Recensione
Tokyo Godfathers
7.0/10
Recensione di GeassOfLelouch
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"Tokyo Godfathers", traducibile con "I padrini di Tokyo", è un film di animazione del 2003 diretto dal poliedrico Satoshi Kon per la casa di produzione Madhouse.
La sera di Natale due barboni sdentati, fra cui un omosessuale e una ragazzina scappata di casa, trovano una neonata che continua a piangere in mezzo alla spazzatura con una chiave e un ciondolo con un numero. Dopo le iniziali titubanze e il desiderio di maternità di Hana, l'omosessuale che la vorrebbe tenere con sé, inizia una rocambolesca ricerca della sua mamma, cercando informazioni nella loro realtà e facendo i conti con le loro rispettive situazioni lasciate in sospeso. Nel breve lasso di tempo che separa il Natale da Capodanno, quando si conclude il film, impareremo a conoscere la bizzarra combriccola dell'ormai defunto regista Kon e la realtà di tutti i giorni in cui vivono.
Miyuki è una ragazzina tsundere, scontrosa e ribelle di 15 anni scappata di casa; Hana è un barbone omosessuale travestito da donna che ha sempre avuto desideri di maternità; Jin dice di esser stato un ciclista che per bisogno di soldi si fece corrompere e cadde in disgrazia. Jin a 20 anni era sposato e aveva una figlia che morì dopo qualche anno.
Ci penserà la piccolina, da loro ribattezzata Kiyoko, di cui si prenderanno cura e per la quale stravedranno, cercandone la madre, il collante e la carta vincente che permetterà ai tre di venire nuovamente in contatto con le rispettive famiglie che il trio ha lasciato. Prima è la volta di Hana, che a metà film rivedrà la madre che li accoglierà, poi di Jin che a tre quarti del movie nell'ospedale rivede sua figlia divenuta infermiera e sarà costretto a dire la verità sul suo conto e, infine, nell'epilogo, Miyuki incontra il padre poliziotto.
A livello di tematiche poco altro si può dire, se non che ci si vede catapultati nel duro mondo dei clochard fatto di solitudine, autocommiserazione, con il sapersi arrangiare e ingegnare, fatto di solidarietà, fratellanza, bugie, invidie, gelosie, amicizie, dissapori e un certo regolamento non scritto interno alla comunità che in caso di necessità sa mobilitarsi in modo incredibile.
Non manca anche l'incapacità di ravvedersi, di chiedere scusa alla propria famiglia, di ritornare suoi propri passi e di ammettere i propri errori, la trasparenza agli occhi della gente comune che li considera un fastidio e un disturbo. Come pure la fantasia del perché della loro condizione, quasi mai narrata nella sua vera versione dei fatti, ma celata, artigianalmente ed esponenzialmente modificata, artefatta e quasi mitizzata in modo da potersi dare un certo tono nella comunità dei senzatetto.
La trama ci immerge anche nella stupidità umana di rubare un pargolo per poi pentirsi del gesto e abbandonarlo nei rifiuti, l'invidia e la debolezza d'animo del non riuscire a superare la situazione e i drammi che la vita ci ha costretto ad affrontare. Insomma, le riflessioni e gli spunti non mancano: il film ne trasuda.
Nonostante ciò ho avvertito spesso una vena di sarcasmo che cozzava incredibilmente con tutto ciò, principalmente forse per il modo con il quale le parti coinvolte si esprimono e per la loro intonazione. Non so se sia stata una cosa voluta o per esaltare l'eccentricità dei protagonisti, ma un po' mi ha dato fastidio. Può darsi che una recitazione più drammatica e seriosa dei doppiatori l'avrei trovata più consona.
Graficamente è il film terribilmente realistico, con espressioni facciali che paiono prese da fotografie di volti umani piuttosto che una tecnica simile con gli scenari dei fondali. Le inquadrature sono variegate e la direzione della fotografia ottima; le animazioni invece non mi sono parse nulla di speciale, come pure il comparto sonoro, al quale non ho molto badato, in tutta sincerità.
Concludendo non capisco se "Tokyo Godfathers" vuole essere una grande trollata, lasciando con un lieto fine e un epilogo da bocca aperta e occhi sgranati per la sua insolvenza e al contempo. Un'opera che sembra quasi prendere in giro sé stessa con un omosessuale che parla continuamente in falsetto, una ragazzina isterica, un uomo che si scalda subito e bofonchia come una caffettiera e una piccola neonata che piange continuamente: questa è la cornice ambientata nella notte di Natale che fa da coretto e il verso a molti altri film di Natale.
Voto: 7.
La sera di Natale due barboni sdentati, fra cui un omosessuale e una ragazzina scappata di casa, trovano una neonata che continua a piangere in mezzo alla spazzatura con una chiave e un ciondolo con un numero. Dopo le iniziali titubanze e il desiderio di maternità di Hana, l'omosessuale che la vorrebbe tenere con sé, inizia una rocambolesca ricerca della sua mamma, cercando informazioni nella loro realtà e facendo i conti con le loro rispettive situazioni lasciate in sospeso. Nel breve lasso di tempo che separa il Natale da Capodanno, quando si conclude il film, impareremo a conoscere la bizzarra combriccola dell'ormai defunto regista Kon e la realtà di tutti i giorni in cui vivono.
Miyuki è una ragazzina tsundere, scontrosa e ribelle di 15 anni scappata di casa; Hana è un barbone omosessuale travestito da donna che ha sempre avuto desideri di maternità; Jin dice di esser stato un ciclista che per bisogno di soldi si fece corrompere e cadde in disgrazia. Jin a 20 anni era sposato e aveva una figlia che morì dopo qualche anno.
Ci penserà la piccolina, da loro ribattezzata Kiyoko, di cui si prenderanno cura e per la quale stravedranno, cercandone la madre, il collante e la carta vincente che permetterà ai tre di venire nuovamente in contatto con le rispettive famiglie che il trio ha lasciato. Prima è la volta di Hana, che a metà film rivedrà la madre che li accoglierà, poi di Jin che a tre quarti del movie nell'ospedale rivede sua figlia divenuta infermiera e sarà costretto a dire la verità sul suo conto e, infine, nell'epilogo, Miyuki incontra il padre poliziotto.
A livello di tematiche poco altro si può dire, se non che ci si vede catapultati nel duro mondo dei clochard fatto di solitudine, autocommiserazione, con il sapersi arrangiare e ingegnare, fatto di solidarietà, fratellanza, bugie, invidie, gelosie, amicizie, dissapori e un certo regolamento non scritto interno alla comunità che in caso di necessità sa mobilitarsi in modo incredibile.
Non manca anche l'incapacità di ravvedersi, di chiedere scusa alla propria famiglia, di ritornare suoi propri passi e di ammettere i propri errori, la trasparenza agli occhi della gente comune che li considera un fastidio e un disturbo. Come pure la fantasia del perché della loro condizione, quasi mai narrata nella sua vera versione dei fatti, ma celata, artigianalmente ed esponenzialmente modificata, artefatta e quasi mitizzata in modo da potersi dare un certo tono nella comunità dei senzatetto.
La trama ci immerge anche nella stupidità umana di rubare un pargolo per poi pentirsi del gesto e abbandonarlo nei rifiuti, l'invidia e la debolezza d'animo del non riuscire a superare la situazione e i drammi che la vita ci ha costretto ad affrontare. Insomma, le riflessioni e gli spunti non mancano: il film ne trasuda.
Nonostante ciò ho avvertito spesso una vena di sarcasmo che cozzava incredibilmente con tutto ciò, principalmente forse per il modo con il quale le parti coinvolte si esprimono e per la loro intonazione. Non so se sia stata una cosa voluta o per esaltare l'eccentricità dei protagonisti, ma un po' mi ha dato fastidio. Può darsi che una recitazione più drammatica e seriosa dei doppiatori l'avrei trovata più consona.
Graficamente è il film terribilmente realistico, con espressioni facciali che paiono prese da fotografie di volti umani piuttosto che una tecnica simile con gli scenari dei fondali. Le inquadrature sono variegate e la direzione della fotografia ottima; le animazioni invece non mi sono parse nulla di speciale, come pure il comparto sonoro, al quale non ho molto badato, in tutta sincerità.
Concludendo non capisco se "Tokyo Godfathers" vuole essere una grande trollata, lasciando con un lieto fine e un epilogo da bocca aperta e occhi sgranati per la sua insolvenza e al contempo. Un'opera che sembra quasi prendere in giro sé stessa con un omosessuale che parla continuamente in falsetto, una ragazzina isterica, un uomo che si scalda subito e bofonchia come una caffettiera e una piccola neonata che piange continuamente: questa è la cornice ambientata nella notte di Natale che fa da coretto e il verso a molti altri film di Natale.
Voto: 7.