Recensione
Psycho-Pass 2
7.0/10
C'erano molta attesa e molte aspettative per questo importante titolo, che ha ottenuto un consenso quasi unanime nella sua prima stagione, ma anche diversi elementi e avvenimenti imprevisti.
La più grande preoccupazione risiedeva nel cambio di testimone per la sceneggiatura, che da Urobuchi passa a Ubukata. Spieghiamo per chi non sapesse in poche parole chi sono queste due figure: Urobuchi, fondamentalmente, più che uno sceneggiatore è meglio accostabile a un macellaio disturbato che gode nel massacrare brutalmente i suoi personaggi, sia sul piano fisico che emotivo. Gran parte delle sue opere, oltre alle immancabili cascate di sangue, si contraddistinguono per criptici riferimenti filosofici e letterali, che invogliano la mente del lettore a riflessioni di carattere psicologico e sociologico. Ubukata è uno scrittore di fantascienza leggermente meno deviato, ma con un forte amore verso le tematiche cyberpunk che ha dimostrato le sua potenzialità nell'ottima serie OAV "Ghost in the Shell Arise". Nonostante questo, egli resta palesemente meno intrigante del malato collega.
Un'altra fonte di timore la si deve ricercare nell'improvviso cambio di studio: l'abbandono di Production I.G. e l'entrata nel progetto della storica Tatsunoko Production ("Ping Pong The Animation"), visibilmente più ridotta nel personale e nelle dimensioni. Il fandom si è quindi interrogato se tale studio fosse all'altezza di questo ambizioso progetto, poiché "Psycho-Pass" è un'opera che per luci, ombre, animazioni, sonoro ed effetti richiede un lavoro di realizzazione estenuante.
Ma di fronte a queste congetture come ha reagito l'intero progetto? Abbastanza bene.
Sin dal primo episodio vengono ripresi i temi della prima stagione in maniera quasi citazionistica, tentando di catturare nuovamente l'attenzione dei vecchi fan. Il comparto tecnico è leggermente inferiore per quanto concerne la fluidità delle animazioni, ma la regia aiuta discretamente, e la mano di Ubukata quasi non la si nota. Lo scrittore difatti ha voluto scegliere il modo meno "traumatico" e forse ruffiano per iniziare questa serie, manifestando successivamente una maggior originalità sia per svolgimento che per tematiche.
Il finale della prima serie chiudeva lo scontro tra Kogami e Makishima, ed esibiva l'apparente subordinazione di Akane al sistema, mentre la sceneggiatura globale di fatto resta chiaramente ancora aperta. In ventidue puntate il mondo di "Psycho-Pass" ha avuto modo di delineare diverse linee narrative, alcune delle quali vengono riprese nel suo successore.
Akane è cresciuta, forse troppo. Non è più la ragazzina ingenua e svampita della prima serie. Ha visto morire amici e colleghi, ha sperimentato abbandono, terrore e oppressione esercitata da un sistema irrazionale e imperfetto. Queste esperienze hanno forgiato un carattere forte dominato dall'intelligenza. Lei, parte di questo meccanismo sociale, sfrutta le regole del Sybil System per affermare un ideale di giustizia umano.
Grande assente il protagonista della prima serie, Shinya Kougami. Il non volerlo utilizzare l'ho trovata una scelta controproducente. Forse, data la sua importanza come personaggio principale, avrebbe smosso le fondamenta dell'intera serie, inoltre, data la sua separazione dall'ispettrice, il ricongiungimento avrebbe necessitato diverse puntate per non rivelare uno script eccessivamente forzato. Ma, da qui a non svilupparlo minimamente, la scelta porta a delle conseguenze che all'interno dello spettatore si traducono in una sorta di vuoto narrativo manifesto.
Mika Shimotsuki è la subordinata di Akane. Si presenta da subito come una testa calda, presuntuosa e saccente. Se qualcuno non se la ricordasse, è la stessa ragazzina liceale coi capelli legati, che abbiamo visto nel corso della serie nel collegio femminile Oso. Ha un modo ostile di rapportarsi verso gli esecutori e un'esagerata autostima che sfortunatamente non la condurrà a un’orribile e cruenta morte.
Il cambiamento di Ginoza è rilevante, sa bene di non essere più il superiore di Akane, ma non la teme, anzi - e ciò è quasi straniante da vedere - non è mai stato così in sintonia con lei. Dopo i tragici avvenimenti di più di un anno fa la sua vera personalità è riemersa, differenziandone l'immagine che il fandom conservava precedentemente. Seppur venga messo in secondo piano per esigenze di sceneggiatura, si dimostra comunque una buona presenza e uno dei personaggi in ogni caso più apprezzati della saga.
Togane è un personaggio intrigante, dallo sviluppo inizialmente insolito, però la sua esplosione delirante nelle ultime puntate mostra le sue debolezze in un colpo, scelta forse non originale, che però nel suo contesto non risulta totalmente piazzata a caso.
Kamui, colui che dovrebbe esser l' "antagonista" di questa serie, desta attenzione, soprattutto nel modo in cui manipola gli ologrammi, opacizzando la normale capacità di giudizio dei protagonisti. Il suo obiettivo finale è scoprire il colore del Sybil System - giudicare - e scoprire il proprio colore - essere giudicato. Non essendo possibile misurare il suo Psycho-Pass, egli non figura come essere esistente, e ciò da un punto di vista sociale è per lui di enorme vantaggio. L’incomunicabilità tra Kamui e i suoi cacciatori non verte sull’abusata dicotomia bene-male, ma si erge come barriera simbolica, in quanto, seppur lo spettatore inizialmente non se ne renda conto, il destino di Kamui è già segnato. Pura autodistruzione successiva alla presa di coscienza della sua natura, del suo essere o, se vogliamo, del suo non-colore.
Il ritmo della serie è dinamico e incalzante, e ciò è dovuto sia al limitato numero di episodi che alla piega che prendono gli avvenimenti.
E in questa fase conclusiva di recensione mi assale una domanda. Qual è il colore di questo "Psycho-Pass 2"? Quali sono gli elementi che mi portano così tanto a interrogarmi sul perché questa serie, pur rivelandosi buona, non sia palesemente all'altezza della prima?
La ridotta quantità di episodi realizzabili ha costretto gli sceneggiatori a intraprendere un percorso che, purtroppo, per qualsiasi altro genere avrebbe funzionato, ma non per lo spessore esercitato da "Psycho-Pass". Tale processo, ossia il voler rendere la serie marcatamente action, ne ha sottratto il fascino misterioso, le citazioni di filosofia e psicologia tipiche di Urobuchi, gli affascinanti duelli verbali tra i diversi personaggi, moncando quindi un'importante parte degli elementi caratteristici che i fan del brand avevano adorato.
"Psycho-Pass" era una tela più grande, dipinta da un più abile pittore che ha usato i suoi colori più sapientemente, senza temere confronti. Eppure, non biasimo gli autori. Il voler creare una serie che non sia una pallida imitazione della precedente è una scelta, per certi versi, coraggiosa. Manca l'intrepida follia dello spudorato carnefice Urobuchi, eppure non mi sento di dire che questa serie sia brutta o non mi sia piaciuta. Tuttavia, per essere "Psycho-Pass", e questo è bene sottolinearlo, purtroppo si è rivelata al di sotto delle mie alte aspettative.
La più grande preoccupazione risiedeva nel cambio di testimone per la sceneggiatura, che da Urobuchi passa a Ubukata. Spieghiamo per chi non sapesse in poche parole chi sono queste due figure: Urobuchi, fondamentalmente, più che uno sceneggiatore è meglio accostabile a un macellaio disturbato che gode nel massacrare brutalmente i suoi personaggi, sia sul piano fisico che emotivo. Gran parte delle sue opere, oltre alle immancabili cascate di sangue, si contraddistinguono per criptici riferimenti filosofici e letterali, che invogliano la mente del lettore a riflessioni di carattere psicologico e sociologico. Ubukata è uno scrittore di fantascienza leggermente meno deviato, ma con un forte amore verso le tematiche cyberpunk che ha dimostrato le sua potenzialità nell'ottima serie OAV "Ghost in the Shell Arise". Nonostante questo, egli resta palesemente meno intrigante del malato collega.
Un'altra fonte di timore la si deve ricercare nell'improvviso cambio di studio: l'abbandono di Production I.G. e l'entrata nel progetto della storica Tatsunoko Production ("Ping Pong The Animation"), visibilmente più ridotta nel personale e nelle dimensioni. Il fandom si è quindi interrogato se tale studio fosse all'altezza di questo ambizioso progetto, poiché "Psycho-Pass" è un'opera che per luci, ombre, animazioni, sonoro ed effetti richiede un lavoro di realizzazione estenuante.
Ma di fronte a queste congetture come ha reagito l'intero progetto? Abbastanza bene.
Sin dal primo episodio vengono ripresi i temi della prima stagione in maniera quasi citazionistica, tentando di catturare nuovamente l'attenzione dei vecchi fan. Il comparto tecnico è leggermente inferiore per quanto concerne la fluidità delle animazioni, ma la regia aiuta discretamente, e la mano di Ubukata quasi non la si nota. Lo scrittore difatti ha voluto scegliere il modo meno "traumatico" e forse ruffiano per iniziare questa serie, manifestando successivamente una maggior originalità sia per svolgimento che per tematiche.
Il finale della prima serie chiudeva lo scontro tra Kogami e Makishima, ed esibiva l'apparente subordinazione di Akane al sistema, mentre la sceneggiatura globale di fatto resta chiaramente ancora aperta. In ventidue puntate il mondo di "Psycho-Pass" ha avuto modo di delineare diverse linee narrative, alcune delle quali vengono riprese nel suo successore.
Akane è cresciuta, forse troppo. Non è più la ragazzina ingenua e svampita della prima serie. Ha visto morire amici e colleghi, ha sperimentato abbandono, terrore e oppressione esercitata da un sistema irrazionale e imperfetto. Queste esperienze hanno forgiato un carattere forte dominato dall'intelligenza. Lei, parte di questo meccanismo sociale, sfrutta le regole del Sybil System per affermare un ideale di giustizia umano.
Grande assente il protagonista della prima serie, Shinya Kougami. Il non volerlo utilizzare l'ho trovata una scelta controproducente. Forse, data la sua importanza come personaggio principale, avrebbe smosso le fondamenta dell'intera serie, inoltre, data la sua separazione dall'ispettrice, il ricongiungimento avrebbe necessitato diverse puntate per non rivelare uno script eccessivamente forzato. Ma, da qui a non svilupparlo minimamente, la scelta porta a delle conseguenze che all'interno dello spettatore si traducono in una sorta di vuoto narrativo manifesto.
Mika Shimotsuki è la subordinata di Akane. Si presenta da subito come una testa calda, presuntuosa e saccente. Se qualcuno non se la ricordasse, è la stessa ragazzina liceale coi capelli legati, che abbiamo visto nel corso della serie nel collegio femminile Oso. Ha un modo ostile di rapportarsi verso gli esecutori e un'esagerata autostima che sfortunatamente non la condurrà a un’orribile e cruenta morte.
Il cambiamento di Ginoza è rilevante, sa bene di non essere più il superiore di Akane, ma non la teme, anzi - e ciò è quasi straniante da vedere - non è mai stato così in sintonia con lei. Dopo i tragici avvenimenti di più di un anno fa la sua vera personalità è riemersa, differenziandone l'immagine che il fandom conservava precedentemente. Seppur venga messo in secondo piano per esigenze di sceneggiatura, si dimostra comunque una buona presenza e uno dei personaggi in ogni caso più apprezzati della saga.
Togane è un personaggio intrigante, dallo sviluppo inizialmente insolito, però la sua esplosione delirante nelle ultime puntate mostra le sue debolezze in un colpo, scelta forse non originale, che però nel suo contesto non risulta totalmente piazzata a caso.
Kamui, colui che dovrebbe esser l' "antagonista" di questa serie, desta attenzione, soprattutto nel modo in cui manipola gli ologrammi, opacizzando la normale capacità di giudizio dei protagonisti. Il suo obiettivo finale è scoprire il colore del Sybil System - giudicare - e scoprire il proprio colore - essere giudicato. Non essendo possibile misurare il suo Psycho-Pass, egli non figura come essere esistente, e ciò da un punto di vista sociale è per lui di enorme vantaggio. L’incomunicabilità tra Kamui e i suoi cacciatori non verte sull’abusata dicotomia bene-male, ma si erge come barriera simbolica, in quanto, seppur lo spettatore inizialmente non se ne renda conto, il destino di Kamui è già segnato. Pura autodistruzione successiva alla presa di coscienza della sua natura, del suo essere o, se vogliamo, del suo non-colore.
Il ritmo della serie è dinamico e incalzante, e ciò è dovuto sia al limitato numero di episodi che alla piega che prendono gli avvenimenti.
E in questa fase conclusiva di recensione mi assale una domanda. Qual è il colore di questo "Psycho-Pass 2"? Quali sono gli elementi che mi portano così tanto a interrogarmi sul perché questa serie, pur rivelandosi buona, non sia palesemente all'altezza della prima?
La ridotta quantità di episodi realizzabili ha costretto gli sceneggiatori a intraprendere un percorso che, purtroppo, per qualsiasi altro genere avrebbe funzionato, ma non per lo spessore esercitato da "Psycho-Pass". Tale processo, ossia il voler rendere la serie marcatamente action, ne ha sottratto il fascino misterioso, le citazioni di filosofia e psicologia tipiche di Urobuchi, gli affascinanti duelli verbali tra i diversi personaggi, moncando quindi un'importante parte degli elementi caratteristici che i fan del brand avevano adorato.
"Psycho-Pass" era una tela più grande, dipinta da un più abile pittore che ha usato i suoi colori più sapientemente, senza temere confronti. Eppure, non biasimo gli autori. Il voler creare una serie che non sia una pallida imitazione della precedente è una scelta, per certi versi, coraggiosa. Manca l'intrepida follia dello spudorato carnefice Urobuchi, eppure non mi sento di dire che questa serie sia brutta o non mi sia piaciuta. Tuttavia, per essere "Psycho-Pass", e questo è bene sottolinearlo, purtroppo si è rivelata al di sotto delle mie alte aspettative.