Recensione
In sede di recensione della prima stagione di "To Aru Kagaku no Railgun", sottolineavo la staticità sostanziale di un prodotto che mi diede l’impressione di non avere un destino filmico preciso. Un’accozzaglia di personaggi iscritti in blocchi di marmo che non evolvono di un millimetro sia dal punto di vista caratteriale sia nelle mansioni normalmente assegnate loro dalla storia, e una trama raggruppata in pochi episodi intervallati da puntate monografiche un po’, diciamo, “pigre”. Insomma, non un granché, parzialmente recuperato dalla buona realizzazione tecnica e dalla qualità dei disegni.
Questa seconda stagione mi aveva invece inizialmente sorpreso, esordendo nel migliore dei modi grazie a una saga connotata da una trama strutturata e concentrata sull’eroina principale, senza inutili ‘spalle’ che, a ragion veduta, considero la vera zavorra dell’intera serializzazione. Nell’arco temporale dedicato alle ‘sorelle’, Mikoto Misaka affronta quel necessario processo di crescita del personaggio, aiutata ma non sovrastata da Kamijo. Tra momenti di forza e debolezze, lo sviluppo della trama principale attenua quella fastidiosa aura di superbia respirata per tutta la prima stagione intorno alla protagonista, rendendola finalmente gradevole e, soprattutto, umana. Il risultato si sostanzia in un ritmo avvincente e, soprattutto, più veloce, condito da una buona dose di emozioni a volte anche contraddittorie ma, finalmente, profonde.
Se l’intera serializzazione si fosse fermata al sedicesimo episodio, avrei dato un 7 o anche di più a un anime che alla buona qualità tecnica e impiantistica avrebbe finalmente affiancato una trama di un certo spessore. Peccato che negli ultimi otto episodi dedicati a Febri i difetti di base dell’intera serializzazione si sono ripresentati addirittura accentuati. Una storia che dire stereotipata è poco, un minestrone di personaggi e personaggini poco caratterizzati per non dire noiosi al limite dell’inutilità e cattivi (molto tra virgolette), poco approfonditi, tanto da apparire stupidi in base alle scelte effettuate. In tutto questo anche la protagonista, cresciuta insieme a Kamijo, sembra tornare ad essere solo quel mix di forza e superbia alla lunga stancante.
Questa seconda stagione mi aveva invece inizialmente sorpreso, esordendo nel migliore dei modi grazie a una saga connotata da una trama strutturata e concentrata sull’eroina principale, senza inutili ‘spalle’ che, a ragion veduta, considero la vera zavorra dell’intera serializzazione. Nell’arco temporale dedicato alle ‘sorelle’, Mikoto Misaka affronta quel necessario processo di crescita del personaggio, aiutata ma non sovrastata da Kamijo. Tra momenti di forza e debolezze, lo sviluppo della trama principale attenua quella fastidiosa aura di superbia respirata per tutta la prima stagione intorno alla protagonista, rendendola finalmente gradevole e, soprattutto, umana. Il risultato si sostanzia in un ritmo avvincente e, soprattutto, più veloce, condito da una buona dose di emozioni a volte anche contraddittorie ma, finalmente, profonde.
Se l’intera serializzazione si fosse fermata al sedicesimo episodio, avrei dato un 7 o anche di più a un anime che alla buona qualità tecnica e impiantistica avrebbe finalmente affiancato una trama di un certo spessore. Peccato che negli ultimi otto episodi dedicati a Febri i difetti di base dell’intera serializzazione si sono ripresentati addirittura accentuati. Una storia che dire stereotipata è poco, un minestrone di personaggi e personaggini poco caratterizzati per non dire noiosi al limite dell’inutilità e cattivi (molto tra virgolette), poco approfonditi, tanto da apparire stupidi in base alle scelte effettuate. In tutto questo anche la protagonista, cresciuta insieme a Kamijo, sembra tornare ad essere solo quel mix di forza e superbia alla lunga stancante.