Recensione
Afro Samurai
9.0/10
Alcuni manga nascono sotto una buona stella, sembra quasi che siano predestinati: "Afro Samurai" è uno di questi.
Quest'opera esce dagli schemi stilistici del fumetto orientale per sancire un punto di intersezione con quello occidentale: lo stesso autore Takashi Okazaki, alla fine del secondo volume, spiega che la sua opera si ispira sia alle tecniche tipiche dei manga che a quelle dei comics occidentali. Ne sono la dimostrazione la scrittura da sinistra a destra (non viceversa) e anche le scelte delle inquadrature-immagini che rievocano lo stile dei comics. Mentre il soggetto e l'ambientazione sono più fedeli alla tradizione del fumetto giapponese.
La trama, inizialmente, non sembra particolarmente originale: un bambino vede suo padre morire in uno scontro e decide di consacrare la sua vita alla vendetta. Egli attraverserà tutto il Giappone, sconfiggendo la proverbiale schiera di nemici minori prima di arrivare al "boss finale". Il tema della vendetta è da sempre fonte di ispirazione per fumetti e molte altre forme d' arte, e ormai tutti conosciamo quelle che sono le sue conseguenze: essa non porta mai a nulla, non riporta in vita i cari per cui ci si batte, e, una volta appagata, lascia un senso di vuoto e di incompiutezza. Anche in "Afro Samurai" è così. La vera differenza però, rispetto a storie simili, sta nella caratterizzazione del protagonista. Fin dalla sua giovinezza Afro sceglie una strada che lo porta alla solitudine e a far del male alle persone che gli hanno dimostrato affetto; nonostante ciò egli non mostra mai rimorsi e continua imperterrito nella sua ricerca, compiendo anche gesti veramente disumani per un protagonista (basti vedere come affronta il cacciatore di taglie nel primo volume). Quindi se per vicende di questo calibro di solito ci troviamo di fronte a protagonisti dinamici, nel senso che durante la storia, mutano e maturano positivamente raggiungendo una sorta di "redenzione", qui Afro è sempre lo stesso, dall'inizio alla fine. La frase finale: "Penso che ora continuerò per la mia strada" riassume perfettamente questo concetto.
Anche il comparto grafico è molto caratterizzante: i disegni sono tutti nel proverbiale bianco e nero, con l'unica eccezione per il sangue che viene sempre colorato di rosso per sottolineare la vena pulp dell'opera. Le tavole sono abbastanza variegate, si passa da disegni più precisi e dai toni marcatamente epici, soprattutto primi piani e figure intere, a scene più confusionarie e bestiali nelle parti dei combattimenti.
L'edizione della Planet è più curata della media, anche per proporre al pubblico un'edizione che renda merito al grande successo che ha avuto il manga, tuttavia risulta decisamente costosa (anche se ora come ora, l'unico modo per procurarsi i volumi, è pagarli più del doppio o del triplo a qualche fiera del fumetto o su ebay).
Il mio pensiero finale però è rivolto alla mia frase di inizio recensione: se si mettono insieme tutti gli elementi sopra descritti, e si pensa che quest'opera è stata prodotta da un giovane mangaka quasi sconosciuto, si fatica a capire come questo fumetto sia diventato presto un cult del genere pulp e abbia avuto un largo seguito in tutto il mondo.
Personalmente, dopo più riletture, il dubbio mi rimane: ci troviamo di fronte a un'opera davvero geniale e particolare, oppure alla fine questa produzione non è che un'abile miscuglio di fattori "che piacciono" per raggiungere un più facile successo?
Come quasi sempre la verità starà nel mezzo... Alla fine comunque "Penso che continuerò per la mia strada".
Quest'opera esce dagli schemi stilistici del fumetto orientale per sancire un punto di intersezione con quello occidentale: lo stesso autore Takashi Okazaki, alla fine del secondo volume, spiega che la sua opera si ispira sia alle tecniche tipiche dei manga che a quelle dei comics occidentali. Ne sono la dimostrazione la scrittura da sinistra a destra (non viceversa) e anche le scelte delle inquadrature-immagini che rievocano lo stile dei comics. Mentre il soggetto e l'ambientazione sono più fedeli alla tradizione del fumetto giapponese.
La trama, inizialmente, non sembra particolarmente originale: un bambino vede suo padre morire in uno scontro e decide di consacrare la sua vita alla vendetta. Egli attraverserà tutto il Giappone, sconfiggendo la proverbiale schiera di nemici minori prima di arrivare al "boss finale". Il tema della vendetta è da sempre fonte di ispirazione per fumetti e molte altre forme d' arte, e ormai tutti conosciamo quelle che sono le sue conseguenze: essa non porta mai a nulla, non riporta in vita i cari per cui ci si batte, e, una volta appagata, lascia un senso di vuoto e di incompiutezza. Anche in "Afro Samurai" è così. La vera differenza però, rispetto a storie simili, sta nella caratterizzazione del protagonista. Fin dalla sua giovinezza Afro sceglie una strada che lo porta alla solitudine e a far del male alle persone che gli hanno dimostrato affetto; nonostante ciò egli non mostra mai rimorsi e continua imperterrito nella sua ricerca, compiendo anche gesti veramente disumani per un protagonista (basti vedere come affronta il cacciatore di taglie nel primo volume). Quindi se per vicende di questo calibro di solito ci troviamo di fronte a protagonisti dinamici, nel senso che durante la storia, mutano e maturano positivamente raggiungendo una sorta di "redenzione", qui Afro è sempre lo stesso, dall'inizio alla fine. La frase finale: "Penso che ora continuerò per la mia strada" riassume perfettamente questo concetto.
Anche il comparto grafico è molto caratterizzante: i disegni sono tutti nel proverbiale bianco e nero, con l'unica eccezione per il sangue che viene sempre colorato di rosso per sottolineare la vena pulp dell'opera. Le tavole sono abbastanza variegate, si passa da disegni più precisi e dai toni marcatamente epici, soprattutto primi piani e figure intere, a scene più confusionarie e bestiali nelle parti dei combattimenti.
L'edizione della Planet è più curata della media, anche per proporre al pubblico un'edizione che renda merito al grande successo che ha avuto il manga, tuttavia risulta decisamente costosa (anche se ora come ora, l'unico modo per procurarsi i volumi, è pagarli più del doppio o del triplo a qualche fiera del fumetto o su ebay).
Il mio pensiero finale però è rivolto alla mia frase di inizio recensione: se si mettono insieme tutti gli elementi sopra descritti, e si pensa che quest'opera è stata prodotta da un giovane mangaka quasi sconosciuto, si fatica a capire come questo fumetto sia diventato presto un cult del genere pulp e abbia avuto un largo seguito in tutto il mondo.
Personalmente, dopo più riletture, il dubbio mi rimane: ci troviamo di fronte a un'opera davvero geniale e particolare, oppure alla fine questa produzione non è che un'abile miscuglio di fattori "che piacciono" per raggiungere un più facile successo?
Come quasi sempre la verità starà nel mezzo... Alla fine comunque "Penso che continuerò per la mia strada".