Il 18 marzo si è tenuto nell'aula magna del Liceo Statale Ignazio Vian di Bracciano l'incontro con Andrea Yuu Dentuto, mangaka italiano ufficiale di Lupin III che lavora tutt'oggi come traduttore, adattatore e animatore.
L'evento, organizzato dagli studenti e professori dell'istituto in collaborazione con Cultura Movens e AnimeClick, ha avuto come obbiettivo la diffusione della cultura manga nelle scuole. Si ha avuto modo di parlare della carriera del maestro, dei suoi lavori dietro le quinte nella casa editrice Futabasha e tante altre chicche rivolte principalmente ai giovani appassionati. Il tutto attraverso la promozione della serie LOSERS, manga edito in Italia da Nippon Shock Edizioni e curato da Dentuto stesso. Se volete sapere di più sulla storia e sull'edizione, vi rimandiamo alle nostre prime impressioni.
Iniziamo con una domanda per rompere il ghiaccio. Chi è, di preciso, Andrea Yuu Dentuto? Ci può parlare della sua vita e del suo percorso artistico?
È stato molto difficile per me iniziare a lavorare nel settore perché c'era molta concorrenza tra i disegnatori. Si cercava di dare il massimo per raggiungere la pubblicazione di una propria opera. All'inizio degli anni '40 era molto difficile vedere un liceo che aprisse le porte un sabato pomeriggio per parlare di manga: prima non c'era assolutamente nulla se non qualche programma che passava alla Rai. Questo è stato il mio inizio.
La Granata Press fu la prima a portare manga in Italia come Lamù, Capitan Harlock e tantissime altre serie. Sono entrato nel loro staff, ho iniziato a scrivere articoli su Lupin e a illustrare la prima rivista manga italiana a cominciare dal numero uno. Poi è arrivata Star Comics, e ho iniziato a lavorare con loro negli inizi degli anni '90. Era tutto un altro mondo per me. Il capo al tempo venne un giorno a darmi delle pacche sulla spalla e mi disse: "Vai avanti ragazzo, se vuoi andare in Giappone vacci".
LOSERS è di fatto un omaggio a "Bun-chan", capo redattore della Futabasha che ha avuto per primo l’intuizione, attraverso la sua rivista di manga seinen, di fare letteratura con il fumetto. Secondo lei che rapporto c’è tra queste? Il fumetto può essere considerato una forma di letteratura e affiancata ad autori citati nella serie stessa come Tolstoj?
In linea generale, la letteratura è letteratura, i fumetti sono fumetti. Trovano un loro contatto, questo è certo. I fumetti possono parlare di letteratura, e la letteratura può avvicinarsi alla visione fumettistica. Entrambi possono convincere una persona a capire quello che tu scrittore, tu disegnatore, vuoi mostrare.
La letteratura si esprime con le parole, il fumetto attraverso il disegno, quindi ha un qualcosa in più che, nel suo piccolo, diventa una vera e propria forma d'arte affiancabile al cinema e alla musica.
Quanto c’è di romanzato in LOSERS e nella storia di una casa editrice che ha inizialmente come sede un orinatoio pubblico per poi diventare la casa editrice di successo che conosciamo?
Ci sarebbero diverse cose sulla Futabasha da dire. Quando sono entrato mi sono sentito come un pulcino, un piccolo ovetto. LOSERS è leggermente romanzata ma semplicemente per permettere alla lettura di scorrere in maniera fluida. Eppure, è tutto assolutamente vero.
Io sono entrato in diverse case editrici molto piccole facendo da gavetta. Quando poi mi sono ritrovato davanti la Futabasha, per me era tutto "pika pika", bellissimo (pika in giapponese vuol dire bagliore, da questa parola deriva il nome del tanto amato Pokémon Pikachu). Vedevo le persone attorno a me che dicevano "Andrea è arrivato" e pensavo: "Mi conoscono, sono uno di loro!". Futabasha era partita da un bagno pubblico, anche i fumettisti senza nessun valore trovavano lavoro grazie al passaparola o grazie agli annunci sulle riviste. Oggi è diventata una grande casa editrice, ma rispecchia ancora lo stile di una volta: leggendo LOSERS vedo la Futabasha di sempre. C'erano delle persone al desk nell'ingresso, ci si vedeva spesso con i colleghi alle macchinette per prendersi un caffé: ho trovato in LOSERS la stessa atmosfera che ho vissuto lì.
Sappiamo che in Giappone vi è una categorizzazione dei manga (kodomo, shonen, shojo, seinen, josei...). Secondo lei sono categorie valide anche per l’occidente e nello specifico per l’Italia? O il mondo occidentale è fuori da queste differenziazioni?
Ormai ci siamo. Il fatto stesso che mi vengano poste domande del genere mi fa notare come il processo sia già iniziato. Si sta parlando di una categorizzazione che i tuoi compagni conoscono, ma che il pubblico sta scoprendo in questo esatto momento. Andiamo sempre verso una cultura più totale, e avendo vissuto in Giappone mi sono reso conto di quanto il Giappone sia costantemente avanti.
Per esempio, quando nei primi anni '90 parlavo del mio cellulare capace di chiamare a casa in Italia dal Giappone, mi davano dello scemo. Un altro esempio che vi faccio: sempre negli anni '90 qui in Italia che bevande c'erano? La Coca Cola, la Fanta, la Sprite... stop. In Giappone la Fanta ha mille varietà come all'uva e alla fragola.
A proposito del rapporto che l'Italia ha con i fumetti: in un paese europeo come la Francia la cultura della bande dessinée è fortemente sviluppata e intergenerazionale, mentre nel nostro paese ci troviamo di fronte a un paradosso. Da una parte, l'enorme amore per il mondo manga che ci ha spinto ad organizzare questo stesso evento, e dall'altra parte, soprattutto tra i genitori, il mondo del fumetto è ancora mal visto. Si pensa che il fumetto in generale sia per bambini, e che questi dovrebbero passare ad una "lettura più acculturata" una volta cresciuti. Ci rendiamo conto che è una domanda un po' ostica ma ci tenevamo a farla: qual è la sua opinione al riguardo?
Che sia un romanzo, che sia un fumetto, è cultura. Tutto quello che è cultura è sacro perché è scoperta. Il fatto che il fumetto in generale, tra cui soprattutto i manga, siano ancora discriminati, lo trovo altamente stupido. I manga sono stati la mia salvezza, ho investito tutta la mia vita sui manga, ci ho passato i più begli anni della mia vita e grazie ad essi ho stretto grandi amicizie. Il fumetto è creatività e fantasia.
Se avessi avuto un figlio gli avrei detto "Leggi i fumetti", perché il fumetto trasmette cose che ancora oggi i romanzi hanno difficoltà a fare. Questi sono bloccati nella loro forma verbale: un tramonto può essere descritto, ma anche mostrato attraverso un'immagine più diretta.
Tutti dovrebbero disegnare. Un errore che i genitori fanno è quello di vedere il disegno come un qualcosa di inutile, non necessario. Il fumetto ci aiuta a comprendere il nostro mondo nella sua realtà e nella sua fantasia. I manga insegnano ai giovani l'amore, i sentimenti, la forza di andare avanti, il coraggio... i lettori giapponesi non cercano i supereroi, ma cercano i loro difetti e si chiedono: "Come sono riusciti questi personaggi a superare quella determinata situazione?".
A me piace vedere un film d'azione, un film in cui c'è il buono e il cattivo, perché è bello fantasticare. Ho fantasticato molto da bambino, e anche adesso che ho 53 anni vedo storie di ragazzi e riesco a immedesimarmi in loro. Sono cresciuto con la consapevolezza di essere rimasto me stesso. Si vive una sola volta nella vita e le esperienze vanno fatte tutte.
Può parlarci del rapporto amicale che ha avuto con il Maestro Monkey Punch?
Ho scritto un paio di anni fa per una rivista della mia amicizia con Monkey Punch. Molte volte si fa di tutto per poter incontrare i propri idoli, ma c'è quella paura furtiva che non ti calcolino perché non vali abbastanza. Per me è stato come incontrare Dio, una delle figure più importanti della mia vita. Ci ho fatto amicizia, lo chiamavo per il suo compleanno e lui chiamava me per il mio compleanno. Veniva a trovarmi spesso ed è diventato come uno zio per me. Quando mi sono sposato è venuto a congratularsi con me. Sono rimasto talmente tanto colpito da questa persona che ancora oggi farei tutto per lui.
La notizia della morte di una persona famosa viene data più in là, in modo tale da permettere ai familiari di organizzare il funerale. Viene visto come un momento di pace per la famiglia. Io lo venni a sapere da suo figlio che mi scrisse: "So quanto siete stati importanti per mio padre. Vi chiedo di non spargere la voce al momento, ma volevo dirvi che mio padre è morto.".
Monkey Punch era un uomo stupendo con una moglie stupenda. Andava sempre avanti, chiacchierava e parlava, e tutti dovevano seguire il suo passo. Assolutamente una persona vera, autentica.
Com'è stato il suo percorso scolastico? La sua passione ha superato la sua formazione accademica oppure sono come due binari che camminano tutt'oggi di pari passo?
Io ho fatto il liceo artistico e poi l'Accademia di Belle Arti. Ho avuto dei bravi insegnanti, dai quali ho imparato molto, anche nel modo di approcciarmi con i miei studenti. Ho avuto modo di imparare anche nel mio percorso lavorativo, non appena sono arrivato in Giappone.
Oltre a Monkey Punch lei è stato a contatto con altri grandi autori come Otsuka. Quali sono state le impronte che hanno lasciato su di lei? Ha qualche ricordo e/o esperienze da condividere con noi?
Per quanto io sia cresciuto con Lupin, non l'ho mai disegnato come Monkey Punch. Sono sempre stato ferreo sul mio stile. Con Otsuka, invece, il mio stile si è evoluto: è stato il mio capo, una persona molto importante nello studio nel mentre lavoravo alla Principessa Mononoke. Non mi faccio pubblicità perché ho fatto tre scene in croce, però Otsuka è stato gentilissimo con me e rappresenta un'importante influenza per il mio lavoro artistico.
Ha altre esperienze lavorative particolari da raccontarci?
Ho avuto tante gelosie perché ero straniero. Dal 2004, nella rivista di Lupin c'erano dei sondaggi di gradimento sugli autori che pubblicavano all'interno del numero della rivista. L'autore di punta cambiava di numero in numero, e anche se non sono riuscito a finire tra questi avevo trovato, nel mio piccolo, degli appassionati. Mi hanno bruciato tantissime idee, finché non mi hanno dato l'ok su una storia.
Il ricordo più bello è stato quando trovai un messaggio sulla segreteria: il mio capitolo di Lupin sull'Official Magazine sarebbe slittato di un numero per lasciar spazio ad un nuovo capitolo disegnato da Otsuka-san (erano più di 10 anni che non scriveva una storia di Lupin).
"A proposito, tanti saluti da Otsuka-san!" *ride*.
Otsuka mi aveva riconosciuto, il character designer stesso de Il Castello di Cagliostro mi portava i suoi saluti! Da quel momento mi hanno riconosciuto come disegnatore ufficiale di Lupin.
Che consigli si sente di dare ai giovani appassionati che vorrebbero entrare nel mondo manga?
Studiare, innanzitutto. Studiare è l'altra metà della bravura.
Può descrivere la sua vita in un motto?
Vissi di manga. Vissi d'amore.
Fotografia: Marisa De Gregorio
L'evento, organizzato dagli studenti e professori dell'istituto in collaborazione con Cultura Movens e AnimeClick, ha avuto come obbiettivo la diffusione della cultura manga nelle scuole. Si ha avuto modo di parlare della carriera del maestro, dei suoi lavori dietro le quinte nella casa editrice Futabasha e tante altre chicche rivolte principalmente ai giovani appassionati. Il tutto attraverso la promozione della serie LOSERS, manga edito in Italia da Nippon Shock Edizioni e curato da Dentuto stesso. Se volete sapere di più sulla storia e sull'edizione, vi rimandiamo alle nostre prime impressioni.
Iniziamo con una domanda per rompere il ghiaccio. Chi è, di preciso, Andrea Yuu Dentuto? Ci può parlare della sua vita e del suo percorso artistico?
È stato molto difficile per me iniziare a lavorare nel settore perché c'era molta concorrenza tra i disegnatori. Si cercava di dare il massimo per raggiungere la pubblicazione di una propria opera. All'inizio degli anni '40 era molto difficile vedere un liceo che aprisse le porte un sabato pomeriggio per parlare di manga: prima non c'era assolutamente nulla se non qualche programma che passava alla Rai. Questo è stato il mio inizio.
La Granata Press fu la prima a portare manga in Italia come Lamù, Capitan Harlock e tantissime altre serie. Sono entrato nel loro staff, ho iniziato a scrivere articoli su Lupin e a illustrare la prima rivista manga italiana a cominciare dal numero uno. Poi è arrivata Star Comics, e ho iniziato a lavorare con loro negli inizi degli anni '90. Era tutto un altro mondo per me. Il capo al tempo venne un giorno a darmi delle pacche sulla spalla e mi disse: "Vai avanti ragazzo, se vuoi andare in Giappone vacci".
LOSERS è di fatto un omaggio a "Bun-chan", capo redattore della Futabasha che ha avuto per primo l’intuizione, attraverso la sua rivista di manga seinen, di fare letteratura con il fumetto. Secondo lei che rapporto c’è tra queste? Il fumetto può essere considerato una forma di letteratura e affiancata ad autori citati nella serie stessa come Tolstoj?
In linea generale, la letteratura è letteratura, i fumetti sono fumetti. Trovano un loro contatto, questo è certo. I fumetti possono parlare di letteratura, e la letteratura può avvicinarsi alla visione fumettistica. Entrambi possono convincere una persona a capire quello che tu scrittore, tu disegnatore, vuoi mostrare.
La letteratura si esprime con le parole, il fumetto attraverso il disegno, quindi ha un qualcosa in più che, nel suo piccolo, diventa una vera e propria forma d'arte affiancabile al cinema e alla musica.
Quanto c’è di romanzato in LOSERS e nella storia di una casa editrice che ha inizialmente come sede un orinatoio pubblico per poi diventare la casa editrice di successo che conosciamo?
Ci sarebbero diverse cose sulla Futabasha da dire. Quando sono entrato mi sono sentito come un pulcino, un piccolo ovetto. LOSERS è leggermente romanzata ma semplicemente per permettere alla lettura di scorrere in maniera fluida. Eppure, è tutto assolutamente vero.
Io sono entrato in diverse case editrici molto piccole facendo da gavetta. Quando poi mi sono ritrovato davanti la Futabasha, per me era tutto "pika pika", bellissimo (pika in giapponese vuol dire bagliore, da questa parola deriva il nome del tanto amato Pokémon Pikachu). Vedevo le persone attorno a me che dicevano "Andrea è arrivato" e pensavo: "Mi conoscono, sono uno di loro!". Futabasha era partita da un bagno pubblico, anche i fumettisti senza nessun valore trovavano lavoro grazie al passaparola o grazie agli annunci sulle riviste. Oggi è diventata una grande casa editrice, ma rispecchia ancora lo stile di una volta: leggendo LOSERS vedo la Futabasha di sempre. C'erano delle persone al desk nell'ingresso, ci si vedeva spesso con i colleghi alle macchinette per prendersi un caffé: ho trovato in LOSERS la stessa atmosfera che ho vissuto lì.
Sappiamo che in Giappone vi è una categorizzazione dei manga (kodomo, shonen, shojo, seinen, josei...). Secondo lei sono categorie valide anche per l’occidente e nello specifico per l’Italia? O il mondo occidentale è fuori da queste differenziazioni?
Ormai ci siamo. Il fatto stesso che mi vengano poste domande del genere mi fa notare come il processo sia già iniziato. Si sta parlando di una categorizzazione che i tuoi compagni conoscono, ma che il pubblico sta scoprendo in questo esatto momento. Andiamo sempre verso una cultura più totale, e avendo vissuto in Giappone mi sono reso conto di quanto il Giappone sia costantemente avanti.
Per esempio, quando nei primi anni '90 parlavo del mio cellulare capace di chiamare a casa in Italia dal Giappone, mi davano dello scemo. Un altro esempio che vi faccio: sempre negli anni '90 qui in Italia che bevande c'erano? La Coca Cola, la Fanta, la Sprite... stop. In Giappone la Fanta ha mille varietà come all'uva e alla fragola.
A proposito del rapporto che l'Italia ha con i fumetti: in un paese europeo come la Francia la cultura della bande dessinée è fortemente sviluppata e intergenerazionale, mentre nel nostro paese ci troviamo di fronte a un paradosso. Da una parte, l'enorme amore per il mondo manga che ci ha spinto ad organizzare questo stesso evento, e dall'altra parte, soprattutto tra i genitori, il mondo del fumetto è ancora mal visto. Si pensa che il fumetto in generale sia per bambini, e che questi dovrebbero passare ad una "lettura più acculturata" una volta cresciuti. Ci rendiamo conto che è una domanda un po' ostica ma ci tenevamo a farla: qual è la sua opinione al riguardo?
Che sia un romanzo, che sia un fumetto, è cultura. Tutto quello che è cultura è sacro perché è scoperta. Il fatto che il fumetto in generale, tra cui soprattutto i manga, siano ancora discriminati, lo trovo altamente stupido. I manga sono stati la mia salvezza, ho investito tutta la mia vita sui manga, ci ho passato i più begli anni della mia vita e grazie ad essi ho stretto grandi amicizie. Il fumetto è creatività e fantasia.
Se avessi avuto un figlio gli avrei detto "Leggi i fumetti", perché il fumetto trasmette cose che ancora oggi i romanzi hanno difficoltà a fare. Questi sono bloccati nella loro forma verbale: un tramonto può essere descritto, ma anche mostrato attraverso un'immagine più diretta.
Tutti dovrebbero disegnare. Un errore che i genitori fanno è quello di vedere il disegno come un qualcosa di inutile, non necessario. Il fumetto ci aiuta a comprendere il nostro mondo nella sua realtà e nella sua fantasia. I manga insegnano ai giovani l'amore, i sentimenti, la forza di andare avanti, il coraggio... i lettori giapponesi non cercano i supereroi, ma cercano i loro difetti e si chiedono: "Come sono riusciti questi personaggi a superare quella determinata situazione?".
A me piace vedere un film d'azione, un film in cui c'è il buono e il cattivo, perché è bello fantasticare. Ho fantasticato molto da bambino, e anche adesso che ho 53 anni vedo storie di ragazzi e riesco a immedesimarmi in loro. Sono cresciuto con la consapevolezza di essere rimasto me stesso. Si vive una sola volta nella vita e le esperienze vanno fatte tutte.
Sketch di Dentuto dedicato al Liceo Vian di Bracciano
Può parlarci del rapporto amicale che ha avuto con il Maestro Monkey Punch?
Ho scritto un paio di anni fa per una rivista della mia amicizia con Monkey Punch. Molte volte si fa di tutto per poter incontrare i propri idoli, ma c'è quella paura furtiva che non ti calcolino perché non vali abbastanza. Per me è stato come incontrare Dio, una delle figure più importanti della mia vita. Ci ho fatto amicizia, lo chiamavo per il suo compleanno e lui chiamava me per il mio compleanno. Veniva a trovarmi spesso ed è diventato come uno zio per me. Quando mi sono sposato è venuto a congratularsi con me. Sono rimasto talmente tanto colpito da questa persona che ancora oggi farei tutto per lui.
La notizia della morte di una persona famosa viene data più in là, in modo tale da permettere ai familiari di organizzare il funerale. Viene visto come un momento di pace per la famiglia. Io lo venni a sapere da suo figlio che mi scrisse: "So quanto siete stati importanti per mio padre. Vi chiedo di non spargere la voce al momento, ma volevo dirvi che mio padre è morto.".
Monkey Punch era un uomo stupendo con una moglie stupenda. Andava sempre avanti, chiacchierava e parlava, e tutti dovevano seguire il suo passo. Assolutamente una persona vera, autentica.
Com'è stato il suo percorso scolastico? La sua passione ha superato la sua formazione accademica oppure sono come due binari che camminano tutt'oggi di pari passo?
Io ho fatto il liceo artistico e poi l'Accademia di Belle Arti. Ho avuto dei bravi insegnanti, dai quali ho imparato molto, anche nel modo di approcciarmi con i miei studenti. Ho avuto modo di imparare anche nel mio percorso lavorativo, non appena sono arrivato in Giappone.
Oltre a Monkey Punch lei è stato a contatto con altri grandi autori come Otsuka. Quali sono state le impronte che hanno lasciato su di lei? Ha qualche ricordo e/o esperienze da condividere con noi?
Per quanto io sia cresciuto con Lupin, non l'ho mai disegnato come Monkey Punch. Sono sempre stato ferreo sul mio stile. Con Otsuka, invece, il mio stile si è evoluto: è stato il mio capo, una persona molto importante nello studio nel mentre lavoravo alla Principessa Mononoke. Non mi faccio pubblicità perché ho fatto tre scene in croce, però Otsuka è stato gentilissimo con me e rappresenta un'importante influenza per il mio lavoro artistico.
Foto di gruppo con la moglie Cristina, il Dirigente Scolastico del Liceo Vian Lucia Lolli e la Professoressa Roberta Leoni
Ha altre esperienze lavorative particolari da raccontarci?
Ho avuto tante gelosie perché ero straniero. Dal 2004, nella rivista di Lupin c'erano dei sondaggi di gradimento sugli autori che pubblicavano all'interno del numero della rivista. L'autore di punta cambiava di numero in numero, e anche se non sono riuscito a finire tra questi avevo trovato, nel mio piccolo, degli appassionati. Mi hanno bruciato tantissime idee, finché non mi hanno dato l'ok su una storia.
Il ricordo più bello è stato quando trovai un messaggio sulla segreteria: il mio capitolo di Lupin sull'Official Magazine sarebbe slittato di un numero per lasciar spazio ad un nuovo capitolo disegnato da Otsuka-san (erano più di 10 anni che non scriveva una storia di Lupin).
"A proposito, tanti saluti da Otsuka-san!" *ride*.
Otsuka mi aveva riconosciuto, il character designer stesso de Il Castello di Cagliostro mi portava i suoi saluti! Da quel momento mi hanno riconosciuto come disegnatore ufficiale di Lupin.
Che consigli si sente di dare ai giovani appassionati che vorrebbero entrare nel mondo manga?
Studiare, innanzitutto. Studiare è l'altra metà della bravura.
Può descrivere la sua vita in un motto?
Vissi di manga. Vissi d'amore.
Fotografia: Marisa De Gregorio
Ottimo reportage....
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