Difficile da capire per gli stessi giapponesi, è però una delle arti che probabilmente più affascinano uno spettatore straniero, così carica di simbolismi e di mistero. Sto parlando del teatro Nô che assieme al Kabuki è una delle forme di intrattenimento nipponiche più conosciute all'estero. Ma quanto ne sappiamo davvero?
Il Nô (能) o Nôgaku (能 楽) è una delle arti teatrali più antiche del mondo e la più antica dell'arcipelago: le sue origini risalgono al VII secolo. Classificato come patrimonio mondiale dall'UNESCO nel 2008, alcuni dei suoi attori sono considerati tesori nazionali viventi del Giappone. Nel paese si contano ad oggi quasi 70 teatri dedicati in cui lavorano circa mille professionisti.
A differenza del teatro Kabuki, che punta sull'eccentricità e sull'esuberanza, il teatro Nô punta sulla raffinatezza e sulla suggestione. Niente trucco appariscente o voce baritonale: qui troviamo lirica e cori, punteggiati da danze e declamazioni.
Il Nô come lo vediamo ora fu formalizzato verso la fine del XIV secolo, ma le sue origini risalgono ai rituali sacri shintoisti e alle danze tradizionali contadine del VII secolo chiamate kagura (神 楽) con cui si cercava di assicurarsi la benevolenza delle divinità per ottenere buoni raccolti. Nel corso dei decenni, con l'ascesa del Buddismo, queste danze hanno perso il loro prestigio e l'arte è stata trasformata e ribattezzata sangaku (散 楽).
Fu durante il periodo di Muromachi (1336-1573) che il Nô assunse la sua forma definitiva. Sotto lo shogun Ashikaga Yoshimitsu, importante mecenate, furono due attori Kan’ami (1333-1384) e Zeami (1363-1443), padre e figlio, a stabilire le regole del Nô. Partendo dal sangaku, lo modificarono traendo ispirazione direttamente dallo Zen, scrivendo nuovi testi e stabilendo regole più severe. Tutto ciò che stabilirono si cristallizzò e arrivò intatto fino ai giorni nostri, tramandato segretamente di generazione in generazione; sono infatti solo quattro i clan o famiglie che custodiscono questi segreti. Cambiare troppo vorrebbe dire contraddire la tradizione. Così un'arte popolare venne trasformata in arte raffinata destinata all'élite giapponese.
Se Kan’ami fu il primo ideatore del teatro Nô, Zeami invece mise per iscritto le nuove regole nel Kadenshō (che tradotto significa trasmissione segreta del fiore).
I principi estetici fondamentali fissati da Zeami sono tre:
1) Hana (che vuol dire fiore, ma qui è inteso come fascino/talento): un attore ha dentro di sé il fiore della recitazione, che va distinto in jibun no hana (fiore di sè/proprio) e makoto no hana (vero fiore riconquistato). Il primo è il talento innato nei bambini: iniziati al teatro Nô dai 5-6 anni fino agli 11-12, con lo sviluppo fisico e psichico, con la perdita della voce bianca e il cambiamento del corpo perdono il jibun no hana. Lo potranno riacquistare solo attraverso un addestramento di 30 anni precisi. All’età di 40 anni un attore può raggiungere la vetta della perfezione e ottenere di nuovo il fiore, appunto il makoto no hana. Inoltre l’attore durante la sua vita deve sottostare a tre proibizioni: sake, gioco d’azzardo e sesso.
2) Monomane (imitazione delle cose): tutto è rappresentato in modo simbolico e stilizzato, non si vedrà mai qualcosa che riconduce in modo diretto alla realtà, ad esempio una nave sarà rappresentata con dei nastri di raso. È una forma d’arte simbolica e irrealistica.
3) Yūgen (mistero): deve essere trasmesso allo spettatore, per incutere timore. A questo scopo l’attore indossa due ma anche tre kimono per ingrandire la sua figura e innalzarla.
Per capire appieno una rappresentazione di teatro Nô bisogna anche conoscere bene il luogo ove si svolge e il ruolo dei vari attori.
La sala, generalmente piccola, ospita un palcoscenico dalle dimensioni ridotte, la cui forma rievoca l'esterno nei recinti dei santuari, con un tetto anche all'interno.
Il palcoscenico è infatti considerato un luogo sacro, poiché rappresenta un mondo "altro". Fra pubblico e platea vi è una certa distanza: non a caso nella parte anteriore del palco è sempre presente una scaletta con tre gradini non usata da nessuno, ma posta semplicemente a sottolineare come i due mondi siano perennemente separati.
La maggior parte della rappresentazione si svolge su una piattaforma quadrata di legno di circa 6 metri di lato, collegata alle parti laterali da un corridoio rialzato lungo circa 6 metri detto hashigakari. Questo è punteggiato da tre pilastri simbolici che servono sia come punti di riferimento per gli attori che per creare effetti di prospettiva. Un albero di pino è dipinto poi come sfondo.
In fondo al palco si trovano i musicisti (un flautista e tre percussionisti) e gli assistenti degli attori. Un coro di otto-dieci persone disposte su due file invece è posizionato al bordo del palco di fronte alle quinte (jiutai-za).
Normalmente gli attori principali del teatro Nô sono solo due: il wakiyaku, (da waki ni, accanto, la spalla) a volte rappresentato come un monaco, senza maschera, che ha la funzione di evocare l’apparizione in scena dello shite o shuyaku (da suru, fare, l'attore principale); è una sorta di esorcismo, evoca questa figura come se arrivasse da un altro mondo.
Il wakiyaku resta vicino al pilastro a destra, da dove narra la storia e dialoga con gli altri personaggi. In linea di principio, non canta né balla, ma si limita a declamare. Rappresenta gli umani.
Lo shite invece monopolizza l'attenzione degli spettatori con i suoi canti, balli e declamazioni. Di solito indossa una maschera e abiti sontuosi, indipendentemente dalla categoria sociale del personaggio. Rappresenta qualsiasi categoria di carattere non umano (fantasmi, demoni, ecc.).
Sotto al palco, un'apposita cassa di risonanza amplifica il suono dei passi dello shite sul pavimento per rendere la sua recitazione ancora più imponente. Durante la rappresentazione possono poi comparire anche altre figure: lo tsure che accompagna gli attori, i kogata cioè i bambini e gli kyōgen, personaggi comici o scene comiche che servono ad alleggerire la tensione dei drammi rappresentati.
La particolare configurazione del palco ha come conseguenza la creazione di tre categorie di posti:
1) Di fronte al palco (shômen): da qui gli spettatori hanno una visuale completa ed ovviamente questa è la categoria migliore.
2) A sinistra del palco (wakishômen): gli spettatori sono seduti tra l'hashigakari e il palco. Questa location è apprezzata soprattutto da chi desidera essere il più vicino possibile agli attori.
3) All'angolo del palco (nakashômen): posto tra le altre due tipologie di sedili, è considerata la categoria peggiore perché la visuale degli spettatori è ostruita da uno dei pilastri del palco.
Il repertorio del teatro Nô è composto da circa 240 brani tratti dalla letteratura classica giapponese o da antiche leggende.
Una rappresentazione completa prevede cinque drammi Nô intervallati da tre kyōgen, seguendo il principio del jo-ha-kyū (introduzione, sviluppo conclusione): si inizia con un dramma introduttivo della durata di circa 40-45 minuti, seguito da drammi di sviluppo (di circa 30 minuti) e si conclude in modo eclatante con il dramma di chiusura. Oggigiorno le rappresentazioni durano 2 ore e mezza e sono rappresentati 2 drammi e 1 kyōgen.
I drammi originariamente erano suddivisi in:
- kami no no: dramma introduttivo in cui lo shite è un kami che appare sotto le spoglie di un vecchio. Quindi esegue la canzone kamiuta (o shinka) combinando danza e rito shintoista.
- shura mono (dramma dei guerrieri): generalmente costruito sull'incontro tra un monaco buddista (interpretato dallo waki) e l'anima di un guerriero del passato perso nel ciclo delle reincarnazioni (incarnato dallo shite). I testi si riferiscono ad antiche cronache epiche relative alla morte e alla perdizione degli spiriti dei grandi guerrieri.
- kazuranô dove troviamo l'apparizione di una donna con un tragico destino che impazzisce ed è in preda alla follia, spesso per la morte del figlio
- genzai mono (dramma realistico): sono spesso drammi d’amore
- zônô l'interludio Nô, non predefinito, può essere sia leggero che drammatico
- kiri no no (dramma che chiude): dramma di chiusura che ha un tono fantastico, si ricollega al kami no no in modo circolare, è spesso rappresentato un nobile che incontra un essere soprannaturale di buon auspicio come una creatura degli inferni buddisti.
Non bisogna però dimenticare che una rappresentazione di Nô è caratterizzata soprattutto dalle sue maschere. Realizzate in legno di cipresso e alte una ventina di centimetri, sono indossate quasi esclusivamente dallo shite. Più piccole del volto umano, posizionate da metà della fronte fino alla metà del mento, serve all'attore a incutere timore e fa percepire il suo provenire da un altro mondo.
Vedendole non indossate, le maschere possono trarre in inganno perché sembrano prive di espressione, ma con i loro gesti precisi e codificati, avvalendosi in particolare degli effetti di luce, gli attori riescono a dar loro vita e a trasmettere l'emozione agli spettatori. Per far ciò l’attore ha bisogno di molto addestramento.
Esistono cinque tipi principali di maschere:
1) La maschera da donna (onnamen) con il volto idealizzato delle bellezze del periodo Heian: pelle bianca, sopracciglia dipinte sopra la fronte, labbra rosse e denti neri
2) La maschera da uomo (otokomen) con carnagione chiara, sopracciglia in rilievo e naso piatto, spesso sottolineata da baffi sottili
3) La maschera da vecchio (okinamen) dal viso estremamente rugoso e addobbata con un lungo pizzetto bianco
4) La maschera dello spirito (onryômen) con il viso deformato, gli occhi sporgenti, la bocca aperta sulle zanne e la testa spesso sormontata da corna, a rappresentare fantasmi o spiriti irrequieti
5) La maschera da demone (kimen) in tonalità rosse o dorate, con grandi occhi e la bocca spesso contratta in un sorriso che rivela una minacciosa dentatura. Rappresenta esseri soprannaturali come il tengu.
Di questi cinque tipi principali sono disponibili circa 180 modelli diversi in modo da adattarsi alla varietà dei personaggi. Alcune sono state tramandate di generazione in generazione per 700 anni.
Da notare che lo shite sul palco è in una condizione di semicecità perché gli occhi della maschera sono in realtà delle semplici fessure, che impediscono la visione di circa l’70-80%. Se riesce a muoversi bene sul palco è solo perché lo conosce a memoria, sa dove deve andare e orientarsi; in questo modo riesce anche a danzare bene.
Lo shite sul palco, più che danzare, deambula, fa movimenti lenti e sembra che sia sospeso da terra di pochi centimetri. Tutto ciò è possibile grazie alle tecniche che ha acquisito con l’addestramento e al fatto che vedendo poco questi movimenti particolari si acquisiscono meglio.
Da queste fessure l'attore intravede i punti di riferimento importanti del palco, come ad esempio i pilastri. Essi hanno un nome ben preciso perché ognuno ha una sua particolare funzione: il metsuke bashira (colonna dello sguardo) è utilizzata dallo shite e quando dirige il suo sguardo verso di essa e si immobilizza, fa comprendere al pubblico che si è raggiunto un momento clou del dramma; il waki bashira (colonna del waki) è quella vicino alla quale il waki appunto si pone accovacciato per rimanere in scena; il fue bashira (colonna del flauto) è quella accanto a cui si pone chi suona il flauto; lo shite bashira (colonna dello shite) è quello da cui viene evocato lo shite che entra in scena dal kagami no eiya (stanza dello specchio).Tutti gli elementi del palcoscenico sono importanti, sia da un punto di vista estetico, sia perché permettono all’attore di muoversi su di esso.
Purtroppo a causa dei testi e del modo di porsi sempre uguale negli ultimi 700 anni, il teatro Nô resta di difficile accesso anche per lo stesso pubblico giapponese. Poiché sono pochi gli spettatori e quindi pochi gli incassi lo stato giapponese lo sovvenziona molto poco rispetto ad altre espressioni artistiche tradizionali come il Kabuki o il Bunraku. Inoltre le nuove generazioni denunciano il fatto che le donne difficilmente riescano ad accedere a quest'arte: meno del 15% dei ruoli infatti è ricoperto da donne e sono solo ruoli secondari, essendo i principali vietati.
Il turismo è l'unica speranza offerta al Nô per sopravvivere e si stanno compiendo sforzi per renderlo più fruibile, come traduzioni in inglese o pubblicazioni di libretti simili a quelli dell'opera italiana.
Alcune famiglie di attori Nô offrono laboratori teatrali per coloro che desiderano provare a praticare questa arte.
Fonte consultata:
Kanpai
Tantissimi ringraziamenti ad Hachiko94 per l'aiuto nel reperire informazioni preziose sul teatro Nô
Il Nô (能) o Nôgaku (能 楽) è una delle arti teatrali più antiche del mondo e la più antica dell'arcipelago: le sue origini risalgono al VII secolo. Classificato come patrimonio mondiale dall'UNESCO nel 2008, alcuni dei suoi attori sono considerati tesori nazionali viventi del Giappone. Nel paese si contano ad oggi quasi 70 teatri dedicati in cui lavorano circa mille professionisti.
A differenza del teatro Kabuki, che punta sull'eccentricità e sull'esuberanza, il teatro Nô punta sulla raffinatezza e sulla suggestione. Niente trucco appariscente o voce baritonale: qui troviamo lirica e cori, punteggiati da danze e declamazioni.
Il Nô come lo vediamo ora fu formalizzato verso la fine del XIV secolo, ma le sue origini risalgono ai rituali sacri shintoisti e alle danze tradizionali contadine del VII secolo chiamate kagura (神 楽) con cui si cercava di assicurarsi la benevolenza delle divinità per ottenere buoni raccolti. Nel corso dei decenni, con l'ascesa del Buddismo, queste danze hanno perso il loro prestigio e l'arte è stata trasformata e ribattezzata sangaku (散 楽).
Fu durante il periodo di Muromachi (1336-1573) che il Nô assunse la sua forma definitiva. Sotto lo shogun Ashikaga Yoshimitsu, importante mecenate, furono due attori Kan’ami (1333-1384) e Zeami (1363-1443), padre e figlio, a stabilire le regole del Nô. Partendo dal sangaku, lo modificarono traendo ispirazione direttamente dallo Zen, scrivendo nuovi testi e stabilendo regole più severe. Tutto ciò che stabilirono si cristallizzò e arrivò intatto fino ai giorni nostri, tramandato segretamente di generazione in generazione; sono infatti solo quattro i clan o famiglie che custodiscono questi segreti. Cambiare troppo vorrebbe dire contraddire la tradizione. Così un'arte popolare venne trasformata in arte raffinata destinata all'élite giapponese.
Se Kan’ami fu il primo ideatore del teatro Nô, Zeami invece mise per iscritto le nuove regole nel Kadenshō (che tradotto significa trasmissione segreta del fiore).
I principi estetici fondamentali fissati da Zeami sono tre:
1) Hana (che vuol dire fiore, ma qui è inteso come fascino/talento): un attore ha dentro di sé il fiore della recitazione, che va distinto in jibun no hana (fiore di sè/proprio) e makoto no hana (vero fiore riconquistato). Il primo è il talento innato nei bambini: iniziati al teatro Nô dai 5-6 anni fino agli 11-12, con lo sviluppo fisico e psichico, con la perdita della voce bianca e il cambiamento del corpo perdono il jibun no hana. Lo potranno riacquistare solo attraverso un addestramento di 30 anni precisi. All’età di 40 anni un attore può raggiungere la vetta della perfezione e ottenere di nuovo il fiore, appunto il makoto no hana. Inoltre l’attore durante la sua vita deve sottostare a tre proibizioni: sake, gioco d’azzardo e sesso.
2) Monomane (imitazione delle cose): tutto è rappresentato in modo simbolico e stilizzato, non si vedrà mai qualcosa che riconduce in modo diretto alla realtà, ad esempio una nave sarà rappresentata con dei nastri di raso. È una forma d’arte simbolica e irrealistica.
3) Yūgen (mistero): deve essere trasmesso allo spettatore, per incutere timore. A questo scopo l’attore indossa due ma anche tre kimono per ingrandire la sua figura e innalzarla.
Per capire appieno una rappresentazione di teatro Nô bisogna anche conoscere bene il luogo ove si svolge e il ruolo dei vari attori.
La sala, generalmente piccola, ospita un palcoscenico dalle dimensioni ridotte, la cui forma rievoca l'esterno nei recinti dei santuari, con un tetto anche all'interno.
Il palcoscenico è infatti considerato un luogo sacro, poiché rappresenta un mondo "altro". Fra pubblico e platea vi è una certa distanza: non a caso nella parte anteriore del palco è sempre presente una scaletta con tre gradini non usata da nessuno, ma posta semplicemente a sottolineare come i due mondi siano perennemente separati.
La maggior parte della rappresentazione si svolge su una piattaforma quadrata di legno di circa 6 metri di lato, collegata alle parti laterali da un corridoio rialzato lungo circa 6 metri detto hashigakari. Questo è punteggiato da tre pilastri simbolici che servono sia come punti di riferimento per gli attori che per creare effetti di prospettiva. Un albero di pino è dipinto poi come sfondo.
In fondo al palco si trovano i musicisti (un flautista e tre percussionisti) e gli assistenti degli attori. Un coro di otto-dieci persone disposte su due file invece è posizionato al bordo del palco di fronte alle quinte (jiutai-za).
Normalmente gli attori principali del teatro Nô sono solo due: il wakiyaku, (da waki ni, accanto, la spalla) a volte rappresentato come un monaco, senza maschera, che ha la funzione di evocare l’apparizione in scena dello shite o shuyaku (da suru, fare, l'attore principale); è una sorta di esorcismo, evoca questa figura come se arrivasse da un altro mondo.
Il wakiyaku resta vicino al pilastro a destra, da dove narra la storia e dialoga con gli altri personaggi. In linea di principio, non canta né balla, ma si limita a declamare. Rappresenta gli umani.
Lo shite invece monopolizza l'attenzione degli spettatori con i suoi canti, balli e declamazioni. Di solito indossa una maschera e abiti sontuosi, indipendentemente dalla categoria sociale del personaggio. Rappresenta qualsiasi categoria di carattere non umano (fantasmi, demoni, ecc.).
Sotto al palco, un'apposita cassa di risonanza amplifica il suono dei passi dello shite sul pavimento per rendere la sua recitazione ancora più imponente. Durante la rappresentazione possono poi comparire anche altre figure: lo tsure che accompagna gli attori, i kogata cioè i bambini e gli kyōgen, personaggi comici o scene comiche che servono ad alleggerire la tensione dei drammi rappresentati.
La particolare configurazione del palco ha come conseguenza la creazione di tre categorie di posti:
1) Di fronte al palco (shômen): da qui gli spettatori hanno una visuale completa ed ovviamente questa è la categoria migliore.
2) A sinistra del palco (wakishômen): gli spettatori sono seduti tra l'hashigakari e il palco. Questa location è apprezzata soprattutto da chi desidera essere il più vicino possibile agli attori.
3) All'angolo del palco (nakashômen): posto tra le altre due tipologie di sedili, è considerata la categoria peggiore perché la visuale degli spettatori è ostruita da uno dei pilastri del palco.
Il repertorio del teatro Nô è composto da circa 240 brani tratti dalla letteratura classica giapponese o da antiche leggende.
Una rappresentazione completa prevede cinque drammi Nô intervallati da tre kyōgen, seguendo il principio del jo-ha-kyū (introduzione, sviluppo conclusione): si inizia con un dramma introduttivo della durata di circa 40-45 minuti, seguito da drammi di sviluppo (di circa 30 minuti) e si conclude in modo eclatante con il dramma di chiusura. Oggigiorno le rappresentazioni durano 2 ore e mezza e sono rappresentati 2 drammi e 1 kyōgen.
I drammi originariamente erano suddivisi in:
- kami no no: dramma introduttivo in cui lo shite è un kami che appare sotto le spoglie di un vecchio. Quindi esegue la canzone kamiuta (o shinka) combinando danza e rito shintoista.
- shura mono (dramma dei guerrieri): generalmente costruito sull'incontro tra un monaco buddista (interpretato dallo waki) e l'anima di un guerriero del passato perso nel ciclo delle reincarnazioni (incarnato dallo shite). I testi si riferiscono ad antiche cronache epiche relative alla morte e alla perdizione degli spiriti dei grandi guerrieri.
- kazuranô dove troviamo l'apparizione di una donna con un tragico destino che impazzisce ed è in preda alla follia, spesso per la morte del figlio
- genzai mono (dramma realistico): sono spesso drammi d’amore
- zônô l'interludio Nô, non predefinito, può essere sia leggero che drammatico
- kiri no no (dramma che chiude): dramma di chiusura che ha un tono fantastico, si ricollega al kami no no in modo circolare, è spesso rappresentato un nobile che incontra un essere soprannaturale di buon auspicio come una creatura degli inferni buddisti.
Non bisogna però dimenticare che una rappresentazione di Nô è caratterizzata soprattutto dalle sue maschere. Realizzate in legno di cipresso e alte una ventina di centimetri, sono indossate quasi esclusivamente dallo shite. Più piccole del volto umano, posizionate da metà della fronte fino alla metà del mento, serve all'attore a incutere timore e fa percepire il suo provenire da un altro mondo.
Vedendole non indossate, le maschere possono trarre in inganno perché sembrano prive di espressione, ma con i loro gesti precisi e codificati, avvalendosi in particolare degli effetti di luce, gli attori riescono a dar loro vita e a trasmettere l'emozione agli spettatori. Per far ciò l’attore ha bisogno di molto addestramento.
Esistono cinque tipi principali di maschere:
1) La maschera da donna (onnamen) con il volto idealizzato delle bellezze del periodo Heian: pelle bianca, sopracciglia dipinte sopra la fronte, labbra rosse e denti neri
2) La maschera da uomo (otokomen) con carnagione chiara, sopracciglia in rilievo e naso piatto, spesso sottolineata da baffi sottili
3) La maschera da vecchio (okinamen) dal viso estremamente rugoso e addobbata con un lungo pizzetto bianco
4) La maschera dello spirito (onryômen) con il viso deformato, gli occhi sporgenti, la bocca aperta sulle zanne e la testa spesso sormontata da corna, a rappresentare fantasmi o spiriti irrequieti
5) La maschera da demone (kimen) in tonalità rosse o dorate, con grandi occhi e la bocca spesso contratta in un sorriso che rivela una minacciosa dentatura. Rappresenta esseri soprannaturali come il tengu.
Di questi cinque tipi principali sono disponibili circa 180 modelli diversi in modo da adattarsi alla varietà dei personaggi. Alcune sono state tramandate di generazione in generazione per 700 anni.
Da notare che lo shite sul palco è in una condizione di semicecità perché gli occhi della maschera sono in realtà delle semplici fessure, che impediscono la visione di circa l’70-80%. Se riesce a muoversi bene sul palco è solo perché lo conosce a memoria, sa dove deve andare e orientarsi; in questo modo riesce anche a danzare bene.
Lo shite sul palco, più che danzare, deambula, fa movimenti lenti e sembra che sia sospeso da terra di pochi centimetri. Tutto ciò è possibile grazie alle tecniche che ha acquisito con l’addestramento e al fatto che vedendo poco questi movimenti particolari si acquisiscono meglio.
Da queste fessure l'attore intravede i punti di riferimento importanti del palco, come ad esempio i pilastri. Essi hanno un nome ben preciso perché ognuno ha una sua particolare funzione: il metsuke bashira (colonna dello sguardo) è utilizzata dallo shite e quando dirige il suo sguardo verso di essa e si immobilizza, fa comprendere al pubblico che si è raggiunto un momento clou del dramma; il waki bashira (colonna del waki) è quella vicino alla quale il waki appunto si pone accovacciato per rimanere in scena; il fue bashira (colonna del flauto) è quella accanto a cui si pone chi suona il flauto; lo shite bashira (colonna dello shite) è quello da cui viene evocato lo shite che entra in scena dal kagami no eiya (stanza dello specchio).Tutti gli elementi del palcoscenico sono importanti, sia da un punto di vista estetico, sia perché permettono all’attore di muoversi su di esso.
Purtroppo a causa dei testi e del modo di porsi sempre uguale negli ultimi 700 anni, il teatro Nô resta di difficile accesso anche per lo stesso pubblico giapponese. Poiché sono pochi gli spettatori e quindi pochi gli incassi lo stato giapponese lo sovvenziona molto poco rispetto ad altre espressioni artistiche tradizionali come il Kabuki o il Bunraku. Inoltre le nuove generazioni denunciano il fatto che le donne difficilmente riescano ad accedere a quest'arte: meno del 15% dei ruoli infatti è ricoperto da donne e sono solo ruoli secondari, essendo i principali vietati.
Il turismo è l'unica speranza offerta al Nô per sopravvivere e si stanno compiendo sforzi per renderlo più fruibile, come traduzioni in inglese o pubblicazioni di libretti simili a quelli dell'opera italiana.
Alcune famiglie di attori Nô offrono laboratori teatrali per coloro che desiderano provare a praticare questa arte.
Fonte consultata:
Kanpai
Tantissimi ringraziamenti ad Hachiko94 per l'aiuto nel reperire informazioni preziose sul teatro Nô
Anche il grande Kurosawa si ispirò al No per il suo spettacolare Trono di sangue.
Fa onore ai giapponesi il tentativo di portare avanti una tradizione immutata da sette secoli, mentre il mondo cambia... A maggior ragione perché, se i tre divieti principali degli attori sono rispettati, un monaco starebbe poco meglio.
Detto sinceramente, ora che so di cosa si tratta, non andrei a vedere una rappresentazione. Non capendo una parola, mi annoierei a morte. So che non sarei minimamente in grado di comprenderla, men che meno goderla.
Ho avuto la fortuna di vedere a teatro Il ragno Tsuchigumo quattro anni fa. Sublime!
Dove lo hai visto? Quanto è durato? Mi piacerebbe conoscere le impressioni di chi ha visto una rappresentazione completa. Di cosa parlava?
Al teatro Argentina a Roma.
Se ricordo bene circa due ore.
Lo spettacolo in questo caso era diviso in due atti. Il primo era una pantomima comica su un giovane scansafatiche che voleva lucrare ai danni della zia.
Carino come siparietto, ma oggettivamente divertente più per la forte caratterizzazione attoriale delle voci e delle impostazioni mimiche dei personaggi.
Il secondo era il dramma vero e proprio (diviso anch'esso in due atti) dove un signore feudale stanava ed eliminava un demone ragno che infestava il suo feudo.
Il demone ragno, interpretato dallo shite, portava una delle classiche maschere No, in questo caso un classico demone con folta chioma arancione. Per simboleggiare le tele spruzzate dal demone lo shite lanciava sul palco lunghi fili di carta bianca.
Questa era la parte più interessante e visivamente coinvolgente dello spettacolo. A tratti anche commovente perché le parole del ragno denunciavano uno stato di patetismo ed empatia forti, di un mostro perseguitato.
Sopra il palco c'era uno schermo che traduceva (non proprio simultaneamente e con qualche errore) i dialoghi, che ovviamente erano in giapponese.
In ogni caso un'esperienza suggestiva che consiglierei a chiunque.
Devo confessare che apprezzai di più il kabuki che vidi sempre all'Argentina anni prima.
Ma è proprio un altro stile (e quello mi piacque a dismisura proprio! ).
Grazie!
Scusate, era pessima lo so.
Io però ho riso lo stesso.
Grazie comunque ad Hachi, che, con i suoi sempre interessantissimi e documentati articoli, contribuisce ad estendere la nostra conoscenza della civiltà giapponese oltre i manga e gli anime, anzi, permettendoci di comprendere meglio taluni aspetti che nei manga e anime ci vengono spesso presentati.
????
Concordo
Mi piacerebbe vedere una rappresentazione dal vivo, @2247 ti invidio tantissimo!
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