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9.5/10
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A metà degli anni ’80, mentre deliziava il suo pubblico con il bellissimo Maison Ikkoku e contemporaneamente lo divertiva con le gag di Lamù, la prolifica Rumiko Takahashi decise di proporre qualcosa di diverso, qualcosa di oscuro e “cattivo”.
Se le tematiche horror erano state affrontate nelle varie oneshot (Oltre le fiamme, Due occhi nel buio, Il sonno della memoria, Il bersaglio che ride)che comporranno in seguito il primo dei tre volumi Rumic World, con la cosiddetta Saga delle sirene la mangaka dà vita ad un progetto più unitario e complesso che viene serializzato sporadicamente per una decina d’anni per poi chiudersi senza una vera conclusione.

Si dice che la carne di sirena porti longevità e immortalità a chiunque la mangi ma al contempo può essere un potente veleno che uccide immediatamente chi lo ingerisce, o nel peggiore dei casi, lo tramuta in un mostro. Yuta e Mana sono due immortali che per una serie di circostanze si ritrovano a viaggiare insieme alla ricerca di ciò che è causa della loro sofferenza ma che allo stesso tempo può essere cura del loro male: una sirena. Non si sa come e perché essa possa aiutarli ma l’unica cosa da fare è cercarla, per arrivare a capo della verità e mettere fine ad una vita che dura da fin troppo tempo. L’unico modo per uccidere un immortale è tagliargli la testa, per cui Yuta, che vive da più di 500 anni, avrebbe potuto porre fine così al suo dolore, ma come lui stesso afferma, vuole vivere come una persona normale e morire una volta trascorso il tempo che gli spetta come essere umano.

Seppur Yuta e Mana siano i protagonisti di questa serie in tre volumi (Il bosco della sirena, Il segno della sirena e La maschera della sirena), gli episodi autoconclusivi o comunque divisi in piccole saghe, ci permettono di conoscere una grande quantità di personaggi, ambientazioni ed epoche. Alcuni episodi si svolgono nell’antico Giappone, quando Yuta era ancora un ragazzo normale, altri si spostano ai tempi della modernizzazione e altri ancora presentano il paese ai giorni nostri.
I personaggi di questa serie, seppur diversissimi tra loro, sono uniti da alcuni elementi legati non semplicemente dalla presenza delle sirene o dalla mera questione dell’immortalità, poiché ciò che li accomuna nel profondo sono i sentimenti negativi, la brama, il desiderio, l’egoismo e spesso anche l’amore, nella sua forma più contorta o malata.
Insomma, se la componente soprannaturale è fortemente presente, come è solita fare, la Takahashi mostra una faccia dell’essere umano che trascende l’elemento soprannaturale e pone i personaggi di fronte a scelte morali dettate spesso dall’egoismo e dall’istinto di sopravvivenza, il quale si palesa in modo forte e crudele, anche a discapito delle persone care.

I disegni della Takahashi sono squisitamente in armonia con quello che era il suo stile ai tempi, laddove i primi capitoli hanno un tratto più spigoloso che si ammorbidisce lievemente nelle storie più recenti, e la cura per le ambientazioni non viene mai meno. Le linee con cui la mangaka disegna i personaggi sono sempre molto spesse e incisive e il tratto è sempre bello ma privo di orpelli, facendosi più ricercato quando l’ambientazione temporale lo richiede.
Il manga venne editato nell’ormai lontano 1997 da Star Comics, che propose 3 bei corposi volumi comprensivi di pagine a colori.

[/b]La saga delle sirene[/b] è considerata una delle opere più belle della sensei, sia per i temi trattati, che per l’atmosfera cupa e sofferente che aleggia in ogni capitolo, sia per l’ottima caratterizzazione di tutti i personaggi, difatti, anche se ad eccezione di Yuta e Mana essi appaiano solo per qualche capitolo, riescono ad esprimere perfettamente i loro sentimenti e scopi, rendendosi distinguibili gli uni dagli altri inquadrandosi ottimamente nel loro contesto narrativo.

Il più grande difetto della Saga delle sirene è, manco a dirlo, la mancanza di un finale che metta un punto al viaggio di Yuta e Mana, che si concluda esso con il raggiungimento dello scopo o meno. In realtà la Takahashi non è solita interrompere i suoi manga, per cui probabilmente ha intenzionalmente lasciato aperto il sipario sulle avventure dei due immortali. Ammetto che da lettrice e grande estimatrice dell’opera non ne sono molto contenta, avrei potuto accettare un finale aperto (dopotutto sappiamo che alla sensei non piace proprio dare delle conclusioni “totalizzanti”) solo nel momento in cui la mangaka mi avesse deliziata con qualche altro numero in cui faceva almeno intuire quale potesse essere l’epilogo.
In ogni caso, pur portandosi appresso questo difetto, si tratta di una storia bellissima, intrigante, ricca di mistero, suspance e colpi di scena. Consigliata agli amanti dell’horror ma anche a chi la Takahashi la conosce solo per le sue opere più spensierate, sarà molto interessante conoscere questo suo lato ormai, purtroppo, un po’ troppo nascosto.