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9.0/10
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Pale Cocoon è ambientato in un lontano futuro, in cui la Terra è stata sconvolta da un’immane disastro che l’ha inquinata irrimediabilmente, costringendo l’umanità a vivere in complessi meccanici situati sottoterra, senza più poter rivedere il cielo. In questo contesto si snodano le vicende che vedono protagonisti Ura e Riko.
Ura è uno dei cosiddetti “Archeologi”, una di quelle persone che si impegnano per elaborare tutti i dati disponibili sul passato della Terra, al fine di poter riuscire a capire cosa ha reso la Terra inabitabile.
Questa sua attività ha provocato in lui un sentimento di rimpianto verso tutto ciò che è stato perduto; inoltre, non smette di sperare che un giorno riusciranno a ritornare in superficie.
Riko, invece, è come Ura un’Archeologa, ma ha un punto di vista nettamente diverso dal suo: sconvolta dalla prematura perdita di sua nonna, si è rassegnata a vivere per sempre nell’oscurità che l’umanità si è creata.

Parlando, invece, del comparto tecnico, siamo su alti livelli. La grafica si sposa perfettamente con l’atmosfera dell’opera, grazie alle inquadrature spesso storte o sfumate, e sempre usate con grande maestria, ma, soprattutto, agli ottimi giochi di luce: sembra quasi, infatti, che personaggi e ambienti vengano “modellati” da essi, e le luci proiettate dai neon, a volte anche di colori abbastanza vivaci, contrastano perfettamente con il grigio-marrone di pareti e strutture, dando un tocco di noia e disperazione in più all’ambientazione, dove gli uomini, dopo aver perso il loro pianeta, vivono le loro vite senza più allegria e “colori”.
Per quanto riguarda il sonoro, invece... beh, non so se parlare proprio di vero sonoro, poiché esso è costituito, per lo più, da effetti ambientali: il rumore dei computer, il clangore delle macchine, le voci sommesse di una folla... Il che, naturalmente, esalta ancora di più gli stati d’animo che Pale Cocoon vuole trasmetterci, dando ancora di più l’impressione di una società “grigia e vuota”.
Ottimi i dialoghi, sempre recitati con grande sentimento e pathos.

Il messaggio principale, ovviamente, è ben chiaro: l’opera vuole denunciare lo sfruttamento ambientale e l’inquinamento con cui l’uomo, alla fine, si scaverà la sua stessa tomba, almeno secondo me.
Esistono, però, diversi messaggi “secondari” che si possono trovare qua e là nell’anime; il bello di queste parti è che hanno diverse chiavi di lettura, e si possono vedere in un modo o nell’altro: ciò è legato fortemente al fatto che Pale Cocoon parla il meno possibile del suo mondo, e quindi lo spettatore può immaginare da sé ciò che non viene descritto.
Prendiamo ad esempio il finale: personalmente, vi ho visto una denuncia al menefreghismo dell’umanità, ma ad altri occhi potrebbe apparire anche come un messaggio di speranza.
L’opera, dunque, non sarà probabilmente vista con gli stessi occhi da due persone diverse.

Insomma, veniamo al dunque: Pale Cocoon è un esperienza rara, se non unica, adatta a non tutti i palati, ma indubbiamente coinvolgente ed ottimamente realizzata.
Benché i temi di cui tratti siano stati ripresi altre volte, ed anche al di fuori dell’ambito “anime”, quest’opera riesce a descriverli come nessun’altra ha mai fatto, emozionando davvero lo spettatore, commuovendolo e mantenendolo sempre su quel senso di incertezza e inquietudine su cui verte l’intero spettacolo.
Forse è il migliore cortometraggio che abbia mai visto.
Se ne avete occasione, vi consiglio di guardarlo: dopotutto, chiede veramente pochi minuti del vostro tempo.