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Sulle locandine dei cinema figurava la scritta "dai creatori di Ralph Spaccatutto e Rapunzel", come se la Disney avesse mai avuto il bisogno di aggrapparsi a questi espedienti. La Disney è la Disney, non è la creatrice di x o di y, deve essere una filosofia, una scuola, un modello; ma evidentemente così più non è, oggi si mischia tra una Dreamworks e un Cattivissimo Me, tutti uguali agli occhi di un bambino. Appare quindi emblematica la schizofrenia con cui sono stati realizzati gli ultimi film, dal vecchio 2D (Principessa e il Ranocchio) fortemente voluto dall'innovatore John Lasseter, passando per una parodia di sé stessa (Enchanted) fino ad arrivare a fare praticamente un Pixar senza la Pixar (Ralph): non trova pace la fabbrica dei sogni, eppure la quadratura del cerchio l'aveva trovata, nel 2010, con l'eccellente Tangled. L'artista veterano Glen Keane riuscì a sposare perfettamente il classico disegno Disney con la computer grafica, creando una protagonista adorabile come Rapunzel contornata a sua volta da personaggi irresistibili, ma soprattutto avvalendosi di splendide musiche, non ai livelli degli Intoccabili 4 (Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin, Il Re Leone), ma poco sotto, e una storia scorrevole del tutto priva di buchi.

Introduzione necessaria per arrivare a Frozen poiché si pone come suo erede, anche se in realtà le due fiabe differiscono in quasi tutto, a partire dalla loro concezione. Frozen è il film Disney con la più lunga gestazione della storia, addirittura già negli anni quaranta Walt Disney dopo Pinocchio prese di mira la fiaba "La Regina delle Nevi" di Andersen, ma i suoi discendenti non vollero cederne i diritti e non se ne fece più nulla. Curiosamente furono i russi a realizzare nel 1957 un film d'animazione con questo soggetto, che divenne uno dei più riusciti della ricca quanto misconosciuta scuola animata sovietica la cui visione convinse nientemeno che Hayao Miyazaki ad intraprendere la carriera di animatore. La casa di Topolino ci riprovò negli anni novanta dopo il successo de La Sirenetta, ma il progetto venne di nuovo accantonato dopo l'abbandono di Glen Keane nel 2002 e il (presunto) calo di interesse del pubblico nei confronti delle fiabe classiche. Ripreso nel 2010 dopo il successo di Tangled, il Classico numero 53 uscito nel Natale del 2013 sembra così trascinare dietro di sé una miriade di incertezze dovute alla mancanza di una guida artistica sicura, che scaturiscono in repentini cambi di registro, una sceneggiatura che fa acqua in più punti e tanto per completare il quadro, un accompagnamento musicale tra i più deludenti. Ma andiamo con ordine.

Della fiaba originale di Andersen è rimasta solo la neve e nient'altro. Non che sia un male, la Disney stravolge le fiabe a suo piacere e consumo da sempre, anche se stavolta ha attuato un taglia e ricuci mai visto inserendo risvolti della storia e personaggi del tutto originali.
Un dono o una maledizione, non è ben chiaro cosa siano i poteri della principessa Elsa, che le permettono di creare e manipolare il ghiaccio come un'eroina Marvel. Sappiamo però che non riesce a controllare bene questo potere mettendo così in pericolo la vita di sua sorella Anna durante una serata di giochi, pertanto i suoi genitori decidono di imporre alla figlia l'assoluto divieto di utilizzarli, e relativo isolamento almeno fino alla maggiore età, cancellando i ricordi di Anna ad essi collegati.

Dieci minuti e la storia presenta già delle perplessità, a partire dai genitori che si dimostrano come i più idioti mai visti nella cinematografia Disney, dato che i Troll (che in questo mondo non spaventano i passanti da sotto i ponti ma sono una sorta di saggi Yoda) dicono chiaramente che la paura è il peggior nemico per lo sviluppo maligno dei poteri di Elsa, e loro che fanno? La rinchiudono in una stanza eliminando ogni contatto con il mondo esterno, questo sì che aiuterà la sua autostima! Fortuna vuole che i due muoiano in mare qualche anno dopo così da non combinare altri danni, e si arriva al presente, nel giorno dell'incoronazione di Elsa. Il film procede più o meno come tutti si aspettano quindi non mi addentrerò ulteriormente nella sua analisi, preferendo soffermarmi sui vari personaggi. Ed è qui che Frozen casca in modo fragoroso sotto tonnellate di neve.

Chi vi scrive spenderebbe fiumi di inchiostro sull'intraprendenza di Rapunzel, il coraggio di Mulan e la determinazione di Jasmine in ambienti ostili e maschilisti, e proprio per questo rimane basito dinnanzi ai consensi che ha avuto la coppia di protagoniste di Frozen, una peggiore dell'altra. Anna non è che l'apoteosi dell'idiozia, il film Disney sembra diventare una parodia di sé stessa durante il ridicolo duetto con il principe Hans che scaturisce in una assurda proposta di matrimonio. Qui però non siamo in "Come d'Incanto" ma in un Classico Disney, e ho trovato questo espediente fastidioso, per quanto utile ai fini della storia. La celeberrima "Let it Go" dovrebbe essere invece la tradizionale "I Want Song" della situazione, estrapolata dai musical di Broadway da Ariel in poi e che ha lo scopo di creare un legame emotivo tra la protagonista e lo spettatore, ora conscio dei suoi desideri. Il problema è che quella che dovrebbe essere la canzone fulcro della storia risulta in realtà la più slegata al resto del film, dato che tutta la sicurezza, sulla libertà, l'indipendenza e bla bla sbandierate nel suo "videoclip", vacillano tutte alla prima occasione, e fino alla fine. Utile giusto per fare 300 milioni di visualizzazioni su youtube, Elsa è (in buona parte a sua discolpa) un personaggio debole che non fa che fuggire dalle sue responsabilità decidendo di diventare una hikikomori dei ghiacci. Idea che sulla carta non sarebbe malvagia, ma purtroppo Frozen sembra volersi impegnare nel dimostrare di quanto approssimativa sia stata la sua realizzazione.

A partire dalle canzoni, che escludendo la sopracitata "Let it Go" e "Do You Want to Build a Snowman?" (che soccombono però di fronte alla resa di "I See The Light"), tutte le altre farebbero rivoltare il povero Howard Ashman nella tomba con dei testi che vanno dal banale all'agghiacciante; soprattutto quella di Olaf, assolutamente inascoltabile, e quella dei Troll, di una stupidità deplorevole (in pratica incita Anna al tradimento, come se non fosse già una sciacquetta) e inserita davvero alla rinfusa (cantano e poi t'oh, c'è Anna che sta solo morendo!).
Il film mostra le sue magagne anche dal punto di vista tecnico, erroneamente considerato perfetto da un occhio non attento, come la Regina che è in tutto un clone di Elsa (un minimo di sforzo per differenziare il modello poligonale non avrebbe fatto schifo), o la treccia della stessa che nel famoso videoclip trapassa letteralmente la spalla sinistra quando se la va a scogliere. Piccolezze, e va bene, ma dallo studio più importante del mondo mi aspetto qualcosa di più, e ovviamente l'assenza di Glen Keane si avverte nelle espressioni, nonostante il character design sia preso di peso dal suo Tangled, ma che è un passo indietro enorme rispetto anche a Ralph.
Meglio stendere un velo sulla comicità prescolare di Olaf, credo la peggior spalla comica che abbia visto di recente, da far rimpiangere con le sue battute abusatissime sul suo corpo componibile anche il Blob di Mostri contro Alieni, e vedendo la bella scena del caminetto fa rabbia pensare come la sua figura sarebbe potuta essere utilizzata in modo più intelligente, invece di degradarlo a mascotte appena abbozzata giusto da infilare all'ultimo sulle locandine. Le sue gag sono da vietare ai maggiori di 5 anni, i più giovani almeno non possono ricordare il Mr Potato di Toy Story, che si basava sulle medesime battute e non ebbe alcun bisogno di un software dedicato per dividersi il corpo, 20 anni fa. Tra le poche cose che funzionano, il personaggio di Kristoff e renna, il principe Hans (che sembra l'unico sano di mente), qualche scena azzeccata, la colorazione, e la colonna sonora in generale, almeno finché non attaccano a cantare.

Deludente, considerato lo spropositato successo del film sia di critica che di pubblico ma che in realtà non mi ha stupito più di tanto, perché l'idea di narrare una storia di amore fraterno tramite la metafora del ghiaccio e dell'isolamento era anche buona, ma il risultato finale mi ha lasciato l'amaro in bocca e soprattutto mi è mancata del tutto anche una minima empatia con i personaggi. Evidentemente i modelli che piacciono oggi sono questi, la demenza di Anna unita all'egocentrismo compulsivo di Elsa, incompresa reclusa per sua scelta che deve forzare tenerezza allo spettatore tipo (la dodicenne figlia dei telefilm Disney Channel), ne prendo atto. Nella parte finale il film migliora, anche se non ho visto nel climax nulla di così emozionante; penso che chiunque sano di mente sceglierebbe di salvare la vita alla sorella e il "colpo di scena" sul vero cattivo è assolutamente forzato e non necessario, dato che se c'era un film Disney a non avere alcun bisogno di un antagonista era proprio questo, con l'insicurezza di Elsa quale nemico simbolico da sconfiggere. Miyazaki riesce a basare i suoi film senza inserire dei veri cattivi perché il male può non risiedere banalmente in persona ma nei pregiudizi, nell'indifferenza, o nella paura, proprio come quella di Elsa. Occasione sprecata.

Frozen è un Classico che vorrebbe essere originale, ma poi crolla sulle sue stesse convinzioni, esattamente come Kristoff che fa la predica ad Anna sul suo fugace "vero amore" per poi cascarci la mattina dopo. Coloro che strombazzano all'ennesimo pseudo-Rinascimento Disney, facciano un favore a sé stessi e si guardassero Waking Sleeping Beauty, così da comprendere come si fa una vera rivoluzione di uomini, di idee, di cultura. Ma a parte questo, Frozen è un deciso passo indietro rispetto ai due Classici che l'hanno preceduto, meno coraggioso e decisamente più ruffiano verso un pubblico acritico e poco pretenzioso, condannando quella che era la fabbrica dei sogni ad una banale catena di montaggio.