Nella giornata di Domenica 3 maggio, in occasione della prima edizione di NovaLudica Atto I - La fortezza del divertimento, a Palmanova (Udine), AnimeClick.it era presente come ospite ufficiale. Tra le iniziative da noi proposte, presso la sala consiliare del Comune, vi è stata l'intervista curata da Fabio "Kyon" Palumbo alla Prof.ssa Maria Roberta Novielli, che ha presentato il suo ultimo libro: Animerama, storia del cinema d’animazione giapponese edito da Marsilio nel 2015.
Salutiamo e ringraziamo la professoressa Novielli per essere qui.
Grazie a voi.
Prima di tutto faccio una domanda di apertura chiedendole: come mai ha scelto di puntare sul cinema di animazione separandolo dalle serie animate?
Perché ritengo che non abbiano nulla a che fare tra loro, sono medium completamente differenti, un po' come la differenza tra cinema e fiction indicativamente, poi in molti casi anche le produzioni sono differenti, anche quando di fatto coincidono sullo stesso titolo, la produzione è divisa in dipartimenti interni differenti che studiano un target diverso e di conseguenza anche il linguaggio è diverso.
Lei insegna all’università Ca’ Foscari di Venezia e si occupa oltre che di Storia dell’animazione giapponese anche di Storia del cinema giapponese, ci sono delle intersezioni in questo libro?
Ce ne sono molte perché ci sono molti registi specializzati nel cinema live che hanno in alcuni casi cominciato a sperimentare l’animazione. Alcuni hanno i loro esordi nell’animazione, come Ichikawa Kon per esempio, il famoso regista de L’arpa birmana (Biruma no tategoto, 1956), che a un certo punto suo malgrado si è cimentato con l’animazione per esigenze produttive, ma poi vi è addirittura ritornato. Molti altri sperimentano forme ibride fra i due ambiti, e poi per esempio uno dei più amati in occidente, Tsukamoto Shinya, ha in cantiere da tanto tempo, ed è un suo sogno, quello di vedere realizzato un film di animazione.
Una cosa che mi ha colpito del libro è l’analisi dettagliata, che probabilmente manca da altre produzioni in lingua italiana del genere, delle origini dell’animazione, cioè della sua derivazione da altre forme sia di arti grafiche che di arti performative. E’ abbastanza noto il rapporto con il kamishibai (teatro di carta), però il libro cita anche altri linguaggi meno noti per il pubblico italiano, si parla di lanterne magiche e delle diverse forme del teatro giapponese. Ci può parlare di queste origini?
Sì certo, c’è sempre stata l’idea delle immagini in movimento anche nel pre-cinema nipponico, là dove sono nati quelli che oggi chiameremmo media, le tecniche narrative, i linguaggi, le performance dei cantastorie itineranti e così via. Quello che è interessante notare è che già dalle origini sono sottolineabili i caratteri di queste produzioni in funzione della logica espressiva delle immagini in movimento, gli stessi emakimono, in cui i rotoli venivano srotolati con una scansione molto cinematografica, addirittura con un sistema quasi simile a quello dei fotogrammi, quindi il punto è vedere come scaturisce l'idea dell'immagine in movimento in sé.
Quindi non solo una derivazione un po’ più ovvia dal manga come soggetto, ma anche un rapporto con tutte queste altre forme di espressione artistica. Non solo, ma all’interno della storia dell’animazione abbiamo una carta varietà nelle forme di realizzazione. All’inizio, quando si è diffusa l’animazione in Italia, negli anni '70 e '80 veniva chiamata genericamente come “cartoni animati”, in realtà ci sono varie forme di realizzazione, ad esempio ci sono le silhouette ritagliate, l’animazione con i puppets etc. Ci può dire come nel libro questa varietà trova spazio?
In realtà io ho cercato di considerare l’animazione tout court, quindi in tutte le sue forme, ho dato molto spazio alla puppet animation, normalmente un po’ trascurata dagli amanti delle produzioni nipponiche. In tutte queste tecniche, dalle carte ritagliate allo studio sulla trasparenza dei vari materiali, le sperimentazioni fatte sono state fondamentali per affrontare nuovi percorsi, inventare nuovi stili, nuovi linguaggi. In parte erano sperimentazioni derivate dall’Occidente, per cui venivano rielaborate in maniera autoctona, ma di fatto c’era una grande attenzione ai linguaggi differenti.
Ora due domande di carattere storico. Ricollegandoci a quello che ha appena detto, riprendo una frase di Miyazaki secondo cui l’animazione è qualcosa di americano, cioè qualcosa che deriva dall’America e che viene appunto reinterpretata. Nel libro questo aspetto del rapporto col cinema di animazione americano viene anche analizzato.
Sicuramente il cinema americano già dagli anni ‘20/’30, quindi dalle sue origini, è stato seguito, amato e in qualche modo ha stimolato la produzione autoctona affinché lo si superasse, perché si andasse oltre quei confini, è stato anche fonte di frustrazione per moltissimi autori che sentivano la propria inadeguatezza rispetto a quel cinema, lo stesso Ichikawa ha spesso dichiarato di non essere in grado di fare realmente animazione soprattutto rispetto a Disney, però è stata una influenza molto importante.
Altro aspetto in linea con questo. Sin dall’inizio il cinema di animazione è sempre stato legato alle vicende storiche del Giappone. Questo testo analizza bene i difficili anni ’20 e ’30, gli anni prebellici, quindi anche l’utilizzo strumentale dell’animazione per fini propagandistici, così come avveniva anche in America.
È vero, a questo proposito una grande curiosità consiste nel fatto che mentre il resto dell’animazione negli anni ‘20/’30 in molti casi era indirizzata ad un pubblico anche adulto, quella di stampo nazionalistico, che cercava di inculcare determinati ideali, era prevalentemente indirizzata a un pubblico infantile, cosa che non è così comune in ambito giapponese, perché appunto doveva servire a fini a propagandistici, questo è un aspetto molto interessante.
Andando un po’ più avanti negli anni si arriva a un momento postmoderno, quindi a produzioni che ci sono anche più vicine. Ovviamente viene dato ampio spazio nel testo alle animazioni dello Studio Ghibli ma anche a registi ben noti al pubblico italiano, come Satoshi Kon o Makoto Shinkai. Ci vuole parlare di quest’ultima fase, quella più recente?
La produzione dello Studio Ghibli io direi che è “vecchia”, nel senso buono del termine, nel senso che parte da uno stato classico, gli stessi Miyazaki e Takahata nascono in un contesto classico, con lungometraggi di società internazionali, di conseguenza hanno messo a punto, in modo geniale direi, una produzione che partiva da un’idea consolidata nei decenni precedenti nell'animazione. Mentre le più recenti generazioni, soprattutto Makoto Shinkai, appartengono a una dimensione completamente differente, nascono per un pubblico differente, nascono per il web soprattutto, quindi per una fruizione diversa. Satoshi Kon è un po’ uno spartiacque fra queste due dimensioni, perché si svincola da una situazione classica reinventandola, allo stesso tempo però riesce ad utilizzare dei codici cinematografici, parlo di cinema live in questo caso, e quindi è in grado di attrarre anche un pubblico meno innovativo e più legato agli schemi tradizionali.
Un altro aspetto affrontato è quello della figura femminile, le figure dello shōjo, che specialmente negli anni ’90 e 2000 hanno invaso l’immaginario dell’animazione. Ci vuole parlare di questo aspetto?
Le shōjo, lo suggerisco spesso anche durante le mie lezioni, sono in realtà una definizione molto importante di quella che potremmo definire una no man’s land, un territorio di nessuno, non sono più bambine e non sono ancora donne, sono un attraversamento di queste fasi, poi naturalmente le letture potenziali di questo tipo di figura sono tantissime, si arriva anche al super pornografico per dire, che abbandona definitivamente il mondo dell’infanzia. Però la shojo allo stesso tempo sono una figura che riguarda moltissime persone, soprattutto in Giappone e magari nel mondo: vengono usate come icona per manifestare se stesse, per comunicare... io credo che ad esempio in molti casi il cosplay dia la sensazione di una donna che pure ancora donna non è, che sia solo un po’ un’altra maschera.
L’ultimo aspetto riguarda il rapporto tra animazione e arte. Anche nell’ambito dello Studio Ghibli, sia Miyazaki che Takahata si sono definiti degli artigiani più che degli artisti. Nel libro lei ha affrontato il rapporto tra animazione e produzione artistica.
Non definirei davvero artigiani sia Miyazaki che Takahata, soprattutto perché naturalmente appartengono a un sistema produttivo ben diverso da quello artigianale, per cui un film prodotto dallo Studio Ghibli automaticamente è in gioco in un in un circuito di un certo tipo che è molto commerciale, partendo naturalmente da un livello artistico altissimo, però ha già chi lo distribuisce, ha già tutti i gadget, un pubblico di riferimento, una catena di distribuzione e così via, mentre la parte artistica - non che non sia già presente in questo tipo di produzioni, intendiamoci - però quella più peculiarmente artistica ha un po’ di difficoltà a trovare espressione in giro così, è davvero un territorio in cui è possibile sperimentare in tutti i modi. È lì la differenza.
Bene, infine volevo consigliare a tutti questo volume proprio perché rispetto ad altri volumi che anche abbiamo consigliato sul nostro sito AnimeClick.it, Animerama, storia del cinema d’animazione giapponese, ha un taglio che non è solo storico ma che cerca di inquadrare il cinema d’animazione giapponese in un contesto interpretativo, fornendo una chiave ermeneutica oltre che un approccio storico. Inoltre dà spazio a determinate produzioni che come abbiamo visto non sono solo quelle dei cartoni animati, come le silhouette o la puppet animation, che normalmente non trovano spazio in volumi di questo tipo. Ulteriore spot: ha una prefazione di Giannalberto Bendazzi che non ha bisogno di presentazioni, storico dell’animazione, probabilmente il più importante che abbiamo in Italia. Quindi è un volume che vi consiglio caldamente per la vostra biblioteca.
Ringraziamo ancora la Professoressa Novielli. Un saluto ai lettori di AnimeClick.it da Palmanova!
Domande ben ponderate e risposte molto interessanti.
un'occhiata al libro! Grazie!
In tutta la tua vita non riuscirai a raggiungere neanche un decimo della cultura della Novielli. Compatisco la tua infantile arroganza.
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