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Rurouni Kenshin è uno di quei pochissimi manga che hanno saputo colpirmi, emozionarmi e commuovermi, oltre che ad esaltarmi quando opportuno.
Inizialmente iniziai a leggerlo perché immaginavo che il contesto storico in cui si svolge la storia portasse con sé il solito bagaglio di contenuti sull'onore del samurai e sulle battaglia per il popolo, ma oltre al magistrale uso che l'autore fa di questo affascinante periodo storico, in questo manga c'è molto di più: già da subito si intuisce infatti la grande cura all'aspetto psicologico dei personaggi, alla loro crescita e alla loro maturazione. Se però inizialmente il tutto sembra un po' marginale, avremo modo di ricrederci dopo la prima metà del manga, quando l'autore riesce a dare il meglio di se catapultando questa opera nell'olimpo dei manga.
Perché sì, gli ultimi 10-15 volumi di Kenshin, a mio avviso, non temono alcun tipo di rivale sotto tutti i punti di vista.

Kenshin samurai vagabondo, questo il titolo italiano, si basa sul cammino di redenzione di Kenshin Himura, spadaccino formidabile ed ex assassino per conto dei samurai ambiziosi di Kyoto, fautori della fine del periodo Bakumatsu e della restaurazione Meiji, che una volta creata la nuova epoca al caro prezzo di migliaia di vite umane, decide di diventare un "rurouni", ovvero un samurai vagabondo senza fissa dimora, usando la sua spada a lama invertita per aiutare i più deboli promettendosi però di non uccidere mai più nessuno.
Ovviamente questa scelta porta ad un sacco di contraddizioni evidenti, sia col presente che col passato, e sembra solamente un drastico quanto banale palliativo che il protagonista si prefigge, ma l'autore avrà modo di illustrarci come invece dietro a questa scelta ci sia una vita tormentata, piena di riflessioni e ragionamenti. Varie situazioni si presenteranno infatti davanti a Kenshin: alcune lo porteranno a riflettere sul significato della sua scelta e a porsi delle domande su quello che è giusto o sbagliato, altre lo porteranno a cercare disperatamente la strada per espiare le proprie colpe e i propri peccati, insinuando nella sua testa anche la possibilità che, per un assassino come lui, non ci sia assolutamente modo per potersi redimere.
Leggete il manga e verificate voi stessi se le risposte che il nostro Himura troverà dopo anni di tormento saranno soddisfacenti o meno.

Ragazzo puro dalla personalità limpida e senza macchia, Kenshin pagherà proprio questo suo lato sentimentale in un epoca che proprio non si presta a persone come lui, troppo deboli mentalmente per non cadere nell'errore di caricarsi sulle proprie spalle il compito di cambiare le cose, negando i propri desideri e la propria felicità in nome di quell'utopia chiamata pace.
Rimasto orfano in tenera età, Shinta (questo il suo vero nome) verrà successivamente salvato da quello che sarà poi il suo maestro di spada, che gli insegnerà i segreti della scuola Mitsurugi Hiten, micidiale tecnica omicida creata per difendere il prossimo. Ci troviamo quindi davanti all'ennesima contraddizione: come può una tecnica omicida essere creata per difendere il prossimo? Anche a questa domanda, probabilmente, la risposta è da cercare dentro se stessi. Contravvenendo però agli ordini del suo maestro, Kenshin userà la sua spada non per difendere il prossimo a breve termine, ma per uccidere tutti i rappresentanti dell'attuale epoca malsana in nome di un futuro di pace, diventando così l'assassino Battosai. Solo una donna, che avrà un impatto devastante nella sua vita, riuscirà per la prima volta a smuoverlo da questa sua ideologia contorta, quando ormai la situazione risulterà già pesantemente compromessa, e all'assassino Battosai non resterà altro che portare a termine il suo compito nel dolore.

Non abbiamo però solo Kenshin in questo manga: ci sono infatti altri personaggi fondamentali che ruoteranno attorno al protagonista, ognuno di questi caratterizzato in maniera divina. Da sottolineare anche l'attenzione dedicata ai personaggi femminili (cosa non sempre scontata in uno shonen), spesso veri artefici dell'evoluzione psicologica del protagonista.
Nobuhiro Watsuki è stato molto bravo nel costruire un set base di personaggi non troppo vasto, creandosi quindi le basi per poterli poi caratterizzare bene e in profondità, non cadendo quindi nella tentazione di creare un esercito di "soldatini cool" senza personalità.
In verità Watsuki nella tentazione un po' ci cade, ma lo fa solamente coi cattivi secondari: sua abitudine infatti è quella di mettere dietro al cattivo di riferimento, un gruppo di "tirapiedi" dalle personalità più svariate e strambe (a tratti quasi assurde), che però spesso e volentieri risultano avere pochissimo spessore, cadendo nel dimenticatoio una volta eliminati. Forse però non è nemmeno sbagliato così, anche perché probabilmente tutto questo porta a concentrare l'hype sul boss, su cui le attese sono sempre ben riposte visto che in due casi su due Watsuki fa centro, creando dei personaggi veramente validi dal punto di vista morale e psicologico, cattivi sì, ma per delle ragioni che volendo potrebbero anche essere condivise nelle idee, non ovviamente nei metodi.
La cosa che colpisce è che, nel bene o nel male, ogni personaggi "vive", cresce e matura delle esperienze che lo porteranno a nuovi ragionamenti e a nuove convinzioni, a volte negando e a volte facendo evolvere le precedenti. C'è chi, addirittura, per tutto il manga cerca la propria dimensione, trovandola solo alla fine, chi invece cerca il suo futuro e chi ha ancora da chiudere i conti col passato.
Da questo punto di vista, direi 10 e lode per l'autore, anche se, devo essere sincero, all'inizio io stesso avevo scambiato molte di queste stupende personalità con facili e banali stereotipi. L'importante è non fermarsi al primo impatto perché la macchina chiamata "Rurouni Kenshin" è un diesel che per carburare necessita di un po' di tempo.

Passando ora ad analizzare la struttura della storia, possiamo sintetizzare dicendo che il manga dopo i soliti primi volumi introduttivi formati da storielle autoconclusive molto gradevoli, è strutturato in due saghe principali legate fra loro solo da alcuni elementi, che avranno però modo entrambe di ricollegarsi al passato di Kenshin.
La prima si basa sul tentativo di conquista del Giappone di un ex assassino, al pari del nostro protagonista, insoddisfatto dalla restaurazione e dalla nuova epoca Meiji che a suo avviso non ha portato altro che un aumento della corruzione. Essendo stato uno dei fautori di questa restaurazione, il nostro Kenshin Himura non potrà far altro che occuparsi della faccenda, nonostante nemmeno lui possa dirsi completamente soddisfatto dell'attuale epoca. A dividere i due, infatti, è solamente il modo con cui intendono affrontare il futuro, non l'insoddisfazione sul presente.
Saga ottima nella sua fase iniziale e finale, ma che balbetta e non poco nel suo svolgimento, regalandoci fasi noiose e anche un po' banali.
La seconda saga ci parla invece di una persona coinvolta negli omicidi passati dell'assassino Battosai, che si mette sulle sue tracce desiderosa di vendetta. È proprio in questa saga che finalmente ci verrà raccontato il passato di Kenshin, con rivelazioni e colpi di scena inaspettati che ci faranno capire meglio da cosa deriva il tormento di Himura.
Tutto molto semplice e lineare, direte voi, ma essendo organizzata in maniere semplice e coerente, ho trovato questa impalcatura veramente gradevole e adatta a caricarsi sulle spalle il bagaglio morale dei personaggi.
Ho apprezzato poi anche il fatto che, dopo soli 28 volumi e la possibilità di proseguire con altre saghe, l'autore abbia invece deciso di chiudere e di far terminare il cammino di redenzione di Kenshin nel punto più giusto possibile.

Un'ulteriore nota di merito all'autore e al suo manga, va attribuita alla scelta del contesto: il periodo Bakumatsu, così come è stato usata in questo manga, rende veramente l'idea e affascina non poco il lettore, che si trova così incuriosito da cose realmente accadute.
Bella l'idea di usare vari personaggi realmente esistiti e di rilevanza storica, affiancati a personaggi d'immaginazione, per creare una storia che avviene parallela all'evoluzione reale del Giappone di quegli anni.
Ovviamente so che non è stato Watsuki ad inventarselo, intendiamoci, ma proporre un manga a sfondo storico su una rivista come Shonen Jump richiede molto coraggio, e io apprezzo sempre autori di questo tipo.

Sul disegno, niente da dire a colui che è stato allievo di Takeshi Obata e ha fatto invece da sensei a Eichiro Oda (One Piece) e Hiroyuki Takei (Shaman King).
Il suo stile è abbastanza canonico, niente di eccezionalmente originale, ma è riuscito a fotografare perfettamente l'epoca dei samurai, arricchendo il manga.
Punto di forza delle sue tavole, sono sicuramente le inquadrature agli occhi, sempre di grande effetto nei momenti topici.
Una nota andrebbe poi fatta sui chara design: questo autore, nelle sue note, confessa spesso "candidamente" di ispirarsi a comics americani o ad altri manga, e a volte i risultati sono quasi "ridicoli" perché eterogenei con l'ambiente e l'epoca (c'è ad esempio un personaggio uguale ad Hulk, un altro con la maschera uguale al volto di Venom, elementi che coi samurai non hanno proprio niente a che fare).
Più che procurarmi fastidio, però, questa cosa mi ha sempre fatto sorridere: l'ho sempre vista, infatti, come un folle tentativo dell'autore di stupire a tutti i costi.
Ovviamente il discorso sarebbe stato diverso e molto più grave se fossero stati caratterizzati in questo modo i personaggi principali, ma finché sono i tirapiedi o personaggi secondari che appaiono giusto un paio di capitoli, trovo giusto non sottolineare troppo la cosa, nonostante sia convinto che Watsuki debba stare più attento a queste cose in futuro, come lui stesso ammette.
Per il resto, il chara design di questo manga risulta ottimo visto che, pur nella sua semplicità, l'autore riesce ad imprimere qualcosa di veramente unico e originale in ogni personaggio, come la cicatrice a "X" del protagonista, o le bende di Makoto Shishio, il cattivo della prima saga.

Finiamo l'analisi degli elementi fondamentali di questo manga, parlando dei combattimenti.
Sarò sincero, aspettavo Watsuki al varco: ero infatti sicuro che, alla lunga, far combattere i vari personaggi solamente con spada e armi reali potesse diventare scontato e noioso. Ok le tecniche speciali, ok i colpi ad effetto, ma prima o poi ero sicuro che si cadesse o nel banale o nell'assurdo con l'introduzione, chissà, di qualche potere strambo che avrebbe devastato la storicità e il realismo del manga. E invece No.
L'autore riesce invece a far diventare i combattimenti sempre più belli ed appassionanti, inserendo si qualche elemento improbabile come le spade infuocate o simili, ma rimanendo pur sempre nel campo del verosimile, cosa veramente difficile da fare in un manga dove si combatte tanto e spesso. Inoltre proprio le scene di combattimento riescono ad essere fra le più originali del manga, rapide e senza fronzoli, concluse poi sempre da colpi di genio e mai dal solito "sono buono, quindi l'ultimo mio colpo sarà più forte del tuo e non ti rialzerai più".
Questo, forse, è stato l'elemento a sorpresa che proprio non mi aspettavo da questo manga.

In chiusura, ci tengo però ad ammonire chi, valutando quest'opera, la bocci ritenendola poco originale: certo, dal punto di vista delle svolgimento Watsuki non inventa proprio nulla, sia chiaro, però a mio avviso fa evolvere lo schema classico degli shonen inserendo elementi maturi e psicologici e lavorando su un contesto storico realistico, approfondito e ricco di citazioni.
Un manga, a mio avviso, può essere un capolavoro anche così.
Consiglio quindi a tutti questo splendido manga, che purtroppo ha l'unico vero difetto di non essere sempre continuo: l'ultima saga è veramente perfetta, ma nella prima quindicina di volumi l'altalena tra spettacolo e noia mortale è frequente e ripetuta.
Ad essere sincero, pur avendola sempre trovata una lettura gradevole, se arrivato al volume 11-12 mi avessero detto che questo sarebbe diventato uno dei miei tre manga preferiti, non ci avrei mai creduto… e invece ora è proprio così!