Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero con gli anime Layzner e Kite ed il manga Sky.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Nel 1996 la Guerra Fredda non si è ancora chiusa, anzi, la rivalità fra le due Superpotenze prosegue anche nello spazio, dove si contendono a vicenda il possesso della Luna e di Marte. Presto sul pianeta rosso viene costruita anche una base dell'ONU, che, interessata a gettare i semi per la futura pace fra USA e URSS, invita un gruppo di ragazzi a passare lì qualche mese nell'ottica del programma di scambio "Cosmic Culture Club". Peccato che i giovani si ritroveranno presi in mezzo a una feroce battaglia fra robot extraterrestri provenienti dal pianeta Grados, i temibili SPT: alla guida di uno di essi, il prototipo Layzner, il giovane Eiji Albatro Null Asuka, mezzosangue figlio dell'unione fra un umano e una gradosiana, vuole avvisare la Terra delle minacce dell'invasione di Grados, affrontando quindi la sua razza che glielo vuole impedire. I combattimenti tra gli SPT porteranno alla distruzione di tutte le basi marziane e all'isolamento dei sopravissuti della Cosmic Culture Group, presto obbligati ad allearsi con il ragazzo per tornare a casa sul proprio pianeta. Peccato che Eiji dovrà faticare a farsi accettare sia da loro che dai politici e militari terrestri...

Layzner segna di fatto l'ultima memorabile serie televisiva robotica Sunrise di tutti gli anni '80, un grande titolo a cura di quel Ryousuke Takahashi che con esso ultima la sua trilogia di opere stellari iniziata con Dougram e proseguita con Votoms. Peccato, però, che Layzner significhi anche l'ennesima bella storia rovinata dall'insuccesso commerciale: dopo Gundam, Ideon e Baldios, è il quarto titolo del genere a pochissimi anni di distanza a trovare una conclusione anticipata per mediocri risultati di share e vendite di modellini, con immancabile finale affrettatissimo e conclusione ufficiale riservata all'home video. Purtroppo per lui tale conclusione, pur soddisfacente, lascerà comunque aperti troppi interrogativi visto il poco tempo di approfondire adeguatamente il tutto, mancando clamorosamente di assestare il colpo finale capace di garantire l'immortalità all'opera. È un grosso peccato, perché senza una parte finale così sintetica, superficiale e affrettata Layzner non ci avrebbe messo nulla a ritagliarsi lo spazio di un autentico capolavoro.

Probabilmente debitore al Baldios di Ashi Productions per il suo tema principale, i problemi di comunicazione tra l'eroe alieno e i terrestri per effetto di razzismo e sospetti, Layzner lo sviluppa in modo più compiuto e approfondito sfruttando il classico rigore maniacale di Takahashi in dialoghi e reazioni psicologiche verosimili. Con una superba caratterizzazione dell'intero cast, capace di far provare emozioni nei riguardi di tutti i personaggi, buoni e cattivi (ciascuno estremamente umanizzato nel carattere e nei modi di fare/pensare), e il suo teso ritmo, Layzner fin dal primo episodio si configura come l'opera più coinvolgente mai girata dal regista nella sua carriera. Niente a che vedere con la densità di contenuti di Dougram o l'autoriale lentezza di Votoms: Layzner scorre via con un piacere, una freschezza e una velocità addirittura incomparabili, sembra quasi girato da un altro. TUTTO, specie nella prima parte della storia, la più riuscita, trasuda carisma: la cupa e drammatica storia, gli attori, le splendide ambientazioni marziane, il design adulto, realistico ed estremamente particolareggiato in mecha e umani, musiche accattivanti... La serie avvinghia subito nella visione: nonostante la trama si evolva in modo piuttosto lento (i lunghi tentativi di Eiji e dei ragazzi di trovare un modo per arrivare sulla Terra, affrontando in battaglia a ogni episodio gli SPT gradosiani) i tesi rapporti psicologici del cast, il mortificante clima di dubbi e cattiverie che atterriscono puntualmente le buone intenzioni dell'eroe, l'evoluzione del suo rapporto con gli "amici" del Cosmic Culture Club, le spettacolari battaglie robotiche e i vari misteri sull'evoluzione che avrà la trama sono ingredienti capaci di fare la differenza, di convincere lo spettatore a prestarsi volentieri a lunghe maratone di episodi. Oltre a questo, bisogna anche parlare del mecha che dà il nome alla serie, l'SPT Layzner, la Cometa Blu: non solo esteticamente bello e accattivante, figlio di un ottimo mecha design a cura del "solito" Kunio Okawara, ma anche mecha innovativo nel genere: primo robottone dotato di una A.I. parlante che dialoga col pilota aiutandolo nei combattimenti (lo si rivedrà raramente, i casi più noti sono DOLORES,i e Gargantia), ma anche il primo che negli scontri più impegnativi entra da solo "in modalità berserk", attaccando con la propria volontà attraverso incredibile ferocia e poteri speciali (il più famoso rappresentante di questa concezione è sicuramente l'Eva 01 di Evangelion). Il mistero dietro questa sua seconda caratteristica è un altro degli interrogativi della prima metà di serie che mantengono alto l'interesse.

Con la sua sceneggiatura pressoché perfetta, in grado di coniugare intrattenimento, dramma e momenti emozionali senza rinunciare a un ritmo trascinante e a tematiche mature che colpiscono a fondo (si può davvero parlare di un'amara e realistica disanima delle peggiori caratteristiche umane dell'uomo, incapace di giudicare il "diverso" perché incasellato nei dettami del pregiudizio, e questo trova naturale sfogo nella Guerra Fredda), nei suoi primi 25 episodi Layzner si attesta a un livello qualitativo altissimo, sicuramente tra i capolavori della sua epoca. Poi, tristemente, inizia la sua discesa, che neanche sarebbe tale se non fosse per i problemi di natura esterna che influenzeranno il suo sviluppo.

La seconda parte della storia, compresa nell'arco di episodi 26-38, spiazza con uno stupefacente cambio di setting e genere: tentando di non voler rovinare la sorpresa, si può anticipare che le ambientazioni non riguarderanno più lo spazio ma bensì un mondo post-apocalittico governato dai gradosiani, che soggiogano i terrestri riducendoli a un oppressivo regime di schiavitù. In questo violento scenario Eiji, i suoi amici e il Layzner rappresenteranno quindi la principale resistenza armata contro il nemico. In questa coraggiosa scelta di cambiare le carte in tavola, Takahashi e il suo staff trasformano Layzner in una curiosa serie d'azione palesemente debitrice a Ken il guerriero in ambientazioni, violenza, punker selvaggi e personaggi il cui ruolo ricalca perfettamente quello degli eroi di Buronson (ritroviamo Kenshiro, Shin, Lynn e Julia). I combattimenti robotici diminuiscono notevolmente in numero per far spazio a quelli "umani", la violenza si fa più selvaggia, e anche la trama, abbandonando le regole della prima parte, abbraccia il filone action riscoprendosi più ingenua e superficiale, trovando gusto in ostentazioni di sadismo e cattiverie, inverosimili colpi di scena, acrobazie spettacolari e amenità varie. Eiji addirittura si ritrova a combattere più spesso con due tamarri tonfa invece che col Layzner. Questi motivi rendono di fatto il secondo capitolo della storia un peggioramento della prima, anche contando il come la trama non procede più spedita ma inizia a diperdersi in sottotrame dimenticabili (le "avventure" del mid-boss Gosterro) e personaggi male utilizzati.

Ritmo e autorialità, al di là di questo, non mancano, concretizzandosi nel consueto, fortissimo impulso carismatico dato da regia, disegni, musiche, animazioni e sigle di apertura/chiusura (tutto semplicemente fantastico), dalla forte evoluzione dei protagonisti principali, dal connubio tra battaglie urbane e misteri delle linee di Nazca, e da come Takahashi sfrutti lo scenario per farne il manifesto di una delle sue immancabili metafore/riletture di Storia contemporanea. In questo caso le disturbanti, spaventose scene in cui i gradosiani eliminano fisicamente ogni traccia di cultura terrestre (letteratura, sculture, quadri, palazzi, biblioteche... tutto destinato a bruciare in falò), fucilano sul posto ogni civile scoperto in possesso di un libro e mantengono segregati in un regime schiavitù i terrestri, ricalcano le atrocità commesse dall'armata imperiale giapponese ai danni dei coreani nella Seconda Guerra Mondiale. Questo atto di coraggio del regista segnerà il destino di Layzner: oltre all'insuccesso di share e di vendita di modellini, si sommeranno in madrepatria anche forti polemiche politiche (non bisogna dimenticae come a tutt'oggi il governo giapponese si rifiuta di riconoscere buona parte delle sue responsabilità nelle terribili pulizie etniche in Cina e Corea). Si arriva quindi alla decisione di concludere molto anticipatamente la serie, tagliando anche l'immancabile cambio di mecha a metà storia (e infatti il Layzner Mark-II, già pronto alla sua apparizione, verrà conosciuto la prima volta solo nella saga di Super Robot Wars). Takahashi si ritrova costretto a chiudere tutto in fretta e furia e questo si nota perfettamente nelle ultime quattro puntate, un accavallarsi frenetico di avvenimenti importantissimi e male approfonditi, personaggi che appaiono/spariscono quotidianamente dalle scene perché non c'è adeguato spazio per gestirli, e interrogativi precedentemente sollevati che rimarranno tali fino alla fine. L'ironia finale consiste nel fatto che anche con queste credenziali, anche con tutti questi oggettivi problemi e il finale "tirato via", la storia rimane epica, straordinariamente carismatica e pienamente apprezzabile nella sua interezza.

"Carismatico" è in effetti l'aggettivo che meglio sintetizza nel complesso Layzner, una serie che, martoriata quanto si vuole dalle vicissitudini, è davvero troppo prestigiosa in confezione e contenuti per poterne parlare male, tanto che volendo le si potrebbe perdonare qualsiasi cosa. Trentotto episodi televisivi (più l'OVA finale che amplia e migliora l'ultima puntata) che si imprimono indelebilmente alla memoria per la bellezza della storia, il gran comparto tecnico (alcune delle battaglie più epiche e meglio animate di tutti gli anni '80 trovano luogo proprio qui) e le potenti sigle di apertura e chiusura, attestandone la leggenda come uno dei più felici parti di Ryousuke Takahashi, idealmente il primo da consigliare a chi vuole approcciarsi ai suoi (difficili) lavori.



7.0/10
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Ultimamente sono parecchio attratto dai manga antecedenti agli anni Duemila e in particolar modo dalle raccolte di racconti; una di queste è Sky, scritta e disegnata nel 1996 da Noboru Rokuda, autore famoso soprattutto per il celebre Gigi la Trottola. Qui però l'attenzione è focalizzata sull'aviazione attraverso quattro racconti illustrati in bicromia: due in bianco e verde e i restanti in bianco e rosso, disposti però in alternanza l'uno dall'altro. L'edizione italiana è a cura della Star Comics alla cifra di 7 € e si attesta su buoni livelli. È ora il caso di accennare brevemente alla trama di ciascuna storia.

La prima, che dà il titolo alla raccolta, è ambientata negli anni tra le due grandi guerre; Eddie è un vigile del fuoco che ha chiesto alla sua ragazza di sposarlo, ma lei è piuttosto turbata dai racconti di lui sulla sua spericolata infanzia con il padre pilota. Una singolare esperienza a bordo di un aeroplano manovrato proprio da quest'ultimo potrebbe però farle cambiare idea... A livello di sceneggiatura si notano alcune incertezze, ma l'impressione è comunque positiva.

Il secondo racconto, quello che mi è piaciuto di più, è incentrato sulle tristi vicende occorse a due soldati della Prima Guerra Mondiale: Richard è rimasto senza una gamba e adesso è l'amica Susan, di cui è innamorato, a occuparsi di lui; Albert, fratello maggiore di Susan, continua a pilotare il suo aereo da battaglia e a intrattenere con i suoi amici una corrispondenza epistolare. Riuscirà Richard a farsi concedere la mano di Susan vincendo una sfida in motocicletta con Albert? Nonostante una certa tendenza al melodramma, la storia dei tre amici riserva qualche toccante sorpresa nel finale.

Il terzo racconto è ambientato nel Giappone della Seconda Guerra Mondiale e ricalca in parte la vicenda narrata in uno dei tre OAV di The Cockpit, risalenti ai primi Anni Novanta e tratti da un manga di Leiji Matsumoto (Battlefield). Protagonisti di questa storia sono infatti tre piloti kamikaze: Yasuda, Ichinose e Chiyomaru sono innamorati della stessa ragazza, Kayo, e anche lei è invaghita di loro, tanto da intrattenere con ciascuno dei ragazzi normali rapporti sessuali. Ad ogni modo, il triste e inevitabile destino dei tre è segnato... Un po' noioso nella prima parte ma particolarmente intenso ed evocativo nella sua conclusione.

Il quarto ed ultimo racconto fa l'occhiolino al genere sci-fi: seguiamo infatti Aldrin, un aspirante astronauta impegnato a studiare alla Nasc di Miami. In un giorno come tanti, durante la sua corsa d'allenamento quotidiana, Aldrin si imbatte in un bizzarro "hippie" che gli chiede indicazioni: si tratta di Leonardo, il quale afferma inoltre di venire da Marte. Tra una difficoltà e l'altra e un segreto inconfessabile che sfocia nel fantascientifico, il destino di Aldrin cambierà per sempre proprio grazie a quel fortuito incontro... Il più "elaborato" dei quattro racconti, ma ricco di interessanti spunti di riflessione e singolari teorie scientifico-filosofiche.

Il disegno di Rokuda è un po' retró rispetto al periodo in cui è stato scritto, a metà tra lo stile di Tetsuya Chiba (Rocky Joe) e quello di Hayao Miyazaki, ma ciò nondimeno curato e d'effetto: i dettagli degli aerei e dei fondali sono infatti di grande qualità. Unica nota negativa è costituita in parte dalle tavole in bicromia, che se da un lato conservano un certo fascino, dall'altro danno un lieve fastidio agli occhi di chi legge. Sebbene l'intreccio narrativo di Sky a volte stenti a procedere speditamente, ci troviamo comunque in presenza di un buon volume unico che potrebbe risultare gradevole anche al lettore più occasionale.



7.0/10
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Yasuomi Umetsu, noto character designer e animatore di varie opere degli anni '80 e '90 fra cui Megazone 23 Part II, Robot Carnival, Gatchaman e Cool Devices, esordisce alla regia nel 1998 con l'OAV Kite, di cui cura anche la sceneggiatura e, ovviamente, il character design. È una storia controversa e dal sapore pulp, intrisa di violenza e di sesso, di quelle che scatenano polemiche (tanto da essere considerato illegale in alcuni paesi, fra cui la Norvegia, con l'accusa di essere un prodotto pedopornografico) ma riescono anche a conquistare le attenzioni di Hollywood, tanto da essere apprezzata da Quentin Tarantino e da ricevere nel 2014 un adattamento live action con Samuel L. Jackson.

Sawa, rimasta orfana a dieci anni in seguito all'omicidio dei genitori, vive con un poliziotto, Akai, che abusa sessualmente di lei e lavora come assassina, uccidendo criminali e poliziotti corrotti. L'incontro con Oburi, suo coetaneo e anche lui killer, porterà alla nascita di un rapporto via via più stretto e della forza necessaria per ribellarsi al suo aguzzino, ma vendicarsi e sfuggire a chi vorrebbe morti i due ragazzi non sarà facile. È interessante notare che Umetsu "ricicla" l'idea di fondo della sceneggiatura dell'episodio 7 della serie OAV hentai Cool Devices, a cui aveva lavorato come character designer e animatore: anche lì troviamo una ragazza sottomessa sessualmente dal suo patrigno, un trafficante di droga.

In 60 minuti, Umetsu dimostra tutto il suo talento. A livello tecnico, Kite è un prodotto più che buono: il character design di Yasuomi Umetsu è indubbiamente di qualità e sa rendere perfettamente qualsiasi personaggio, dalla protagonista (di cui esalta la sensualità, ma dopotutto Umetsu non è estraneo alle produzioni erotiche) al grottesco compare di Akai, le scene d'azione sono concitate e la colonna sonora a base di brani dal sapore jazz ben si sposa con esse. Il regista non si preoccupa di realizzare qualcosa che sia politically correct, così abbondano le scene splatter (complice anche l'escamotage narrativo di far usare a Sawa letali proiettili che esplodono una volta nel corpo delle vittime) e Umetsu non ha paura di insistere nella rappresentazione cruda, diretta, esplicita degli abusi sessuali di Akai sulla protagonista che vi si abbandona docilmente, resti tanto più disturbanti dal fatto che la ragazza sia minorenne. Quest'ultimo elemento, se da un lato è un tratto caratteristico del regista, dall'altro ha condannato Kite a essere etichettata come un'opera erotica, un hentai, e a far passare in secondo piano i suoi meriti. Esiste anche un'edizione senza scene di sesso, la "Original Version", ma è chiaro che il dramma di Sawa ruota anche attorno alle sevizie del tutore ed eliminandole la storia perde molto.

Kite sa essere coinvolgente, disturbante, emozionante ed esaltante dall'inizio alla fine, ma non è solo pura e frenetica azione, visto che alterna sparatorie sanguinarie e momenti più riflessivi. Una vera perla poi il finale, che lascia all'immaginazione dello spettatore il destino di Sawa. Non è ovviamente un'opera per tutti: gli stomaci delicati e quanti troverebbero di cattivo gusto scene di sesso così esplicite (per di più su una minorenne) sono avvertiti!