Recensione
La prima cosa che colpisce di Kino no Tabi è l’originalità dei disegni, che sembrano proprio dei dipinti su tela, il che conferisce all’intera serie un fascino particolare, un non so che di vissuto e prezioso. In effetti, Kino no Tabi si rivolge a un pubblico raffinato e, soprattutto, maturo.
In generale è abbastanza semplice comprendere che il “Viaggio di Kino”, traduzione italiana del titolo, non è altro che una metafora della vita, con la quale l’autore Keiichi Sigsawa ci porta a riflettere su molti aspetti dell’animo umano. Aspetti che già conosciamo e che spesso riscontriamo in noi stessi, in quest’opera vengono amplificati, esagerati e in alcuni casi spinti all’eccesso.
Ogni episodio di Kino no Tabi ci conduce a esaminare in maniera distaccata e imparziale, attraverso gli occhi di Kino, un’ossessione, un sogno, una paura, un vizio, insomma un aspetto umano ben preciso. Kino non giudica cosa sia giusto e cosa non lo sia, si limita a prenderne atto e ad andare oltre, senza mai fermarsi e senza mai schierarsi in modo netto.
Proprio a causa di questo approccio spiccatamente documentaristico, Kino no Tabi non appassiona e non coinvolge emotivamente lo spettatore, che comunque mantiene un atteggiamento di estraneità rispetto ai fatti, ai protagonisti delle varie vicende, ma anche rispetto a Kino, che del suo lato umano lascia volutamente intravedere ben poco.
Ad accompagnare Kino lungo il suo viaggio troviamo la sua fedele motocicletta Hermes, un azzeccatissimo espediente narrativo mediante il quale Keiichi Sigsawa pone a Kino quegli interrogativi che noi stessi ci poniamo e per i quali vorremmo delle risposte. Ma, come già detto, nessuna risposta ci verrà data da Kino no Tabi, solo alcuni argomenti di riflessione.
In generale è abbastanza semplice comprendere che il “Viaggio di Kino”, traduzione italiana del titolo, non è altro che una metafora della vita, con la quale l’autore Keiichi Sigsawa ci porta a riflettere su molti aspetti dell’animo umano. Aspetti che già conosciamo e che spesso riscontriamo in noi stessi, in quest’opera vengono amplificati, esagerati e in alcuni casi spinti all’eccesso.
Ogni episodio di Kino no Tabi ci conduce a esaminare in maniera distaccata e imparziale, attraverso gli occhi di Kino, un’ossessione, un sogno, una paura, un vizio, insomma un aspetto umano ben preciso. Kino non giudica cosa sia giusto e cosa non lo sia, si limita a prenderne atto e ad andare oltre, senza mai fermarsi e senza mai schierarsi in modo netto.
Proprio a causa di questo approccio spiccatamente documentaristico, Kino no Tabi non appassiona e non coinvolge emotivamente lo spettatore, che comunque mantiene un atteggiamento di estraneità rispetto ai fatti, ai protagonisti delle varie vicende, ma anche rispetto a Kino, che del suo lato umano lascia volutamente intravedere ben poco.
Ad accompagnare Kino lungo il suo viaggio troviamo la sua fedele motocicletta Hermes, un azzeccatissimo espediente narrativo mediante il quale Keiichi Sigsawa pone a Kino quegli interrogativi che noi stessi ci poniamo e per i quali vorremmo delle risposte. Ma, come già detto, nessuna risposta ci verrà data da Kino no Tabi, solo alcuni argomenti di riflessione.