Recensione
I fiori del male - Aku no Hana
10.0/10
Ho divorato questo manga in due giorni.
Per i primi sei volumi ho provato un disagio così profondo che stavo male proprio fisicamente: è la parte più disturbante della storia, ma non riuscivo proprio a smettere di leggere.
Nei restanti volumi l'orrore si placa per fare spazio al senso di smarrimento del protagonista, a un sommesso malessere che ostinatamente cerca di risolversi. E pure quando ci riesce, l'oscurità non si dissolve mai completamente.
Non so se esagero (ma non credo) definendolo un capolavoro: per la storia e i disegni; per la violenza con cui l'autore ci sbatte in faccia tutta la grigia mediocrità dell'umanità, della normalità; per i sentimenti cupi che vengono raccontati e per il modo in cui vengono raccontati. Per tutti questi motivi, lo consiglio spassionatamente. Però, se volete leggerlo, preparatevi psicologicamente a una cosa non facile da digerire.
Per quanto possa farci orrore l'abisso in cui sprofondano i protagonisti e il buco nero che li risucchia, la società malata che li fa ammalare. Per quanto vorremmo che fosse tutto solo frutto della fantasia di un mangaka completamente folle. Ci si deve rendere conto che quella pazzia esiste davvero! Perché esistono davvero gli "insetti di merda" (citando Nakamura) che alimentano quella pazzia.
Il pazzo spesso non è che il frutto della società in cui vive.
I protagonisti oscillano tra la paura, l'autolesionismo, il sadismo, il disgusto per sé stessi e l'assoluto totale disprezzo per chi li circonda. Tutto questo - agli occhi di chi legge - risulta malato, insano, morboso, deviato, forse un irrecuperabile disastro. Ma in un certo senso lo si riscopre anche sano: dal momento in cui il dolore implode/esplode nel climax, comincia un percorso introspettivo e non più violento che culmina in una inaspettata catarsi.
Difficile farsi scivolare addosso, come se nulla fosse, tutta l'ammaliante mostruosità e inquietudine raccontata in questi 11 volumi! E proprio per questo è anche difficile smettere di pensarci una volta chiuso l'ultimo volume. Io non credo di esserne ancora uscita del tutto, da quelle pagine.
Per i primi sei volumi ho provato un disagio così profondo che stavo male proprio fisicamente: è la parte più disturbante della storia, ma non riuscivo proprio a smettere di leggere.
Nei restanti volumi l'orrore si placa per fare spazio al senso di smarrimento del protagonista, a un sommesso malessere che ostinatamente cerca di risolversi. E pure quando ci riesce, l'oscurità non si dissolve mai completamente.
Non so se esagero (ma non credo) definendolo un capolavoro: per la storia e i disegni; per la violenza con cui l'autore ci sbatte in faccia tutta la grigia mediocrità dell'umanità, della normalità; per i sentimenti cupi che vengono raccontati e per il modo in cui vengono raccontati. Per tutti questi motivi, lo consiglio spassionatamente. Però, se volete leggerlo, preparatevi psicologicamente a una cosa non facile da digerire.
Per quanto possa farci orrore l'abisso in cui sprofondano i protagonisti e il buco nero che li risucchia, la società malata che li fa ammalare. Per quanto vorremmo che fosse tutto solo frutto della fantasia di un mangaka completamente folle. Ci si deve rendere conto che quella pazzia esiste davvero! Perché esistono davvero gli "insetti di merda" (citando Nakamura) che alimentano quella pazzia.
Il pazzo spesso non è che il frutto della società in cui vive.
I protagonisti oscillano tra la paura, l'autolesionismo, il sadismo, il disgusto per sé stessi e l'assoluto totale disprezzo per chi li circonda. Tutto questo - agli occhi di chi legge - risulta malato, insano, morboso, deviato, forse un irrecuperabile disastro. Ma in un certo senso lo si riscopre anche sano: dal momento in cui il dolore implode/esplode nel climax, comincia un percorso introspettivo e non più violento che culmina in una inaspettata catarsi.
Difficile farsi scivolare addosso, come se nulla fosse, tutta l'ammaliante mostruosità e inquietudine raccontata in questi 11 volumi! E proprio per questo è anche difficile smettere di pensarci una volta chiuso l'ultimo volume. Io non credo di esserne ancora uscita del tutto, da quelle pagine.