Ohoku: Recensione
di zettaiLara
nelle stanze interne dell'Ohoku
ai miei genitori, fratelli o sorelle
o a qualsiasi altra persona al di là di queste mura.
(Dal codice dell'Ohoku)
Si è trattato di un'inusuale quanto importante vetrina per questo film, uscito sui grandi schermi nipponici l' 1 ottobre 2010.
C'era una volta in Giappone un paese funestato da una pestilenza che colpiva solo i giovani uomini, decimandoli senza pietà e lasciandone al mondo appena un quarto sul totale: le redini del comando del paese e dell'intera società passano inevitabilmente all'altra metà del cielo.
Donne che diventano shogun. Donne che, senza un lamento, si prestano ai lavori più duri. Donne che risolutamente devono trovare il modo di garantirsi una famiglia e una prole, ad ogni costo: donne che desiderano una ragione per continuare a vivere. Gli uomini deboli e malati sono lasciati a loro stessi perché inutili, per contro quelli forti diventano oggetto di un nero mercanteggio per la sopravvivenza del paese.
Nato e cresciuto in una povera famiglia di discendenza samuraica, Unoshin Mizuno è un giovane uomo di saldi principi e di sana costituzione fisica: un vigore ambito come pochi, dalle donne di ogni età del villaggio, che egli offre loro senza alcun compenso in cambio.
Di certo non perché mi amano.
Quando in casa di Mizuno giunge per il ragazzo una buona proposta di matrimonio, si fa strada nel giovane il desiderio di rendere grazie alla Sua famiglia facendo qualcosa che rechi ai suoi genitori un beneficio ancora più grande: da qui, ne scaturisce l'importante decisione di prendere servizio nelle stanze dell'Ohoku, ed è così che, assieme a Mizuno, ci si addentra nell'esplorare costumi e gelosie interne al circoscritto harem di bellissimi uomini addestrati al servizio diretto della shogun.
L'Ohoku (letteralmente: "le stanze interne") è un piccolo mondo dove tutto è paradossalmente ribaltato rispetto "all'esterno": se nel mondo di fuori gli uomini scarseggiano, qui ci sono soltanto loro a provvedere ad ogni piccola o grande necessità per il funzionamento del castello shogunale e della vita di corte.
La suddivisione in rigide caste fa sì che non tutti possano essere ammessi alla presenza della shogun e questo fa emergere ben presto ciò che si cela in quelle stanze: le smanie di carriera, la solitudine, i rancori e le invidie. Agli occhi di Mizuno tutto appare irreale, persino assurdo se paragonato alla vita normale, dove la lotta è per la mera sopravvivenza e non per un avanzamento di status, o per compiacere gli occhi e il cuore di un dignitario di alto rango.
in un acquario di nome Ohoku.
il nostro compito consiste semplicemente
nel rimanere qui dentro, eternamente a disposizione.
Siamo di fronte ad un delicato, fragilissimo equilibrio tra politica e tradizioni, che verrà messo a dura prova con l'ingresso di Mizuno, recalcitrante ad accettare le ingiustizie che vi regnano. L'Ohoku lo fa incontrare con la Shogun, e poi riconduce ognuno al proprio destino, mutando inesorabilmente anche le sorti delle stanze del castello, e del Giappone stesso.
La prima impressione è che al centro del film vi sia la figura di Mizuno, ma in realtà non è così né per lui né per la shogun: il cuore è proprio l'Ohoku, attorno al quale sia i protagonisti che tutti gli altri personaggi si incontrano, si muovono, si svelano.
Magnifica la rappresentazione dei personaggi e, su tutti, quella della shogun Yoshimune: l'attrice Kou Shibasaki ricalca una sovrana di modi pratici, ma dall'impatto scenico davvero dirompente e con una potente femminilità celata sotto i rigorosi e sobri abiti regali.
Kazunari Ninomiya (GANTZ, Lettere da Iwo Jima) ritrae un Mizuno forse meno virile nell'aspetto fisico rispetto alla controparte cartacea, ma sa restituirgli un profilo caratteriale identico, fiero, rispettoso, pieno di dignità e vero carattere.
Decisamente ben resi anche tutti i personaggi legati all'Ohoku, ed in particolare le carismatiche figure di due alti dignitari, l'indecifrabile Matsushima (Hiroshi Tamaki, Chiaki in Nodame Cantabile) e l'influente Fujinami (Kuranosuke Sasaki, già visto in Team Medical Dragon, Zettai Kareshi), ma anche del malinconico servitore Sugishita (Abe Sadao, Team Medical Dragon).
Di contro, rimane tristemente in ombra il profilo della dolce Onobu (Maki Horikita, protagonista in Hana-Kimi), schiacciata da un lato dalla personalità vivida della shogun, e dall'altro dalla languida sensualità dei uomini dell'Ohoku.
L'acustica calda e accogliente del teatro di Udine dona particolare risalto alla bella colonna sonora del film, che risuona vibrando con intensità; le musiche sono davvero appropriate nel convogliare l'atmosfera epica della storia, nelle melodie struggenti come in quelle più severe.
Stupisce invece quando, in un secondo momento, ci si rende conto che la sceneggiatura non è poi composta da molte battute; in effetti gioca un ruolo importante la regia, che ha saputo sapientemente giocare su numerose scene con evocativi silenzi e scambi di sguardi intensi ed efficaci.
Notevoli anche costumi e scenografie, e in particolare lo scorrere del tempo attraverso i cambi di stagione, su cui le inquadrature indugiano lievi. Dagli abiti della shogun Yoshimune, che non mostrano sfarzo alcuno, notiamo invece che la sobrietà non viene in fin dei conti ricercata solo "esteriormente", ma riflette un cambiamento che coinvolgerà i vari ambiti della politica e della società nipponica, a partire proprio da quelle stanze interne che custodiscono un vero e proprio patrimonio di uomini.
e non una volta ha fatto visita all'Ohoku.
A cosa diavolo starà mai pensando?
Al futuro di questa nazione.
Non ci si aspetti di trovare nel film una melensa storia d'amore o spinte effusioni yaoi, perché non si troverà pressoché traccia né dell’una né delle altre. Si scoprirà invece un'attenzione volta alla disamina dei risvolti socio-politici e di corte, più che di quelli romantici.
Il film calca molto sull'aspetto drammatico, più di quanto non si faccia nel manga ma, tutto sommato, ciò non va a scapito della resa della pellicola; parallelamente nel lungometraggio appare più sfumato anche l'umorismo, ma si è comunque in grado di elargire sorrisi ben calati nel contesto dell'opera.
Il lungometraggio di Ohoku ricalca perfettamente il manga, ma non rappresenta la quintessenza dell'opera cartacea: esso è fedele nel riprodurne le vicende e personaggi, senza tradire in alcun modo la carta stampata, ma ne coglie in effetti soltanto il prologo, riproducendo solo circa un terzo del primo volume del manga.
Se una critica si può muovere al film, è proprio quella di aver seguito pedissequamente l'opera originale tanto d'aver scelto di concluderlo con il capitolo su Mizuno; è invece proprio a questo punto del film che la storia della shogun Yoshimune inizia a dispiegarsi. Rimane quindi la lecita curiosità sul proseguimento delle vicende, chiedendosi quali effetti sortiranno sul Paese le razionali decisioni della sovrana.
In Ohoku viene allestito uno spaccato intrigante su un capitolo di storia nipponica rielaborato in maniera intelligente e sagace, di certo anche grazie all'impostazione generale fornita nel manga, peraltro candidato al primo Manga Taisho, dalla brava Fumi Yoshinaga.
Nel complesso l’idea di un Giappone matriarcale appare davvero moderna e attuale: il film così confezionato ci propone in definitiva un affresco storico di certo atipico, e nondimeno gradevole, in grado di farsi apprezzare da un pubblico variegato.