Recensione
Premessa
Tratto dal manga di Megumi Tachikawa, "Saint Tail" è stato uno dei primi anime che ho visto da ragazzo e che, a dispetto di molte altre serie degli anni '90, mi è piaciuto moltissimo. Recentemente mi è venuta un po' di nostalgia e ho deciso di rivederlo. Nel farlo mi sono venuti un po' di dubbi e, nel cercare le risposte, ho scoperto le pesanti modifiche fatte dallo staff italiano che mi hanno spinto a preferire la versione in lingua originale e sottotitolata. Questa decisione me lo ha fatto apprezzare molto più di prima.
Trama
La serie vede protagonista Meimi Haneoka, studentessa di quattordici anni, che nella notte si trasforma in Saint Tail, una ladra molto agile e scaltra. La fantomatica ladra sfrutta i trucchi di magia per effettuare furti ai danni di mascalzoni, con l'intento di rendere il maltolto ai legittimi proprietari. A cercare di catturarla è Daiki Asuka (da tutti chiamato Asuka Jr.), figlio di un ispettore e compagno di classe di Meimi, verso il quale la ragazza scoprirà presto di nutrire dei sentimenti.
Disegni
I disegni sono molto semplici: occhi grandi, nasi piccoli che spariscono nelle situazioni di forte imbarazzo e teste che aumentano a dismisura quando urlano in faccia a qualcuno. Tuttavia è proprio per questa sua semplicità che è diventato uno dei miei preferiti.
Essendo uno shojo, l'anime è indirizzato prevalentemente verso un pubblico femminile e pertanto non presenta scene di tipo ecchi o fanservice.
Sonoro
Nella versione giapponese abbiamo una opening per i primi ventiquattro episodi e una per gli altri diciannove, delle quali gradisco molto la prima. Tre sono invece le ending: la prima ha toni lenti e romantici e anch'essa riguarda i primi ventiquattro episodi, vale la pena ascoltarla almeno una volta; le altre due si dividono i restanti episodi, in particolare la seconda mi ha strappato qualche sorriso, non tanto per il sonoro quanto per il video.
La sigla italiana fa da apertura e chiusura per tutta la durata della serie. E' una tra le sigle cantate da Cristina D'Avena che mi sono rimaste impresse nella memoria.
Commento finale
Do un 9 e non un 10 alla serie solo perché ho trovato un po' eccessivo il rispetto dei Giapponesi nel preferire l'uso del cognome al posto del nome. Il nome Daiki, infatti, compare solo in un paio di casi e solo a titolo informativo. Il finale è ottimo ma non sarebbe stato male un OAV supplementare.
Tratto dal manga di Megumi Tachikawa, "Saint Tail" è stato uno dei primi anime che ho visto da ragazzo e che, a dispetto di molte altre serie degli anni '90, mi è piaciuto moltissimo. Recentemente mi è venuta un po' di nostalgia e ho deciso di rivederlo. Nel farlo mi sono venuti un po' di dubbi e, nel cercare le risposte, ho scoperto le pesanti modifiche fatte dallo staff italiano che mi hanno spinto a preferire la versione in lingua originale e sottotitolata. Questa decisione me lo ha fatto apprezzare molto più di prima.
Trama
La serie vede protagonista Meimi Haneoka, studentessa di quattordici anni, che nella notte si trasforma in Saint Tail, una ladra molto agile e scaltra. La fantomatica ladra sfrutta i trucchi di magia per effettuare furti ai danni di mascalzoni, con l'intento di rendere il maltolto ai legittimi proprietari. A cercare di catturarla è Daiki Asuka (da tutti chiamato Asuka Jr.), figlio di un ispettore e compagno di classe di Meimi, verso il quale la ragazza scoprirà presto di nutrire dei sentimenti.
Disegni
I disegni sono molto semplici: occhi grandi, nasi piccoli che spariscono nelle situazioni di forte imbarazzo e teste che aumentano a dismisura quando urlano in faccia a qualcuno. Tuttavia è proprio per questa sua semplicità che è diventato uno dei miei preferiti.
Essendo uno shojo, l'anime è indirizzato prevalentemente verso un pubblico femminile e pertanto non presenta scene di tipo ecchi o fanservice.
Sonoro
Nella versione giapponese abbiamo una opening per i primi ventiquattro episodi e una per gli altri diciannove, delle quali gradisco molto la prima. Tre sono invece le ending: la prima ha toni lenti e romantici e anch'essa riguarda i primi ventiquattro episodi, vale la pena ascoltarla almeno una volta; le altre due si dividono i restanti episodi, in particolare la seconda mi ha strappato qualche sorriso, non tanto per il sonoro quanto per il video.
La sigla italiana fa da apertura e chiusura per tutta la durata della serie. E' una tra le sigle cantate da Cristina D'Avena che mi sono rimaste impresse nella memoria.
Commento finale
Do un 9 e non un 10 alla serie solo perché ho trovato un po' eccessivo il rispetto dei Giapponesi nel preferire l'uso del cognome al posto del nome. Il nome Daiki, infatti, compare solo in un paio di casi e solo a titolo informativo. Il finale è ottimo ma non sarebbe stato male un OAV supplementare.