Recensione
Shōwa Genroku Rakugo Shinjū
9.0/10
Recensione di Itachi-san
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Mi sembra opportuno scrivere un paio di considerazioni su un anime di indubbia qualità, il quale purtroppo, a giudicare anche dalle visualizzazioni su Vvvvid, è sconosciuto ai più, forse noto per nome, ma in ogni caso ignorato. Si tratta di “Showa Genroku Rakugo Shinju”, venticinque episodi in totale distribuiti in due stagioni, la prima del 2016, la seconda di quest’anno. L’argomento centrale dell’anime è il rakugo, per l’appunto, una forma di teatro giapponese che, a dir la verità, prima ignoravo completamente. E’ intorno a questa peculiare forma d’arte che si dislocano le vicende dei protagonisti. Nella prima stagione, in realtà, dopo l’unico episodio introduttivo di circa cinquanta minuti - quelli successivi hanno la canonica durata di ventiquattro -, la narrazione si baserà su un lungo flashback, incentrato sulle vicende di due giovani apprendisti cantastorie (questo significa praticare rakugo). L’intensa analessi permette di osservare la loro crescita, lo sviluppo di un sodalizio autentico, all’interno del quale non mancherà la rivalità, talvolta il conflitto, perfino lo scontro. Si assiste così alla trasformazione dei due ragazzi in uomini e, mentre anche l’amore si affaccia nelle loro vite, il filo invisibile del rakugo si rafforza di episodio in episodio; diviene la linfa vitale della narrazione, ma anche l’elemento trainante per lo sviluppo introspettivo dei personaggi. La prima stagione sa dispensare anche alcuni eclatanti colpi di scena, concentrati soprattutto nella parte finale. La seconda ci riporterà al presente, o comunque in un’epoca molto più vicina alla nostra, giacché il primo arco narrativo si colloca prima e in contemporanea alla Seconda Guerra Mondiale.
Dopo la vaga introduzione sulle coordinate generali dell’anime, è doveroso focalizzarsi sui temi e sui pregi principali di questo egregio lavoro. Innanzitutto, cosa è esattamente questo rakugo? Si tratta di una forma d’arte storica giapponese, credo originaria del ‘600 circa, la quale consiste in un monologo di un cantastorie di fronte a un pubblico. La recitazione avviene sostanzialmente in teatri, è introdotta dalla musica e si basa sulle capacità dell’attore di intrattenere gli ascoltatori, simulando contemporaneamente più ruoli, assumendo più registri linguistici e fingendo di fare le più disparate azioni con pochi oggetti a disposizione. Tra questi, è immancabile un ventaglio. Certamente si tratta di un genere estremamente esotico per noi Occidentali e si deve pure ammettere che il punto forte dell’anime non stia nel rakugo in sé. Le storie, soprattutto all’inizio, potranno risultare poco divertenti e coinvolgenti ai nostri occhi, ma si sa, l’umorismo varia di popolo in popolo e molto probabilmente molti giochi di parole e vari effetti linguistici vanno perduti nella traduzione. In realtà però, andando avanti nella visione, almeno personalmente, ho cominciato a trovare le esibizioni sempre più digeribili, fino quasi ad amarle. Come anticipato, tuttavia, il rakugo non è un fine, ma un mezzo: più precisamente, è sì l’obiettivo dei protagonisti quello di raggiungere grandi livelli artistici nella pratica del genere, ma per noi spettatori esso è fondamentalmente lo strumento che permette di assistere alla loro vita, di comprenderla e compenetrarla. La vera forza di “Showa Genroku Rakugo Shinju” sta nei personaggi, nell’autenticità e nella verosimiglianza delle loro emozioni e dei loro comportamenti. Pare davvero di poter sbirciare nella vita di persone reali, diventa quasi normale immedesimarsi nei loro sogni e nei loro tormenti, nei loro successi e nei loro fallimenti.
Il tutto viene scandito da un ritmo narrativo pacato, quasi blando, ma mai noioso o stagnante: insomma davvero ponderato e intelligente. Trai temi più rilevanti spiccano il contrasto tra amore e piena autorealizzazione, le contraddizioni delle amicizie sincere, la riflessione sul concetto di arte e di stile, ma anche la solitudine, il rimorso e il rimpianto. Il rakugo, come ribadito più volte, è il motore dell’azione e delle interazioni, e viene sviscerato sia da un punto di vista sincronico che diacronico. Uno spunto di riflessione molto interessante, infatti, è anche la trasformazione delle forme artistiche nel corso del tempo, nonché lo sforzo, talora titanico, necessario da parte di alcuni per salvarlo dalla decadenza e quindi l’oblio. Il rakugo è un’arte antica, minacciata da nuove forme di intrattenimento e di comunicazione, come il cinema e la televisione; il cantastorie dunque dovrà preservarlo attraverso il rinnovamento o attraverso la sublimazione della tradizione. Queste considerazioni di estetica e gli spunti vari sui concetti di creatività, di ricerca di sé stessi attraverso il proprio stile più naturale, danno all’anime anche una coloritura molto intellettuale, ne esaltano la raffinatezza e l’eleganza. Questo è “Rakugo”, un’opera di grande delicatezza capace di suscitare tante emozioni di vario tipo, con una storia appassionante e personaggi di notevole spessore.
Il comparto tecnico è buono, le animazioni non sono trascendentali, ma il sonoro, il doppiaggio, la scelta dei colori... ho trovato tutto eccellente. Il character design credo sia poi particolarmente adatto al tipo di storia e allo stile complessivo dell’anime e i personaggi femminili sono di grande bellezza e sensualità.
Insomma, a mio avviso, una vera e propria perla animata, una piccola opera d’arte. Vi invito caldamente a guardarlo.
Dopo la vaga introduzione sulle coordinate generali dell’anime, è doveroso focalizzarsi sui temi e sui pregi principali di questo egregio lavoro. Innanzitutto, cosa è esattamente questo rakugo? Si tratta di una forma d’arte storica giapponese, credo originaria del ‘600 circa, la quale consiste in un monologo di un cantastorie di fronte a un pubblico. La recitazione avviene sostanzialmente in teatri, è introdotta dalla musica e si basa sulle capacità dell’attore di intrattenere gli ascoltatori, simulando contemporaneamente più ruoli, assumendo più registri linguistici e fingendo di fare le più disparate azioni con pochi oggetti a disposizione. Tra questi, è immancabile un ventaglio. Certamente si tratta di un genere estremamente esotico per noi Occidentali e si deve pure ammettere che il punto forte dell’anime non stia nel rakugo in sé. Le storie, soprattutto all’inizio, potranno risultare poco divertenti e coinvolgenti ai nostri occhi, ma si sa, l’umorismo varia di popolo in popolo e molto probabilmente molti giochi di parole e vari effetti linguistici vanno perduti nella traduzione. In realtà però, andando avanti nella visione, almeno personalmente, ho cominciato a trovare le esibizioni sempre più digeribili, fino quasi ad amarle. Come anticipato, tuttavia, il rakugo non è un fine, ma un mezzo: più precisamente, è sì l’obiettivo dei protagonisti quello di raggiungere grandi livelli artistici nella pratica del genere, ma per noi spettatori esso è fondamentalmente lo strumento che permette di assistere alla loro vita, di comprenderla e compenetrarla. La vera forza di “Showa Genroku Rakugo Shinju” sta nei personaggi, nell’autenticità e nella verosimiglianza delle loro emozioni e dei loro comportamenti. Pare davvero di poter sbirciare nella vita di persone reali, diventa quasi normale immedesimarsi nei loro sogni e nei loro tormenti, nei loro successi e nei loro fallimenti.
Il tutto viene scandito da un ritmo narrativo pacato, quasi blando, ma mai noioso o stagnante: insomma davvero ponderato e intelligente. Trai temi più rilevanti spiccano il contrasto tra amore e piena autorealizzazione, le contraddizioni delle amicizie sincere, la riflessione sul concetto di arte e di stile, ma anche la solitudine, il rimorso e il rimpianto. Il rakugo, come ribadito più volte, è il motore dell’azione e delle interazioni, e viene sviscerato sia da un punto di vista sincronico che diacronico. Uno spunto di riflessione molto interessante, infatti, è anche la trasformazione delle forme artistiche nel corso del tempo, nonché lo sforzo, talora titanico, necessario da parte di alcuni per salvarlo dalla decadenza e quindi l’oblio. Il rakugo è un’arte antica, minacciata da nuove forme di intrattenimento e di comunicazione, come il cinema e la televisione; il cantastorie dunque dovrà preservarlo attraverso il rinnovamento o attraverso la sublimazione della tradizione. Queste considerazioni di estetica e gli spunti vari sui concetti di creatività, di ricerca di sé stessi attraverso il proprio stile più naturale, danno all’anime anche una coloritura molto intellettuale, ne esaltano la raffinatezza e l’eleganza. Questo è “Rakugo”, un’opera di grande delicatezza capace di suscitare tante emozioni di vario tipo, con una storia appassionante e personaggi di notevole spessore.
Il comparto tecnico è buono, le animazioni non sono trascendentali, ma il sonoro, il doppiaggio, la scelta dei colori... ho trovato tutto eccellente. Il character design credo sia poi particolarmente adatto al tipo di storia e allo stile complessivo dell’anime e i personaggi femminili sono di grande bellezza e sensualità.
Insomma, a mio avviso, una vera e propria perla animata, una piccola opera d’arte. Vi invito caldamente a guardarlo.