Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.

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Vivisezione del genere majokko e ri-assemblaggio esoterico ai massimi livelli consentiti: eccoci di fronte alla più grande trappola dell’animazione nipponica recente.
Posso cominciare asserendo che la ricetta di quest’anime è una ricetta difficile; oserei dire una ricetta arcana, misteriosa, degna d’uno di quei calderoni stregati che si annoverano nelle fiabe più antiche o nei racconti per spaventare i bambini, giusto per rimanere in tema.
E, se di ricette e calderoni si parla, eccoci agli ingredienti: mescolate al suo interno il coraggio delle guerriere Sailor e il loro granitico senso d’amicizia, gettateci una bella dose di tenerezza derivata dalla presenza di simpatici e dolci alieni (vi ricordate Posi & Nega in “L’incantevole Creamy”?), poi un pizzico di coraggio, di sacrificio e una discreta quantità di abnegazione degna delle eroine delle più famose storie majokko, e infine condite il tutto con una soverchiante e devastante dose di dolore, il più amaro e triste possibile.
Dodici rapidi, sconcertanti episodi, capaci di esordire (troppo) lentamente, per poi stordire nella seconda parte della trama, sviluppando dei colpi di scena al di là di ogni immaginazione.

Madoka Kaname è una ragazzina dolce, gentile e d’animo generoso, che frequenta la seconda media in una grande metropoli di un luogo indefinito, ambientato in un tempo che pare un futuro prossimo, vago e freddo. Ha due amiche del cuore che ritiene molto importanti, Sayaka e Hitomi, e un giorno, a causa di un particolare dialogo con la madre, la ragazza si interroga su una domanda tanto semplice quanto infantile, una domanda che probabilmente ci siamo fatti tutti, almeno una volta nella vita: se - per assurdo - potessi esprimere un desiderio, uno solo, e potessi desiderare una qualsiasi cosa io voglia... cosa vorrei davvero?

“Puella Magi Madoka Magica” è una crepa, un cretto spaventoso, una spaccatura nell’universo majokko, una sorta di scossone tanto sfrontato quanto eccezionale, capace di sconvolgere letteralmente un genere che per quarant’anni è stato considerato dolce, leggermente ardito, ma mai eccessivo o crudele, dedicato spesso alle ragazze più che ai maschietti (ma ottenendo comunque un pubblico chiaramente - e giustamente - misto). Il design decisamente “chibi” e “kawaii” è parte dell’inganno ordito, atto ad erigere un fragile palcoscenico che servirà da facciata per ciò che poi verrà svelato; si ricerca in modo spregiudicato e provocatorio un contrasto aspro fra un character design tondeggiante, dolce e adolescenziale, che va a stridere in modo quasi grottesco con i traumi della storia e le sue terribili evoluzioni, per non parlare degli ambienti freddi, giganteschi e lugubri. Probabilmente, se avessero adottato uno stile di disegno più maturo e ricercato, l’impatto emozionale sarebbe stato differente, ma non avrebbe sortito lo stesso effetto scioccante che scaturisce da questa condizione di contrasto stridente.

Senza esagerare, potremmo dire che “Puella Magi Madoka Magica” è, suo malgrado, un cult del genere. Lo diventa inevitabilmente lungo lo snodarsi della trama, un racconto più maturo di quel che si possa sospettare, sempre più tetro man mano che la storia procede, insospettabilmente preda di quei toni agghiaccianti, ben nascosti nelle prime battute, ma che verranno fuori con lo svelarsi del quadro generale. Lo stile maho shojo subisce quindi un’evoluzione critica, proiettato in una nuova dimensione, più moderna, un sovrannaturale che sconfina nell’horror psicologico, capace di esplorare differenti tipologie d’inquietudine e disperazione mai viste prima in un contesto simile. Tutto ciò che è stato non è più, e le basi stilistiche di questo genere vengono decostruite e riscritte in un’inesorabile chiave disperata, pur sempre legata al classico e reiterato concetto della creatura aliena o sovrannaturale che compare agli occhi di una ragazzina dal cuore puro, pronta a donarle incredibili poteri in cambio di una serrata lotta alle forze del male, con una chicca in più: poter esaudire un singolo, unico, importantissimo, personale desiderio.
Ma chi sono queste forze del male? E cosa significa essere “Puellae Magi”?
Domande complesse che non trovano certo una risposta immediata. Domande che vagano in una città algida, enorme, asettica e distante sia dai protagonisti che dagli spettatori, una metropoli che fa da malinconico e ruvido sfondo alle vicende delle ignare maghette. Le tinte di ciò che le circonda variano a seconda delle emozioni e dei momenti della giornata, e ogni elemento ci suggerisce un’ambientazione immersa in un futuro prossimo, non così lontano, quasi distopico e appena accennato, dove enormi prospettive sono pronte a deformarsi in modo angosciante man mano che la storia precipita, mentre i colori s’inaspriscono e intensificano, accentuando in modo critico le emozioni e le sensazioni dello spettatore.
Ci accorgiamo che i disegni, soprattutto i primi piani, posseggono un che di incompleto, di astratto, poco fluido; luci miste a ombre e colori stridenti accentuano il contrasto fra innocenza e orrore, e questa sensazione aumenta vertiginosamente man mano che ci si dirige verso la seconda metà della storia. Occhi vacui, ombre taglienti, sguardi che abbandonano l’innocenza per accettare un dolore ingiusto e assurdo, un’alienazione dell’umanità oltre ogni immaginazione; è un design ingannevolmente “moe”, un contrasto che inizialmente potrebbe dare quasi fastidio, ma col senno di poi si può apprezzare per l’intento trasversale che, strada facendo, emerge inesorabile. Il tutto condito da una colonna sonora sublime partorita da quel genio che è Yuki Kajura, leader delle Kalafina, autrici fra l’altro della ending (altro pezzo eccezionale).

Poi, i mondi “magici”: quando le maghette devono “fare sul serio” e visitare i luoghi in cui i loro nemici dimorano, ecco che il grottesco e lo sperimentale si sublimano in un mix allucinogeno: disegni ritagliati, incompleti, ombre e luci sparpagliate a metà fra incubi lovecraftiani e disumane, angoscianti visioni che riportano a galla le preziose oscenità di Salvador Dalì. Ogni elemento contribuisce a creare atmosfere estremamente inquietanti, quasi fastidiose, per non parlare dell’aspetto dei nemici, grotteschi all’inverosimile, tanto da farli divenire sia odiosi che buffi, capaci di far generare allo spettatore una vaga repulsione che sarà esplicata in un finale che definire tragico è riduttivo.
Così, lentamente, il focus si sposta dai sogni puri, coraggiosamente adolescenziali e scanzonati delle protagoniste a un esistenzialismo cupo e sordido, spaziando nei meandri di una tristezza derivante da una chiara consapevolezza leopardiana che ci rimembra di come la vita, compreso ciò che crediamo di possedere, è qualcosa di effimero e passeggero, eppure altrettanto prezioso per noi miserabili mortali, così prezioso che ci aggrappiamo ad esso, mostrando tutta la nostra fragilità, e facciamo di tutto pur di salvaguardarlo e proteggerlo.
“Solo qui e ora posso concepire ciò che per me è davvero importante”, un leitmotiv criptato che ci mostra per ciò che siamo, ovvero semplici esseri umani guidati dai nostri sentimenti, dalle nostre paure e dai nostri desideri.

Il livello di malinconia e sgomento crescente levita episodio dopo episodio. Il ritmo della serie è perfetto solo nella seconda parte, poiché i primi episodi risultano talvolta troppo lenti e vuoti, tuttavia ricchi di indizi che anticipano la svolta: la drammaticità tangibile e corposa giunge serpeggiando silenziosamente, nascondendosi nella quotidianità di Madoka e delle sue amiche, infettando quella routine che scopriremo trattarsi di qualcosa di terrificante e surreale. Nonostante le battaglie contro i “cattivi”, raramente ci si concentra sull’azione fine a sé stessa, poiché i veri scontri in “Puella Magi Madoka Magica” sono principalmente cerebrali ed etici, dove la morale personale viene messa in discussione da punti di vista estremi, generati dalle esperienze sofferte e controverse delle giovani protagoniste.
Si viaggia così verso un finale paradossale, assolutamente straziante, pronto però a riservarci una sequenza di colpi di scena che non potrete immaginare neanche per sbaglio. È un epilogo mostruoso in tutti i sensi, tinto da una morale aliena distante anni luce dalle emozioni umane, capace di emergere definitivamente e contrapporsi al buon cuore delle nostre eroine. In particolare, l’episodio 10 spalanca definitivamente la mente dello spettatore in modo violento e sublime, spietato e visionario, e, proprio come nella sapiente costruzione di “Steins;Gate”, apre scenari clamorosi e inaspettati, uno sconvolgimento totale delle informazioni ricevute fino a quel momento: un picco estremamente emozionante che valorizza la serie in modo decisivo.
Il finale è la sublimazione dell’astratto, la teoria dell’extraterreno oltre lo spazio-tempo che strizza l’occhio a scenari ”neongenesisevangeliani”, divenendo genesi totale di una semplice quanto complessa metafora, un’iperbole che inizialmente nemmeno si poteva immaginare, ma ci regala anche una positività inaspettata, che mitiga un contorno davvero cupo. Ma non si tratta di una fine “totale”: rimangono spiragli aperti per il lungometraggio che verrà, poiché alcuni punti interrogativi restano irrisolti.

Tuttavia, “Puella Magi Madoka Magica” non è un prodotto esente da difetti: uno dei punti deboli è, probabilmente, oltre al ritmo frastagliato e non sempre coinvolgente dei primi episodi, una delle giovani protagoniste: Kyoko. Spesso appare poco coerente con le proprie attitudini, un po’ troppo “tsundere” quando non ce ne sarebbe bisogno, capace di cambi comportamentali poco lineari e poco comprensibili. Sarebbe calzato in un altro contesto, ma qui rischia di sviare, più che rafforzare il focus della trama.
Ad ogni modo, senza giri di parole, possiamo dire di essere di fronte a un quasi-capolavoro. L’immensa Kajura Yuki tesse (ancora) una colonna sonora da brividi, che raddoppia e intensifica le emozioni visive. Eccezionale.

Nonostante dimostri dei limiti che non inficiano in modo decisivo le grandi qualità, possiamo tranquillamente asserire di essere di fronte a un prodotto visionario, provocatorio, folle nella sua grandezza, una pietra miliare del panorama d’animazione post duemila, che però potrebbe non essere adatto a tutti, sia per tematiche che per tipologia.
Desiderare qualcosa non costa nulla.
Realizzarlo, invece, ha sempre bisogno di un sacrificio, un po' come il principio dello scambio equivalente di quel capolavoro assoluto che fu “Fullmetal Alchemist”.
Ma cosa sareste disposti a sacrificare per ciò che desiderate?

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Mera comparsa in “Triangle Heart: Sweet Songs Forever”, nel 2004 Nanoha Takamachi si conquista il ruolo di protagonista nello spin-off a lei dedicato: “Mahou Shoujo Lyrical Nanoha” è un anime di tredici episodi realizzato dallo studio Seven Arcs, diretto da Akiyuki Shinbo e scritto da Masaki Tsuzuki.

La storia si svolge in un universo alternativo a quello dell’OAV. Nanoha Takamachi è una bambina delle elementari come tutte le altre, ma la sua vita è destinata a cambiare dopo l’incontro con un furetto parlante di nome Yuuno. Questi le chiederà di aiutarla a raccogliere i Jewel Seed sparsi per il suo mondo e le regalerà un’intelligenza artificiale di nome “Raging Heart” che le fornirà poteri magici. Durante la sua ricerca Nanoha finirà per scontrarsi con Fate Testarossa, un’altra maghetta interessata ai semi gioielli.

La protagonista senza particolari prospettive per il futuro, la mascotte magica, la rivale: gli ingredienti per un mahou shoujo classico e fatto con lo stampino ci sarebbero tutti. Per fortuna, però, l’anime in questione riesce ad andare oltre gli stereotipi a cui siamo abituati e a regalarci una visione tutt’altro che banale. Di certo “Mahou Shoujo Lyrical Nanoha” raccoglie il testimone dei suoi predecessori, ma al tempo stesso è in grado di introdurre elementi alquanto originali: tra tutti si nota l’utilizzo della tecnologia quale fonte del potere magico. Se ciò non bastasse, l’opera si rivela di tutto rispetto grazie a una storia costruita nei minimi dettagli e a degli sviluppi pieni di colpi di scena che poco spazio lasciano agli episodi filler.

Altro punto di forza della serie è costituito dall’ottima caratterizzazione che si riserva a tutti i personaggi: anche quelli secondari, come le amiche di Nanoha o i componenti della nave spaziale Asura, vengono approfonditi nel corso della serie. Ovviamente spiccano su tutti la protagonista e la sua rivale: Nanoha, da un lato, è una bambina ubbidiente e con la testa sulle spalle, che però non manca di infrangere qualche ordine per rimanere fedele a un suo ideale e aiutare le persone a cui vuole bene; Fate, dall’altro, è una ragazzina che sembra cresciuta troppo in fretta, ma che come tutte le sue coetanee ha bisogno di qualcuno che le rivolga il suo affetto. L’incontro tra le due ragazze, e il seguente rapporto che si viene a creare, rappresenta un altro degli elementi più riusciti dell’opera. Anche l’antagonista principale, ovvero Precia Testarossa, è un personaggio ben costruito che finalmente non brama la conquista del mondo come tanti villain suoi simili.

Per quanto riguarda il lato tecnico, il character design è molto simile a quello di “Triangle Heart” e ben si adatta al tipo di opera rappresentata. Disegni e animazioni subiscono dei cali qualitativi in alcuni punti, mentre raggiungono dei picchi piuttosto elevati in altri momenti. I colori utilizzati sono brillanti e variegati, mentre gli sfondi sono realizzati in maniera discreta. La direzione di Akiyuki Shinbo non presenta ancora le peculiari caratteristiche per le quali abbiamo adorato “Bakemonogatari” o “Madoka Magica” (serie, quest’ultima, largamente ispirata a “Nanoha”), ma è possibile individuare alcune scelte registiche che ricorreranno nelle opere future: ad esempio, il largo utilizzo di campi lunghi durante i dialoghi dei personaggi e la grande staticità di alcune scene. Tale staticità è presente anche nei combattimenti, che in questo modo riescono a trasmettere la forte tensione provata dalle due protagoniste. Molto gradevoli agli occhi sono anche gli effetti speciali utilizzati per i vari attacchi.

Passando al comparto sonoro, la colonna sonora di Hiroaki Sano fa la sua bella figura soprattutto nelle scene di azione, nelle quali si possono ascoltare alcune tracce abbastanza memorabili. La coinvolgente sigla di apertura è interpretata dalla doppiatrice di Fate, Nana Mizuki (che firma anche l’insert song “Take a Shot”), mentre la tenera sigla di chiusura è cantata dalla doppiatrice di Nanoha, Yukari Tamura. Tale coppia vincente ritornerà anche nelle serie successive.

In conclusione, “Mahou Shoujo Lyrical Nanoha” è una serie innovativa e ben curata in ogni suo aspetto. Da ricordare anche per il suo dolce e commovente finale, all’insegna di uno dei temi più ricorrenti in opere dello stesso genere, ovvero l’amicizia. Senza dubbio uno dei migliori majokko degli ultimi tempi.

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E poi, a stagione quasi finita, quando ormai sembrava evidente che “Star Twinkle” più di tanto non potesse dare, ecco arrivare questo film. Io non so cosa sia successo agli autori, se tutto il budget che avevano lo abbiano risparmiato per questa occasione o se prima siano stati soltanto pigri, fatto sta che questo è uno dei migliori film di tutto il franchise, se non il migliore. Ogni difetto che aveva “Star Twinkle” non è presente qui, e quelle migliorie che potevano esserci sono effettivamente state apportate.

Ciò che colpisce più di tutto il resto è la grafica, insieme alle animazioni. Deo gratias, finalmente queste povere Cure hanno ricevuto le animazioni che sono sempre spettate loro e che non hanno mai ricevuto! Questa volta le ambientazioni sono più suggestive che mai, grazie alla cura maggiore che c’è stata per i dettagli. Sapevo già che, trattandosi di un film, l’impatto visivo sarebbe stato differente, ma questo è decisamente andato oltre le mie aspettative, che non erano molto alte visti i pasticci della serie originale. Non solo le location che già conoscevamo sono state migliorate, ma ci vengono presentati nuovi scenari nel corso dell’avventura che Hikaru e Lala vivranno grazie al misterioso alieno protagonista di questo film, tra cui svariate zone di Okinawa e molti luoghi spesso legati a celebri misteri irrisolti (come le linee di Nazca).
Anche gli attacchi ne escono migliorati: questi vengono infatti eseguiti dalle Cure nelle nuove forme zodiacali, e la resa grafica è notevole. Certo, i costumi restano comunque un pugno in un occhio, a prescindere da come li si guardi, ma per fortuna non dureranno molto - era prevedibile, così come il fatto che ognuna avesse poco tempo a disposizione, ma di nuovo devo fare un plauso agli autori, questa volta per non aver reso il tutto in maniera frettolosa.

I combattimenti, così come i nemici, sono i migliori dell’intera stagione. Niente discorsi pieni di retorica, qui si va di calci e pugni, e lo si fa bene, per una durata adeguata. Gli antagonisti non hanno un background profondo, ed è proprio questo il loro punto di forza: non pretendono di volare alto, con chissà quale storia commovente poi mai approfondita, ma sono dei personaggi qualunque. Al loro posto poteva esserci chiunque altro, data la natura del loro oggetto del desiderio, per cui il fatto che siano anonimi non pesa affatto.

Unici nei del film? Il doppiaggio dell’agente Ann, piatto come non mai, e forse anche il momento musical finale, nonostante sia abbastanza contestualizzato data la tematica del canto su cui è incentrata la storia.

In conclusione, se avete visto la serie, consiglio vivamente la visione di questo film. Alterna momenti divertenti ad altri piuttosto commoventi, e lo fa dosando bene gli ingredienti che ha a disposizione, per cui lo spettatore non resterà mai annoiato. 8 meritatissimo.