Nekoawards 2019: vince Dopo la Pioggia (miglior ending) e Devilman Crybaby (miglior OST)
Tornano i NekoAwards, i premi alla stagione anime passata dati da tutta la Comunità di AnimeClick!
di Ironic74
Anime 2018: Miglior ending
Dopo la pioggia - Ref:rain [Aimer]
- Aimer è una cantante giapponese che lavora per l'etichetta discografica Defstar Records. Nasce a Kumamoto e la sua carriera musicale inizia nel 2011, quando rilascia il concept album "Your favorite things" che include pezzi di varia natura, anche jazz e country. Con il singolo "Rokutousei no Yoru", scelto come sigla finale dell'anime No.6, raggiunge la posizione numero 9 della Rekochoku chart, mentre il secondo singolo, "Re:pray/ Sabishikute Nemurenai Yoru wa", si piazza in prima posizione nella Mora chart. La canzone viene poi utilizzata come ventinovesima ending dell'anime Bleach. Nel 2012 rilascia il suo terzo singolo, "Yuki no Furumachi/Fuyu no Diamond", in seguito "Anata ni Deawanakereba: Kasetsu Toka" diventa l'opening della serie anime Natsuyuki Rendezvous. Nel 2013 è la volta di "RE:I AM", ending del penultimo episodio di Mobile Suit Gundam Unicorn; secondo quanto detto in un'intervista, il titolo della canzone sarebbe l'anagramma del suo nome. L'ottavo singolo di Aimer, "Brave Shine", è la seconda opening della serie Fate/stay night: Unlimited Blade Works.
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Anime 2018: miglior colonna sonora
Devilman Crybaby
Realizzata da Kensuke Ushio, artista che si è gettato a capofitto nell’elettronica più cupa. Il giovane musicista attua un ritorno alla dance che non potrebbe essere più gotico, fra assalti synthwave notturni degni della colonna sonora di “Drive” e intermezzi che rimandano alla darkwave neoclassica, elettronica post-industrial dai timbri saturi e hardcore techno, spezzata da inquietanti tintinnii, piccoli intermezzi jazzati e plumbee tastiere ambient, cenni di progressive berlinese e horror synth alla Carpenter. Musica traversata da ansia e tenebre, benché dinamica, fisica, terribilmente viva, come le carni lacerate che spesso compaiono durante l’anime, in un trionfo di gore e psichedelia moderna.
Tutto il materiale è originale, fatta eccezione per "Devilman no uta", sigla dell’anime prodotto nel 1972 dalla Toei Animation. Composta e arrangiata da Goh Misawa, l'originale era cantata da Keizo Toda assieme al gruppo corale Vocal Shop, e mescolava in maniera brillante il patetismo tipico del pop orchestrale giapponese e i sovratoni da frontiera dei film western occidentali (che pur non rientrando nell'immaginario dell'opera, ben si sposavano alla sua dimensione epica). Ushio l’ha riletta trasformandola in un inno futurepop, con le orchestrazioni perfettamente replicate dai sintetizzatori. La parte vocale è affidata ad Avu-chan, cantante della rock band Ziyoou-Vachi (Queen Bee per gli occidentali), che col suo piglio intenso e teatrale ben si adatta allo scopo.
La canzone compare durante l’anime, ma non fa questa volta da sigla. L’apertura è infatti l’unico brano a cui Ushio non ha messo mano e si intitola “Man Human”. Registrata appositamente dai Denki Groove, non è stata inclusa in questo album, ma pubblicata come singolo separatamente.
Pubblicata dalla Aniplex, sempre di casa Sony, la colonna sonora contiene un’ora e mezza abbondante di musica, suddivisa in quarantotto tracce. Alcune melodie sono ripetute più volte, in vesti sonore differenti, come quella che caratterizza “D.V.M.N.”, classicheggiante e pomposa, e che poi ritroviamo in “Wishy Washy” (per ukulele e melodica), “His Heart” (per pianoforte, post-minimalista e archi pizzicati), “Tears” (per tastiere e filtri elettronici). O il tema di “Miki”: una sorta di carillon nel brano omonimo, che viene reso distorto e industriale in “Miki The Witch”, quasi una “Gymnopédie” di Satie in “Her Baton”, e romantico glitch-pop in “From Here To Eternity”.
Il ritorno di questi temi struggenti serve a rendere più familiari i personaggi e i loro sentimenti durante la visione dell’anime e a dare un senso di ricorrenza e fruibilità durante l’ascolto dell’album. Il grosso del corpo dell’opera è però costruito, come si diceva, da vortici elettronici e ritmi possenti.
“Akira The Wild” è synthwave da combattimento, così come “Buddy, Ryo” (poi rallentata in “Night Ride” e ridotta a drone in “Ryo”). “Strategist” sembra una versione infernale dei Tangerine Dream, “News Anchor” è un minuto di squisita pop house, “Who Is She?” è un quadretto ambient costruito via midi che sembra spuntare dall’indimenticato Chrono Trigger, “Sabbath I” è un capolavoro di minimal techno percussiva e jazzata che per cinque minuti fa dimenticare decenni di musica autoindulgente costruita da altri in questo stile, pur con molta meno fantasia. E poi ancora carri armati gabber (“60311”), space ambient da un universo al collasso (“Nightmare”), variazioni fantascientifiche su coralità alla Carl Orff (“The Two Of Them”, “Night Hawk”, “Beautiful Silene”, “Smells Blood”), struggimenti di tastiere su clangori metallici (“Pathetique”).
Fonte consultata: Ondarock