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N.B. Questa vuole essere una riflessione generale su tutta la serie e non sulla singola stagione.

Non riesco a capire se questa sia una serie che non si è voluta spingere oltre per codardia o limiti commerciali, oppure semplicemente non si è riusciti a squarciare il velo di Maya. Tale riflessione può sembrare banale, ma di un anime così contraddittorio non saprei che altro pensare.
In breve, il punto è che stiamo parlando di una serie nella quale si ironizza sui cliché del mondo otaku per poi ricalcarli in carta carbone, si innestano situazioni interessanti per poi lasciarle morire al cospetto di una conclusione dal facile (in)successo.

Gli elementi standardizzati non sono affatto pochi, a partire semplicemente dai personaggi: il protagonista (Aki Tomoya) infatti è il tipico ragazzo occhialuto senza apparenti qualità casualmente circondato e conteso dalle ragazze più celebri della scuola, perfetti stereotipi della tsundere amica d'infanzia e della premurosa senpai (Sawamura Eriri e Utaha Kasumigaoka). Essi però sono accompagnati da colei la quale mi ha trascinato fino alla fine della serie e che mi ha invogliato a scrivere questa recensione: Megumi Kato. La loro missione è creare un "galge" di successo in modo da realizzare il sogno di Tomoya.
Se Eriri e Kasumigaoka sono rispettivamente disegnatrice e sceneggiatrice del videogioco, il ruolo di Megumi non è chiaro fin dall'inizio: ella infatti nasce come "eroina" principale della trama, per poi pian piano impegnarsi come programmatrice o semplice aiutante di Tomoya. Se questa serie raggiunge la sufficienza è soprattutto grazie a lei: Megumi infatti è una ragazza timida e sensibile, sottilmente ironica, dolcemente premurosa ma al tempo stesso rispettosa degli spazi altrui, dai sentimenti coerenti e sinceri, quindi fantasticamente reale. Ella poteva essere il grimaldello usato dalla realtà per dissacrare l'ennesimo harem dalle inquadrature inutilmente provocatorie, dalle scenate insensate della vulcanica tsundere, dei drammi campati in aria e dei noiosissimi sermoni sull'impegno e la fatica, mentre invece si è deciso di produrre qualcosa di normale e di concederle al massimo lo spazio di non oltre quattro-cinque puntate nell'intero arco delle due serie. Un enorme spreco a mio parere, non tanto per una preferenza specifica per lei (infatti è normale che in un harem si ruotino le puntate a tema per ogni ragazza, non è questo il punto), ma per l'effettiva qualità dell'anime: mi è sembrato abbastanza evidente come gli unici momenti nel quale si potessero effettivamente scorgere dei veri sentimenti, dei dialoghi realistici, delle riflessioni veramente tali nonché momenti di dolcissima realtà (o di reale dolcezza) avevano in Megumi la principale fautrice.

Il problema è infatti tutto il resto: come detto, l'amica di infanzia è una tsundere senza davvero nessuno spunto degno di nota, la senpai invece amalgama una famigerata maturità da scrittrice professionista (la quale non sembra a parer mio emergere) e una sottile sudditanza verso il nostro Tomoya. Molte delle puntate si spendono nell'avventura che è creare questo videogioco, le scadenze da rispettare, la trama da scrivere, rivedere e ribaltare (come se l'avessimo capita...), i disegni e gli scenari da completare. Tanti, tantissimi minuti concentrati in aspetti francamente poco utili, visto che non ci troviamo di fronte a una serie come "Shirobako" (che quindi tratteggia il reale funzionamento di questo mondo), ma solo a un harem con un pretesto diverso dal solito.
Un semplice e lineare harem, appunto, che è voluto rimanere tale e non essere qualcosa che potesse portare elementi nuovi, letture originali, caustiche critiche all'evidente standardizzazione di questa industria, proprio come il videogioco sviluppato dal nostro team, che passa dall'essere una genuina storia d'amore a un tipico drammone tra il sentimentale e il fantasy.

Sulle animazioni, niente da dire, visto che A-1 Pictures ha svolto, come spesso accade, un lavoro di ottima qualità sia sulle animazioni che sui colori, questi ultimi davvero molto curati e spesso coerenti con la caratterizzazione (o presunta tale) dei personaggi: avremo quindi squisite scene color pastello con Megumi o tavolozze dalle tinte più forti con Eriri.

Il finale della serie rispecchia pienamente quanto detto, poiché poteva proporre degli interessanti spunti di riflessione e vivide emozioni, ma alla fine si concede alla solita comoda conclusione di un comodo harem.
La mia valutazione finale e complessiva della serie è un 6-, media tra il 5 della prima (nella quale sono presenti evidenti buchi di trama e puntate colmate dall'improbabile cugina chitarrista mezza nuda Michiru) e 6,5 della seconda, che a tratti trasmette quel che ho cercato di spiegare poco sopra con Megumi.
Tutto il resto è noia.