò che serve, ovvero che erano robot che si trasformavano in automobili, e mi riferivo solo a questo!
Comunque la serie animata di Utena fino al punto in cui l'ho vista mi piace abbastanza.
Non lo considero un difetto, visto che se proprio dovessi scegliere, la mia preferenza andrebbe ad Utena, ma che sia così è innegabile, anche con tutti i significati che poi vi sono nascosti dietro.
Si tratta comunque di due grandi capolavori dell'animazione, purtoppo spesso e volentieri sottovalutati e tenuti in scarsa considerazione per prodotti più mainstream.
Per quanto riguarda Asura, non posso che essere d'accordo con il recensore. E' un film che ci mostra semplice violenza gratuita cercando di celarvi chissà quale gran significato filosofico che, a conti fatti, non c'è.
Non è decisamente il mio genere.
Ashura invece mi era piaciuto nel complesso (vedasi rece) e non si merita il voto dato, anche se posso capire che non sia piaciuto nonostante mi sia piaciuta anche la sceneggiatura...
Utena è permanentemente da vedere...
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