I manga/anime (s)consigliati dall'utenza di AnimeClick.it (09/03/2025)
I titoli di oggi condividono la lotta per la sopravvivenza in contesti distopici dove i protagonisti affrontano guerre e pericoli. Le battaglie interne ed esterne dei personaggi mettono in luce la speranza in un mondo che sembra aver perso la sua umanità.
di Miriam22
Se volete farne parte anche voi... rimboccatevi le maniche e recensite!
Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.
Per saperne di più continuate a leggere.
86 Eighty Six
7.5/10
“Non ho paura di chi discrimina, ma di chi rimane in silenzio.” (Rinaldo Sidoli)
"86 - Eighty Six" è stata francamente una bella sorpresa e anche una scommessa azzardata per alcuni temi che si è prefisso di trattare.
Non bado ai preamboli e, una volta tanto, procedo, come si suol scrivere "subito al sodo", in ossequio alla frase con cui ho iniziato la recensione.
Un po' come il celeberrimo "Attack on Titan", "86 - Eighty Six" affronta in modo piuttosto esplicito la questione della discriminazione legata al fenotipo umano. Ma non solo: affronta sia la guerra e i suoi orrori, sia i sentimenti più "classici" per una serie animata, quali l'amicizia e l'amore.
Tuttavia, ha i suoi "pros & cons". In merito a questi ultimi, a differenza di opere monumentali (e di ben altro calibro) come "AOT", non riesce ad approfondire i temi posti alla base della trama quali la genesi dell'odio e il modo con il quale si è arrivati alla situazione rappresentata, né alla guerra tra le varie "comunità" contro una entità rappresentata da un esercito di robot (non mecha ma carri armati "aracnomorfi") che combattono contro gli umani di tre diverse nazioni dotati di mezzi simili (ma anche aerei e sistemi balistici).
Tra i pros, "86 - Eighty Six" ha il pregio di trattare in modo piuttosto "equilibrato" i temi "spinosi" sopra accennati senza sfociare né nel melodramma né negli eccessi, ed è proprio questo aspetto - a mio avviso - che rappresenta la sua qualità: una narrazione della guerra affrontata da diversi punti di vista senza necessariamente esprimere giudizi di "valore" che restano impliciti nella serie lasciando in capo allo spettatore l'onere di esprimersi su quanto proposto in visione. Tale aspetto potrebbe essere anche scambiato per "superficialità": onestamente il dubbio mi è sorto, ma non credo che fosse possibile spiegare tutto e per bene in soli 23 episodi, se non correndo il rischio di diventare poi troppo didascalico e dilatato nei tempi ma vedendo poi il secondo cour, forse si poteva fare qualcosa di meglio armonizzando al meglio la distribuzione degli argomenti nei vari episodi.
Di sicuro non è un'opera perfetta, ma onestamente spicca nella pletora delle opere recenti da me viste come qualcosa di diverso e in un certo senso anche "coraggioso".
La percezione che ho avuto di "86 - Eighty Six" è che la serie animata, tratta dalla Light Novel di Asato Asato iniziata nel 2017 e ancora in corso (ad oggi risulterebbero pubblicati 13 volumi - cui si aggiungono anche quattro manga), abbia dei limiti di sostanza e rappresentazione. Per la sostanza, come già accennato, sono abbastanza evidenti alcune forzature e buchi di trama sul perché di ciò che lo spettatore sta vedendo, con l'aggravante di un deciso calo di pathos nel secondo cour dove viene rappresentata la guerra da un altro p.o.v., in cui alcuni dei militari protagonisti sopravvissuti ad una missione praticamente suicida si ritrovano in un'altra nazione in guerra per reiniziare a combattere per poi ricongiungersi nel finale con la protagonista della prima parte della serie. Per la rappresentazione, a me è parso abbastanza evidente lo stile piuttosto "ingenuo" con cui viene rappresentata la guerra in atto, in cui non si percepisce sempre la disperazione senza vie di uscita e la vera sofferenza fisica e psicologica dei soldati "86". Tale aspetto potrebbe essere "voluto" dalla sceneggiatura e dalla regia per colpire con il contrasto tra l'atmosfera di pace e tranquillità che si "respira" nell'ambientazione della vita nella capitale della Repubblica di San Magnolia e quella di guerra che si vive al fronte.
Gli "86", da cui deriva il nome della serie, sono gli umani destinate a guidare le macchine da guerra contro dei robot senza pilota della c.d. "Legion". Sarebbero gli abitanti del c.d. distretto "86" della Repubblica, deportati dalla etnia dominante (ben identificata dalle fattezze fisiche - colore capelli e occhi - una sorta di razza "ariana" di nazista memoria) al fronte per combattere come se fossero mera carne da macello e comandati da remoto da un ufficiale dell'esercito della razza dominante. E' di tutta evidenza il tema principale della prima parte della serie: la discriminazione "razziale". Che viene rappresentata anche in modo abbastanza chiaro e diretto in certe scene in cui, ad esempio, si vedono ufficiali dell'esercito che si ubriacano nella capitale mentre denigrano i soldati al fronte che muoiono progressivamente uccisi dall'esercito delle macchine o in certi dialoghi tra la protagonista Vladilena Milizè, l'ufficiale donna che dirige i soldati al fronte e la sua amica, anch'essa nell'esercito, in cui si percepiscono chiaramente i dissidi interiori sulla brutalità e la assoluta ingiustizia compiuta dalla etnia dominante sulle altre soggiogate fino all'estremo sacrificio per la prima.
E devo riconoscere che lo stile della trama e soprattutto della regia è parecchio centrata nella rappresentazione della situazione, mixando in modo sapiente anche la percezione da parte di coloro che in qualche modo "dissentono" da quanto si sta perpetrando sui discriminati. Non entro troppo nel dettaglio, altrimenti rischio lo spoiler, ma i primi 11-12 episodi sono realmente ben fatti al netto di alcuni peccati di superficialità come la rappresentazione (derivante anche da manga e LN) della protagonista, piuttosto avvenente, in "divise", che di militare hanno ben poco, o l'atteggiamento fin troppo rassegnato degli "86" al fronte in cui subiscono la situazione di esseri inferiori senza nemmeno cercare di ribellarsi...
Sulla seconda parte della serie ho nutrito più volte qualche dubbio: al di là dell'incipit piuttosto forzato, del fatto di rappresentare la nazione che accoglie gli "86" superstiti come tollerante e ugualitaria, anch'essa alla fine li manda a combattere con la scusa che hanno svelato alcuni segreti militari della tecnologia della Repubblica di San Magnolia, consentendo di sviluppare mezzi e armamenti più performanti nella lotta alla Legione.
Ma sono i nuovi personaggi e la trama a convincere meno: al di là di uno particolarmente fastidioso, mancando i "cattivi" della razza dominante, la guerra condotta contro i robot (che cercano di fondersi con le coscienze dei soldati umani per elaborare grazie alla mente umana strategie di guerra migliori e meno prevedibili) diventa un po' noiosa, inclusa la personale questione del leader degli 86, Shinei Nozen, con il fratello maggiore.
Dal punto di vista tecnico, si tratta di una serie pregevole per il chara design, le animazioni molto fluide e ben amalgamate con la CG (mi riferisco ai combattimenti e alle scene di movimento dei robot aracnomorfi con una rappresentazione molto realistica delle munizioni limitate e al rumore dei motori, nonché alla usura delle corazze dei mezzi) e agli sfondi ricchi di dettaglio e dai colori saturi. Lo studio A-1 Pictures ha fatto un bel lavoro, ben diretto dal regista Ishii Toshimasa che è riuscito a rendere molto poetiche alcune scene in cui si rappresentano i sentimenti dei sopravvissuti con i ricordi dei caduti in guerra o i dissidi interiori della protagonista Milizè e la sua angoscia/rabbia nel vedere man mano i suoi uomini morire al fronte. Un regista che ha già dato buona prova di sè in "Erased" e nel più recente "Bocchi the rock!".
Il toccante episodio finale della serie sembra portare a compimento il messaggio di speranza con cui ho aperto la recensione e la protagonista impersona l'aforisma fino a mettere a rischio non solo la sua carriera ma anche la sua vita. In fondo, al netto degli elementi di critica evidenziati in precedenza, "86 Eighty-six" sembra collocarsi nel classico solco di quelle opere che sembrano voler trasmettere allo spettatore il messaggio che “chiuderci nelle paure del diverso ci rende [solo delle] persone peggiori” (Rinaldo Sidoli). Il solito "problema" che affligge la natura umana e che - ad oggi - non sembra risolvibile.
"86 - Eighty Six" è stata francamente una bella sorpresa e anche una scommessa azzardata per alcuni temi che si è prefisso di trattare.
Non bado ai preamboli e, una volta tanto, procedo, come si suol scrivere "subito al sodo", in ossequio alla frase con cui ho iniziato la recensione.
Un po' come il celeberrimo "Attack on Titan", "86 - Eighty Six" affronta in modo piuttosto esplicito la questione della discriminazione legata al fenotipo umano. Ma non solo: affronta sia la guerra e i suoi orrori, sia i sentimenti più "classici" per una serie animata, quali l'amicizia e l'amore.
Tuttavia, ha i suoi "pros & cons". In merito a questi ultimi, a differenza di opere monumentali (e di ben altro calibro) come "AOT", non riesce ad approfondire i temi posti alla base della trama quali la genesi dell'odio e il modo con il quale si è arrivati alla situazione rappresentata, né alla guerra tra le varie "comunità" contro una entità rappresentata da un esercito di robot (non mecha ma carri armati "aracnomorfi") che combattono contro gli umani di tre diverse nazioni dotati di mezzi simili (ma anche aerei e sistemi balistici).
Tra i pros, "86 - Eighty Six" ha il pregio di trattare in modo piuttosto "equilibrato" i temi "spinosi" sopra accennati senza sfociare né nel melodramma né negli eccessi, ed è proprio questo aspetto - a mio avviso - che rappresenta la sua qualità: una narrazione della guerra affrontata da diversi punti di vista senza necessariamente esprimere giudizi di "valore" che restano impliciti nella serie lasciando in capo allo spettatore l'onere di esprimersi su quanto proposto in visione. Tale aspetto potrebbe essere anche scambiato per "superficialità": onestamente il dubbio mi è sorto, ma non credo che fosse possibile spiegare tutto e per bene in soli 23 episodi, se non correndo il rischio di diventare poi troppo didascalico e dilatato nei tempi ma vedendo poi il secondo cour, forse si poteva fare qualcosa di meglio armonizzando al meglio la distribuzione degli argomenti nei vari episodi.
Di sicuro non è un'opera perfetta, ma onestamente spicca nella pletora delle opere recenti da me viste come qualcosa di diverso e in un certo senso anche "coraggioso".
La percezione che ho avuto di "86 - Eighty Six" è che la serie animata, tratta dalla Light Novel di Asato Asato iniziata nel 2017 e ancora in corso (ad oggi risulterebbero pubblicati 13 volumi - cui si aggiungono anche quattro manga), abbia dei limiti di sostanza e rappresentazione. Per la sostanza, come già accennato, sono abbastanza evidenti alcune forzature e buchi di trama sul perché di ciò che lo spettatore sta vedendo, con l'aggravante di un deciso calo di pathos nel secondo cour dove viene rappresentata la guerra da un altro p.o.v., in cui alcuni dei militari protagonisti sopravvissuti ad una missione praticamente suicida si ritrovano in un'altra nazione in guerra per reiniziare a combattere per poi ricongiungersi nel finale con la protagonista della prima parte della serie. Per la rappresentazione, a me è parso abbastanza evidente lo stile piuttosto "ingenuo" con cui viene rappresentata la guerra in atto, in cui non si percepisce sempre la disperazione senza vie di uscita e la vera sofferenza fisica e psicologica dei soldati "86". Tale aspetto potrebbe essere "voluto" dalla sceneggiatura e dalla regia per colpire con il contrasto tra l'atmosfera di pace e tranquillità che si "respira" nell'ambientazione della vita nella capitale della Repubblica di San Magnolia e quella di guerra che si vive al fronte.
Gli "86", da cui deriva il nome della serie, sono gli umani destinate a guidare le macchine da guerra contro dei robot senza pilota della c.d. "Legion". Sarebbero gli abitanti del c.d. distretto "86" della Repubblica, deportati dalla etnia dominante (ben identificata dalle fattezze fisiche - colore capelli e occhi - una sorta di razza "ariana" di nazista memoria) al fronte per combattere come se fossero mera carne da macello e comandati da remoto da un ufficiale dell'esercito della razza dominante. E' di tutta evidenza il tema principale della prima parte della serie: la discriminazione "razziale". Che viene rappresentata anche in modo abbastanza chiaro e diretto in certe scene in cui, ad esempio, si vedono ufficiali dell'esercito che si ubriacano nella capitale mentre denigrano i soldati al fronte che muoiono progressivamente uccisi dall'esercito delle macchine o in certi dialoghi tra la protagonista Vladilena Milizè, l'ufficiale donna che dirige i soldati al fronte e la sua amica, anch'essa nell'esercito, in cui si percepiscono chiaramente i dissidi interiori sulla brutalità e la assoluta ingiustizia compiuta dalla etnia dominante sulle altre soggiogate fino all'estremo sacrificio per la prima.
E devo riconoscere che lo stile della trama e soprattutto della regia è parecchio centrata nella rappresentazione della situazione, mixando in modo sapiente anche la percezione da parte di coloro che in qualche modo "dissentono" da quanto si sta perpetrando sui discriminati. Non entro troppo nel dettaglio, altrimenti rischio lo spoiler, ma i primi 11-12 episodi sono realmente ben fatti al netto di alcuni peccati di superficialità come la rappresentazione (derivante anche da manga e LN) della protagonista, piuttosto avvenente, in "divise", che di militare hanno ben poco, o l'atteggiamento fin troppo rassegnato degli "86" al fronte in cui subiscono la situazione di esseri inferiori senza nemmeno cercare di ribellarsi...
Sulla seconda parte della serie ho nutrito più volte qualche dubbio: al di là dell'incipit piuttosto forzato, del fatto di rappresentare la nazione che accoglie gli "86" superstiti come tollerante e ugualitaria, anch'essa alla fine li manda a combattere con la scusa che hanno svelato alcuni segreti militari della tecnologia della Repubblica di San Magnolia, consentendo di sviluppare mezzi e armamenti più performanti nella lotta alla Legione.
Ma sono i nuovi personaggi e la trama a convincere meno: al di là di uno particolarmente fastidioso, mancando i "cattivi" della razza dominante, la guerra condotta contro i robot (che cercano di fondersi con le coscienze dei soldati umani per elaborare grazie alla mente umana strategie di guerra migliori e meno prevedibili) diventa un po' noiosa, inclusa la personale questione del leader degli 86, Shinei Nozen, con il fratello maggiore.
Dal punto di vista tecnico, si tratta di una serie pregevole per il chara design, le animazioni molto fluide e ben amalgamate con la CG (mi riferisco ai combattimenti e alle scene di movimento dei robot aracnomorfi con una rappresentazione molto realistica delle munizioni limitate e al rumore dei motori, nonché alla usura delle corazze dei mezzi) e agli sfondi ricchi di dettaglio e dai colori saturi. Lo studio A-1 Pictures ha fatto un bel lavoro, ben diretto dal regista Ishii Toshimasa che è riuscito a rendere molto poetiche alcune scene in cui si rappresentano i sentimenti dei sopravvissuti con i ricordi dei caduti in guerra o i dissidi interiori della protagonista Milizè e la sua angoscia/rabbia nel vedere man mano i suoi uomini morire al fronte. Un regista che ha già dato buona prova di sè in "Erased" e nel più recente "Bocchi the rock!".
Il toccante episodio finale della serie sembra portare a compimento il messaggio di speranza con cui ho aperto la recensione e la protagonista impersona l'aforisma fino a mettere a rischio non solo la sua carriera ma anche la sua vita. In fondo, al netto degli elementi di critica evidenziati in precedenza, "86 Eighty-six" sembra collocarsi nel classico solco di quelle opere che sembrano voler trasmettere allo spettatore il messaggio che “chiuderci nelle paure del diverso ci rende [solo delle] persone peggiori” (Rinaldo Sidoli). Il solito "problema" che affligge la natura umana e che - ad oggi - non sembra risolvibile.
Make My Day
7.5/10
Non ho molta fiducia nei film di Netflix e, quando c’è di mezzo un 3D stile cartoni per l’infanzia (vedere per credere), già comincio a scoraggiarmi. A causa della grafica, avrei lasciato l’anime al primo episodio, ma ho deciso di lasciargli una possibilità. Devo dire, a onor del vero, che questo prodotto mi ha stupita sinceramente. Non brilla per molti aspetti, ma a livello narrativo, di personaggi, di ambientazione crea un mix capace di far sostenere a lungo l’attenzione a uno spettatore abbastanza pacioso e poco criticone.
L’ambientazione è da sci-fi, siamo su un pianeta selvaggio, Cold Feet, che ospita una colonia umana. Ci sono miniere di scavo e il lavoro sporco è affidato a dei carcerati. Da come si capisce, lavorare sottoterra è un lavoro abbietto e la vita in prigione, con livelli di guardia e di sicurezza precisi e rigidi, è tutt’altro che umano. La stessa colonia vede persone più ricche e persone decisamente non abbienti, così povere da prestarsi a gravidanze in affitto. Come se non bastasse, l’ambiente naturale è fortemente invalidante per la colonizzazione dell’uomo, ancora prima che spunti il vero problema, con un problema di iniqua distribuzione di risorse alimentari sane.
Madre natura ha un aspetto poco accogliente, così come i freddi ambienti ad alta tecnologia in cui vivono gli esseri umani. Gli scavi, alla ricerca del Sig, un materiale energetico molto efficiente e molto desiderato, risvegliano il classico mostro delle miniere di Mordor, ovvero uno sciame di animali alieni, simili ai tardigradi, che del Sig si nutrono. L’aspetto non è feroce, ma si rivelano essere pericolosi, tanti, affamati, enormi, minacciosi. E uno sciame di cui anche solo un membro è pericoloso, risulta assolutamente più che minaccioso.
Seguiremo la vicenda di Jim, gentile guardia carceraria, mandato a scoprire cosa sia successo in maniera dopo che il comando ha perso il contatto con una squadra di detenuti che lavorava lì sotto.
In un survivor fantascientifico, lo vedremo lottare per la sua sopravvivenza e per quella dei suoi cari. E mentre le belve aliene procedono nel loro cammino distruttivo, si troverà coinvolto nello sfascio di una società già ingiusta, dove l’umanità, se c’era, adesso è cosa morta. Scoprirà che l’uomo è lupo per gli altri uomini e che qualcuno sapeva che poteva accadere di tutto, lucrando su strani bozzoli, ma è stato fatto tacere.
L’umanità di Jim, però, farà brillare quella dell’amica d’infanzia di cui è innamorato, Marnie, di Walter, un detenuto dal passato duro, della dottoressa che in altre circostanze avrebbe preso un’altra strada e di un giovane medico senza scrupoli di coscienza. Incontreremo un professore un tantino pazzoide e la sua assistente fin troppo paziente col genio sregolato, salteremo tra navi spaziali e basi umane ipertecnologiche, saliremo su navicelle in partenze al cardiopalma... tutto un copione arcinoto ma non pessimamente messo in regia.
Ciò che più mi ha colpito in maniera positiva di quest’anime è la costruzione dei rapporti sociali e il ruolo della natura. Seppur siano tematiche arcinote, vorrei eviscerarle un po', per far capire come quest’opera, altrimenti dimenticabile, ha fatto un discreto lavoro.
Per quanto riguarda i rapporti umani, essi emergono in duplice versione: da una parte esiste un rapporto alla pari tra persone che non ricoprono posti gerarchici di potere, e in questo frangente emergono forti sentimenti di umanità, sostegno, rispetto, dialogo; ad arricchire la vicenda abbiamo un nascituro che non può non interpellare emotivamente lo spettatore, vista poi la vicenda altamente mortifera che lo vede, decisamente, coprotagonista; d’altra parte i rapporti subordinati e di forza emergono brutalmente dal primo episodio, con espressioni verbali (scurrilità varie), violenze fisiche o costrizioni fisiche o un arbitrario uso della forza, con momenti nei quali emerge il disinteresse per la sopravvivenza dell’altro o uno scontro legato al possesso di un’arma(tura) piuttosto che all’uso etico che vuole farne il protagonista.
Il protagonista è quello che tiene in piedi la narrazione. Vista la brevità dell’opera, è una soluzione efficace. Di lui sappiamo molte cose, ci sono anche dei flashback. Lo vediamo crescere in coraggio e diventare responsabile per una nuova vita, per una nuova famiglia. Lo vediamo cedere ma riprendersi, cercare sempre il buono in ognuno, finire col raccogliere il giusto compenso di quanto ha dato. Può essere considerata una prospettiva buonista, e a volte lo è davvero, ma si conserva, seguendolo, un’unità di azione anche in contesti che cambiano. Jim è il catalizzatore di persone positive: l’amica d’infanzia, buona a prescindere; il padre adottivo, che gli ha dato dei valori forti; Walter, uno dei personaggi migliori dell’opera, la cui storia gli darà ragione e farà a lui e a Marnie uno splendido regalo inaspettato; la dottoressa, che da profittatrice egoista capirà il valore della scalcagnata compagnia; lo stesso androide viene umanizzato e riceve con un nome il suo carico di umanità.
Apro una parentesi su Casper, l’androide: a parte il fatto che Jim l’ha umanizzato dandogli questo nome, la stessa macchina ha dimostrato attaccamento e vicinanza ai protagonisti, manifestando sentimenti leggibili dal suo display. La fiducia che Jim e Marnie hanno in lui è tanta e tale, da affidargli la cosa per loro più importante. Potrebbe risultare un mezzo residuale, invece emerge come valido aiutante e supporto.
Il fatto stupefacente è che persone altrimenti negative ricevano il loro bagno santo di purificazione, tra cui il comandante Bark e la presidentessa della colonia. Non dirò come e perché, ma sono stanca di spiegazioni quali: io avevo le mani legate, sapevo, ma altri mi hanno impedito di parlare.
En passant vedremo una sala di controllo con personaggi impegnati a salvare capra e cavoli, e anche lì avremo un bel momento in cui il burocrate di turno parlerà con Jim e prenderà una decisione vitale ma contrastata.
Ma ogni opera che sia ha bisogno di un cattivo, e qui troviamo un cattivello egoista che crea i suoi problemi, ma che viene pure lui in parte capito per le azioni che compie. Colpisce il fatto che i veri cattivi sono altri: non i mostri, non gli umani della catena del potere, ma chi, pare dica il film, sapeva e, malgrado ciò, ha ordinato di procedere. Davanti a questa logica il cattivello passa per la vittima di sé stesso, ma viene pure lui redento da un personaggio più fragile.
Riguardo ai personaggi, colpisce che alcuni abbiano un background ben costruito che, nel caso di Jim emerge completamente, nel caso di Walter sarà una sorpresa che darà emotività alla vicenda, oppure, se si tratta di adulti con ruoli nella colonia, sarà delineata solo la loro responsabilità nei fatti recenti. Comunque, mi ripeto, il focus è Jim, quindi un background più delineato lo fa diventare il vero perno di una costellazione di personaggi altrimenti scollegati e di una vicenda altrimenti troppo complessa da trattare in un tempo ristretto come gli otto episodi in cui è diviso il film.
Il mondo dei mostri è un tema arcinoto, declinato in foreste, deserti... o pianeti, appunto. I mostri in questione non fanno paura di per sé e forse nemmeno per le loro dimensioni, quanto per la loro carica costante e omicida. Non sono T-rex, ma a modo loro sono assai pericolosi. Ciò che colpisce della loro genesi è che essi vivevano in pace, per i fatti loro, in un contesto ambientale perfetto e che non attaccano l’uomo per malvagità sanguinolenta, bensì perché ha preso il loro nutrimento. E davanti a una tale minaccia (provocata), l’uomo si accorge del passo falso che ha fatto. Quando il professore emergerà da una cella con la sua carica di sapere e di follia, lo dirà chiaramente: sono animali adattati al loro ecosistema e, quando esso si è alterato, si sono risvegliati; non andrebbero eliminati, è l’uomo che avrebbe dovuto levare le tende quanto prima; essi non sono la minaccia, è l’uomo, con la sua sete di nuovo combustibile, ad aver alterato il loro equilibrio. È una riflessione intelligente, che non associa questi tardigradi a zombie brutti e cattivi da spara-tutto, ma a creature sollecitate da spinte esterne e interne. Un animale non è mai buono o cattivo, i metri di giudizio li mettiamo noi umani che poi ci facciamo i conti l’un l’altro, spaccando il capello in quattro se si parla di noi, ma coltiva la sua sopravvivenza. Parrà un enorme banalità gratuita, ma mi è piaciuta l’idea che questo anime ribadisce (pur poi, per legittima difesa, i nostri protagonisti finiranno con l’ammazzare un bel po' di bestioline, ma tanto non è uno spoiler!).
Il ritmo narrativo, collaudato e tutto sommato stereotipato nei temi e nello sviluppo, è efficiente, nel senso che non ha momenti di stanca e procede a ritmo serrato. Il worldbuilding è reso da pennellate rapide, quali spiegazioni volanti e gridate o un video più volte ripetuto nelle scene o ancora in momenti di una concitata via d’uscita da un pianeta ostile. Non è un male, questo, ma, quando l’azione diventa rapida e non si spiega più nulla, è un po' straniante e si finisce col subire la narrazione stessa, a men che non si sia stati molto attenti a quanto detto prima. La brevità dell’opera (un film d’animazione diviso in otto episodi) lo salva da cali significativi e restituisce allo spettatore una narrazione tesa all’obbiettivo, senza particolari sbavature (perché non c’è stato tempo di dedicarsene).
A livello di grafica c’è molto da piangere: questo 3D degno degli anime per l’infanzia è terribile, si salvano solo i tardigradi che sono ben resi. Le ambientazioni non perdono la resa scenica.
Una nota di colore: i Giapponesi ci hanno messo la firma metaforica in quest’opera. Non dirò dove, ma, pur non essendoci un unico personaggio asiatico, riescono ad entrare a gamba tesa nella narrazione, in modo quasi diabolico. Vedere per credere!
Concludendo, da un iniziale pregiudizio (già dal primo episodio ero convinta di lasciar perdere), sono passata a una maggior consapevolezza dei punti forti di quest’opera. Seppur la narrazione riproponga stilemi arcinoti, personaggi già percepiti in migliaia di produzioni e un contesto ambientale da molti già esplorato, riesce comunque a non fare un plagio completo di opere conosciute, ma rende con la cura dei personaggi, pennellate di colore locale politico-militare-economico ben mirate, situazioni emotive ben costruite (e ce ne sono!) e un finale che restituisce un messaggio scontato, ma portato avanti senza cedimenti, il tutto in una narrazione pulita e senza momenti di morta. Onore al merito.
L’ambientazione è da sci-fi, siamo su un pianeta selvaggio, Cold Feet, che ospita una colonia umana. Ci sono miniere di scavo e il lavoro sporco è affidato a dei carcerati. Da come si capisce, lavorare sottoterra è un lavoro abbietto e la vita in prigione, con livelli di guardia e di sicurezza precisi e rigidi, è tutt’altro che umano. La stessa colonia vede persone più ricche e persone decisamente non abbienti, così povere da prestarsi a gravidanze in affitto. Come se non bastasse, l’ambiente naturale è fortemente invalidante per la colonizzazione dell’uomo, ancora prima che spunti il vero problema, con un problema di iniqua distribuzione di risorse alimentari sane.
Madre natura ha un aspetto poco accogliente, così come i freddi ambienti ad alta tecnologia in cui vivono gli esseri umani. Gli scavi, alla ricerca del Sig, un materiale energetico molto efficiente e molto desiderato, risvegliano il classico mostro delle miniere di Mordor, ovvero uno sciame di animali alieni, simili ai tardigradi, che del Sig si nutrono. L’aspetto non è feroce, ma si rivelano essere pericolosi, tanti, affamati, enormi, minacciosi. E uno sciame di cui anche solo un membro è pericoloso, risulta assolutamente più che minaccioso.
Seguiremo la vicenda di Jim, gentile guardia carceraria, mandato a scoprire cosa sia successo in maniera dopo che il comando ha perso il contatto con una squadra di detenuti che lavorava lì sotto.
In un survivor fantascientifico, lo vedremo lottare per la sua sopravvivenza e per quella dei suoi cari. E mentre le belve aliene procedono nel loro cammino distruttivo, si troverà coinvolto nello sfascio di una società già ingiusta, dove l’umanità, se c’era, adesso è cosa morta. Scoprirà che l’uomo è lupo per gli altri uomini e che qualcuno sapeva che poteva accadere di tutto, lucrando su strani bozzoli, ma è stato fatto tacere.
L’umanità di Jim, però, farà brillare quella dell’amica d’infanzia di cui è innamorato, Marnie, di Walter, un detenuto dal passato duro, della dottoressa che in altre circostanze avrebbe preso un’altra strada e di un giovane medico senza scrupoli di coscienza. Incontreremo un professore un tantino pazzoide e la sua assistente fin troppo paziente col genio sregolato, salteremo tra navi spaziali e basi umane ipertecnologiche, saliremo su navicelle in partenze al cardiopalma... tutto un copione arcinoto ma non pessimamente messo in regia.
Ciò che più mi ha colpito in maniera positiva di quest’anime è la costruzione dei rapporti sociali e il ruolo della natura. Seppur siano tematiche arcinote, vorrei eviscerarle un po', per far capire come quest’opera, altrimenti dimenticabile, ha fatto un discreto lavoro.
Per quanto riguarda i rapporti umani, essi emergono in duplice versione: da una parte esiste un rapporto alla pari tra persone che non ricoprono posti gerarchici di potere, e in questo frangente emergono forti sentimenti di umanità, sostegno, rispetto, dialogo; ad arricchire la vicenda abbiamo un nascituro che non può non interpellare emotivamente lo spettatore, vista poi la vicenda altamente mortifera che lo vede, decisamente, coprotagonista; d’altra parte i rapporti subordinati e di forza emergono brutalmente dal primo episodio, con espressioni verbali (scurrilità varie), violenze fisiche o costrizioni fisiche o un arbitrario uso della forza, con momenti nei quali emerge il disinteresse per la sopravvivenza dell’altro o uno scontro legato al possesso di un’arma(tura) piuttosto che all’uso etico che vuole farne il protagonista.
Il protagonista è quello che tiene in piedi la narrazione. Vista la brevità dell’opera, è una soluzione efficace. Di lui sappiamo molte cose, ci sono anche dei flashback. Lo vediamo crescere in coraggio e diventare responsabile per una nuova vita, per una nuova famiglia. Lo vediamo cedere ma riprendersi, cercare sempre il buono in ognuno, finire col raccogliere il giusto compenso di quanto ha dato. Può essere considerata una prospettiva buonista, e a volte lo è davvero, ma si conserva, seguendolo, un’unità di azione anche in contesti che cambiano. Jim è il catalizzatore di persone positive: l’amica d’infanzia, buona a prescindere; il padre adottivo, che gli ha dato dei valori forti; Walter, uno dei personaggi migliori dell’opera, la cui storia gli darà ragione e farà a lui e a Marnie uno splendido regalo inaspettato; la dottoressa, che da profittatrice egoista capirà il valore della scalcagnata compagnia; lo stesso androide viene umanizzato e riceve con un nome il suo carico di umanità.
Apro una parentesi su Casper, l’androide: a parte il fatto che Jim l’ha umanizzato dandogli questo nome, la stessa macchina ha dimostrato attaccamento e vicinanza ai protagonisti, manifestando sentimenti leggibili dal suo display. La fiducia che Jim e Marnie hanno in lui è tanta e tale, da affidargli la cosa per loro più importante. Potrebbe risultare un mezzo residuale, invece emerge come valido aiutante e supporto.
Il fatto stupefacente è che persone altrimenti negative ricevano il loro bagno santo di purificazione, tra cui il comandante Bark e la presidentessa della colonia. Non dirò come e perché, ma sono stanca di spiegazioni quali: io avevo le mani legate, sapevo, ma altri mi hanno impedito di parlare.
En passant vedremo una sala di controllo con personaggi impegnati a salvare capra e cavoli, e anche lì avremo un bel momento in cui il burocrate di turno parlerà con Jim e prenderà una decisione vitale ma contrastata.
Ma ogni opera che sia ha bisogno di un cattivo, e qui troviamo un cattivello egoista che crea i suoi problemi, ma che viene pure lui in parte capito per le azioni che compie. Colpisce il fatto che i veri cattivi sono altri: non i mostri, non gli umani della catena del potere, ma chi, pare dica il film, sapeva e, malgrado ciò, ha ordinato di procedere. Davanti a questa logica il cattivello passa per la vittima di sé stesso, ma viene pure lui redento da un personaggio più fragile.
Riguardo ai personaggi, colpisce che alcuni abbiano un background ben costruito che, nel caso di Jim emerge completamente, nel caso di Walter sarà una sorpresa che darà emotività alla vicenda, oppure, se si tratta di adulti con ruoli nella colonia, sarà delineata solo la loro responsabilità nei fatti recenti. Comunque, mi ripeto, il focus è Jim, quindi un background più delineato lo fa diventare il vero perno di una costellazione di personaggi altrimenti scollegati e di una vicenda altrimenti troppo complessa da trattare in un tempo ristretto come gli otto episodi in cui è diviso il film.
Il mondo dei mostri è un tema arcinoto, declinato in foreste, deserti... o pianeti, appunto. I mostri in questione non fanno paura di per sé e forse nemmeno per le loro dimensioni, quanto per la loro carica costante e omicida. Non sono T-rex, ma a modo loro sono assai pericolosi. Ciò che colpisce della loro genesi è che essi vivevano in pace, per i fatti loro, in un contesto ambientale perfetto e che non attaccano l’uomo per malvagità sanguinolenta, bensì perché ha preso il loro nutrimento. E davanti a una tale minaccia (provocata), l’uomo si accorge del passo falso che ha fatto. Quando il professore emergerà da una cella con la sua carica di sapere e di follia, lo dirà chiaramente: sono animali adattati al loro ecosistema e, quando esso si è alterato, si sono risvegliati; non andrebbero eliminati, è l’uomo che avrebbe dovuto levare le tende quanto prima; essi non sono la minaccia, è l’uomo, con la sua sete di nuovo combustibile, ad aver alterato il loro equilibrio. È una riflessione intelligente, che non associa questi tardigradi a zombie brutti e cattivi da spara-tutto, ma a creature sollecitate da spinte esterne e interne. Un animale non è mai buono o cattivo, i metri di giudizio li mettiamo noi umani che poi ci facciamo i conti l’un l’altro, spaccando il capello in quattro se si parla di noi, ma coltiva la sua sopravvivenza. Parrà un enorme banalità gratuita, ma mi è piaciuta l’idea che questo anime ribadisce (pur poi, per legittima difesa, i nostri protagonisti finiranno con l’ammazzare un bel po' di bestioline, ma tanto non è uno spoiler!).
Il ritmo narrativo, collaudato e tutto sommato stereotipato nei temi e nello sviluppo, è efficiente, nel senso che non ha momenti di stanca e procede a ritmo serrato. Il worldbuilding è reso da pennellate rapide, quali spiegazioni volanti e gridate o un video più volte ripetuto nelle scene o ancora in momenti di una concitata via d’uscita da un pianeta ostile. Non è un male, questo, ma, quando l’azione diventa rapida e non si spiega più nulla, è un po' straniante e si finisce col subire la narrazione stessa, a men che non si sia stati molto attenti a quanto detto prima. La brevità dell’opera (un film d’animazione diviso in otto episodi) lo salva da cali significativi e restituisce allo spettatore una narrazione tesa all’obbiettivo, senza particolari sbavature (perché non c’è stato tempo di dedicarsene).
A livello di grafica c’è molto da piangere: questo 3D degno degli anime per l’infanzia è terribile, si salvano solo i tardigradi che sono ben resi. Le ambientazioni non perdono la resa scenica.
Una nota di colore: i Giapponesi ci hanno messo la firma metaforica in quest’opera. Non dirò dove, ma, pur non essendoci un unico personaggio asiatico, riescono ad entrare a gamba tesa nella narrazione, in modo quasi diabolico. Vedere per credere!
Concludendo, da un iniziale pregiudizio (già dal primo episodio ero convinta di lasciar perdere), sono passata a una maggior consapevolezza dei punti forti di quest’opera. Seppur la narrazione riproponga stilemi arcinoti, personaggi già percepiti in migliaia di produzioni e un contesto ambientale da molti già esplorato, riesce comunque a non fare un plagio completo di opere conosciute, ma rende con la cura dei personaggi, pennellate di colore locale politico-militare-economico ben mirate, situazioni emotive ben costruite (e ce ne sono!) e un finale che restituisce un messaggio scontato, ma portato avanti senza cedimenti, il tutto in una narrazione pulita e senza momenti di morta. Onore al merito.
Terra e...
9.0/10
Ho avuto bisogno di un po' di tempo prima di scrivere la recensione di questa serie. Da una parte per rielaborare quello che avevo finito di vedere, dall'altra perché, particolarmente colpito (cosa rarissima per me, millennial nato negli anni '90 assolutamente contrario alla narrazione e allo stile degli anime "vecchio stampo") da un prodotto pubblicato negli anni '70, ho voluto comprare il manga, solo da qualche anno edito da JPOP, per fare un confronto e capire se davvero quello che avevo visto meritava una recensione. Beh, se state leggendo queste parole, significa che sì, l'opera ha davvero fatto breccia nel mio cuore. "Terra e...", "Verso la Terra", come tradotto in Italiano, è infatti una space opera intrigante, intelligente e con una marea di temi interessanti, decisamente all'avanguardia per l'epoca in cui è stata scritta. L'autrice, Keiko Takemiya, famosa soprattutto per "Il poema del vento e degli alberi", mischia sapientemente le tecniche tipiche dello shojo classico (riflessioni dei personaggi, amori "vedo non vedo") e shonen (battaglie, combattimenti, tema del bene contro il male), e riesce a farlo consegnando un'opera che definirei davvero unica nel suo genere.
Riassumendo la trama in soldoni, posso dirvi che siamo in un mondo dove la Terra è stata abbandonata dagli umani a causa del continuo sfruttamento del suo territorio, che l'ha portata a diventare inospitale. Tuttavia, gli uomini sono riusciti a colonizzare gli altri pianeti del Sistema Solare (e non solo) e ora vivono sparsi per le galassie in colonie. Il sesso non esiste più: la procreazione è controllata da un grande robot chiamato Grande Madre (i riferimenti a "1984" sono evidenti), che supervisiona le nascite e li crea artificialmente. Questi, al compimento del loro quattordicesimo anno, vengono sottoposti a un esame che serve a rivelare il fattore Mu, che donerebbe poteri psichici a esseri umani "speciali". Se qualcuno lo manifesta, viene eliminato seduta stante. Jomy Marcus Shin scopre suo malgrado di esserne un portatore, ma, tuttavia, riesce a scappare, dopo essere entrato in contatto con una colonia di Mu e con l'enigmatico Soldier Blue, il loro leader.
Ho apprezzato (quasi) tutto di questa meravigliosa opera fantascientifica: il character design, per esempio, seppur sia stato criticato da molti, per me si sposa bene con lo stile "moderno", mentre quello anni '70, al giorno d'oggi, per me, avrebbe un po' stonato. I tratti, pur essendo spigolosi, sono comunque ben fatti, e un plauso va allo studio Minami Machi Bugyōsho che, almeno personalmente, ha dato vita in modo molto avvincente a questa storia. Parlando di personaggi nello specifico, invece, l'aspetto positivo risiede molto nelle riflessioni profonde che ognuno ha circa il proprio ruolo nella storia. I sentimenti sono messi in primo piano e ci fanno capire che, seppur ci troviamo nel futuro rispetto al nostro mondo, stiamo pur sempre parlando di esseri umani: amore, odio, dolore e lacrime, tante lacrime, saranno ben presenti in ogni episodio. Il tutto delineato con una delicatezza davvero incredibile, senza forzature. Ciò porta a immedesimarsi molto spesso nei personaggi, nel capire gli intenti di ciascuno e nel pensare "Se agisce in questo modo, posso ben capire il perché".
Una fantascienza introspettiva? Si direbbe proprio di sì, anche perché le riflessioni dei personaggi non sono l'unica cosa che guida la storia: temi come il razzismo, l'inclusione e la discriminazione sono evidentissimi, soprattutto nel contrasto tra le due fazioni principali della trama, ovvero Mu e umani. Ma non è completamente corretto dire che esistono due sole fazioni. Forse sarebbe meglio dire Mu vs umani vs macchina. La presenza della Grande Madre è ben evidente e spesso rappresenta la parte più opprimente di questa distopia allucinante che, a tratti, sembra trasmetterci un messaggio atroce: abbiamo veramente bisogno di un cervello artificiale per farci guidare, visto che non siamo capaci di gestirci in modo autonomo? Lascio a voi la risposta, qualora vogliate visionare questo prodotto. Altro tema portante è l'ossessione verso la Terra, il pianeta che ha dato origine all'umanità e che ora è ridotto ad un cumulo di gas. Jomy rappresenta in un certo senso l'autrice, e tramite lui si fa portavoce di un messaggio ecologista importantissimo: "Salviamo il nostro pianeta, non lasciamolo morire!". E se ve lo diceva nel 1977 la Takemiya, direi che nel 2024, anno in cui le temperature globali stanno salendo sempre di più, le estati si fanno più soffocanti e gli eventi distruttivi si stanno facendo sempre più frequenti, bisogna interrogarsi sul fatto che, forse, "Verso la Terra" potrebbe essere il nostro futuro. Il monito è ben evidente. Onestamente, mi sono sentito particolarmente toccato in prima persona, in quanto giovane e, ahimè, sembra che la direzione che stiamo intraprendendo sia quella segnalata nell'opera. La domanda da porci, tuttavia, è un'altra: "Riusciremo a sopravvivere?".
Ultima cosa e giuro vi lascio, non voglio annoiarvi con troppe parole: voglio spendere due parole per la trama in generale, e questo punto serve anche a spiegare il perché ho dato 9 e non 10, pur avendo parlato benissimo di quest'opera. Il motivo è molto semplice: molti eventi nell'anime (così come nel manga, eh!) sembrano essere raccontati con fretta oppure non si ha il tempo di godersi qualcosa, perché alcuni fatti sono omessi. Ora, questa cosa per me è stata davvero difficile da sopportare, perché sembrava come se mi fossi perso qualche pezzo per strada, ma, in realtà, era solo la narrazione a procedere in questo modo. Ci sono proprio degli stacchi, molti personaggi vengono abbandonati e messi in secondo piano, per poi ritornare solo verso il finale, e questa cosa non mi è completamente scesa giù. Altri, invece, prendono decisioni un po' random che sembrano totalmente sconnesse, e per questo si rischia di rimanere spiazzati. Purtroppo, anche il finale è stato vittima di questo evento e, per quanto epico ed emozionante, se avesse avuto una puntatina in più, sarebbe stato decisamente più coinvolgente. Ecco, sembra strano detto da uno come me che preferisce le serie brevi, ma qui avrei un po' allungato il brodo e avrei aggiunto un cinque/sei episodi in più, per dare tempo di riflettere sui fatti o per conoscere meglio alcuni aspetti. Un peccato... il rapporto tra Soldier Blue e Jomy, per esempio... Oppure, quello tra Keith e Physis. E va beh, non si può avere tutto dalla vita.
Come promesso, questo era l'ultimo punto. Chiudo solamente consigliandovi la visione di questo anime e, se siete interessati ai manga vecchio stampo, anche alla sua controparte cartacea, perché è un'opera che merita particolarmente. Non è una banale opera di fantascienza ma molto, molto di più. Fatela conoscere a più gente possibile, soprattutto per i messaggi che trasmette, che in una società come quella di oggi è importante sensibilizzare. Adiós!
Riassumendo la trama in soldoni, posso dirvi che siamo in un mondo dove la Terra è stata abbandonata dagli umani a causa del continuo sfruttamento del suo territorio, che l'ha portata a diventare inospitale. Tuttavia, gli uomini sono riusciti a colonizzare gli altri pianeti del Sistema Solare (e non solo) e ora vivono sparsi per le galassie in colonie. Il sesso non esiste più: la procreazione è controllata da un grande robot chiamato Grande Madre (i riferimenti a "1984" sono evidenti), che supervisiona le nascite e li crea artificialmente. Questi, al compimento del loro quattordicesimo anno, vengono sottoposti a un esame che serve a rivelare il fattore Mu, che donerebbe poteri psichici a esseri umani "speciali". Se qualcuno lo manifesta, viene eliminato seduta stante. Jomy Marcus Shin scopre suo malgrado di esserne un portatore, ma, tuttavia, riesce a scappare, dopo essere entrato in contatto con una colonia di Mu e con l'enigmatico Soldier Blue, il loro leader.
Ho apprezzato (quasi) tutto di questa meravigliosa opera fantascientifica: il character design, per esempio, seppur sia stato criticato da molti, per me si sposa bene con lo stile "moderno", mentre quello anni '70, al giorno d'oggi, per me, avrebbe un po' stonato. I tratti, pur essendo spigolosi, sono comunque ben fatti, e un plauso va allo studio Minami Machi Bugyōsho che, almeno personalmente, ha dato vita in modo molto avvincente a questa storia. Parlando di personaggi nello specifico, invece, l'aspetto positivo risiede molto nelle riflessioni profonde che ognuno ha circa il proprio ruolo nella storia. I sentimenti sono messi in primo piano e ci fanno capire che, seppur ci troviamo nel futuro rispetto al nostro mondo, stiamo pur sempre parlando di esseri umani: amore, odio, dolore e lacrime, tante lacrime, saranno ben presenti in ogni episodio. Il tutto delineato con una delicatezza davvero incredibile, senza forzature. Ciò porta a immedesimarsi molto spesso nei personaggi, nel capire gli intenti di ciascuno e nel pensare "Se agisce in questo modo, posso ben capire il perché".
Una fantascienza introspettiva? Si direbbe proprio di sì, anche perché le riflessioni dei personaggi non sono l'unica cosa che guida la storia: temi come il razzismo, l'inclusione e la discriminazione sono evidentissimi, soprattutto nel contrasto tra le due fazioni principali della trama, ovvero Mu e umani. Ma non è completamente corretto dire che esistono due sole fazioni. Forse sarebbe meglio dire Mu vs umani vs macchina. La presenza della Grande Madre è ben evidente e spesso rappresenta la parte più opprimente di questa distopia allucinante che, a tratti, sembra trasmetterci un messaggio atroce: abbiamo veramente bisogno di un cervello artificiale per farci guidare, visto che non siamo capaci di gestirci in modo autonomo? Lascio a voi la risposta, qualora vogliate visionare questo prodotto. Altro tema portante è l'ossessione verso la Terra, il pianeta che ha dato origine all'umanità e che ora è ridotto ad un cumulo di gas. Jomy rappresenta in un certo senso l'autrice, e tramite lui si fa portavoce di un messaggio ecologista importantissimo: "Salviamo il nostro pianeta, non lasciamolo morire!". E se ve lo diceva nel 1977 la Takemiya, direi che nel 2024, anno in cui le temperature globali stanno salendo sempre di più, le estati si fanno più soffocanti e gli eventi distruttivi si stanno facendo sempre più frequenti, bisogna interrogarsi sul fatto che, forse, "Verso la Terra" potrebbe essere il nostro futuro. Il monito è ben evidente. Onestamente, mi sono sentito particolarmente toccato in prima persona, in quanto giovane e, ahimè, sembra che la direzione che stiamo intraprendendo sia quella segnalata nell'opera. La domanda da porci, tuttavia, è un'altra: "Riusciremo a sopravvivere?".
Ultima cosa e giuro vi lascio, non voglio annoiarvi con troppe parole: voglio spendere due parole per la trama in generale, e questo punto serve anche a spiegare il perché ho dato 9 e non 10, pur avendo parlato benissimo di quest'opera. Il motivo è molto semplice: molti eventi nell'anime (così come nel manga, eh!) sembrano essere raccontati con fretta oppure non si ha il tempo di godersi qualcosa, perché alcuni fatti sono omessi. Ora, questa cosa per me è stata davvero difficile da sopportare, perché sembrava come se mi fossi perso qualche pezzo per strada, ma, in realtà, era solo la narrazione a procedere in questo modo. Ci sono proprio degli stacchi, molti personaggi vengono abbandonati e messi in secondo piano, per poi ritornare solo verso il finale, e questa cosa non mi è completamente scesa giù. Altri, invece, prendono decisioni un po' random che sembrano totalmente sconnesse, e per questo si rischia di rimanere spiazzati. Purtroppo, anche il finale è stato vittima di questo evento e, per quanto epico ed emozionante, se avesse avuto una puntatina in più, sarebbe stato decisamente più coinvolgente. Ecco, sembra strano detto da uno come me che preferisce le serie brevi, ma qui avrei un po' allungato il brodo e avrei aggiunto un cinque/sei episodi in più, per dare tempo di riflettere sui fatti o per conoscere meglio alcuni aspetti. Un peccato... il rapporto tra Soldier Blue e Jomy, per esempio... Oppure, quello tra Keith e Physis. E va beh, non si può avere tutto dalla vita.
Come promesso, questo era l'ultimo punto. Chiudo solamente consigliandovi la visione di questo anime e, se siete interessati ai manga vecchio stampo, anche alla sua controparte cartacea, perché è un'opera che merita particolarmente. Non è una banale opera di fantascienza ma molto, molto di più. Fatela conoscere a più gente possibile, soprattutto per i messaggi che trasmette, che in una società come quella di oggi è importante sensibilizzare. Adiós!